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Antonio Montanari

Novello Malatesti, scolaro a corte


Educazione umanistica e suo progetto
della Biblioteca Malatestiana di Cesena

Con un’appendice sulla BIBLIOTECA


MALATESTIANA DI SAN FRANCESCO A RIMINI ,
la prima biblioteca pubblica d’Italia, che servì da
modello ideale a Novello Malatesti per la gloriosa
istituzione cesenate

2009

© by Antonio Montanari, Rimini (Italy)


Brescia, ottobre 1418. Verso il giorno 20 papa Martino V
arriva da Milano presso Pandolfo III Malatesti signore della
città. Rientra da Costanza dove il 22 aprile ha chiuso il concilio
che ha posto fine allo scisma occidentale.
Pandolfo ha due fanciulli: Domenico (che si farà chiamare
Malatesta Novello) di sei mesi e mezzo, e Sigismondo Pandolfo
nato sedici mesi prima. La loro madre è una concubina, Antonia
da Barignano. Martino V conosce bene i Malatesti.
Sua nipote Vittoria Colonna nel 1416 ha sposato Carlo, figlio del
signore di Pesaro, Malatesta I. Li apprezza per quello che hanno
fatto prima e durante il concilio di Costanza. Ai cui lavori è
intervenuto un altro Carlo Malatesti (1368-1429), signore di
Rimini e rettore vicario della Romagna dal 1385, di due anni più
vecchio del fratello Pandolfo III (1370-1427) che governa pure
Fano.

Carlo era procuratore speciale di Gregorio XII «ad sacram


unionem perficendam». Fu mediatore sapiente e fermo ma pure
aperto alle altrui ragioni. Pandolfo III aveva incontrato Gregorio
XII a Cesena nel febbraio 1409, prima di recarsi a Bologna
assieme a Malatesta I (pronipote di Pandolfo I, nonno dei
Malatesti riminesi), per far da paciere fra il riminese Carlo,
governatore a Milano, ed il cardinale Baldassarre Cossa, futuro
antipapa Giovanni XXIII.
A Giovanni XXIII, Carlo e Pandolfo III hanno poi mosso guerra
per volere di Gregorio XII, al fine di «reperire pacem et unionem
Sactae Matris Ecclesiae». Nel novembre 1413 Pandolfo III si è
recato a Cremona a rendere omaggio a Giovanni XXIII ed al re
d’Ungheria che aveva sottratto alla Serenissima alcuni
importanti territori. Trattative con lui erano state intavolate da
Malatesta I. Al quale si era rivolto Giovanni XXIII per attirare
dalla propria parte Carlo Malatesti. Il 4 luglio 1415 a Costanza
Carlo ha letto la bolla di rinuncia di Gregorio XII (scritta a
Rimini il 10 marzo), stando seduto al fianco dell’imperatore
Sigismondo che presiedeva i lavori.

L’amministratore loco episcopi della diocesi di Brescia nel 1418


è da cinque anni un altro Malatesti pesarese, l’arcidiacono
Pandolfo, fratello di Carlo marito di Vittoria Colonna.
L’arcidiacono è stato a Costanza nel 1415 e nel 1417 al
conclave da cui l’otto novembre è uscito eletto Martino V.
A Costanza c’era pure Manuele II imperatore d’Oriente, che nel
1420 diventa suocero di Cleofe, sorella dell’arcidiacono. Cleofe,
presente spesso da giovane alla corte di Rimini, muore nel 1433
forse vittima consapevole di un omicidio provocato da
fanatismo religioso.

A Pandolfo III, papa Martino V non spiega le proprie fosche


previsioni sul suo vicariato. Le confida nella tappa successiva di

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 2/19


Mantova al riminese Carlo, preannunciandogli la fine della
signoria di Brescia (che avverrà il 24 febbraio 1421). Il papa
riparte il 25 ottobre, diretto a Mantova assieme allo stesso
Pandolfo III.
Carlo è accompagnato dalla moglie Elisabetta Gonzaga, donna
colta e coraggiosa, ben conosciuta da Martino V. Il 12 luglio
1416 Braccio di Montone ha catturato Galeazzo (1385-1452)
figlio del signore di Pesaro e lo stesso Carlo di Rimini. Per
ottenere la loro liberazione (avvenuta nella primavera del
1417), Elisabetta si è appellata ai padri conciliari. Ed è stata
aiutata a pagare il riscatto dal nipote Gian Francesco Gonzaga,
figlio di Margherita Malatesti (+1399) sorella di Carlo di Rimini,
e marito di Paola Malatesti sorella di Galeazzo di Pesaro.

