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Appunti Economia Imprese e Settori 2006-2007 - V1 by Dani&Anto
Appunti Economia Imprese e Settori 2006-2007 - V1 by Dani&Anto
Appunti Economia Imprese e Settori 2006-2007 - V1 by Dani&Anto
PREMESSA:
I SEGUENTI APPUNTI SONO STATI SCRITTI DURANTE I CORSI DI
ECONOMIA DELLE IMPRESE E DEI SETTORI DELL’ANNO ACCADEMICO
2006/2007
Lo Stato per poter assolvere a tali compiti necessita di risorse, ovvero di entrate fiscali. Esse si
distinguono i tre tipi:
1. Tasse: si tratta di prelievi che lo Stato effettua soltanto su richiesta del cittadino di un certo
servizio, come ad esempio avviene per le tasse universitarie, il bollo di circolazione, ecc. La
tassa ha un valore inferiore rispetto al servizio o bene reso, la restante parte viene finanziata
dallo Stato stesso. Rappresentano circa il 9÷10% delle entrate.
2. Imposte: sono un prelievo coattivo.
Imposte indirette: applicate su uno scambio È il caso dell’ IVA (imposta sul valore aggiunto) .
Imposte dirette: applicate sul patrimonio del cittadino, quindi sia sulle proprietà che sul
lavoro.
3. Contributi: si tratta di prelievi coattivi. nel nostro sistema economico rappresentano un’entrata
gestita dallo stato (non è così per tutti i paesi). Alcuni esempi sono i contributi per il servizio
sanitario, contro gli infortuni, pensionistici. Questi ultimi vanno a coprire solo in parte la
pensione che il contribuente riceverà. La restante viene elargita dalla Stato stesso.
L CIRCUITO ECONOMICO
Pagamento beni e servizi
Fattori di produzione
IMPRESE FAMIGLIE
Pagamento dei fattori di
produzione
Beni e servizi
Il circuito economico rappresenta bene il sistema economico in quanto contempla sia i soggetti che
le funzioni economiche di produzione e di consumo, e ne evidenzia i legami. Ciò che mette in
relazione i soggetti è il mercato, il quale non spiega però le funzioni. Esistono diversi tipi di
classificazioni del mercato. In base al bene scambiato abbiamo:
− Mercato del lavoro
− Mercato dei beni immobili
− Mercato dei beni finanziari
− Mercato sei beni e dei servizi
In base alla collocazione nel processo economico:
− Mercato intermedio: quando famiglie hanno una funzione di consumo verso le imprese.
− Mercato finale: quando le famiglie forniscono risorse per la produzione.
Facciamo delle ipotesi: consideriamo solo imprese e famiglie. Le famiglie possiedono certe risorse
e servizi necessari per la produzione, come il proprio lavoro, offerto in cambio di un salario, e
risorse reali quali immobili e terreni che le imprese possono acquistare o prendere in affitto.
I mercati sulla base della tipologia del bene scambiato possono dividersi in:
− Beni e servizi
− Lavoro (rappresentano anomalie rispetto gli altri
− Finanziari ( sono i più organizzati)
È possibile schematizzare le relazioni tra i soggetti economici. Ciò che ci interessa sapere è il
rapporto tra le entrate e le uscite delle famiglie.
Circuito economico semplice: Famiglie e imprese.
Facciamo alcune ipotesi:
Hyp1 : le imprese producono beni utilizzando risorse delle famiglie e semilavorati prodotti dalle
categorie di imprese a monte.
Hyp2 : le imprese produttrici di materie prime non hanno altre imprese a monte, utilizzano solo
lavoro.
Hyp3: prezzo = costo di produzione. ( salario + semilavorato).
Hyp4: le famiglie non risparmiano.
Il reddito di un’economia è dato dalla somma dei valori di tutte le produzioni detratte le
duplicazioni.
Poiché le famiglie non risparmiano, il reddito Y è interamente impiegato per acquistare i beni di
consumo e i servizi prodotti dalle imprese.
Per le ipotesi fatte, reddito, produzione e spesa coincidono Æ (Y = C )
W=100
Impresa 1
W= 350
VBS: 100
Y= 350
C= 350
W=50
Impresa 2
VBS: 150 famiglia
W=200
Impresa 3
VBS: 350
C=350
Flusso monetario
Flusso monetario
Risparmio e investimento:
Eliminiamo l’assunzione dell’ Hyp4, e consideriamo che le famiglie, oltre a fornire il proprio
lavoro, possono dare alle imprese anche risorse finanziarie mediante l’acquisto di titoli emessi dalle
imprese stesse o da intermediari. Ovviamente, da tali finanziamenti, le famiglie attendono un
profitto (Π).
Il risparmio è definito come: S=Y–C che corrisponde all’ammontare di reddito che le
famiglie non consumano.
Poiché le famiglie risparmiano, le imprese non vendono tutto ciò che hanno prodotto alle famiglie,
ma parte rimarrà come scorte e parte verrà venduta ad altre imprese. Quindi, al risparmio
corrisponde una somma pari al valore degli Investimenti delle imprese, S=I. Se ragioniamo in
termini di PIL si ha:
− Spesa aggregata = PIL Æ Y = C+I
− Impieghi del reddito = PIL Æ Y=C+S
Quindi C+S = C+I Æ S=I
Nella realtà i risparmi finanziano gli investimenti solo se le famiglie prestano il denaro alle imprese
in cambio di titoli o obbligazioni.
W=100
Π= 10
W= 350
Impresa 1
VBS: 110 Π= 150
Y= 500
C= 400
Impresa 2
W=50
S= 100
VBS: 200 famiglia
Π= 40 Is= 100
W=200
Impresa 3
VBS: 500 Π= 100
C=400
STATO Tf=50
W = 350
T=125 Π = 150
W=100
Ti=5 C = 400
Impresa 1
Π= 10 Tf = 50
VBS: 115
S = 50
Ti=20 Is = 50
W=50
Ti = 75
Impresa 2
VBS: 225 famiglia T =125
Ti=50
Π= 40 G = 125
Y = W+Π+Ti = 575
G=125 W=200
Impresa 3
VBS: 575 Π= 100
C=400
L'avanzo primario del bilancio dello Stato è la differenza fra gli incassi e le spese, esclusi gli
interessi pagati sul debito pubblico. L’avanzo primario è dunque la somma disponibile per pagare
gli interessi sul debito pubblico (BOT, CCT, ecc.) e, se dopo ne avanza, per ridurre questo debito.
Se invece l'avanzo primario non è sufficiente per coprire gli interessi da pagare, lo Stato in qualche
modo deve pur finanziarsi. Può stampare nuova moneta oppure può indebitarsi ulteriormente. E’
quello che fanno certe ditte che cadono in mano agli strozzini: chiedono ulteriori prestiti per pagare
gli interessi, e poi falliscono. Nel caso dello Stato, con questo comportamento, viene traslato il
problema degli equilibri finanziari alle generazioni successive, che si troveranno a dover bilanciare i
conti, e questo succederà o con l’inflazione (ma l’essere nell’area della moneta unica europea rende
queste operazioni monetarie difficili per i singoli stati) o con un aumento delle imposte.
Il cuneo fiscale o cuneo contributivo è rappresentato dalla variazione tra l'onere del costo del lavoro
e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera: in pratica è la differenza tra quanto pagato dal
datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo il restante importo versato
al fisco e agli enti di previdenza.
Il cuneo fiscale è la differenza fra i costi sostenuti dall'imprenditore per l'assunzione di un
lavoratore (il salario più i contributi alla sicurezza sociale) e il reddito del lavoratore dopo le tasse e
le indennità (il reddito netto).
In Italia il cuneo fiscale è determinato sostanzialmente dai contributi previdenziali a carico
dell'imprenditore.
Sistema produttivo e suoi livelli di analisi
1) Unità tecnica di produzione (azienda, fabbrica, stabilimento, cantiere, negozio, studio):
rappresenta la dotazione di elementi produttivi conferiti dall’impresa ossia l’insieme coordinato di
macchine, lavoratori, materiale e competenze, cui sono connesse capacità produttiva ed efficienza
propria dei livelli tecnologici raggiungibili.
2) Impresa: è una struttura organizzativa a fini produttivi definita da canali di autorità e
comunicazione, composta da aziende o da un insieme di aziende nelle quali si concentrano le
risposte imprenditoriali alle opportunità e ai vincoli presenti in un determinato contesto storico
rappresentati da: tecnologie, mercati, disponibilità finanziarie, condizioni legali e azioni dei pubblici
poteri, risorse tecnico-manageriali interne ed esterne.
3) Ambiente operativo (configurazione industriale, mercato, distretto): è l’ambito, caratterizzato da
un insieme dei soggetti e relazioni, in cui l’impresa mette in atto le sue decisioni strategiche.
