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Palestinesi in Libano
Viaggio nei campi profughi
Nakba, catastrofe. Con questa parola che è un inciampo per le corde vocali nella loro come nella
nostra lingua, i Palestinesi indicano la loro tragedia iniziata nel 1948. Da allora il popolo
palestinese disperso vive una diaspora ancora senza speranza nei campi profughi o una
tormentata cattività nella striscia di Gaza e nella West Bank. O, ancora, una condizione di sotto-
citadinanza nello stato d’Israele dove, da marzo 2011, perfino il termine Nakb, per volontà del
Ministero dell'Istruzione dovrà sparire dai libri di testo degli studenti arabo-israeliani.

Catastrofe nella catastrofe quella dei profughi nei campi del Libano, paese che non consente loro
richiesta di cittadinanza di fatto negando l’esercizio dei più elementari diritti personali e sociali.
In questi campi profughi libanesi la condizione dei bambini è drammatica e solo le Ong
approvate dal Governo libanese possono dare loro momenti di cura, istruzione, gioco. Tutto ciò
grazie al sostegno di altre Ong internazionali.

Ho avuto la possibilità di partecipare, dal 3 al 12 dicembre 2010, ad un viaggio di conoscenza e


solidarietà con i Palestinesi in Libano organizzato da Un Ponte per…
http://www.unponteper.it/sostienici/pub_petizione1.php?min=50

L’idea di tenere un diario del viaggio è stata intuizione di M. B. che, con cortese e provvidenziale
insistenza, mi ha indotto a superare iniziali ferme ritrosie.

Senza alcuna pretesa giornalistica, anche se scherzosamente mi sono atteggiata a reporter , ho


inviato quotidiani resoconti sugli eventi , le scoperte, le mie impressioni che tempestivamente
pubblicate nel suo blog http://bortocal.wordpress.com/2010/12/01/verso-il-libano-zona-
sismica/ sono diventate il dialogo riassunto in questo documento.
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il suo viaggio, 1. verso il Libano, zona sismica.


1 dicembre 2010

 
M. Venerdì mattina parto per un paese che il sito della Farnesina descrive iniziando con bande
armate fuori controllo e casi di rapimento. Procede con l’invito a non fotografare per il rischio
d’inquadrare edifici vietati – e l’arresto non ha limiti di tempo – e il consiglio di stare alla larga
dai campi palestinesi, terminando con un serafico “Il Libano è zona sismica”
Sembra scritto per spaventarmi, ma non gli do soddisfazione.

M.B. Spero che tu riesca - se non a mandarmi qualche mail da laggiù , non so immaginare come
possano essere le condizioni reali - almeno ad annotare le tue esperienze e poi a mandarmele
al rientro.

M. In via teorica potrei avere internet comodo perché faremo base a Beirut in albergo,
peregrinando ogni giorno fra i campi palestinesi, talvolta nei siti archeologici, ma potrebbe
non essere possibile.
Intanto, chiedo al tuo terzo occhio: partirò ?
Gli umori laggiù si stanno agitando in attesa della sentenza del Tribunale Internazionale,
sull’assassinio del presidente Rafiq Hariri nel 2005, prevista per il giorno 10; vedrò in diretta
le reazioni popolari e di quale genere si saprà solo il giorno stesso.
Stamattina jet da guerra israeliani hanno sorvolato Baalbeck e non per lanciare volantini
pubblicitari: un avviso.
Ma tu che ne dici: potremo arrivare a Fiumicino in tempo per l’imbarco dovendo passare per
due stazioni ferroviarie che potrebbero essere bloccate dai nostri manifestanti? Inshalla.

M.B. Viaggiare che cos’altro è se non accettare di galleggiare sugli eventi senza saperne in
anticipo l’esito?
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Chi parte non ha sempre messo nel conto di non poter tornare? Come mi disse una volta con
un sorriso la mia prima figlia: “Papà , guarda che noi sappiamo già che una volta o l’altra non
ritorni!”

M. No no, tu sei uno che torna! Al massimo perdi l’aereo perché troppo occupato a scrivere o a
fotografare!
Ma non hai risposto: partirò ? Forse non c’è altro da fare che galleggiare… wait and see: se
scrivo qualcosa… se riesco a mandarlo da là … se te lo mando al ritorno…. se parto….se torno…
Mi farò viva per dirti della partenza e intanto placo l’ansia ripassando mentalmente versi
immortali:
Fontana che irrora i giardini,/
pozzo d’acque vive/
e ruscelli sgorganti dal Libano.
Non è un quiz, ma al volo sai dire da dove vengono?

M.B. Certo che lo so: è il Cantico dei Cantici.


Quello di cui Voltaire diceva nel Dizionario Filosofico: dicono che l’amata è la Chiesa e che è
tutta un’allegoria, ma allora che cosa vuol dire “la mia sorellina è ancora piccola e…” … ops,
credo di non potere continuare qui.

M. Voltaire. Ecco ancora non l’avevi nominato, in risposta a me almeno. Il Cantico è un


documento meraviglioso, si presta a molte letture ma non a quella che lui giustamente critica.
L’aspetto intrigante è che lo sposo e la sposa non si incontrano mai! Ma sembra che nessuno
noti questo raffinatissimo messaggio.
Tu però non portarmi fuori strada con queste suggestioni, mi hai dato un compito no?
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Il suo viaggio, 2. neve sulla partenza per il Libano.


2 dicembre 2010

Mai trovata romantica la neve in città , tranne forse la notte con il traffico addormentato, ma
questa mattina è perfino minacciosa, dovesse persistere. Incombe sulla partenza, meno di 48
ore, come complicazione aggiuntiva.
I quotidiani libanesi online, non danno nuove notizie, si galleggia, ma capto qualcosa da
http://www.crisisgroup.org/en/regions/middle-east-north-africa/iraq-syria-
lebanon/lebanon/B29-new-crisis-old-demons-in-lebanon-the-forgotten-lessons-of-bab-
tebbaneh-jabal-mohsen.aspx
Il clima interno del Libano sfugge agli schemi dei nostri media, che per quel paese non fanno
che ribadire i conflitti sempre possibili con Israele, o fra maroniti e islamici, le piroette del
governo per alleviare la pressione siriana.
Quoto da quell’articolo:
“… in Libano, le ferite sono ancora da guarire.
I ricordi sono freschi, le identità sono definite soprattutto dalla vittimizzazione, le sofferenze di
ieri, continue minacce e prospettive di vendetta: il presente è visto attraverso il prisma del
passato e le parti condividono un intenso senso di vulnerabilità.”
Questo interessa a me! Come vivono le singole persone il rapporto con quelli – molto prossimi
– che poco prima erano nemici giurati.
Deporre l’idea del nemico, anche quando si ha davanti agli occhi il suo viso! Che sfida.
E non è forse lo stesso che per l’Algeria, di cui parlavamo nell’altro post, quello su Tahar
Djaout? 
http://bortocal.wordpress.com/2010/11/29/416-vincenzo-cottinelli-a-proposito-dellultima-
estate-della-ragione/ A domani….
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il suo viaggio, 3. non pensare ai Maroniti.