Elisabetta dopo il 1421 ha cura dell’educazione di Sigismondo e


Novello, lasciati a Rimini dal padre Pandolfo III che fa base a
Fano e diventa capitano generale della Chiesa (1422) e di
Firenze (1423), prima di morire a 57 anni il 4 ottobre 1427,
durante un pellegrinaggio a piedi da Rimini a Loreto. Invocava
un po’ di salute, dopo le fresche nozze (12 giugno) con una
fanciulla, Margherita Anna dei conti Guidi di Poppi. Defunto
Carlo di Rimini (14.9.1429), il ruolo di Elisabetta nella vita di
Sigismondo e Novello diventa ancor più fondamentale. Carlo nel
1428 li ha fatti legittimare da Martino V, assieme al loro
fratellastro Galeotto Roberto (1411-1432, nato da Allegra dei
Mori). Nello stesso 1428 Galeotto ha sposato Margherita d’Este,
figlia di Nicolò III signore di Ferrara. Il 19 dicembre 1429
scompare Malatesta I di Pesaro.

Elisabetta Gonzaga riversa su Galeotto Roberto, Sigismondo e


Novello i frutti di una formazione intellettuale e politica di
stampo umanistico, maturata nella famiglia d’origine e presso la
corte riminese.
Sa che la vita non è frutto del caso, ma dell’operare individuale,
secondo il pensiero di Leonardo Bruni: il perfezionamento delle
persone avviene «ex civili societate», sotto la guida della
filosofia.
Nella parte che tratta della politica e del bene comune, la
filosofia «è quasi uguale nei filosofi pagani e nei nostri», scriverà
Bruni a papa Eugenio IV. Bruni nel 1409 era giunto presso
Carlo Malatesti, quale segretario pontificio per incontrare papa
Gregorio ospite del signore di Rimini. Nel De studiis et litteris
(1422-25), Bruni progetta l’incontro fra la tradizione cristiana
e la filosofia greco-romana, offrendo un modello per la linea
seguìta da Sigismondo nell’ideare il suo tempio [1]. Nel 1436
Bruni dedica la propria Vita dell’Alighieri a Battista di
Montefeltro, moglie di Galeazzo di Pesaro.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 3/19


Di Antonia da Barignano possiamo ipotizzare una silenziosa
presenza accanto ai figli sino alla scomparsa di Elisabetta
Gonzaga (1432). Se tollerata ed accettata, oppure soltanto
ignorata, le cronache tacciono. Forse Elisabetta non volle
privare Sigismondo e Novello della vicinanza della madre, che
non considerava in contrasto con il proprio ruolo. Ad Antonia la
cura degli affetti più intimi, a lei quella degli affari pubblici. Non
un compromesso, ma un equilibrato progetto politico.

Alle due dame non dovettero far velo né gelosie né egoismi. Lo


scopo era eguale per entrambe, far grandi i due fanciulli
sbalestrati da Brescia a Rimini in quella corte che si offriva
quale «magistra vitae», con le disavventure presenti ed i
successi passati. In essa i due giovani eredi maturano tramite le
conversazioni con i dotti di passaggio, ed i libri letti e
commentati assieme ai famigliari. Con una naturalezza nata dal
desiderio di affinare gli intelletti alle prove future.

La prima delle quali viene nel 1430 dallo stesso Martino V che
dichiara devoluti alla Chiesa i territori di Carlo, offrendo però il
diritto di rivalsa. Il papa vuole alzare il prezzo della
concessione, vedere saldati i debiti e ridurre l’estensione del
vicariato.
L’11 marzo 1430 la controversia è chiusa con accordi
preliminari raggiunti anche grazie ad Elisabetta. L’investitura
dell’8 settembre riguarda soltanto Cesena, Fano e Rimini. La
somma da pagare alla Camera apostolica è prestata ai Malatesti
da Niccolò d’Este, suocero di Galeotto Roberto, e da banchieri
ebraici. Ai quali nel 1432 Galeotto Roberto non ricambierà il
favore ricevuto. Da Eugenio IV ottiene il permesso di introdurre
per gli israeliti il «segno» di distinzione, già obbligatorio dal
1215…

Nello stesso 1430 il vicariato di Pesaro è concesso a Pandolfo


(dal 1424 archiepiscopo di Patrasso, poi fuggito in Italia), ed ai
fratelli Galeazzo e Carlo. Nel giugno 1432, dopo la morte di
Martino V e la successione di Eugenio IV (1431), essi sono
cacciati da armati al soldo della Chiesa. La quale ha nel
frattempo manovrato per allontanare i Malatesti da Rimini,
Cesena e Fano, fomentando tumulti mascherati come azioni del
ramo pesarese (1431). Nel 1432, il 10 ottobre scompare
Galeotto. L’anno dopo Sigismondo tiene per sé Rimini e Fano, e
lascia Cesena a Novello.