R2_MERCATO E IMPRESA
Una transazione di mercato non può peggiorare le condizioni di una parte delle contraenti. Ciò può
avvenire solo per mutamenti successivi alla stipula dell’accordo. Vige cioè il “teorema
fondamentale dello scambio” secondo cui se:
− Le transazioni devono essere volontarie e accessibili a tutti.
− Tutti i soggetti interessati dalla transazione devono essere parte della transazione stessa.
− I termini della transazione sono noti
− Ciascun soggetto è protetto da estorsioni o comportamenti sleali,
allora lo scambio è il mezzo attraverso il quale gli individui conseguono i propri obiettivi personali
e le imprese mettono in atto le proprie strategie.
Quando si chiude un contratto c’è un accordo sulle quantità, sul prezzo e su alcuni obblighi quali
tempi di consegna, scadenze del pagamento, etc.
Prezzo e quantità sono la coppia di valori che caratterizzano lo scambio di un bene o servizio.
Il mercato è tanto più efficiente quanto maggiori sono gli scambi e quanto minori sono i prezzi a cui
avvengono.
Definizione di domanda e di offerta
La domanda di mercato rappresenta la disponibilità degli acquirenti a pagare per un bene o un
servizio un certo prezzo in relazione ad una certa quantità.
La domanda(D) è una funzione inversamente proporzionale al prezzo ( constatazione empirica):
D = D(p)
Ad ogni prezzo corrisponde un livello di quantità.
La domanda è espressa dal consumatore, che fa la propria richiesta in base alla propria disponibilità.
Essa può essere influenzata da:
1. prezzo
2. gusti del consumatore: pensare alle mode.
3. il reddito a disposizione: l’ammontare di reddito di ciascun individuo è pari alla disponibilità
a pagare una certa cifra per una certa quantità di prodotto. Quindi, maggiore è il reddito,
maggiore è la disponibilità a pagare.
4. prezzi degli altri beni, sia complementari sia sostitutivi.
5. ampiezza del mercato.
L’ offerta di mercato rappresenta la quantità di un bene che le imprese sono disposte a cedere in
cambio del prezzo corrispondente in un dato istante.
L’offerta (S) è una funzione direttamente proporzionale al prezzo ( constatazione empirica):
S = S(p)
Ad ogni prezzo corrisponde un livello di quantità.
Essa può essere influenzata da:
1. prezzo.
2. la tecnologia a disposizione dei produttori.
3. prezzi di altri beni su mercati limitrofi.
4. prezzi futuri del mercato in questione.
5. eventi casuali.
6. costi d’acquisizione dei fattori produttivi.
Il variare di uno dei cinque parametri che influenzano la domanda di mercato generano una nuova
curva di domanda. Un aumento del gradimento genera uno spostamento verso destra della curva di
domanda mentre una diminuzione uno spostamento verso sinistra. Inoltre all’aumentare del reddito
le spese dei consumatori si spostano verso beni normali a scapito dei beni inferiori, questo
provocherà un cambiamento delle curve di domanda dei beni normali e dei beni inferiori.
I mutamenti dei prezzi di altri beni possono influire sull’andamento della curva di domanda nel caso
questi siano beni succedanei o complementari: la diminuzione del prezzo di un bene succedaneo
provoca una diminuzione della domanda da cui il primo è sostituito, mentre la diminuzione del
prezzo di un bene complementare provoca un aumento della domanda del primo bene.
Allo stesso modo della domanda di mercato può essere rappresentata la curva di offerta S. La
posizione della curva di offerta sarà influenzata dai sei fattori che influenzano l’offerta di mercato.
Ad esempio ad un aumento dei salari la curva di domanda si sposterà verso l’alto S’’ ed ad uno
stesso prezzo si acquisterà una quantità minore, mentre per un progresso tecnologico ci sarà uno
spostamento della curva di offerta verso il basso S’ ed ad uno stesso prezzo si acquisterà una
quantità maggiore di prodotto.
L’equilibrio di mercato è lo stato in cui, sotto un certo insieme di condizioni di mercato, la
quantità complessivamente domandata uguaglia quella offerta (D(p) = S(p)). Il prezzo
corrispondente è detto prezzo d’equilibrio. Non sempre esiste tale equilibrio.
qII q* qIII Q
Concetti di elasticità
1) Elasticità della domanda
Se le curve della domanda e dell’offerta si muovono contemporaneamente, l’analisi qualitativa non
basta, bisogna ricorrere ad una quantitativa. È necessario, infatti, in questo caso, conoscere la
pendenza delle curve. Per capire quale sarà il nuovo livello del prezzo di equilibrio al variare di D
ed S, ricorriamo alla nozione di elasticità della domanda rispetto al prezzo.
L’elasticità al prezzo di una curva di domanda rappresenta la variazione relativa alla variabile
dipendente a seguito della variazione della variabile indipendente.
εD = -(Δq /q) / (Δp/p) = (Δq/Δp) x (p/q)
poiché l’elasticità è data dal rapporto tra la variazione della quantità e la variazione del prezzo, è un
numero puro. Rappresenta la reattività della quantità domandata ad una variazione di prezzo.
εD = - (BP/BC) / (BP/OB)= BC/OB P
Dove BP/BC è il coefficiente angolare della
retta tangente della curva in P.
l’elasticità dipende dalla pendenza della retta
rispetto le ordinate e dal rapporto p/q nel punto
in considerazione.
l’elasticità della domanda è un valore puntuale, P
A
varia cioè da punto a punto.
O C Q
B
qa qb q1a q1b Q
O C Q
B
Esistono categorie di curve con elasticità costante. Esse sono:
− curve perfettamente elastiche: lineari e parallele alle ascisse εD = -∞
− curve perfettamente rigide: lineari e parallele alle ordinate εD = 0
− curve a elasticità unitaria: iperbole equilatera εD = 1
Il valore dell’elasticità al prezzo di una curva di domanda dipende da:
− grado di sostituibilità di un bene: quanto più sostituti esistono tanto più il bene è sensibile al
prezzo. Se i prezzi dei sostituti calano gli acquirenti preferiscono acquistare questi ultimi.
− Tipo di bene: di lusso o primario.
− Dalla percentuale di spesa per quel bene sul reddit
− o: il sale influisce poco sulla spesa mensile, e le variazioni di prezzo sono talmente basse
che non le percepiamo neanche.
− Livello del pezzo.
3) Elasticità dell’offerta
È possibile analizzare la curva dell’offerta mediante il concetto coefficiente di elasticità dell’offerta
rispetto al prezzo. Esso rappresenta il rapporto tra la variazione relativa della quantità offerta e la
corrispondente variazione relativa del prezzo. Poiché la curva d’offerta è direttamente proporzionale
al prezzo, il coefficiente avrà sempre segno positivo, a differenza del coefficiente d’elasticità della
domanda.
εs = (Δq/q) / (Δp/p) = (Δq/ Δp) x (p/q)
La εs puntuale è data dal rapporto tra il prezzo corrispondente al punto in cui viene calcolata e la
differenze tra quest’ultimo e l’intercetta verticale della tangente nel punto considerato.
H
P
B C
O A Q
intercetta elasticità
P
verticale ε<1
>1 ε=1
positiva ε>1
=1 Pa
nell’origine Pb
<1 Pc
negativa
O
Q
In un mercato FIX PRICE i venditori decidono ilo prezzo (con la tecnica del mark-up cioè prezzo =
costo + un determinato margine di profitto) fino ad una quantità produttiva limitata q* mentre i
consumatori decidono la q di equilibrio. Se la quantità richiesta è superiore alla capacità q* allora i
consumatori ingaggiano un rialzo dei prezzi per accaparrasi la quantità scarsa. In questo modo la q
(fissata dalla capacità produttiva offerta) sarà sempre la stessa ma il prezzo lo decideranno i
consumatori (graficoÆ S ad L e tre D)
Il mercato FIX PRICE si verifica in quei mercati di carattere monopolistico (sigarette).
MODELLI D’IMPRESA
1. Impresa familiare. Si afferma durante la prima rivoluzione industriale in Inghilterra,
soprattutto nei settori tessili. È di medio-piccole dimensioni, monoprodotto. Si tratta di imprese a
livello di contea, che soddisfano il mercato locale, e hanno bisogno ci farsi concorrenza,
preferiscono invece instaurare rapporti di non belligeranza. Si basa sulla funzione produttiva e la
tecnologia e i macchinari sono standardizzati. Non vi è scissione tra proprietà e controllo, in quanto
il proprietario si occupa della supervisione, coordinamento e controllo.