2 dicembre 2010, 07:35

M.B. Mica è poco entrare in un resoconto di viaggio e trovarsi di fronte, in apertura, alla
saggezza mite e meravigliosa di Francesco, di Jeshu o di Buddha.
A volte mi chiedo però se questa perfezione morale non sia troppo lontana dalla natura
umana, se l’aspirazione a trascendere il conflitto da un punto di vista superiore non finisca col
togliere dalla mischia le persone migliori, che invece potrebbero battersi in vista di un qualche
risultato.
Semplicemente per regolarlo, il conflitto, per ricondurlo entro termini accettabili, per
impedirgli di realizzarsi attraverso la sanguinosa violenza che deturpa quelle regioni e gli
uomini che ci devono vivere, o che hanno scelto di viverci.
In questo caso più che dimenticarsi del filtro del passato, occorrerebbe riappropriarsi del
passato da punti di vista nuovi, reinterpretarlo, per farlo uno strumento di mediazione,
anziché di contrasto sanguinoso.
Non che creda plausibile in Medio Oriente e in Libano neppure questa prospettiva, però mi
piacerebbe sapere che cosa ne pensi tu, ma non tu come espressione di un punto di vista
personale, tu come osservatrice della situazione.
Così magari ci ricordi anche chi sono i maroniti, in che forme si attua la pressione siriana,
come è il governo attuale del Libano.
buona fortuna, e non pensare neppure troppo a queste domande!

2 dicembre 2010 , 09:56:


M. Ah ah… spiritoso! Non dovrei pensare troppo a queste domande! Ecco l’effetto George
Lakof: “cosa pensi se ti dico: non pensare all’elefante?”
Ma ti rendi conto? Realizzo inshalla un sogno lungo quasi sei anni. Grande arte l’attesa,
direbbe Penelope! Maroniti, dire chi sono mentre dalla radio arriva la musica dei Bee Gees…
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memorie di crudeltà ed emozioni di dolcezza insieme. Forse sarà lo stesso quando nella
desolata Beddawi abbraccerò H. la mia “figliola a distanza” palestinese.
Seriamente: l’identità libanese prima che politica è religiosa, quasi venti forme diverse,
“partiti di Dio” fomentati da interessi poco spirituali dei paesi vicini.
I maroniti sono cristiani, quindi invisi ai paesi islamici? Dipende dal caso.
Nel 1975 nel comune interesse di decimare i feddayn di Arafat, falangi maronite e Siria si sono
infischiati del “loro dio” e insieme hanno reso Beirut un inferno.
Invisi a Israele? Nel 1982 a Sabra e Chatila le falangi in due o tre giorni creano un lago col
sangue di 3000 palestinesi. Intanto gli invasori israeliani comandati da Ariel Sharon fingevano
di guardare da un’altra parte.
(Le religioni non sono né oppio né cocaina!!! Vengono ridotte a grembiulino per le canaglie
dedite a lavori sporchi. Siamo in disaccordo, lo so…)
Non riesco a tenere a mente la storia moderna del paese dei Fenici e della sposa del Cantico
dei cantici, ogni tanto mi rinfresco la memoria qui

http://www.unponteper.it/chatila/pagina.php?op=include&doc=schedapaese

Oh amabile e detestabile internet… ULTIMISSIME: In questo istante arrivata mail con oggetto:
Appuntamento domani all’aeroporto.
Si parte, Bortocal, si parte !!! presto presto devo sistemare le ultime cose.

2 dicembre 2010, 15:15


M Questa mattina – a 10 minuti di distanza, news dal Libano.
Prima, online: si è fatta vivo quel terrorista che non voglio nemmeno nominare, con un
sostegno istigante agli Hezbollah, l’organizzazione sciita un po’ esercito e un po’ caritas, che è
nemico reciprocamente giurato di Israele…
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E poi una mail dal nostro contatto a Beirut con chiamata all’aeroporto di Fiumicino,
traboccante d’entusiasmo quanto me. Allora quasi alla partenza, la nostra intesa resta
galleggiare sugli eventi: riporterò quello che vedrò ogni volta che sarà possibile.
Il massimo di incertezza sarà al 10 (*), quando il Tribunale internazionale si pronuncerà .

Dovesse sancire che gli Hezbollah erano coinvolti nell’assassinio di Hariri, sarà rivolta. E’ già
annunciata. E tu, caro Caporedattore, dovrai allestire una spedizione di soccorso, avendo
trasformato una dama-di-san-vincenzo nella tua reporter sul campo.
Stay tuned…

2 dicembre 2010 at 18:45


M.B. sintonizzatissimo sono!

(*) la sentenza sull’omicidio Hariri non venne emessa nel giorno stabilito, ma varie settimane
dopo e portò alla caduta del Governo.
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il suo viaggio, 4. Tribunali internazionali.


3 dicembre 2010

M.B. Intanto che fai e disfai valigie (non so perché, ma immagino che tu, dopo averci messo
dentro qualcosa, riesamini il tutto e tolga qualcos’altro, ributtando per aria tutto), io provo ad
approfondire il ruolo di Sharon a Sabra e Chatila: davvero non fece altro che guardare
dall’altra parte, come delle truppe qualunque dell’Onu nell’ex Jugoslavia?
Ricordo che si parlava di incriminare Sharon per questi massacri, ma un ripasso rimette a
punto anche i miei ricordi.
Scusa se adesso mi dilungo:
All’inizio del giugno 1982 gli israeliani iniziarono l’assedio di Beirut e accerchiarono i 15.000
combattenti dell’OLP e dei suoi alleati nella città .
intervengono gli americani e fanno firmare una tregua alle parti, garantita da un contingente
internazionale di soldati americani, francesi e italiani: i palestinesi, guidati da Arafat, hanno
tempo fino al 21 settembre per far evacuare la città dai combattenti, e Arafat ritira 15.000
guerriglieri, lasciando solamente i profughi nei campi.
A questo punto gli israeliani circondano i campi, e le truppe internazionali si ritirano entro il
10 settembre, con 11 giorni di anticipo, notare come da questo momento in poi gli
avvenimenti incominciano ad incastrarsi come secondo una sceneggiatura perfetta, tanto che
non si riesce in nessun caso ad ammettere che una concatenazione così riuscita possa essere il
semplice frutto del caso.
Passano solo 4 giorni e il 14 settembre il presidente appena eletto del Libano, Gemayel,
maronita e filoisraeliano, viene ucciso in un attentato, così puntuale da risultare quasi
paranormale, e gli attentatori sarebbero siriani; il giorno dopo, 15, gli israeliani occupano
Beirut “per proteggere i profughi palestinesi”, ma basta che passi ancora un dì
dall’occupazione israeliana e le milizie speciali maronite, eccitate dal fatto, iniziano il
massacro dei profughi palestinesi; e siamo al 16.
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il massacro, guidato da Elie Hobeika, dura tre giorni, fino al 18, e gli israeliani che circondano i
campi e ne sono i padroni di fatto, non muovono un dito.
Sottolineo, perché qualcuna delle migliaia di vittime se lo deve pur essere chiesto morendo
massacrata: ma che legame c’è fra il ritiro dei guerriglieri palestinesi, quello delle truppe ONU,
l’intervento dell’esercito di Israele che stende un cordone sanitario mortale attorno a quei
campi, l’attentato letale al primo ministro del Libano e il massacro sanguinoso di donne e
bambini che dentro il cordone sanitario israeliano compiono le falangi fasciste dei maroniti?
Nel 2001 un Tribunale belga apre un’inchiesta sui fatti in base alla legge del paese che, forse a
memoria del fatto di essere stato invaso due volte nel Novecento nonostante la sua neutralità ,
assegna competenza universale ai tribunali belgi per i crimini di guerra e contro l’umanità .
Il tribunale chiama Hobeika a testimoniare (Hobeika aveva diretto la strage dei cristiani
contro i profughi palestinesi) e questi ha un incontro confidenziale con due deputati belgi a
cui anticipa clamorose rivelazioni sui rapporti segreti tra le sue falangi e gli israeliani, che
avrebbero commissionato il massacro; il che profila l’incriminazione di Sharon per l’eccidio.
36 ore dopo Hobeika muore nella sua auto fatta esplodere in un attentato.
Poco dopo il parlamento belga modifica la legge e il tribunale chiude l’inchiesta.
Chi controlla l’informazione controlla anche il potere, dicevamo ieri, vero?