Prima di diventare personaggi pubblici, Sigismondo e Novello


hanno compreso che il potere non è frutto soltanto di abilità
nell’esercizio delle armi e nella scelta delle alleanze politiche.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 4/19


Due progetti illustri come il tempio di Rimini e la biblioteca di
Cesena, possono nascere soltanto dalle suggestioni raccolte e
maturate nell’ambiente umanistico fiorito alla corte di Carlo. È
vero che nel 1397 a Mantova, quale capitano della lega
antiviscontea, Carlo aveva fatto rimuovere un’antica statua di
Virgilio, con un gesto ritenuto da Coluccio Salutati oltraggioso
verso la poesia, e da Pier Paolo Vergerio indegno d’un principe
che pretenda di amare gli studi e la storia. Ma è stato soltanto
un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, «credendo
un delitto che i cristiani venerassero un uomo non cristiano»,
come si legge nella biografia di Vittorino da Feltre scritta (1474
ca.) dal suo allievo mantovano Francesco Prendilacqua.

Dei legami esistenti fra i vari rami dei Malatesti e gli


intellettuali del tempo, restano poche tracce sopravvissute alle
fiamme che il 15 dicembre 1514 distruggono la loro biblioteca di
Pesaro, ed al saccheggio di quella riminese (testimoniata da un
inventario del 1560 con 273 codici).
La biblioteca malatestiana di Rimini non è quindi andata
dispersa per opera di Giulio II nel 1511, secondo la tesi
settecentesca di padre Francesco Antonio Righini. Stando
invece a Federico Sartoni (1730-1786), essa fu venduta dai
frati alla famiglia romana dei Cesi, la stessa di Angelo vescovo di
Rimini dal 1627 al 1646, e di Federico, fondatore
dell'Accademia dei Lincei nel 1603.

Anche della produzione libraria presso le corti malatestiane di


Fano (dove finirono i testi della libreria bresciana di Pandolfo
III), Pesaro e Rimini negli anni della formazione di Sigismondo e
Pandolfo, sono giunte scarse testimonianze.
Esse documentano l’interesse e la passione per la cultura che
ebbero i signori delle tre città. Non permettono di ricostruire
mappe con precisi riferimenti. Suggeriscono piste di cui non
conosciamo i singoli passaggi (li possiamo immaginare,
pensando ai contesti nazionali). Indicano una direzione di
marcia grazie alla quale la corte si affaccia al mondo della
filosofia e della letteratura. In esse si rilegge il passato per
scrivere il futuro.

La Malatestiana di Rimini, già ideata da Carlo, progettata nel


1430 da Galeotto Roberto «ad comunem usum pauperum et
aliorum studentium», e poi arricchita da Sigismondo, è la prima
biblioteca pubblica italiana. Rappresenta un progetto
culturale che anticipa quello di Novello che ad essa s’ispira.
Exemplum degli ideali umanistici, s’affianca alla magnificenza
del tempio di Rimini, ed alla «libraria» di Cesena che ancor oggi
risplende della sua grandezza originaria. La biblioteca riminese
è pure essa posta presso i francescani, nel cui convento i primi
lavori allo scopo sono del 1432.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 5/19


Essa nel 1455 possiede «plurima denique sacrorum
ethnicorumque librorum ac omium optimarum artium
volumina», donati da Sigismondo e procurati dai suoi uomini di
corte, fra cui Roberto Valturio (da cui è presa la citazione).
Sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi, tracce del
progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza di tutte
le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del
De rerum natura, da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene
Laerzio ed alle sue Vitae degli antichi filosofi.

Tra Novello (+1465) e Sigismondo (+1468) c’è un continuo


scambio di idee e di materiali, così come fra Rimini e Cesena. Nel
1446 Jacopo della Pergola completa a Rimini un’edizione della
Naturalis Historia di Plinio su ordinazione di Sigismondo che poi
la dona a Novello (Malatestiana, S. XI. I). Nel 1451 Francesco
da Figline prepara a Rimini un’altra edizione dello stesso testo
per Giovanni Di Marco che nel 1474 la lascerà con tutta la sua
biblioteca alla Malatestiana (S. XXIV. 5), dopo esser stato
medico personale di Novello. Francesco da Figline passerà
infine da Rimini a Cesena, come primo bibliotecario di quella
«libraria».
Antonio Montanari

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 6/19


Nota bibliografica
[1] Cfr. A. Montanari, Sigismondo, filosofo umanista, «La Signoria di
Sigismondo Pandolfo Malatesti, II. 2, La politica e le imprese militari»,
Ghigi, Rimini 2006, pp. 319-339.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 7/19


APPENDICE

Antonio Montanari

BIBLIOTECA MALATESTIANA DI SAN


FRANCESCO A RIMINI
Notizie e documenti

I. Cronologia.

1430.
Il progetto di costituire una biblioteca aperta al pubblico e utile
soprattutto agli studenti poveri, è testimoniato nel 1430 per
iniziativa di Galeotto Roberto Malatesti, che segue una
intenzione dello zio Carlo (morto l'anno prima).

1432.
Breve di Eugenio IV del 15 febbraio, relativo alla fabbrica del
convento di San Francesco (Turchini, Tempio, p. 82). Forse si
riferisce anche ai lavori necessari per realizzare la biblioteca
voluta da Galeotto Roberto Malatesti.