2. Impresa funzionale ( U-form). Si afferma durante la seconda rivoluzione industriale, grazie al
notevole sviluppo tecnico, economico e umano. Si afferma in quei settori che in quegli anni hanno
un grande progresso, come le ferroviario, siderurgico, elettrico, chimico e meccanico Cambiano
notevolmente i processi produttivi, viene introdotto il lay-out per aumentare l’efficienza e il
coordinamento, ed inoltre i grandi volumi permettono il raggiungimento di economie di scopo e di
ampiezza. Tutto ciò permette di ridurre i costi di produzione. . Le aumentate dimensioni aziendali
comportano la necessità di definire rapporti di autorità, responsabilità e comunicazione. Nasce così
l’organigramma. Un’importante novità è la nascita di una gerarchia imprenditoriale che coadiuva la
proprietà nella sempre più complicata gestione dell’impresa.
3. Impresa multidivisionale (M-form). Si afferma all’inizio del ‘900. Le dimensioni crescono
ulteriormente e possono diventare causa di fragilità. Per difendersi dal rischio l’impresa ricorre alla
diversificazione dei prodotti, e all’ampliamento della gamma offerta. Si costituiscono così delle
divisioni per prodotto o area geografica, che si comportano come delle imprese U-form, e che
hanno una base tecnologica comune, vicina alla core technology. Permane comunque un centro
dirigente, supportato da uno staff, che si occupa della supervisione, coordinamento, valutazione e
allocazione delle risorse. Nascono conflitti d’interesse tra la proprietà e la gestione.
4. Impresa conglomerata. Si afferma tra i due conflitti mondiali negli USA in risposta
all’accresciuta competizione. È l’evoluzione della multidivisionale estesa a settori non correlati. La
vastità di tale impresa ne diminuisce la coesione, e complica la gestione da parte dei vertici
imprenditoriali, i quali devono basare le loro decisioni su rapporti finanziari. Il nucleo decisionale
si concentra sulle acquisizioni, la finanza e il controllo, mentre sono escluse marketing, produzione
e R&S. Cambia anche la proprietà, non solo individui, famiglie, banche, ma anche fondi
pensionistici e comuni.
5. Holding. È un insieme di imprese facenti capo ad un’unica funzione finanziaria, con capitale
azionario in proprietà incrociata. Si tratta di un gruppo finanziario e produttivo allo stesso tempo,
ma si focalizza sempre di più sull’aspetto finanziario e sulla ricerca di capitali.
6. Impresa multinazionale. Ha una storia a sé, che confluisce poi nella conglomerata. Si tratta
d’imprese, che possiedono interesse economico e attività in più paesi del mondo.
ECONOMIA INDUSTRIALE
L’economia industriale è una scienza empirica che si occupa principalmente di:
− Organizzazione della produzione settoriale.
− Rapporti tra mercato e impresa.
− Rapporti tra stato e impresa.
E possibile individuare tre gruppi di tematiche affrontate in periodi differenti:
1) Marshall (trade&industry, 1880). È a cavallo tra la scuola classica e neoclassica, ed è il primo
ad occuparsi della configurazione industriale. Focalizza il suo studio su:
a) Concentrazione di mercato.
b) Integrazione.
c) Rapporti con le imprese
d) Complessità settoriale.
e) Accrescimento delle imprese.
2) Industrial organization: si afferma negli anni 30 in USA, e studia:
a) Metodo di fissazione del prezzo e quantità da produrre.
b) Condizioni che determina la concorrenza all’interno di un settore.
3) Market competition: studia
a) Mercati al fine di creare ambienti competitivi.
b) Monopolio.
c) Intervento di autorità a garanzia della concorrenza.
Si esamina un caso limite analizzando una curva di domanda che attraversa tutti i valori
dell’elasticità, ottenendo una retta che interseca entrambi gli assi che avrà elasticità infinita nel
punto A elasticità uguale ad 1 nel punto B ed elasticità uguale a 0 nel punto C.
Rappresentando la funzione del ricavo totale in corrispondenza dei punti della curva di elasticità si
otterrà una parabola rovesciata in quanto gli incrementi della superficie saranno crescenti fino al
punto B e decrescenti oltre, annullandosi negli estremi A e B. La curva del ricavo totale avrà
sempre il suo massimo in corrispondenza del valore unitario dell’elasticità sulla curva di domanda.
Questo tipo di funzione del ricavo totale è caratteristica di un monopolio.
Esaminando un altro caso limite si rappresenta una curva di domanda perfettamente elastica (una
retta perpendicolare all’asse delle ordinate in quanto ad una variazione infinitesima del prezzo si
ottiene una variazione infinita della quantità). Questo tipo di curva di domanda è quella del mercato
a concorrenza perfetta dove il prezzo rappresenta un vincolo stabilito dal mercato. La funzione del
ricavo totale sarà rappresentata da una retta uscente dall’origine.
La funzione del ricavo totale dunque si muoverà tra i due casi limite esaminati e descriverà il tipo
di mercato a cui è riferita.
P
RT = pxq Æ RT = f(q)
O Qa Q
L’inclinazione della curva di domanda dipende dal tipo di mercato in cui ci troviamo e ad ogni
inclinazione corrisponde anche una certa elasticità della domanda. Bisogna quindi innanzitutto
analizzare la funzione di ricavo.
P
D1= oligopolio
D1 D= concorrenza perfetta
In concorrenza perfetta essa è meno inclinata rispetto
al caso dell’oligopolio. Infatti, se ipotizziamo che
A un’impresa può variare il prezzo più consumatori si
Pa
rivolgono ad essa e quindi aumenta notevolmente le
quantità vendute. Quindi la domanda è molto reattiva
al variare del prezzo. Dal grafico si può vedere che
D ad una stessa diminuzione di prezzo nell’oligopolio
corrisponde un aumento della quantità inferiore.
O Qa q1 q Q
Studiamo ora l’andamento della funzione di ricavo totale. Prendiamo un caso limite, ovvero un
andamento lineare della curva di domanda, che mostra tutti i possibili valori dell’elasticità della
domanda al prezzo.
AÆε=∞
P BÆε=1
A
E CÆε=0
F
nel grafico di sotto è mostrato l’andamento dei
B
ricavi totali al variare della quantità.
Supponiamo di aumentare poco alla volta la q.
C da A Æ B ε>1 : aumento più che proporzionale
della q al variare del p.
O
da B Æ C ε<1: aumento meno che
PQ proporzionale della q al variare di p.
la curva dei ricavi assume un andamento di
parabola rovesciata
ε>1, RT crescente
ε<1 RT decrescente
ε=1. RT punto di massimo
Q
Ovviamente si possono fare altre ipotesi circa l’andamento della curva di domanda. Ad esempio si
può considerare un curva perfettamente elastica ( ε=∞).
Quelle rappresentate sono le due forme estreme all’interno delle quali si muove la curva di ricavo.
La parabola rovesciata rappresenta il monopolio, mentre la retta uscente dell’origine rappresenta la
concorrenza perfetta.
Essi sono crescenti a tassi prima decrescenti, poi crescenti. La curva dei costi variabili presenta un
punto di flesso ( F) in cui cambia l’andamento della curva. Esso rappresenta il punto di efficienza
tecnica, ovvero individua la quantità per cui si raggiunge la migliore combinazione di tutti gli
elementi. Fino ad una certa quantità, l’aumento di unità lavorative determina maggiori sinergie,
quindi i costi unitari si riducono. Lo stesso incremento di quantità determina un aumento meno che
proporzionale dei costi. Raggiunta una certa quantità vi potrebbe essere un’eccessiva usura dei
macchinari, potrebbe diventare più complicato organizzare il lavoro, in poche parole le sinergie
vengono meno, e quindi per lo stesso incremento di quantità si ha un aumento più che proporzionale
dei costi.
CT
CT
CVT
CFT
F
O qf Q
− economie di scala: Riduzione del costo medio di produzione all’aumentare del volume della
produzione (della scala produttiva). Le motivazioni sono da un lato di tipo pecuniario, in quanto vi
sono sconti associati all’acquisto di grandi volumi, dall’altro reali. Si verificano le economie
stocastiche di scala (all’aumentare della domanda, ne diminuisce la varianza); economie dei fattori
comuni (spalmare costi una tantum, es. R&D, all’interno del costo medio di produzione); economie
ingegneristiche (legate al fatto che il volume di proporzione aumenta in maniera meno che
proporzionale al costo di produzione).
− economie di varietà (o scopo): Il costo della produzione congiunta di 2 beni è inferiore alla
somma dei costi delle 2 produzioni separate.
C(q1 + q2) < C(q1,0) + C(0,q2)
− economie di multilocalizzazione: riduzione del costo di trasporto dell’output o dei fattori
produttivi; differenziazione del prodotto più sensibile alle peculiarità della domanda locale; costi di
approvvigionamento inferiori
− economie di apprendimento (learning by doing): Riduzione del costo medio di produzione
all’aumentare della produzione cumulata. Tale riduzione è dovuta a migliore organizzazione
interna; specializzazione della forza lavoro; maggiore programmabilità dell’attività. I settori in cui
tali economie sono particolarmente rilevanti sono quelli con forte componente del lavoro manuale, e
quelli con molte fasi distinte del processo di produzione.