3 dicembre 2010 at 00:09


M. Vero come oro colato.
Sai quando si dice pecunia non olet? In quel caso si può parafrasare: il nemico non puzza se
ammazza altri miei nemici.
Ariel e i suoi restarono a guardare ciò che era già stato commissionato e poiché erano donne e
bambini, non vedo differenza fra chi spara, accoltella, sgozza e quelli che non intervengono
“perché non sono fatti loro”.
E’ interessante che tu ricordi come è andata a finire con il tribunale, visto che ora siamo
appesi tutti alla sentenza di un altro Tribunale.
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Su questo, spero di scriverti da Beirut per aggiungere gli umori della gente in questi giorni che
somigliano per loro all’attesa di annunciato meteorite.
Aspettare non sapendo cosa sperare, poiché troppe cose potranno cambiare e troppi equilibri
incrinarsi. A presto, spero, perché non solo internet preoccupa, a Beirut anche la corrente
elettrica non è erogata con continuità .
… valigie? ma io non faccio valigie! Io costruisco intorno a me una piccola casa ambulante
equipaggiata per ogni condizione di tempo stato fisico umore. (Volessi un avatar per il web,
sceglierei una lumaca). Non è stato un lavoraccio, c’era uno Sting d’annata che gorgheggiava
quella vecchia canzone … I’ll be watching you.
3 dicembre 2010 at 07:36
M.B. Sono abituato a non preoccuparmi troppo della corrente elettrica intermittente, dato
così comune nei miei viaggi lontani, che neppure ne parlo mai.
Di solito il peggio che possa produrre è di fermare i ventilatori…
ecco, direi che il quarto post è pronto e, come desideri, vi ho una parte anche io.
buon viaggio.
M. Strana sensazione, come la presenza di un invisibile Avatar .
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il suo viaggio, 5. Nahr EL BARED.


3 dicembre, Beirut

Arrivare a Beirut, dopo un viaggio dalla cronometrica puntualità nonostante i vari cambi di
treni, navette, aerei, taxi, non dà grandi emozioni: una normale nostra città di provincia con
traffico caotico e strada maestra per lo shopping, ma quante case demolite e non ristrutturate.
Eh già , ecco la particolarità di Beirut: le sue ferite non rimarginate nemmeno nelle pietre;
tuttavia i locali sono pieni, profumo di tabacco dolce dalle ascisce, succo di melograno,
chiacchiere e un’allegria così contenuta che non è quasi visibile.
Ma alloggiamo nella Hamra, il quartiere meticcio di Beirut, dove in mezzo al rumore e au un
brulicante via vai i negozi invitano ad essere ciò che ora, in questo momento, desideri essere
o sentirti: fast food, botteghe dei tatoo , eleganti caffè, perfino un po’ liberty, boutique italiane
venditori di falafel, cambiavalute, grandi alberghi e vetrine con schiere di sinuose narghilè

con sgargianti colori e vertiginose decorazioni.


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E il negozietto famigliare con l’essenziale di cui hai bisogno

Domani mattina andremo a Sabra, ma adesso voglio parlarti di Nahr el Bared,il dramma nel
dramma.
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Campo vicino a Tripoli, Nahr el Bared ospitava i profughi palestinesi della diaspora, la Naqba,
la catastrofe seguita alla proclamazione dello stato d’Israele; profughi che in questi anni
hanno conservato “le chiavi di casa” nella sempre più lontana speranza di tornare ai loro
villaggi.
Un accordo interno al Libano prevede che in ogni campo la sicurezza sia in mano agli stessi
residenti e che le forze di polizia o i militari libanesi non mettano il naso; invece nel 2007
qualcosa del genere è accaduto, il campo è diventato teatro di scontro fra esercito e
combattenti di Fatha al Islam: distruzione delle case, eliminazione fisica dei combattenti,
evacuazione degli abitanti, che lì, comunque, si erano fatti una vita, e dispersione dei gruppi
familiari in altri campi.
Ora quando questi profughi tra i profughi parlano di “ritorno a casa” non comprendo più
quale intendono, se la fattoria in Palestina o quel simulacro di casa con fatica edificato a Nahr
el Bared. Vedi? Un disfacimento delle memorie senza che a ciò possa seguire la costruzione di
un futuro.
Oggi Nahr el Bared, sempre presidiata dai militari, è un campo fantasma, un cumulo di
macerie dove qualcuno cerca di riaprire un commercio, restaurare una casa.. ma come? Se il
governo non rilascia permessi e non consente acquisti di materiale edilizio?
Volontari italiani di un progetto di cooperazione mi avevano raccontato com’era la loro estate
qui: si dorme per terra, si respira costantemente la polvere delle macerie, il caldo è terribile e
mancando spesso l’elettricità non sempre i ventilatori funzionano adeguatamente o sono
sufficienti, il bagno e la doccia sono uno per tutti, significa per i 10 volontari italiani e per i
palestinesi del centro.

Pensavo di chiedere a questi pochi Palestinesi ostinati difensori delle memoria della seconda
generazione e quelle seguenti,che della terra degli avi conoscono solo il nome, che cosa
rappresenta ancora per loro Nahr el Bared, ascoltare come possono ancora amare così tanto
quella che era poco più di una prigione a cielo aperto.
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Non potrò , non potrò vedere il luogo e parlare con i suoi fantasmi. Le autorità non ci danno il
permesso…
Questo è Libano, baby, cominci a capire?
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il suo viaggio (My Lebanon) 6. Chatila.