1455.
Entro questo anno Roberto Valturio completa il suo De re
militari, dove leggiamo dei «moltissimi volumi di libri sacri e
profani, e di tutte le migliori discipline» donati alla biblioteca del
convento di San Francesco. «Sono testi latini, greci, ebraici,

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 8/19


caldei ed arabi che restano quali tracce del progetto di
Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all’ascolto di
tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio
del De rerum natura, da Seneca a sant’Agostino, sino a Diogene
Laerzio ed alle sue Vitae degli antichi filosofi» (cfr. il mio
Sigismondo filosofo).
Dunque nel 1455 la biblioteca del convento di San Francesco
esisteva già. (Cfr. infra, sub 1475, per il testamento di Valturio
a favore della stessa biblioteca.) Nel prologo del De re militari (I,
1), Valturio ricorda che a lui ed a molti altri era stato affidato da
Sigismondo l’incarico di procurargli i testi per le nuove
biblioteche che il signore della città voleva realizzare.

1475.
Testamento di Roberto Valturio che lascia la propria biblioteca
alla «liberaria» (libreria) del convento dei frati di San Francesco
di Rimini «ad usum studentium et aliorum fratrum et hominum
civitatis Arimini», con la clausola che i frati facciano edificare
«unan aliam liberariam in solario desuper actam ad dictum
usum liberarie».

Dal documento (pubblicato per la prima volta da ANGELO


BATTAGLINI nel 1794 in Della corte letteraria di Sigismondo
Pandolfo Malatesta), ricaviamo:
1. Nel 1475 esiste già una «liberaria» del convento di San
Francesco.
2. Questa «liberaria» è posta al piano terreno.
3. Essa «liberaria» (scrive A. Battaglini) era già diventata
copiosa a spese di Sigismondo, ma giaceva «in piano a terra
pregiudicevole a materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit., p. 168).
Il trasporto al piano superiore avviene nel 1490 (v. sotto ad
annum).
Conclude Battaglini che Rimini «dovette dunque non meno a
Sigismondo suo Principe, che al suo cittadino Roberto Valtùri
[Valturio] l’acquisto fatto d’una pubblica Biblioteca» (Battaglini,
op. cit., p. 170).

Sigismondo, come ricorda per primo Valturio, dona alla


biblioteca monastica francescana, progettata dallo zio Carlo
Malatesti, «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le
migliori discipline» [cfr. R. VALTURIO, De re militari, XII, 13].
Il De re militari (come abbiamo già visto) fu concluso da
Valturio nel 1455. Quindi il patrimonio librario donato da
Sigismondo alla biblioteca francescana è anteriore allo stesso
anno 1455.

1490.
L’iscrizione del 1490 (e non 1420 come in un primo tempo era
stata letta), ricorda il trasferimento della biblioteca

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 9/19


francescana al piano superiore del convento da quello a terra,
«pregiudicievole a materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit., p. 169).
Questa iscrizione è tuttora conservata nel Museo della Città di
Rimini.
Di questa iscrizione non è stata mai fornita sinora la corretta
trascrizione. Infatti si è letto come «sum» quanto va trascritto
come «summa».

Il testo latino è questo: «Principe Pandulpho. Malatestae


sanguine cretus, dum Galaotus erat spes patriaeque pater. Divi
eloqui interpres, Baiote Ioannes, summa tua cura sita hoc
biblioteca loco. 1490».
Ecco la traduzione: «Sotto il principato di Pandolfo. Mentre
Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre
della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la
biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490».

Personaggi citati nell’epigrafe.


Pandolfo IV, 1475-1534, è figlio di Roberto Novello (1442-
1482), a sua volta figlio di Sigismondo (1417-68).
Roberto è morto combattendo al servizio della Chiesa. Con lui
era Raimondo Malatesti (figlio di Almerico Malatesta e di
Amabilia Castracani) che reca a Rimini la notizia della morte
del signore della città.
Galeotto [Galeotto II Lodovico], figlio di Almerico Malatesta (e
quindi fratello di Raimondo), è tutore di Pandolfo e governatore
di Rimini.
Giovanni Baiotti da Lugo, frate francescano, è teologo e
guardiano del convento di San Francesco.