Oltre un certo livello non è più conveniente per l’imprese aumentare la produzione perché ciò
determina delle diseconomie di scala.
p
B Æ εp=1 Æ Rmg = 0 Æ RT è massimo
εp>1 Æ Rmg > 0 Æ RT aumenta
εp<1 Æ Rmg < 0 Æ RT diminuisce
q
Rmg
Per individuare i punti del costo medio traccio le congiungenti dall’origine ad un punto della curva.
Per la curva CVT l’angolo individuato dalla congiungente diminuisce fino alla tangente alla curva.
Dopo di che i valori dell’angolo aumentano. Quindi la curva CVT ha un punto di minimo dove la
congiungente è anche tangente.
Anche per la curva CT l’angolo individuato dalla congiungente diminuisce fino alla tangente alla
curva per poi cominciare a crescere. Quindi, CMT ha un punto di minimo la dove la congiungente è
anche tangente. Questo punto è più a destra di CVM per via dell’aggiunta dei costi fissi.
Definisco ora:
− Costo marginale Cmg = dCT/dq = dCFT/dq + dCVT/dq = 0 + dCVT/dq
Geometricamente il costo marginale è rappresentato dall’angolo della tangente a ciascun punto della
curva (mentre il costo medio è rappresentato dall’angolo della congiungente).
Sappiamo che F è un punto di flesso e in corrispondenza di esso vi è una discontinuità nella
funzione del costo marginale. Fino al punto di flesso l’angolo della tangente diminuisce, dopo
cresce. La curva costo marginale è quindi una curva con minimo nel punto di flesso. Tale curva
fino al punto di flesso si trova sotto la curva di costo medio, poiché l’angolo della tangente è
inferiore a quello di qualsiasi congiungente. Raggiunto il punto di minimo l’angolo della tangente
comincia a crescere finché esso coincide con quello della congiungente. In questo caso il costo
marginale coincide con il costo medio. Come visto prima ciò avviene nel punto di minimo della
CMT e della CMV.
In definitiva si può dire che la curva di costo marginale è una curva con minimo nel punto di flesso
e passante per i punti di minimo delle CM e CMV.
R5_TEORIA DELLA STRUTTURA INDUSTRIALE
Per struttura industriale intendiamo indicare il modo in cui la produzione di un cero bene si
ripartisce tra tutte le imprese che appartengono all’industria e lo producono.
Per industria s’intende l’insieme delle imprese che producono beni simili per il consumatore.
Secondo la teoria tradizionale la struttura di un industria dipende dall’interazione tra due fattori:
− La tecnologia rappresentata dalla funzione di costo.
− L’operare dei meccanismi di concorrenza.
La teoria tradizionale si basa su una serie di ipotesi semplificative e molto drastiche. Innanzitutto lo
studio è adatto a rappresentare il tipo di impresa delle origini, ovvero l’impresa familiare, nota
anche come 1x1x1: un’impresa monoprodotto, che utilizza una risorsa fondamentale, quale ad
esempio il lavoro.
In secondo luogo, si considera l’industria come sistema isolato rispetto al resto del sistema
economico.
Inoltre si considerano i consumatori come soggetti price-taker, ovvero la variazione della propria
domanda non altera il volume della domanda complessiva.
L’oggetto della teoria della struttura industriale è quello di studiare le configurazioni industriali
d’equilibrio. Una configurazione industriale è caratterizzata dal numero d’imprese attive
nell’industria, dalla quantità prodotta dalla singolo impresa e dal prezzo praticato da ognuna di esse.
Una configurazione industriale è in equilibrio quando nessuna impresa dell’industria varia le
decisioni relative ad uno dei fattori che definiscono la stessa.
Le decisioni che un’impresa può prendere sono:
− Quali beni produrre.
− Quanto produrre di ciascun bene.
− A che prezzo offrire il bene sul mercato.
Secondo la teoria tradizionale la struttura effettiva di un’industria coincide con quella ideale se
vigono le condizioni di concorrenza perfetta. Ed è per questo che la prima struttura analizzata è
proprio questa.
ΠT
O qa q* qb
La quantità per cui il profitto ha valore massimo, è quella in corrispondenza della quale le curve CT
e RT sono più distanti, (K e J), ovvero quella per cui Rmg=Cmg, ovvero, quando le tue curve hanno
stessa pendenza e sono quindi parallele.
A questo risultato si poteva giungere anche in maniera algebrica, come abbiamo già visto.
ΠT=RT–CT.
Poiché RT=f(q) e CT=f(q) anche ΠT=f(q).
Max ΠT Æ dΠT/dq=0 Æ (dCT/dq – dRT/dq)=0
− ricavo marginale Rmg = dRT/dq
− costo marginale Cmg = dCT/dq
Allora si ha max ΠT quando Rmg=Cmg Æ CONDIZIONE DI EQUILIBRIO.
Questo vale per tutte le imprese, sia che esse siano in concorrenza perfetta o meno.
O
q* O qiL qi*
Nel caso particolare della concorrenza perfetta, poiché il prezzo è immutabile, la curva di domanda
della singola impresa in concorrenza perfetta è una retta parallela alle ascisse pari al prezzo di
equilibrio del mercato. Inoltre poiché:
RT = pxq
RM = RT/q = pxq/q= p
Rmg = dRT/dq = d(pxq)/dq = px(dq/dq) + qx(dp/dq) = p + 0 = p
La singola impresa realizza il massimo profitto, in base alle considerazioni precedenti, nel punto
d’incontro tra Cmg e Rmg ( H ). Ci si chiede a questo punto perché il punto di efficienza
dell’impresa non è L dato che in corrispondenza di esso si hanno costi medi variabili minimi e
quindi profitto unitario massimo.
Per capire ciò analizziamo la figura.
In corrispondenza di H:
RT = Oqi* x Op* Æ superficie del rettangolo O-qi*-H-p*
CT = Oqi* x OC Æ superficie del rettangolo O-qi*-T-C
ΠT = (O-qi*-H-p*) - (O-qi*-T-C) = C-T-H-p*
In corrispondenza di L:
RT = OqiL x Op* Æ superficie del rettangolo O-qiL-M-p*
CT = OqiL x OC1 Æ superficie del rettangolo O-qiL-L-C1
ΠT = (O-qiL-M-p*) - (O-qiL-L-C1) = C1-L-M-p*
Per individuare in quale caso si ha massimo profitto dobbiamo confrontare i due rettangoli
C-T-H-p* e C1-L-M-p*.
In realtà si può notare che essi hanno in comune un parte corrispondente al rettangolo C-K-M-p*,
quindi ci riduciamo a confrontare i rettangoli C1-L-KC e K-T-H-M .
Si dimostra analiticamente che K-T-H-M> C1-L-KC, quindi il profitto totale si massimizza in
corrispondenza del punto H come volevasi dimostrare.
Nel punto L invece ciò che si massimizza è il profitto unitario, in quanto si ha il minimo costo
medio totale, e quindi lo si può considerare un punto subottimale.
Solo quando la curva/ retta di domanda passa per il punto L, allora l punto subottimale coincide con
quello ottimale.
Possiamo a questo punto distinguere due tipi di efficienza:
− efficienza economica: l’impresa cerca l’ottimo economico, definito come massimo profitto
totale;
− efficienza tecnica: l’impresa produce ai minori costi una quantità inferiore rispetto a quella
corrispondente all’efficienza economica.
O
q* q** q*** O qi***qi**qi*
L’aumento dell’offerta provoca un abbassamento del prezzo, quindi una diminuzione del profitto,
fino ad annullarlo.
Ciò avviene quando dalla curva S si passa alla curva S1 e si viene ad individuare un nuovo punto di
equilibrio E1 al quale corrispondono p** e q** e quindi qi**. In questo punto P = RM = Rmg
=CMTmin = Cmg ( H1).
Poiché il profitto si annulla l’impresa dovrebbe cessare di produrre. In realtà se si riqualifica il
termine profitto le cose cambiano. Supponiamo che nei costi fissi siano già stati compresi la
remunerazione del capitale investito e dell’attività organizzativa dell’imprenditore. Allora, il
profitto di cui abbiamo sin ora parlato rappresenta un margine che si realizza sul mercato per effetto
della relativa scarsità dell’offerta rispetto la domanda. È un fatto momentaneo derivante dalle
condizioni di mercato. Può essere chiamato quindi extraprofitto, che è estremamente gradito
dall’impresa, ma si realizza perché i capitali non sono distribuiti nei mercati in modo tale da dare
identica remunerazione a tutte le produzioni.