4 dicembre Chatila

… ma se non dico anche Sabra non la si ricorda, sono due quartieri contigui di Beirut sui quali
ogni disgrazia libanese finisce per andare a parare.
Sette volte è stata distrutta Chatila, e ora ospita 17.000 persone; sorpresa: non tutti
palestinesi, ci sono anche i libanesi che abitavano qui prima dell’arrivo dei profughi, e poi
siriani, egiziani… varia umanità che cerca di sopravvivere.
Le operatrici della Ong ci introducono alla loro opera sui bambini e le madri. Infatti vediamo
dei bambini dall’aria contenta, ma si percepisce una forte disciplina interiore.

Anche “giro turistico” del campo, come no: il cimitero della guerra civile del 1985-87 e il
cimitero del massacro.
http://www.youtube.com/user/altroveable?feature=mhum#p/u/4/Z0luSW5XdPw
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Posso immaginare il campo illuminato dai fari dell’esercito israeliano che assistette alla
carneficina, o la ordinò , ma nessun Tribunale internazionale l’ha sentenziato. C’erano qualche
vecchio e tante donne con i bambini. Chi poteva immaginare che la bestialità delle Falangi
maronite si sarebbe scatenata su di loro? Che cosa hanno provato, poi, a farlo per connivenza
con gli invasori del proprio stato?
Oggi Sabra ospita…
Sarà per colpa del mio Asus dalla tastiera nevrotica se non riesco a scrivere di più , qui in
questo bar che come quasi tutti nel centro di Beirut ha il wireless? Oppure è la somma
disordinata di emozioni di questo giorno e del tormentato privilegio di aver ascoltato dalla
voce di due sopravvissute, donne dolci e vigorose, i loro ricordi di quel sanguinoso giorno
dell’ira e dell’odio.
http://www.youtube.com/watch?v=p3Z6AKtLIw0
Sulla spianata del cimitero camminavo sulla terra che copre migliaia di corpi sepolti dentro
involucri di plastica, ma la vita non si è arresa. Scherzavo con Fadel, Fauzi e Hasa, tre
bambinetti chiacchierini, due parole di inglese … tanto arabo e sguardi d’intesa, una pietra su
cui pestavano non so cosa e le prodezze con il pallone.
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Ho foto che parlano molto meglio di me, se riesco le mando, ma – credimi sulla parola – in quel
campo profughi dove l’aria è irrespirabile, letteralmente ed emotivamente, ho visto più gente
sorridente che in questo bar di borghesi eleganti.

Domani io respirerò lontana da questo smog di Beirut perché andiamo al bosco dei cedri.
Libano dei sogni e della poesia, finalmente. Non sono così forte da sopportare senza
conseguenze interiori tanta vera e dolorosa vita umana come quella che ho sentito palpitare
oggi.
Non ascolto notizie dall’Italia, non so di cosa siete costretti ad occuparvi, ma visti da qui i
problemi di un paese che ha una Costituzione, la separazione dei poteri, le libertà civili
risultano assai poco comprensibili.
Alla prossima, capo!

M.B. il “capo” alle prese anche lui con una tastierina Asus molto birichina e pigra, con grande
piacere personale che nasce dal fatto che non è poi comune trovarsi, come dire? – un alter ego
è interno al linguaggio sessista: dovrei dirlo al femminile, allora? - un’à ltera ego e fate
attenzione all’accento! - che sta viaggiando per il Libano con la stessa curiosità e lo stesso tipo
di sensibilità umana col quale ci avrei viaggiato io: pubblicare quello che mi scrive è quasi un
modo di moltiplicare anche a favore di altri il proprio sguardo sul mondo.
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E’ veramente stimolante, almeno per me, e sono sicuro che chi legge M. in questo momento e
in questo luogo virtuale condivide il mio giudizio.
E non faccio certo fatica a credere a M. quando scrive che nei campi dei diseredati si trova
molta più felicità umana concreta e disponibilità al sorriso che unisce due cuori attraverso la
gioia dello sguardo: è quello che mi conferma anche ogni mio viaggio nelle terre lontane dal
consumismo che ci sta travolgendo rendendoci nevrotici ed infelici.

Questa testimonianza, da parte mia non francescana, ma da parte di M. certamente sì, della
perfetta letizia connessa alla povertà è forse il motivo principale per cui questo blog esiste.

6 dicembre 2010 at 18:48


M. … ma scopro che non tutti i campi sono uguali. Ci sono dolori che rafforzano l’animo e altri
che richiudono in una corazza di amarezza. Vedrai le prossime corrispondenze.
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il suo viaggio 7 (My Lebanon). Il Libano dei cedri.


5 dicembre

Al risveglio ho ancora in mente la gente di Chatila e le sue case.


Quando è nato il campo con i primi profughi le case affacciate sui vicoli erano basse, poi
mentre i figli crescevano e mettevano su famiglia, anche le case acquistavano via via un piano
in più , una stratificazione generazionale sulla testa dei nonni (..!). Ora il sole non riesce più a
penetrare fino ai piani bassi e le case svettano verso il cielo dominando sulle macerie delle
ultime guerre.
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Assorbivo lo spirito indomabile di questa gente, ma sapevo che dentro le mura ci sono dolori,
eroismo, tensioni di uomini senza lavoro e senza speranza, che a volte sfocia in violenza,
donne che possono fare ben poco per aiutarli ad essere diversi. I bambini trovano felicità nel
centro della Ong Beit Aftal Assomoud che fa da consultorio medico, assistenza sociale,
erogazione di sussidi, asilo ai piccoli , con metodi didattici avanzatissimi, e doposcuola ai più
grandi.

Ci siamo affacciate in una di queste aule, senza finestre, con una ventina di bambini sorridenti,
orgogliosi direi dell’essere lì a studiare, compiaciuti del loro inglese: where are you from, what
is your name, e un intraprendente già seduttore, puntando la ragazza dai bei capelli lunghi,
how old are you.
S’impara presto lo spirito del luogo, non si fotografa dove sventolano bandiere, lì c’è un
minuscolo gruppo di attivisti politici, lo si fa dove ondeggiano decorazioni: ci sono uomini
seduti a fumare l’asciscia, la narghilè per intenderci, pochi passi più in là un mercato, musica
spaccatimpani, dolci che trasudano zucchero, scarichi di auto appestanti, donne egiziane in
questua con i loro bambini. Perché sono qui? Mille motivi, ma di sicuro non hanno marito,
fuggito o morto, e nemmeno cognati che le potessero sposare.
Ombre di una tristezza indicibile. Sai quale parola ho sentito ripetere più spesso ieri a Chatila?
Cancer, cancro. Si nutre dello stress e ogni famiglia ha il suo malato, che lo lascia come unica
eredità , non raro infatti che dopo la morte del marito la moglie si ammali, i bambini vengano
accolti dagli zii… se ci sono.
Così è, ma oggi: Bosco Dei Cedri.
Una boccata di ossigeno dopo tanto ossido di carbonio e particolati dell’aria di Beirut.
Il percorso in questa parte del Libano si snoda nella valle Qadeesha: montagne color
terracotta come scodelle rovesciate sopra profonde gole verdi. Zona a prevalenza cristiana
pullula di croci e di madonne su ogni casa.
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Inaspettatamente capitiamo al museo di Kahil Gibran, che è altresì la sua tomba. Non so se nel
sarcofago ci sia realmente qualcuno, ma l’ambiente è raccolto, bello stile, alle pareti i suoi
quadri.
[“Every drawing is the beginning of another” diceva Gibran, ogni disegno è l'inizio di un altro.
Non lo si può dire anche delle tue foto? ]
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I cedri del bosco sono davvero plurisecolari, fantasiosi nelle forme che hanno saputo
assumere.
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Ricordando che è terapico abbracciare un albero, sfacciatamente intraprendo un incontro