Raimondo Malatesti il 6 marzo 1492 è ucciso dai nipoti


Pandolfo e Gaspare, figli del fratello Galeotto II Lodovico
ricordato nella lapide.
Il delitto è considerato da Clementini all'origine di tutti i mali
che affliggono successivamente Rimini, ovvero «il precipizio de'
cittadini e l'esterminio de signori» Malatesti e della loro casa.
Il 31 luglio 1492 Pandolfo e Gaspare, gli uccisori dello zio
Raimondo, sono utilizzati dal padre Galeotto II Lodovico per una
congiura contro lo stesso Pandolfo IV e la sua famiglia.
A mandarla all'aria evitando una strage, ci pensa Violante
Aldobrandini, seconda moglie dello stesso Galeotto Lodovico e
sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV.
In casa di Elisabetta era stato ucciso Raimondo Malatesti quasi
cinque mesi prima (il 6 marzo 1492).
Nella stessa abitazione di Elisabetta è ammazzato Galeotto
Lodovico, mentre suo figlio Pandolfo è tolto di mezzo in casa del
signore di Rimini Pandolfo IV. Gaspare invece è arrestato,
processato sommariamente e decapitato.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 10/19


Due mesi e mezzo dopo la congiura fallita e la morte dei suoi
ideatori, Violante convola a nuove nozze. Violante era la
matrigna di Gaspare e Pandolfo, figli della prima moglie di
Galeotto Lodovico, Raffaella da Barbiano.
Pandolfo di Galeotto Lodovico a sua volta ebbe quattro figli
(Carlo, Malatesta, Raffaella, Laura) perdonati da Pandolfo IV a
testimonianza della sua volontà di pacificazione all'interno della
famiglia e della città.
Dal 1492 per circa un secolo, gli omicidi politici che abbiamo
registrato, continueranno «a far calare sangue», come
acutamente osserva Rosita Copioli.

1560.
La biblioteca era costituita da due file di plutei di venti elementi
ciascuna. “Circa” centocinquanta opere sono nella prima fila,
“circa” centoventitre nella seconda. Ovvero “circa” 273 opere in
tutto.

Questi dati risultano da un inventario del 1560 (p. 346)


conservato a Perugia e pubblicato nel 1901 da Giuseppe
Mazzatinti in un saggio intitolato La biblioteca di San Francesco
(Tempio malatestiano) di Rimini, contenuto nel volume «Scritti
vari di Filologia» apparso a Roma presso Forzani, Tipografi del
Senato, pp. 345-352.
Il saggio di Mazzatinti è datato «Forlì, agosto 1901».

1511.
Ricordandoci attentamente di questo inventario del 1560,
prendiamo in considerazione una notizia relativa al 1511, e
contenuta in un testo ms. di padre Francesco Antonio Righini
(SC-MS 372, "Miscellanea Scriptorum...", c. 284r, Biblioteca
Gambalunga di Rimini).
Righini scrive: dai libri conventuali di San Francesco risulta
che la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente
Pontefice».
Righini precisa l'anno (appunto il 1511), citando un testo di
Paride Grassi relativo al soggiorno riminese presso i
francescani del papa stesso, Giulio II.
(Il testo di Grassi, cerimoniere pontificio, è stato pubblicato nel
1886, Le due spedizioni militari di Giulio II, in «Documenti e
Studi» della Deputazione di Storia Patria per le province di
Romagna, I).
Il passo di Righini forse allude ad un trasferimento parziale
della biblioteca francescana, dato appunto che nel 1560 la essa
era costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna per
un totale di “circa” 273 opere.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 11/19


Padre Righini è passato alla storia con la fama di falsario per
una storia legata alla beata Chiara da Rimini. Inventò la
scoperta d'un manoscritto datato 1362. I raggi ultravioletti
hanno consentito di leggervi una data raschiata («14 agosto
1685») che svela il suo trucco.
Nel 1514 è distrutta la biblioteca malatestiana di Pesaro.
Risulta dispersa anche quella di Brescia L’unica che resta è
quindi quella di Cesena (v. infra).

XVII secolo.
Nel Sito riminese di Raffaele Adimari, che esce a Brescia nel
1616, si legge (I, p. 72) che presso il convento francescano dei
Conventuali esisteva una «sontuosa, et buona libreria».
All’inizio del secolo XVII, precisa Antonio Bianchi (Storia di
Rimino dalle origini al 1832, Rimini 1997, a cura di Antonio
Montanari, p. 146), «della preziosa libreria, che i Malatesti, per
conservarla ad utile pubblico, avevano dato in custodia ai frati
di San Francesco», restano soltanto quattrocento volumi per la
maggior parte manoscritti.

Questo «rimasuglio» di quattrocento volumi (in realtà molto


meno, “circa” 273, visto l’inventario del 1560), va perduto
secondo monsignor Giacomo Villani (1605-1690), perché
quelle carte preziose finiscono in mano ai salumai («deinde in
manus salsamentariorum mea aetate pervenisse satis constat»).

Federico Sartoni (1730-1786), come riferisce Luigi Tonini


(Rimini dopo il Mille, p. 94), sostiene invece che i frati
vendettero la libreria alla famiglia romana dei Cesi, alla
quale appartengono i fratelli Angelo (vescovo di Rimini dal
1627 al 1646) e Federico, fondatore dell'Accademia dei Lincei
nel 1603.
Il manoscritto di Sartoni è in BGR, Sc-Ms.1136: SARTONI,
FEDERICO COSIMO, Copia di uno zibaldone mss. che era in Casa
Sartoni ed ora posseduto dal N. U. Signor Domenico Mattioli,
contenente memorie ed avvertimenti per la storia di Rimini...
Sta in: TONINI, LUIGI: [Cronache riminesi...] (cc. 222-97). La
parte che qui interessa è alle cc. 49-50.