Supponiamo che la curva di offerta si sposti fino ad arrivare a S2. In questo caso P = RM = Rmg =
CMVmin = Cmg. In questo punto l’impresa non solo vede annullare l’extraprofitto, ma non riesce
nemmeno a pagare i costi fissi, come ammortamenti, interessi, etc. Questa situazione è sicuramente
insostenibile dall’impresa nel lungo periodo, invece lo è nel breve. Infatti, l’impresa può cercare di
resistere in attesa che qualcosa cambi e che possa quindi ricompensare le perdite e i mancati profitti.
Oltre il punto H2 l’impresa non può comunque andare, in quanto scomparirebbe dal mercato.
La curva di offerta della singola impresa, in concorrenza perfetta, è il luogo geometrico dei punti
di equilibrio. Essa rappresenta il livello di produzione in funzione di un dato prezzo. abbiamo visto
che l’impresa aumenta la produzione finché i Cmg = p e cessa di produrre quando p < CMV. Allora
la curva di offerta corrisponde alla parte di curva di Cmg in cui il Cmg > CMV.
L’andamento di tale curva ricorda quello della curva di offerta del mercato poiché quest’ultima è
data dalla somma delle singole curve di offerta delle imprese appartenenti al mercato in esame. La
curva di mercato sarà però più inclinata rispetto a quella della singola impresa, in quanto presenta
una maggiore elasticità.
Le imprese vogliono fare extraprofitto, e quando lo ottengono cercano di preservare lo status quo.
Trovandoci in concorrenza perfetta le imprese non possono fare accordi (cartelli), a differenza
dell’oligopolio, ma devono adottare dei comportamenti individuali. Poiché la singola impresa non
può intervenire sulle condizioni di domanda, l’unica cosa che può fare è intervenire sulle condizioni
di offerta, e quindi sui costi. È possibile intervenire su di essi solo nel lungo periodo, in quanto
questo richiede investimenti per l’ampliamento della dimensione degli impianti. I vantaggi derivanti
da tali investimenti sono:
− aumento della produttività: generalmente una nuova tecnologia migliora la produttività , e
quindi per ogni unità di capitale investito ottengo più unità di prodotto.
− Diminuzione del costo fisso unitario: ciò è dovuto al fatto che producendo di più, i costi fissi
verranno spalmati su più unità.
− Diminuzione dei costi variabili: dovuta a impianti migliori.
In definitiva si riescono a raggiungere le così dette economie di scala.
Cmg
Cmg1
p* H
CMT H1 D=RM=Rmg=P*
CMT1
Curva d’inviluppo
O q* q**
Possiamo notare che nel punto H i CMT = Rmg, quindi il profitto si annulla. Se l’impresa adotta
una nuova tecnologia la curva dei costi si abbassa e poiché il prezzo rimane costante, i CMT <
Rmg, e riesce quindi a realizzare ancora extraprofitto ( siamo nel punto H1). Ovviamente, man
mano, tutte le imprese adotteranno la nuova tecnologia, quindi si ritorna nella situazione iniziale, in
cui non è possibile realizza extraprofitto. Ancora una volta l’impresa può cambiare la tecnologia
produttiva e ottenere i risultati noti. I costi non possono comunque essere abbassati all’infinito.
Oltre un certo punto i costi ricominceranno a crescere a causa delle diseconomie. Possibili cause di
tali diseconomie sono varie: l’aumentare delle dimensioni ostacola in normale svolgimento delle
funzioni; sono necessari maggiori sforzi di coordinamento; potrebbe diventare difficile il
reperimento di grandi quantità di materie prime. Esiste quindi un punto di minimo dei costi.
Definiamo ora una nuova funzione:
curva di inviluppo: è la funzione del costo al variare delle dimensioni dell’impianto; è il luogo
geometrico dei costi al variare delle dimensioni dell’impianto.
La curva di inviluppo è rappresentata dai punti di tangenza alla curva dei Cmg di breve periodo.
Incontra la curva dei Cmg a sinistra del punto di minimo quando decresce, a destra quando cresce e
coincide col minimo della minor curva dei Cmg.
Questo in realtà non è raro se non impossibile, in quanto un’impresa non può conoscere esattamente
la disponibilità a pagare di ciascun consumatore.
L’impresa può introdurre sul mercato quote di produzione a prezzi man mano decrescenti (es. Sony
Playstation), ci troviamo in questo caso in un mercato marshalliano. Offrirebbe quindi ad un prezzo
p1 la quantità q1 (A’), ad un prezzo p2 la quantità q2 (A’’), e così via, finché il Cmg è inferiore
della curva di domanda. In questo modo il monopolista riesce ad accaparrarsi parte della rendita del
consumatore (pari all’area celeste).
Un altro modo di discriminare il prezzo è quello che prevede l’utilizzo di elementi aggiuntivi al
bene o al servizio, in modo da catturare la maggiore disponibilità a pagare. In questo caso l’impresa
suddivide la domanda in due porzioni alle quali sono venduti due prodotti discriminati. L’esempio
più calzante è quello della prima e della seconda classe per i viaggi aerei o ferroviari. Il servizio è lo
stesso, cambia il trattamento a bordo. La grande differenza rispetto alla metodologia di
discriminazione precedente è che i prodotti vengono messi sul mercato contemporaneamente, non
in istanti di tempo diversi. C’è anche da dire che il produttore sa perfettamente qual è la quantità
richiesta dalle due porzioni della domanda.
L’impresa divide la q* in due parti, Oq’ e Oq*.
Cmg
si appropria così della rendita del consumatore,
p’ rettangolo blu e di quella in più rispetto al mercato in
A
p* concorrenza perfetta, rettangolo rosso.
p
E D
Rmg
O q’ q* Q
È come se l’impresa divide la domanda in due subdomande, una con una maggiore disponibilità a
pagare rispetto all’altra.
E D
Rmg’ D’
O q’ q* Q
Al mercato con minore disponibilità a pagare vende la quantità Oq’ ad un prezzo p*. L’impresa
realizza ΠT max, poiché a tale quantità corrisponde il punto di equilibrio E in cui Cmg = Rmg’
(della domanda con minore disponibilità).
Al mercato con maggiore disponibilità pagare vende un’altra quantità Oq’=q’q’’. Il prezzo al quale
vende tale quantità è individuato dal punto A’’, che è pari quindi a p’’. Anche in questo caso,
essendo tale curva uguale alla precedente, l’impresa si trova in una situazione d’equilibrio.
La somma delle due quantità, pari a Oq*, si trova ancora una volta in corrispondenza di un punto
d’equilibrio tradizionale, E’, dove Cmg= Rmg.
La discriminazione è una pratica molto usata, ma per essere attuata non deve essere possibile
vendere un bene acquistato ad un prezzo più basso ad un prezzo più alto.
La curva di profitto in un mercato monopolistico
ε = 1 Æ RT max Æ A
P ε > 1 Æ RT crescono
A ε < 1 Æ RT decrescono
L’impresa tradizionale, poiché ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, produce una
quantità inferiore a quella di massimo ricavo totale. Quindi, invece di espandersi, tende a
comprimersi. Tale impresa massimizza il profitto di breve periodo e non quello di lungo periodo,
questo atteggiamento le impedisce di crescere e ciò la porterà ad uscire dal mercato, in quanto
finisce col perdere quote di clienti.
p
E Æ equilibrio monopolio Æ A=(p*,q*)
Cmg E’ Æ equilibrio della singola impresa nel
lungo periodoÆ A’=(p**,q**)
A CMT
p*
A’ T
p**
E K
E’
D
Rmg’ Rmg D’
O q** q* q**m q
In A’, p** = CMT, ma anche Cmg = Rmg, esso corrisponde proprio con il punto di equilibrio in
concorrenza perfetta.
Il prezzo p** individua sulla domanda D il punto T, al quale corrisponde la quantita q**m, che
rappresenta le condizioni di equilibrio di mercato di concorrenza monopolistica.
A Æ equilibrio monopolio
T Æ equilibrio concorrenza
monopolistica
M Æ equilibrio in concorrenza perfetta
Ipotesi di partenza:
1) L’impresa è 1x1 (un’impresa che produce un solo prodotto con una sola risorsa)
2) L’obiettivo dell’impresa è la massimizzazione del profitto totale
3) Numerosità dei contraenti
4) Omogeneità dei prodotti
5) Assenza di barriere all’entrata
6) Informazione perfetta e simmetrica
Ci sono due modalità tecniche per identificare il punto di equilibrio dell’impresa in concorrenza
perfetta: ci sarà un equilibrio determinato dallo studio dei costi totali e del ricavo medio ed un
equilibrio determinato dallo studio dei costi totali e del ricavo totale.
Primo metodo:
RT = pq
RM = RT/q = pq/q = p
Il prezzo è un dato immutabile, l’impresa non può scegliere il prezzo. Dato che il prezzo è costante
anche il ricavo marginale è costante.