ravvicinato con uno dalla corteccia tale quale al carapace di una tartaruga.
E’ vero, qualcosa accade, l’albero comunica, sono vibrazioni, un dialogo fra viventi di specie
diversa?

Non ti elenco il menù del pranzo, anche se sapessi scrivere in arabo, ma credimi è del tutto
degno della fama della cucina libanese.
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Due sono i doni di questa giornata: Fatma la nostra bella e simpatica guida palestino-libanese.
Potrebbe essere mia nipote, ma nasce una sintonia che alternativamente ci rende coetanee, a
volte mi porta nella sua gioventù dalla fragorosa risata, a volte si accompagna a me nelle
riflessioni, ci scattiamo fotografie, fumiamo un tabacco deliziosamente profumato, ci
scambiamo segreti e promesse di non dimenticarci. E’ un incontro come per te quello con
Mike in India?

L’altro dono è il tramonto. Un cielo rosso, con strisce di azzurro scuro, chiazze rosa pallido e
qua e là sprazzi di color verde acqua. Non ne ho mai visti di così variopinti e il suo ricordo mi
fa compagnia nell’estenuante rientro a Beirut di domenica sera.

Peccato anche la folle velocità dell’auto che non mi ha permesso di scattare una foto degna
dello spettacolo…
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Alcune delle mie compagne di viaggio hanno ancora voglia di andare a spasso per la
downtown, la parte elegante, francese direi, della città . Io e M. le introverse della compagnia,
rientriamo in hotel a deporre le emozioni e sistemare le foto. Ma una scusa qualsiasi serve a
ritrovarci sulla mia terrazza, grande quanto un campiello della sua Venezia. Però stasera c’è
vento, mi attardo solo un po’ al computer per preparare queste note perché questo scampolo
tardivo di estate libanese, mentre già l’Italia è al gelo, si sta tramutando anch’esso in inverno.
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il suo viaggio (My Lebanon) 8. Bourj Al-Barajneh.


6 dicembre

La burocrazia compensa la seccatura che ci dà imponendoci un’inattesa breve visita di Sidone,

dove dobbiamo recarci per ottenere dalla polizia il permesso di entrata nel campo di Bourj al-
Barajneh. Occorrono anche due fotografie, non demordiamo, corriamo a farle, sottostiamo a
tutto ed entriamo nel campo, con tanto di cancello e di muro.
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Ci starebbe bene la scritta il lavoro rende liberi, per la mancanza assoluta di diritti, ma il lavoro
in effetti non l’hanno. Non mi tratterrò dal mettere in You Tube il video,
http://www.youtube.com/user/altroveable?feature=mhum#p/u/3/-72JYZgoLpg
ne ho fatto uno inquadrando il fondo dei vicoli mentre cammino fra le pozzanghere e le
voragini e il groviglio di cavi elettrici ad altezza quasi di bambino: centinaia di persone
muoiono ogni anno per scossa elettrica…

Inenarrabile. Non ci provo neppure, dico solo che qui non ho visto i sorrisi e la forza di Chatila,
ma una contenuta disperazione.

Al pomeriggio abbiamo assistito all’apertura del lavori presso la sede dell’Unesco della 10a
Conferenza Internazionale per il Ritorno
Mi ha colpito il fatto che non c’era traduzione simultanea, in nessuna lingua, tanto sicuri sono
di essere dimenticati i palestinesi che nemmeno sperano di avere osservatori internazionali.
C’erano però molte televisioni e mi chiedo, fra sauditi in chefia candida e brune chiome arabe
quanto dovevano spiccare nei servizi televisivi sei donne chiaramente … esotiche come noi.
Per me è stato bello ritrovare le operatrici del campo di Chatila come delle amiche. Con la
nostra guida di Bourj al-Barajneh, stupenda nel fisico e nell’animo, ma quanta tristezza nel suo
sorriso.

7 dicembre l’Ashura.
E allora questa Ashura? E’ la ricorrenza del martirio (… un altro) dell’imam Husayn e di 72
suoi partigiani in una delle tante lotte di potere che hanno insanguinato l’Islam dopo la morte
del Profeta. .A me qui sembra un giorno feriale come gli altri. Forse il Libano è un paese molto
laico? Non direi proprio, come sappiamo. Forse la festa vera e propria sarà al 17, chissà .
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Ad ogni modo per causa sua c’è stato un buco nel programma delle visite ai campi, le altre
sono partite per Tiro e le sue rovine, io scelgo di rovinarmi i polmoni in Beirut per vedere
l’umanità vivente.
Fra le molte possibili classificazioni della popolazione ne scopro una che incrocia l’età e la
lingua straniera conosciuta. Sotto i quaranta parlano solo inglese, al di sopra un francese lento
e sinuoso. Vuoi mettere un carezzevole bonjour con un abbaiato Hi?  

Ma, credimi, io non sono ancora uscita del tutto da Bouri Al-Baraineh.
Non riesco a lasciar svanire quella gente che può anche non sentire mai il calore di un raggio
di sole, perché abita ai piani bassi delle case, non ha titoli per un permesso di uscita dal campo
e può soltanto percorrere i vicoli bui.
Sono ancora con Samia dagli occhi profondi e malinconici che sanno lontane tragedie, ma con
guizzo che intende consolare chi le ascolta. Occhi che vedono tutto.
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Occhi che non si staccano da me, che presa dal demone della fotografia, sto per infilami
nel cappio di cavi elettrici penzolanti.
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Chi sarebbe oggi questa androgina bellezza che molto somiglia alla modella di questa foto
pubblicitaria

se fosse nata altrove? Vestirebbe Dolce e Gabbana, sorridendo da una copertina?