XVIII secolo.
Il convento di San Francesco è ristrutturato ampiamente, come
documenta il ms. AB 51, relativo alle spese fatte «per la Fabrica
del Convento (1762-1764)», conservato in Archivio di Stato di
Rimini, Fondo Congregazioni soppresse.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 12/19


II. CONCLUSIONI.

1. Francesco Gaetano Battaglini nelle sue Memorie sulla storia


riminese (1789, p. 281) scrive che nel 1490 avvenne il
trasporto della «celebre» biblioteca francescana «a più
conveniente luogo», secondo le disposizioni di Valturio.
In precedenza, aggiungeva Battaglini, la biblioteca francescana
era stata «arricchita di codici da Sigismondo, ed accresciuta
dalla suppellettile libraria» dello stesso Valturio. (Questo passo è
riprodotto da Luigi Tonini nella Storia di Rimini, III, p. 321.)

2. L’archivio comunale e la biblioteca.


Già dall’età comunale, «apud locum fratrum minorum» (cioè
nello stesso convento francescano) si trovava l’archivio
comunale (F. G. Battaglini, p. 44). Questo luogo dell’archivio è
definito a metà del XV sec. come «sacristia Communis Arimini in
Conventu Sancti Francisci» (F. G. Battaglini, ibid.)

La presenza del pubblico archivio nella sede conventuale,


documenta un particolare ed antico rapporto fra
l’amministrazione cittadina ed i padri della chiesa di San
Francesco, ben anteriore alla nascita di quella «celebre»
biblioteca che, anche secondo Battaglini, essendo stata
arricchita da Si gismondo, esiste quindi quando questi governa
Rimini: dal 1430 assieme ai fratelli Galeotto Roberto (che
scompare il 10 ottobre 1432) e Domenico Malatesta Novello; e
dal 1433 da solo (mentre Novello diviene signore di Cesena).

Circa l’archivio, da altra fonte (una cronaca del 1532 firmata da


padre Alessandro da Rimini e pubblicata nel secolo scorso
[1915-16, 1921] da padre Gregorio Giovanardi), ricaviamo:

a) al tempo di papa Paolo II (1464-71) va a fuoco la sagrestia


della chiesa di san Francesco con perdita di mss. «antichissimi
ed importantissimi» (si ricordi quanto riportato in F. G.
Battaglini circa «sacristia Communis Arimini in Conventu
Sancti Francisci»;

b) il resto dell’archivio, verso il 1528, è dichiarato a Roma da


papa Clemente VII (1523-34).

In un testo del 1616, il Sito riminese di Raffaele Adimari (II,


pp. 59-60) leggiamo: nel 1528, dopo la cacciata dell’ultimo
Malatesti il 17 giugno con il conseguente passaggio definitivo
alla Santa Sede, l’archivio e la cancelleria della città (posti in
San Francesco) subirono un assalto.

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 13/19


Con lo stesso furore con cui aveva cercato di danneggiare il
Tempio (difeso dalla nobiltà), «la plebe, che sempre desidera
cose nuove» asporta «dall’archivio, e Cancellarie, libri, e
scritture» bruciati sulla piazza della fontana. Una gran parte di
quei documenti fu però salvata «dal furore plebeo» e posta «in
due stancie del Monastero di San Francesco, sotto buone
chiavi».

La vicenda ha un’appendice: «andando la cosa alla longa, alcuni


Frati ansiosi di vedere, che cosa fosse là dentro, scopersero il
tetto per entrar dentro dette stancie, e tolsero molte delle dette
scritture, le quali furono conosciute per la Città: al fin poi
quando se determinò di liberar dette stancie, poco n’erano
rimase, le quali restorono in poter delli detti Rev. Padri di quel
tempo, alla venuta poi della F. M. di Papa Clemente Ottavo,
havendone notitia non sò come le fece levare impiendone due
sacchi e mandolle a Roma […] Et perciò la nostra Città, per tal
causa fù priva di molte scritture importanti, e honorate […]».

Adimari parla di Clemente VIII (1592-1605) e non di Clemente


VII (1523-34) come padre Giovanardi che si rifà alla cronaca
del 1532.
Clemente VIII passò per Rimini nel 1598 (Tonini, VI, 1, p. 382).
Cioè settant’anni esatti dopo l’assalto popolare all’archivio di cui
parla Adimari.