La quantità intercettata in H è quella che massimizza il profitto ed è il punto di equilibrio per tutte le
imprese in concorrenza perfetta. E’ possibile notare che in M si ha la massima distanza tra costi
marginali e ricavi quindi sembrerebbe il punto di massima efficienza per l’impresa.
La superficie rettangolo O-qi*-H-p* identifica i ricavi totali in quanto Oqi* (quantità) Op*
(prezzo).
I costi totali sono dati dal prodotto di Oqi* (quantità) per CO (costo unitario).
In termini geometrici dunque il profitto totale è dato dalla superficie del rettangolo CTHp*
Si vuole dimostrare che il profitto totale è massimo per qi* e diminuisce per valori diversi in
particolare per ql.
Il ricavo totale in questo caso sarà uguale alla superficie del rettangolo O-qil-M–p* mentre i costi
totali saranno uguali alla superficie del rettangolo O-qil-L-C’. Il profitto dunque sarà uguale alla
superficie C’-L-M-p*. E’ possibile dimostrare analiticamente che il rettangolo KTHM è maggiore
del rettangolo C’LKC , di conseguenza i profitti totali sono maggiori alla quantità q*.
L’impresa dunque in qi* massimizza il profitto totale, l’obiettivo è la massimizzazione del profitto
totale, non la minimizzazione dei costi.
L’efficienza tecnica è nel punto di flesso dei costi medi totali, mentre l’efficienza economica sta
nell’intersezione tra costi marginali e ricavi marginali
Secondo metodo:
E’ possibile ricavare il punto di equilibrio anche con la rappresentazione grafica di ricavi totali e
costi totali.
Fino alla quantità qa il profitto sarà negativo in quanto i costi totali saranno maggiori dei ricavi
totali. A partire dalla quantità qa i profitti cresceranno fino alla quantità q* identificata dal punto di
tangenza tra la curva dei costi totali e la retta parallela alla retta dei ricavi totali. In quel punto infatti
la distanza tra RT e CT sarà massima.
(ATTENZIONE MANCA PARTE)
Nel lungo periodo l’impresa non può sostenere un punto di equilibrio al di sotto di H’, mentre nel
breve periodo questo è possibile.
Quindi nel breve periodo l’impresa deve coprire almeno i costi medi variabili, mentre nel lungo
periodo l’imprese deve coprire tutti i costi
Concorrenza Monopolistica
La concorrenza monopolistica ha sia caratteri della concorrenza perfetta sia caratteri di monopolio
precisamente:
1) alto numero di contraenti
2) prodotto differenziato
3) presenza di barriere all’entrata
Ipotizziamo che in un mercato monopolistico con una sola impresa entri una seconda impresa con le
medesime caratteristiche della prima. La domanda della prima impresa D diventerà la domanda
totale di mercato, mentre la domanda delle singole imprese sarà D’ per entrambe e le imprese
produrranno la quantità q** (la metà di q*). La curva si sposterà sempre più verso destra riducendo
sempre di più l’extraprofitto fino al punto in cui la curva di domanda sarà tangente al costo medio
totale minimo.
La nuova posizione di equilibrio sarà nel punto in cui costo marginale e ricavo marginale si
intersecano cioè E’ vale a dire il punto A’ sulla retta della domanda
La condizione di equilibrio per la concorrenza monopolistica si ha dunque laddove la domanda per
la singola impresa è tangente alla curva dei costi medi totali, corrispondente al punto T sulla retta
della domanda totale di mercato.
Confronti di benessere tra le forme di imprese
La miglior forma di mercato per le imprese è il monopolio in quanto le imprese gradiscono staticità.
In un mercato statico l’equilibrio di mercato si pone tendenzialmente a quantità basse e prezzi alti.
Il mercato però è uno strumento che è tanto più efficiente quanto più riesce a veicolare gli scambi,
un sistema economico infatti è tanto migliore quanto maggiori sono gli scambi di mercato, infatti
tanto maggiori sono i consumatori, tanto maggiori dovranno essere i prodotti per soddisfarli tanto
maggiori saranno i posti di lavoro che si creeranno etc. Bisogna quindi incentivare configurazioni di
mercato che incentivano gli scambi, cioè configurazioni che aumentano le quantità e riducono i
prezzi. Questo significa adottare l’ottica del consumatore per giudicare la bontà di un mercato.
La forma teorica migliore è, dunque, quella del mercato a concorrenza perfetta.
E’ possibile dimostrare sul grafico che in K (il punto d’equilibrio in concorrenza perfetta) viene
intercettato un prezzo p*** < p** e una quantità q*** > qm** (considerata però come sommatoria
delle quantità di tutte le imprese in concorrenza perfetta).
R6_TEORIE DELL’OLIGOPOLIO
QB
AB e CD sono funzioni di risposta ottima: individuano
le quantità per cui l’impresa massimizza il profitto.
B Inoltre individuano i punti per cui l’impresa raggiunge
l’equilibrio. la funzione di risposta ottima indica la via
di espansione ottima dell’impresa.
C
Poiché il mercato è diviso in due parti uguali, il luogo
geometrico delle combinazioni di equilibrio di mercato
è rappresentato da una retta a 45°.
A D QA
Tracciamo una serie di isoprofitto. Queste convergono su un punto che è l’unico per cui l’impresa
ha un equilibrio e coincide con il punti di massimo della isoprofitto, che si trova sulla funzione di
risposta ottima.
Il punto d’incontro tra le sue risposte ottime rappresenta l’equilibrio di Cournot. Nessuna delle
due imprese ha convenienza a spostarsi da tale punto poiché in esso massimizzano il proprio
profitto, dato il livello di produzione del concorrente. Supponiamo ad esempio che l’impresa A
produca di più per aumentare i propri profitti. Anche B potrebbe fare lo stesso. Così facendo si
avrebbe un eccesso di offerta e le imprese dovrebbero diminuire le quantità immesse sul mercato, e
tornare in definitiva nel punto E. La somma delle quantità prodotte dalle due imprese danno la
quantità scambiata sul mercato. Il prezzo al quale le imprese venderanno i proprii prodotti si
determina, dato E, in corrispondenza del punto in cui l’offerta è uguale alla domanda.
MODELLO DI OSBORNE
Supponiamo che le imprese vogliano aumentare i loro profitti, dalla posizioni l’equilibrio di
Cournot si dovrebbero spostare verso isoprofitto più basse, quindi da I°a/ I°b a I’a/I’b, da E a A’/B’.
In corrispondenza di tali punti le impresa hanno un profitto maggiore, però, producono una quantità
eccedente la domanda, quindi non si ha in una posizione d’equilibrio di mercato. Per individuare un
punto di equilibrio ci si deve spostare lungo le isoprofitto verso il punto K, detto ottimo paretiano.
In tale punto si ha che:
− Le isoprofitto I’a e I’b sono tangenti
− Per entrambe ΠT > ΠTE.
− qE < qK Æ le imprese si possono collocare in una posizione della domanda più profittevole
ed accaparrarsi quindi parte del surplus del consumatore. Ci troviamo in una condizione
sicuramente non ottima per i consumatori.
Tale punto ottimizza la posizione di entrambe le imprese, ma può essere raggiunto solo se vi sono
accordi tra le due. In tale punto le imprese non sono in equilibrio singolarmente ma lo sono tra loro.
Nel momento in cui una delle parti viene meno all’accordo, le cose cambiano.
Supponiamo che A non si accontenti del ΠTK e per aumentarlo decide di produrre una maggiore
quantità, si sposta quindi in una isoprofitto maggiore, I’’a. B si comporta di conseguenza. L’impresa
A sceglie di porsi sulla isoprofitto I’’a in quanto per H passa la isoprofitto minima accettabile
dall’altra impresa, I°b.Ora che le imprese non sono più in equilibrio tra di loro, devono cercare il
proprio equilibrio individuale e ciò significa spostarsi sulla isoprofitto fino a raggiungere il punto
d’incontro con la curva di risposta ottima ( da H/L Æ H’/L’). La somma delle quantità
corrispondenti ad H’ ed L’, non è assorbibile dal mercato, per questo le imprese sono spinte a
diminuire la produzione fino a tornare nel punto E. Quindi, quando viene meno l’accordo,
dall’equilibrio paretiano si torna a quello di cournot. L’ipotesi fondamentale è che le imprese non
sanno cosa succede se non rispettano l’accordo.
Lo svantaggio di tale modelle è che è falsamente dinamico.
QB
A D QA
MODELLO DI STACKELBERG
A differenza di Cournot, Stackelberg ipotizza che vi sia un’impresa leader ed una follower.