Ma ha avuto in dono anche la forza morale, così può sopportare ciò che sa e che vive, e io ogni
volta che sentirò Palestina, vedrò il suo viso, la sua figura che mi guarda dal cancello d’entrata
del campo, dopo avermi mostrato il cimitero che sta, al di fuori, lungo il muro di cinta.
Già , solo se sono morti questi profughi di Jaffa possono riposare fuori del campo, nella libera
terra libanese.
A la prochaine …

7 dicembre 2010 at 17:22


M.B. il post è pronto: lo tengo in lista d’attesa sino a domattina…
a me questo diario di viaggio piace.
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**** Appena postato questo resoconto, a sorpresa compare questo commento di un libanese:

8 dicembre 2010 @ 17:44:55


commentatore da Beirut: raymond issa
Di chi è la colpa se questi palestinesi sono nel Libano. E la Palestina che non esiste presa dagli
Israeliani Sionisti appoggiati dall’America e dall’Europa.
Loro i Palestinesi ospiti nel Libano hanno cercato di occupare il Libano scatenando 17 anni di
guerra e 100.000 morti distruggendo un paese. Se i fili elettrici sono appesi è anche colpa loro,
Poi non ci sono centinaia di morti per questa causa.

8 dicembre @ 23:46:32
M.B. ti ringrazio raymond issa per questo commento.
l’autrice del post, ti risponderà appena le sarà possibile: adesso è ancora in Libano.
Vorrei che fosse chiaro che pubblico questi post (e lei li scrive) per solidarietà con i palestinesi
e contro il sionismo.
Tu però , dopo avere detto che i sionisti hanno tolto la Palestina ai palestinesi, accusi i profughi
palestinesi di avere cercato di occupare il Libano.
Questo dimostra forse quanto è difficile separare i torti in una guerra e come una ingiustizia
ne genera a cascata delle altre.
ma ti risponderà certamente anche mcc43, a presto.

10 dicembre 16:37:23
M. anche io ringrazio del commento raymond issa. Sono certa che come noi due ha a cuore la
libertà `di pensiero e di parola. Pertanto gli dico grazie ancora, ma la storia come la raccontano
le testimonianze ufficiali, i documenti storici non collima con le sue affermazioni. Detto
questo, essendo io interessata al lato umano delle questioni, proseguo osservando
attentamente questo paese e i campi profughi, per molti dei quali l’Onu paga fior di canoni di
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affitto, considerando poi che sono usati per il lavoro nero, direi che in molti guadagnano su di
loro, anche addossando sulle loro spalle colpe che non hanno. Non si santifica nessuno qui, si
guardano le cose come stanno.

… e stanno così:
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il suo viaggio 9 (My Lebanon). la città di Baal.


8 dicembre

Baalbeck, ovvero la città del dio Baal.


E se qualcuno ti chiedesse “chi è” non so immaginare quante schermate riempiresti… ma non
potresti mai eguagliare l’imponenza e la raffinatezza del tempio di Bacco. Meriterà ne sono
certa un post a parte con le foto che ti manderò . Vedrai gli enormi massi, resti di costruzioni
distrutte dal tempo,
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le colonne di oltre 80 metri, le più alte del mondo…


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e ancora, magnetici per lo sguardo, i raffinati bassorilievi nella pietra


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Per arrivare al sito e al campo profughi ci siamo addentrati nel Libano profondo, entrando
nella valle della Bekà in territorio molto filo Hezbollah.

A 1200 mt sul livello del mare, senza problemi di spazio, il campo di Baalbeck ha case basse
vie non larghe ma assolate, le donne si distinguono per l’eleganza accurata e la simpatia, gli
uomini sono merce rarissima perché molti hanno potuto espatr… pardon uscire dal Libano e
andare a lavorare altrove.
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Abbiamo incontrato la generazione delle nonne, le grandi madri, che parlano solo della
“Auda”, il ritorno in Palestina, se Dio lo vorrà ,

prima di un commiato cordiale e la speranza di rivedersi.


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Domani è il mio giorno: incontro la “mia” ragazzina, sono emozionata, credimi, lo avevo tanto
sperato in questi anni e poi sempre qualcosa andava storto.
A parte questo sentimento, la situazione è assurda: cosa abbiamo da dirci? Lei non sa
immaginare come si vive nel mio paese, io so sempre meglio come vive lei ma posso forse
dirle “che pena” ? Magari sfoggerà il suo inglese con orgoglio e ci scambieremo domande
senza molto senso, ma qualcosa di sincero fra di noi passerà .
Il campo suo è Beddawi vicino a Tripoli. L’altra Tripoli, non quella che conosciamo tutti e due.
Ti batterò dunque 2 Tripoli a 1 !!
Allora intesi, galleggiando sugli eventi abbiamo già coperto un bel po’ di spazio, spero di
inviare ancora il report da Tripoli e poi… inscialla.

Intanto mi sono comperata la chefia bianca e nera e un po’ “filistinìa” sono anche nell’aspetto
oltre che nell’animo…

M.B. Ecco che sull’umanità delle analisi politiche e sociali si innesta una umanità più
essenziale ed originaria, rispetto alla quale la politica passa sullo sfondo.
Che momento forte, e come sarà problematico.
Mi metto anche dall’altra parte e penso a quanto potrà essere ancora più emozionata di te la
ragazzina?
Che tipo è? Che idea ti sei fatta di lei attraverso i contatti di questi anni?
Sto girando intorno alla situazione e mi rendo conto che quasi sto cercando con queste
domande di disinnescare la potenza emotiva del momento…

M. Avevo poche idee, si sapevo per sommi capi la sua storia, ma quelle lettere in arabo
tradotte in inglese dalla social worker mi lasciavano un sottofondo di perplessità .
Avevo bisogno di questo incontro sfumato già due volte, ed e` avvenuto. a prestissimoooooo
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10 dicembre 2010 at 23:33


M.B. bellissimo incontro, già leggo nella mail, sono contento.

12 dicembre 2010 at 20:49


M. grazie, hai capito.

Un

Sorriso,

breve

oblio

della

quotidiana

malinconia
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il suo viaggio 10. Tripoli e campo di Beddawi.


9 dicembre Tripoli e campo di Beddawi

E’ avvenuto l’incontro con la mia protetta, ed è stato più bello di quanto avessi sperato.
Giuro che l’ho riconosciuta fra le altre ragazze prima che la social worker, preziosissima
donna, ci presentasse. Un bel viso pulito, la chioma e gli occhi scuri, una quindicenne in
camicetta candida e tanta timidezza. Ora che abbiamo scavalcato le prassi burocratiche e ci
siamo abbracciate so che saremo l’una per l’altra un vero affetto, io Ummi, madre mia, per lei,
e H. sarà Ibnati, figlia mia, per me. (sull’ esatta traslitterazione non ci giurerei…)
Siamo una testimonianza del possibile quando tutto sembra dire di no e abbiamo preso un
duplice accordo: la prossima volta conoscerò anche la sua coraggiosissima madre
sopravvissuta al massacro di Tar al Zatar, e un giorno più lontano ci incontreremo in
Palestina, se tutto questo Dio vorrà .