3. Augusto Campana [1931] nel celebre studio sulle biblioteche


italiane, scrive al proposito della presenza dei padri francescani
nella biblioteca malatestiana: «È possibile, ma è prudente darlo
solo come possibile, “che questa libreria – per servirmi delle
parole del Massèra – fosse affidata ai frati di San Francesco”».
Prosegue Campana: «Ad ogni modo presso di quelli, verso la
metà del quattrocento, dovette stabilirsi una notevole
raccolta di libri», poi arricchita da Sigismondo (v. sopra).

Quindi Campana non mette in dubbio l’esistenza di una


pubblica biblioteca malatestiana «ad communem usum
pauperum et aliorum studentium», ma segnala che è prudente
(seguendo Massèra) considerare possibile una sua gestione da
parte dei frati.

Il che però contrasta fortemente con il testamento di Valturio


del 1475 che si rivolge direttamente a quei frati. Se non
l’avessero gestita loro, Valturio non avrebbe scritto quanto
leggiamo nelle sue volontà (in ben tre stesure), dove sempre si
parla della «libreria del convento dei frati di San Francesco».

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 14/19


Le carte d’archivio parlano chiaramente, e fanno decadere
l’osservazione di Massèra e la conseguente cautela di Campana.

4. Massèra. Riporto il testo integrale di Massèra dal saggio


sulla Gambalunga contenuto in «Accademie e Biblioteche
d’Italia», 1928, VI, p. 27: «È probabile che questa libreria fosse
affidata ai frati di San Francesco, il cui convento era attiguo alla
chiesa» poi divenuta il Tempio malatestiano. «Appunto fu
Sigismondo ad arricchire la biblioteca dei Conventuali di
moltissimi volumi», come attesta Valturio etc.

Poi Massèra scrive che la lapide «tuttora esistente» attesta «che


la sistemazione desiderata ebbe luogo o termine», essendo
guardiano Giovanni Baiotti da Lugo.
A p. 29 Massèra incolpa i Conventuali riminesi d’aver lasciato
«disperdere le ricchezze raccolte».
I frati vendettero liberamente la libreria alla famiglia romana
dei Cesi, come pare sostenere Sartoni?
Forse essi furono costretti non dico dal vescovo romano, ma
dalle loro misere condizioni (che risultano da molti documenti
conservati in Archivio di Stato di Rimini).
Certo è che Massèra non conosceva la notizia di Righini del
1511 (la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente
Pontefice»).

5. Prima di Cesena. Se la biblioteca Gambalunga (1619) è la


terza in Italia ad essere pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano
(1609) e l'Angelica di Roma (1614), a quella riminese di
Francescani e Malatesti del XV secolo spetterebbe il merito di
essere stata la prima in assoluto ad essere pubblica, partendo
dal documento del 1430. E di essere sorta anteriormente a
quella di Cesena che infatti, si apre soltanto nel 1452 (v. sotto,
la scheda «TRA RIMINI E CESENA»).
La Gambalunga, va aggiunto, è la prima in Italia ad essere
«civica» (cioè del Comune).

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 15/19


TRA RIMINI E CESENA

I rapporti intercorsi tra Rimini e Cesena a metà Quattrocento,


sono documentabili attraverso due edizioni della Naturalis
Historia di Plinio.

1. Il Plinio di Jacopo della Pergola (1446)


La prima, completata da Jacopo della Pergola a Rimini l’11
ottobre 1446, è stata voluta (secondo Raimondo Zazzeri, 1887)
da Sigismondo Pandolfo Malatesti. Il quale poi la donò al
fratello Malatesta Novello che la fece inserire nella biblioteca
cesenate (S. XI. I).

Questa notizia di Zazzeri è stata smentita da Enza Savino (I


due Plinii Naturalis historia della Malatestiana, in Libraria
Domini. I manoscritti della Biblioteca Malatestiana: testi e
decorazioni, a cura di a cura di Fabrizio Lollini e Piero Lucchi,
Bologna, Grafis, 1995, pp. 103-114), soltanto in base al «fatto
che Sigismondo Pandolfo, secondo l’immagine consegnata dalla
storiografia locale, non coltivò interessi da bibliofilo né tanto
meno da bibliografo con la stessa costanza e passione del
fratello».

L’immagine che Enza Savino riprende di Sigismondo «dalla


storiografia locale», è tutto all’opposto della realtà. Abbiamo già
visto che Sigismondo, come scrisse Valturio ante 1455, dona
alla biblioteca francescana «moltissimi volumi di libri sacri e
profani, e di tutte le migliori discipline». (Sono quei testi latini,
greci, ebraici, caldei ed arabi ai quali abbiamo già accennato: cfr.
il mio cit. Sigismondo filosofo umanista).

Non interessa stabilire, cosa del resto difficile se non


impossibile, se veramente il ms. S. XI. I sia stato ordinato ad
Jacopo della Pergola da Sigismondo. Il dato certo è che esso è
stato lavorato a Rimini e che esso poi è finito a Cesena.
Augusto Campana [1932] ricorda che Jacopo lavorò sia a
Rimini sia a Fano. Il che gli suggerisce questa importante
conclusione: è possibile supporre che i copisti «fossero
scambiati, al bisogno, tra il Signore di Cesena e quello di
Rimini».