Supponiamo che l’impresa leader non si accontenti di produrre la quantità q*a e voglia aumentare il
proprio profitto. Allora si posiziona su una isoprofitto più bassa, più vicina alle ascisse. Ora
l’impresa A produce qHa, mentre B qHb, inferiore a q*b, l’impresa B vede diminuire il suo profitto,
ma essendo H sulla risposta ottima di B, quest’ultima è in equilibrio e accetta le decisioni della
leader. Nonostante A abbia costretto B a produrre meno ed ha un maggiore profitto, non si trova in
una posizione del tutto soddisfacente, in quanto, nonostante si sia spostata su una isocosto migliore,
non si trova in un punto ottimo. Decide allora di spostarsi da H verso A, in cui ha lo stesso
maggiore profitto, ma produce meno. In A, però, l’impresa B non è più in equilibrio, quindi decide
di tornare a produrre q*b. L’impresa A si trova a produrre una quantità eccedente, e allora è
costretta anch’essa a produrre nuovamente q*a, si torna così nell’equilibrio cournotiano.
QB
I’a isoprofitto tangente in H alla risposta ottima di B
B H Æ equilibrio di Stackelberg.
E Æ equilibrio di Cournot
C
A D QA
MODELLO DI BERTRAND
Questo modello, come quello di Cournot si applica a imprese che producono beni omogenei e
prendono decisioni simultaneamente. Invece di agire sulla quantità agiscono sul prezzo. secondo
Bertrand se le imprese si fanno concorrenza mediante il prezzo, l’oligopolio degenera nella
concorrenza perfetta.
Supponiamo che i costi sono costanti e che la capacità produttiva non è infinita.
Se i costi sono costanti Cmg = CMT = K = Rmg
p KR = RP
R Æ equilibrio del monopolista, il cui prezzo
H A d’equilibrio è p*
p* Se le imprese fossero 2 Æ Rmg = D1 = D2 = D0
L Æ Rmg0 = Cmg Æ equilibrio di ciascuna impresa
L
oligopolista.
K R P OqH = ½ Oq* Æ ogni impresa oligopolista vende la
metà della monopolista allo stesso prezzo p*.
Rmg0 D
O
qH q* Rmg q
Supponiamo ora di rimuovere l’ipotesi che le imprese hanno capacità produttiva limitata, e
supponiamo inoltre che esse inizino a farsi concorrenza sul prezzo. Allora esse offriranno maggiori
quantità a prezzi inferiori. Fanno ciò fino ad arrivare al punto P in cui CMT = Cmg = K = p = Rmg.
Questo non è altro che l’equilibrio di lungo periodo in concorrenza perfetta.
MODELLO DI SWEEZY
È un modello che analizza situazioni non perfettamente concorrenziali e si differenzia dagli altri
poiché si basa sul presupposto che la domanda non è conoscibile a priori. Viene quindi costruita ex-
post. La domanda in questo caso non rappresenta più la disponibilità a pagare, ma da una
descrizioni delle situazioni di equilibrio passate. Per capire come è fatta la curva di domanda,
l’impresa immette una quantità sul mercato e vede cosa succede.
Poiché l’impresa è massimizzante, si trova in equilibrio quando Cmg = Rmg.
L’impresa immette una quantità qE sul mercato a cui corrisponde un certo valore dei costi
marginali. In base al ricavo ottenuto trovo il punto A che si appartiene sicuramente ad una curva di
domanda. In E passa sicuramente anche la curva dei costi marginali, rappresenta quindi un punto
d’equilibrio.
A questo punto l’impresa inizia a far leva su quantità e prezzi per vedere cosa accade. Supponiamo
che voglia aumentare il prezzo, si trova quindi a dover diminuire la quantità. L’impresa si aspetta di
vendere q’ corrispondente a B, invece in realtà vende q’’, corrispondente a C, che si trova sulla
curva di domanda D’. Ciò significa che B non appartiene alla curva di domanda, e che la curva di
domanda è più elastica di quanto ci si aspettasse. Questo avviene perché le altre imprese non alzano
i prezzi, quindi i consumatori si rivolgono ad esse.
Supponiamo ora che l’impresa voglia aumentare la quantità e, pensando di trovarsi su D’, si voglia
collocare il L; deve dunque diminuire il prezzo fin a pL in corrispondenza del quale si aspetta di
vendere una quantità qL. In realtà riesce a vendere qD poiché anche le altre imprese hanno
abbassato i prezzi per paura di perdere clienti. La quantità qD individua il punto D sulla curva di
domanda Do. La domanda in questo caso risulta meno elastica.
La curva di domanda individuata dall’impresa è una spezzata, molto elastica da A verso l’alto, poco
elastica da A verso il basso. Si dice che la domanda presenta un gomito di elasticità diversa.
P, C B
pb C da A in su Æ ε elevata
A da A in giù Æ ε bassa
p* D L
pl perdita di competitività se aumento il prezzo
D’
stessa competitività se lo diminuisco.
Do
E
Cmg°
Q
qc qb qa qd ql
- Modelli di Oligopolio
Le rette rappresentano le funzioni di risposta ottima per le due imprese,le curve rappresentano le
curve di isoprofitto. La bisettrice è il luogo geometrico delle combinazioni di equilibrio tra le due
imprese. Laddove le curve intersecano le risposte ottime avremo una quantità corrispondente
massimizzata in condizioni d’equilibrio per l’impresa. In questa situazione ogni impresa
cercherebbe di produrre ad una quantità maggiore rispetto a quella in E (la funzione di risposta
ottima individua profitti crescenti al crescere della quantità). In questo modo però ci sarebbe un
eccesso di quantità prodotta che non sarebbe assorbita dal mercato, per questo le imprese si
assesteranno sulla quantità intercettata da E nonostante il profitto sia minore. Tale punto rappresenta
l’equilibrio di Cournot. Il prezzo risulterà dalla sommatoria delle quantità immessa dalle imprese.
Le imprese dunque stabiliranno la quantità e successivamente si otterrà il prezzo.
- Il modello di Osborne (grafico)
Le imprese abbandonano il punto di equilibrio E e si collocano in K che rappresenta una situazione
di equilibrio in quanto punto della bisettrice. Osborne afferma che le imprese per rimanere sul punto
K si accordano in un cartello in quanto ritengono più profittevole produrre una quantità al di sotto
della domanda totale di mercato. Il punto K è un ottimo Paretiano e definisce una situazione
ottimale solo per i soggetti coinvolti (in questo caso le imprese). Ipotizziamo che un impresa voglia
aumentare il proprio profitto aumentando la quantità prodotta e passa da K ad H (punto situato sulla
curva di isoprofitto minima accettata dall’altra impresa). L’altra impresa reagirà passando da K ad
L. In questi punti nel momento in cui riconfigureranno la propria produzione non si troveranno più
in una condizione di ottimalità pertanto si muoveranno lungo le curve di isoprofitto fino ad
intersecare la funzione di risposta ottima nei punti H’ ed L’. In questa situazione ci sarà una quantità
prodotta in eccesso non assorbita dal mercato pertanto le imprese ritornano in E. Quindi K è un
punto di equilibrio instabile: se qualche impresa abbandona il cartello costituitosi in K le imprese
ritornano in E.
Bertrand arriva alla conclusione che in un mercato oligopolistico caratterizzato da curve dei costi
costanti rimuovendo l’ipotesi dei vincoli di capacità produttiva le imprese che si faranno
concorrenza ridurranno il prezzo fino a giungere in condizioni di concorrenza perfetta annullando
gli extraprofitti. Considerando invece i vincoli di capacità produttiva allora le imprese produrranno
esattamente la quantità che si produce in monopolio.
-Il modello di Sweezy (grafico)
Sweezy afferma che è possibile identificare la curva di domanda solo ex-post tramite tentativi.
Sweezy afferma che l’impresa tenta di immettere una certa quantità nel mercato (qe) e sulla base di
tentativi costruisce la curva di domanda in quanto non conosce a priori la disponibilità a pagare
(esempio grafico).Noterà che la domanda risultante non è una retta, ma è una spezzata ad angolo in
A in quanto avrà una elasticità maggiore se la quantità sarà minore di qe ed elasticità minore ad una
quantità maggiore di qe. Queste variazioni dell’elasticità sono dovute alle diverse reazioni delle
imprese concorrenti al variare della quantità immessa: non la seguiranno nella diminuzione della
quantità, mentre la imiteranno nell’ aumentare della quantità.
R7_TEORIA MANAGERIALE DELL’IMPRESA
O qb q*qS qRT qc
Q
d
d*
d* d
Il manager deve trovare il saggio di diversificazione che massimizza quello di crescita. Inoltre,
ricordando che p = m/c occorre che la scelta di d sia comunque congruente con quella di p, in modo
da determinare una crescita possibile, cioè finanziata.
In definitiva si può capire che la crescita dimensionale ottimale dell’impresa dipende dal manager e
più precisamente dalla sua propensione al rischio. Il manager sceglie a che punto fermarsi nella
crescita in quanto non otterrebbe né vantaggi di crescita né di valore azionario. Qual è allora la
combinazione ottimale di tasso di crescita e valore azionario?