Questa è la gemma, il momento aureo del viaggio per me, per lei la consolazione che non tutti
nel mondo a lei sconosciuto dimenticano la sua gente.
Il campo è ben attrezzato, le vie sono assolate e ben tenute, ho sentito di nuovo vibrare lo
spirito determinato all’ottimismo di Chatila, forse per questo non ho notato il muro di cinta,
ma c’è, le foto lo testimoniano.

Per quelle di noi che ancora non sapevano, è stato un brutto colpo sentire che nello stesso
campo che ospita anche siriani e libanesi, questi possono avere permessi di lavoro o di
espatrio, possono risparmiare e comperare una casa da lasciare agli eredi, ma i palestinesi no:
loro non possono avere proprietà di alcun genere. Perché? Ma per il loro bene, dicono! Che
accadrebbe del loro popolo se si radicasse in Libano disperdendo le sue memorie? L’ipocrisia
politica non ha limiti… Allora stiano così provvisori e incerti e pensino sempre al ritorno,
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all’Auda, che verrà ... se Dio vorrà , perché nessuno chiede a Israele di rispettare le risoluzioni
che esigono la restituzione dei territori occupati.

“Dite voi se questo è un uomo” scrisse Primo Levi, e perché non dovrebbe valere anche per
questi uomini e donne in balia di forze che non possono controllare?

Tripoli di Libano è una cittadina vivace, anche simpatica, almeno è l’impressione che ho
ricavato da un giro nel souk,
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ma il tempo non bastava per conoscerla meglio, nei suoi angoli segreti

Incombeva il rientro a Beirut, ancora nell’ora di punta, ancora nell’aria mefitica che, davvero,
sta facendo scempio del mio sistema respiratorio e mi fa tossire come un minatore.

Ma cosa bruciano nei motori delle macchine questi libanesi? Morchie, antracite liquida?
E perché fa tanto fico snobbare il verde dei semafori, creare grovigli di corpi e lamiere
sparando, è l’impressione, raffiche di colpi di clacson.
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Oh, Beirut, hai paura dei sussurri e del silenzio?


E’ il chiasso che ti fa scordar lo scoppio delle bombe?
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il suo viaggio (My Lebanon), 11. Campi di Bourj Al-Shemali e Elbuss.


10 dicembre campi di Bourj Al-Shemali e Elbuss

Solita partenza alle 8,30 con l’autista messo a disposizione dalla Ong Beit Aftal Assomoud che
di nome fa Chawki, ma si è meritato il soprannome di Malak, angelo, visto che ci segue con
occhio attento nei nostri giri e ci riporta tutte quante salve al pulmino. Buffo: ogni volta sceglie
chi siederà nel sedile a fianco del suo. Due volte oggi mi è toccato l’onore, si mormora.. Ma sì,
dobbiamo pure trovare pretesti giocosi per sdrammatizzare questo turbine di emozioni e
anche, non si può nasconderlo, la difficoltà di armonizzare le nostre personalità di estranee,
diverse per mille ragioni e anche nelle aspettative per il viaggio.

In entrambi i campi oggi abbiamo la compagnia dello stesso social worker. Ha l’aria
accattivante ma io sento anche un “non si muove foglia che io non voglia”. Dice frasi che
elettrizzano le anime belle occidentali, ma non convincono del tutto me quando afferma che si
dovrebbe separare la politica dagli affari del campo. In pratica non propendere per Hamas o
Fatha, mi sembra una politica cerchiobottista e non capisco come si possa fare in quella
situazione; direi che gli affari del campo dovrebbero essere un gancio per favorire una
qualche distensione fra le fazioni politiche.
Ma non importa, è stato così bravo da mettere in piedi perfino un’orchestra di cornamuse
palestinesi che fa tournèe all’estero. Un sound insolito, ho comperato il CD, lo userò come
soundtrack di un video.
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Mi resta un’impressione … colorata di Bourj al-Shamali

Abbiamo visto un teatro, una biblioteca, tanti bei murales ma non abbiamo incontrato
bambini, anzi praticamente nessun altro al di fuori del fascinoso social worker e la bella
bibliotecaria. Questo campo di Bourj al-Shamani per me resta un punto interrogativo.
A Elbuss siamo arrivati inattesi in mezzo ad una grande confusione di altri visitatori, non mi è
rimasta alcuna viva impressione da comunicare.
Entrambi i campi sono molto a sud, vicino a Tiro; nel viaggio incrociamo vari posti di
controllo e qualche residuato bellico, per la verità un’anticaglia che non comprendo perché
stia lì. Promemoria?

La stanchezza si fa sentire da me, mentre le altre hanno voglia di una serata musicale. Brave,
io vado in camera, e sono piuttosto malata; comincerò a raccogliere le mie cose disseminate in
questa provvidenziale e immeritata suite che mi ha dato la sensazione ogni sera di rientrare “a
casa” con la piccola cucina per preparare una cena frugale e godere di un silenzio ritemprante.
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Domani visita alla sede centrale della Ong, incontro con Kassem, il suo fondatore, una di quelle
persone che il mondo non conosce, ma che compiono imprese eroiche.
Shopping? Eh sì, fatto un po’ anche quello, che occidentale sarei se non dilapidassi risorse?

Questo è l’ultimo post da Beirut. My Lebanon volge al termine e io non sono più la stessa.
E’ così, vero, capo? Si viaggia per questo e stavolta più che mai il viaggio merita la definizione
di pellegrinaggio.
Qui Beirut, a voi Italia.

M.B. Qui Italia: è un peccato che il tuo viaggio finisca, e la stanchezza sembra che abbia atteso
l’incontro con la tua figlioccia per manifestarsi, un pochino la si sente anche qui sopra.
la malattia, che alla fine dei viaggi colpisce spesso anche me, appare quasi l’ultimo disperato
trucco per restare dove si sta bene.
Ogni vero viaggio cambia il viaggiatore, è vero, e questo lo sentiamo; ma anche il ritorno ci
cambia, perché ci restituisce alle nostre abitudini e cancella quasi del tutto l’io nuovo che era
nato: ma siccome questo ritorno è quasi un atto di pigrizia, ce ne accorgiamo meno.
Soltanto, la cancellatura non è mai perfetta, rimane qualche traccio di quell’io nuovo che si era
precariamente impadronito di noi: fa male, perché non si combina più troppo bene con la
vecchia personalità che è tornata al suo dominio tradizionale, e questa traccia di un futuro
mancato la chiamiamo nostalgia.