Sulla stessa linea della Savino si pongono alcune parti degli


studi di Donatella Frioli: cfr. ad esempio il suo Cultura e
scrittura, in «Medioevo fantastico e cortese». Qui di positivo c’è
l’affermazione di una produzione locale «vistosamente
proiettata all’esterno», cioè al di fuori del «ristretto ambito
locale».

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 16/19


Ma di negativo troviamo una conclusione terribilmente
inconsistente della «cifra umanistica» usata da Sigismondo come
«strumento di autoaffermazione».
In altro lavoro, l’autrice afferma che Sigismondo fu «tanto
interessato ad arricchire e ‘dotare’ la libraria francescana
quanto noncurante per il prestigio della propria raccolta».
Questo «noncurante» nasce dal fatto che non si è compreso un
dato basilare della figura di Sigismondo, il quale proietta tutto
se stesso nel Tempio (da un canto) e nei testi donati alla
biblioteca francescana (dall’altro). È in essa che lascia il suo
segno intellettuale. Non ha nessun senso paragonare
l’inventario della biblioteca monastica con quella privata del
castello.

2. Il Plinio di Francesco da Figline (1451)


L’altra Naturalis Historia cesenate (S. XXIV. 5), è opera di
Francesco da Figline commissionatagli dal medico riminese
Giovanni di Marco («Scriptus et completus per me fratrem
Franciscum de Fighino ordinis minorum pro egregio ac
prestantissimo artium et medicine doctore Iohanne Marci de
Arimino 1451 die 10 maii»).
Fu lasciata in testamento alla biblioteca cesenate nel 1474 dallo
stesso Giovanni di Marco, in precedenza medico personale di
Malatesta Novello.
Nel 1451 la Malatestiana cesenate non era ancora completata.
Lo sarà l’anno successivo («la biblioteca fu compiuta nel 1452:
«MCCCCLII / Matheus Nutius fanensi ex urbe creatus, / Dedalus
alter, opus tantum deduxit ad unguem», cfr. Campana).
Quindi Francesco da Figline non era ancora nella città di
Novello che poi lo nomina primo bibliotecario della
Malatestiana. Ma era ancora a Rimini. Dove lavora (anche) per
Giovanni di Marco il quale come medico era attivo sia a Rimini
sia a Cesena.

Su Francesco da Figline, cfr. P. G. FABBRI, La società cesenate


nell’età di Malatesta Novello Malatesti, Cesena 2000, p. 107:
«Malatesta Novello nominò Francesco da Figline suo personale
cappellano e si può perfino credere che l’avesse fatto venire
appositamente presso il convento cesenate, perché informato
delle sue doti di studioso e di copista».
Francesco da Figline è uno di quegli «uomini» di cui Fabbri parla
anche nelle pp. precedenti, e di cui dice (immediatamente prima
della cit. riportata), che essi «venivano dai luoghi malatestiani
della Romagna, delle Marche e dalla Toscana, dove i Malatesti
erano soliti reclutare i propri ufficiali» (p. 107).
Dunque se è possibile «perfino credere che l’avesse fatto venire
appositamente presso il convento cesenate», dev’essere
altrettanto possibile «perfino credere» che Francesco da Figline

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 17/19


provenisse da quella Rimini dove abitava Giovanni di Marco che
commissiona al frate il Plinio del 1451.
Anzi potrebbe esser stato lo stesso medico Giovanni di Marco a
metter in contatto Francesco da Figline con Malatesta Novello
direttamente o attraverso Sigismondo.

I due manoscritti di Plinio documentano dunque un’intesa


attività ‘libraria’ riminese dopo il 1430 e prima del 1452
(apertura della biblioteca di Cesena).
Questa attività è facilmente collegabile alla esistenza della
biblioteca dei Malatesti presso il convento di San Francesco di
Rimini.
Per quel lasso di tempo i documenti si trovano, se non ci si
dimentica di interpretare correttamente quelli che esistono già,
come appunto i lavori ‘riminesi’ di Jacopo della Pergola (1446)
e di Francesco da Figline (1451).

Antonio Montanari

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 18/19


Crediti fotografici

L’immagine di copertina proviene dall’Istituzione Biblioteca


Malatestiana di Cesena, ed è tratta dal volume Il dono di
Malatesta Novello.

La foto del convento di San Francesco a fianco del tempio voluto


da Sigismondo Pandolfo Malatesti, è tratta da “L’Arengo”,
organo del Comune di Rimini che il 21.2.2007 ha riprodotto una
nota di Antonio Montanari, come documenta l’immagine
pubblicata qui sotto.

Rimini, 13.04.2009
© by Antonio Montanari, 2009

Antonio Montanari, Novello Malatesti, pagina 19/19

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