M. Verissimo: “fa male, perché non si combina più troppo bene con la vecchia personalità che
è tornata al suo dominio tradizionale”.
Non ho amato quel luogo, ma vi ho vissuto giorni che sono fra i più importanti della mia vita.
Dovranno trovare un posto dentro di me per continuare la loro opera di cambiamento.
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Ciao capo, a presto l’ultimo report


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438. il suo viaggio (My Lebanon) 12. la fine che continua…


14 dicembre 2010

Sapevo prima di partire ciò che avrei trovato perché le informazioni non mancano, beninteso
se si vogliono trovare. Andavo per dimostrare ciò che ai rifugiati in Libano sta a cuore: non
sono del tutto dimenticati, e per incontrare la mia H.
Obiettivi raggiunti per i quali sono grata alle ong che ci hanno procurato i permessi d’entrata e
infinitamente di più alle persone palestinesi che mi hanno aperto i loro spazi, mostrato ciò che
fanno e lasciato constatare i loro molteplici bisogni.
Sono arricchita da questi incontri, ma sta montando una grande malinconia.
Vicino a loro si può parlare del ritorno in Palestina, perché ci credono o vogliono crederci, ma
è un evento talmente di là da venire e certo, avvenendo, non sarebbe come se lo immaginano.
Ci sono storture della storia che non si raddrizzano più .

La Naqba, la grande catastrofe del 48, ha sradicato delle comunità di agricoltori, ora i
discendenti non conoscono nulla della terra, dei suoi ritmi, di come coltivarla e amarla anche
quando è avara. Qui ci sono giovani che sono cresciuti in uno spazio quadrato di un km per
lato, senza verde, senza un luogo per tirare calci a un pallone… Uno solo ne ho visto ed era la
spianata che ricopre i corpo dei martiri di Chatila. Che male c’è se lì un bambino riesce
finalmente a giocare e non pensa, lui, che un metro sotto giacciono i martiri del suo popolo?

Ho ammirato la solidarietà che li unisce all’interno di ogni campo, ma con stupore ho sentito
una social worker allontanare una questuante straniera dicendo “lo fanno per abitudine, non
hanno voglia di lavorare” e mi sono sentita trasportata di colpo in Italia ad ascoltare una
“signora perbene” parlare dei rom.
Un po’ di malinconia viene anche dalla sensazione di aver assistito spesso a reticenze, alla
volontà di non esporre apertamente le fratture ideologiche, lo scarso contatto fra i campi, il
totale silenzio su Gaza.
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Quante sfaccettature ha la situazione palestinese? Nei campi giordani e siriani i diritti sono
ormai in parte acquisiti, sia pure per interessi politici governativi, qui no. L’embrione di stato
palestinese che si compone di Gaza e della West Bank è profondamente diviso: l’occidente
tratta con Olp di Abu Mazen, il presidente il cui mandato è scaduto l’anno scorso, e considera
l’organizzazione Hamas che governa Gaza come gruppo criminale. E ci sono i palestinesi con
nazionalità israeliana: quale la loro situazione ora che Israele si è dichiarata stato
confessionale ebraico? E il boicottaggio dei prodotti israeliani che molti invocano, non va a
colpire anche loro, già parte più povera della popolazione?

Del Libano … libanese mi ha stupito l’assoluto disinteresse per l’esistenza dei campi, c’è una
grande volontà di fare come se niente fosse. Quando due ragazze in un bar mi hanno chiesto
se ero lì per vacanza ed ho risposto: no, per visitare i campi palestinesi, il loro viso non ha
mosso un muscolo e mi sono sentita improvvisamente cancellata dal loro sguardo. Troppo
poco per farmi un’opinione?

Sicuro, allora chiedo soccorso e copio da Scintille, il libro che Gad Lerner ha scritto dopo esser
tornato a Beirut, città che aveva lasciato da bambino:

“ E gli Hezbollah che di fatto governano il Libano meridionale e metà della capitale? E i 250000

palestinesi in gran parte segregati nei campi profughi? Come se non esistessero. […] Accomodato

su un divano, sorseggiando kir-royal, avevo avuto la pessima idea di raccontare ai commensali il

pomeriggio trascorso fra le macerie del quartiere sciita di Dahiyeh bombardato l’anno prima

dagli israeliani per distruggere la rete logistica di Hezbolla. Stupore. Disagio: Riprovazione.

“Monsieur, come ha potuto?” “Signora, replico, è un quartiere della sua città, non lo conosce

forse?” “ Mai messo piede in quel posto… cosa c’entra quella gente incivile con il Libano?”
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Ricordi? Avevo scritto nei primi post che l’identità libanese è prima di tutto religiosa, viste le
molte confessioni presenti, ora possiamo aggiungere anche la sfaccettatura della borghesia
laica, secondo la quale un’identità religiosa rende estranei al Libano.
Un bel pasticcio. Forse le molte rimozioni nascono dall’evidenza di essere in balia degli umori
di Israele e di tutti gli altri potenti vicini.

Ad avventura conclusa, chi voglio ringraziare più di tutti sei tu, per aver voluto questi report
che mi hanno indotta ad avere un occhio più acuto, a dividere le emozioni dai fatti, ma in
definitiva a vivere tutto più intensamente.
… the end.

M.B. Carissima, non scrivere ancora the end: è un vero peccato che questo resoconto denso e
coinvolgente, diario di un viaggio della mente del cuore e non ricerca di luoghi comodi oppure
fascinosi, si concluda: hai avuto la capacità di darci una lettura sfaccettata e critica di questa
realtà , facendocela sentire viva e non semplicemente propagandistica.
L’orrore della propaganda è quando divide il mondo in buoni e cattivi, mentre ogni sfruttato
ha il suo pezzetto di cuore di tenebra, che non è corretto dimenticare.

Ti ringrazio sopratutto della frase finale, che arriva a colpirmi al cuore, perché descrivi bene
che cosa significa viaggiare con un blog intero al seguito, o meglio ancora forse, al seguito di
un intero blog: i lettori saranno solamente potenziali, ma basta la loro presenza immaginaria
per renderci più attenti e scattanti, come sei sempre stata tu in questi giorni tesi, a dispetto
anche dei malesseri fisici che alla fine hanno provato a trattenerti lì.
Vedrai, questo tuo viaggio non è finito comunque: ci mancano ora le foto e i filmati, che
inseriremo nei post nei punti giusti, arricchendo il resoconto via via, e sarà ancora come
continuare a viaggiare, dopotutto è importante che la mente si muova, il corpo è solamente
uno strumento.
continua…
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14 dicembre 2010 at 15:15


M. festina lente? Sì, saggio.
Per il compulsivo bisogno di creare il video di Bourj Al Barajneh son qui ad almanaccare sulle
migliorie non fatte. Non accadrà ancora, riprendo da capo quello in preparazione e già ho
trovato la musica che Sabra e Chatila meritano: OUMMI, Madre mia,

“Tie me up
With a lock of hair
With a thread that points to the tail of your dress”
Legami, con una ciocca di capelli,
con un filo che punta allo strascico del tuo vestito,

sono i versi di Mahmoud Darwish sulla musica di Marcel Khalifa, per ogni palestinese uno
struggente canto corale per la terra Madre.
… e il viaggio continua
grazie a te

14 dicembre 2010, 18:14


M.B. grazie a te, grazie a te, piuttosto!
Montaggio video, selezione foto, riscrittura diari, e il viaggio continua!
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