Sappiamo che il valore azionario dipende da fattori, alcuni reali altri legati al giudizio che gli
investitori hanno dell’impresa. Esiste inoltre un valore minimo oltre il quale gli azionisti si
allontanano dall’impresa.
g* g** G
Il modello di Marris
Marris considera nel suo modello il continuo confronto con la borsa. L’obiettivo dell’impresa è la
massimizzazione del saggio di crescita bilanciata, cioè la massimizzazione del saggio di crescita
della domanda per l’impresa (obiettivo dei manager) e del saggio di crescita del capitale
dell’impresa (interesse degli azionisti: crescita dei dividendi e del valore delle azioni)
Lungo ciascuna curva il margine di profitto è costante, ma la domanda dell’impresa cresce nel
momento in cui cresce il saggio di diversificazione e differenziazione
I primi investimenti in ricerca e sviluppo incrementeranno la domanda ma successivamente gli
incrementi di domanda saranno nulli. Di conseguenza per avere un incremento della domanda (al
crescere della domanda) dovrò aumentare il capitale investito.
2)- Funzione del saggio di crescita del rapporto capitale/prodotto
C = C(d)
L’impresa può dunque operare, secondo il modello di Marris in base a diverse variabili strumentali:
1) può operare sul saggio di diversificazione (decidendo di innovare o meno in un settore
produttivo o in un mercato)
2) può operare sui margini di profitto (variando il prezzo dei propri prodotti)
3) può operare sulla quota di profitti non distribuiti (aumentando la quota del proprio
autofinanziamento), e sui saggi di emissione di nuove azioni (oltre che sul rapporto di
indebitamento, che nel modello è assunto costante).
R8_L’IMPRESA COME ISTITUZIONE
Problemi definitori
“Un settore industriale è una porzione del sistema economico nella quale sono aggregate imprese
simili che producono beni simili e sono tra loro interdipendenti”. Per imprese simili si intende
che hanno una somiglianza nei processi produttivi e dunque sono sostituibili dal lato dell’offerta,
per beni simili si intendono prodotti sostituibili dal lato della domanda mentre per interdipendenza
si intende che le azioni di un impresa influenzano quelle dell’altra impresa. Il problema di questa
definizione è la sua soggettività in quanto non è definito il peso di ogni caratteristica rispetto
all’altra e non è definito un valore di soglia da utilizzare per calcolare la similitudine e
l’interdipendenza.
La teoria economica
Sono diverse le teorie economiche che sono state applicate per la definizione di settore.
Inizialmente la teoria della CONCORRENZA PERFETTA di Marshall è stata utilizzata per definire
i settori in base all’omogeneità del prodotto, ma questa teoria si dimostrava insufficiente nel
momento in cui si verificava la differenziazione così CHAMBERLAIN introduce una definizione
più elastica in cui il settore corrisponde ad un area di consumo in cui i beni sono almeno
parzialmente sostitutivi. Con questa definizione però si intercettano grandi gruppi in cui nel loro
interno ci sono prodotti con gradi di sostituibilità non omogenea. Si focalizza pertanto l’attenzione
sull’aspetto dell’interdipendenza e in particolar modo KALDOR propone l’elasticità incrociata
dQx Py
( eQx , Py = . ) per la misurazione del grado di interdipendenza. I problemi di questa definizione
dPy Qx
sono quelli della definizione di un valore di soglia tale che le imprese possano definirsi
interdipendenti e la scelta del prodotto di riferimento all’interno di un settore da inserire nella
formula di elasticità incrociata. L’attenzione a questo punto si sposta verso la similitudine dei
processi produttivi e si cerca di definire in base a dei criteri tecnologici (ANDREWS,
CHAMBERLAIN). ROBINSON sintetizza questo percorso affermando che la produzione settoriale
è valutata in base alla similitudine di processo mentre l’offerta di mercato è valutata in base alla
similitudine di prodotto.
Due scuole di pensiero diverse nascono nel momento in cui si vuole dare una definizione completa
di settore: i teorici cercano di dare una definizione universale mentre gli empiristici valutano la
condizione di ogni singola impresa. Secondo i teorici “un settore è formato da imprese in
concorrenza diretta o indiretta” uno di questi, HOTELLING, propone il modello della
⎧ri , j ≥ c j + d ij
“competizione spaziale” ( se ∃ i t.c.⎨ allora concorrenza diretta) dove i = consumatore,
⎩ ri , k ≥ c k + d ik
Definizioni operative
L’ISTAT e gli altri istituti statistici internazionali classificano gli impianti produttivi in base
all’attività economica prevalente (quella a cui corrisponde il maggiore valore aggiunto) in una
matrice industriale che abbia comparabilità internazionale (in Italia, ATECO, a livello comunitario
NACE, a livello internazionale ISIC). La matrice è composto da 17 sezioni di partenza dalle quali a
cascata si scende per 5 livelli fino ad ottenere 874 categorie finali. L’unico criterio utilizzato in
questa classificazione è quello della sostituibilità dei processi produttivi.
Le autorità antitrust
Finalità: identificazione del “mercato rilevante”, ovvero un contesto competitivo nel quale
vi possa essere una violazione del gioco concorrenziale
vi sia una posizione/abuso di posizione dominante
potrebbe costituirsi/rafforzarsi una posizione dominante a seguito di una fusione
Definizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella relazione del 1993:
“il più piccolo contesto (…) in cui, se si creassero condizioni di monopolio, il monopolista potrebbe
profittevolmente fissare un prezzo significativamente superiore a quello concorrenziale e
mantenerlo a tale livello per un rilevante periodo di tempo”
G2_APPROCCIO ALL’ANALISI DEL SETTORE E INFLUENZA DELLE FORZE
ESTERNE
LO STATO
Può interferire o influenzare la struttura del settore secondo diversi elementi:
1. Consumo pubblico: in determinati settori lo Stato rappresenta il cliente principale (es.
armamenti, aeronautica, …). Lo stato può rappresentare anche il produttore principale, come
fino a pochi anni fa avveniva per le TLC o le ferrovie. Con le privatizzazioni, però, il suo ruolo
come produttore si è notevolmente ridimensionato.
2. Politiche economiche (monetarie e fiscali): da quando esiste UE il lato monetario dipende da
essa e non più dal singolo stato. Possono essere di tipo espansivo, atte alla promozione della
produzione mediante l’aumento della spesa pubblica, la diminuzione del tasso d’interesse e
dell’imposizione fiscale, oppure restrittive, atte a contenere gli effetti negativi in una fase di
recessione.
a) Una politica economica agisce su due aspetti principali:
b) Livello del reddito: l’impatto dell’aumento del reddito sarà diverso in base all’elasticità della
domanda rispetto al reddito. Non in tutti i settori la domanda aumenta se il reddito della
popolazione cresce.
c) Variazione del reddito: una politica economica influenza il PIL, somma dei valori aggiunti
delle imprese private e della pubblica amministrazione, la variazione che subisce ogni
settore dipende dal fatto che esso sia ciclico o meno; nel primo caso segue l’andamento del
PIL, nel secondo va in controtendenza.
3. Politiche industriali: prevedono una serie di strumenti capaci d’influenzare la performance di un
settore (es. sovvenzioni, sgravi fiscali, …) . Non supportano una singola impresa, questo
sarebbe contro legge, ma offrono a tutte le imprese appartenenti ad un settore gli strumenti per
promuovere la competitività.
4. Politiche commerciali: i principali strumenti a disposizione sono dazi, tariffe ( aumentano il
valore delle merci in entrata imponendo una tassa), quote (limitano la quantità vendibile in un
paese), oltre al supporto offerto da enti pubblici (ICE). Da quando esiste l’Unione Europea, non
sono più i singoli stati ad attuare tali politiche, inoltre esiste l’Organizzazione Mondiale del
Commercio ( OMC) che mira ad abbattere progressivamente dazi, quote e tariffe. Al contrario si
vanno sempre più affermando le barriere non tariffarie, ovvero le merci possono liberamente
circolare in un certo paese se rispettano determinati vincoli di qualità
5. Attività legislativa
a) regolamentazione statale, definisce requisiti e doveri degli operatori attivi in determinati
settori, specie i quelli di pubblico interesse (es. bancario, telecomunicazioni).
b) normativa fiscale.
AMBIENTE MACROECONOMICO
Le variabili macroeconomiche che influenzano il settore sono:
1. Tassi di cambio: le sue variazioni influenzano in modo diverso i vari settori. Nel caso degli
export-oriented, se vi è una rivalutazione del tasso di cambio per gli stranieri è eccessivamente
caro acquistare nel nostro paese, gli acquisti diminuiscono con un conseguente effetto negativo
sul settore. Se invece un’impresa si approvvigiona su mercati esteri (import-oriented) più
vantaggiosi e rivende i prodotti ne proprio paese ottiene dei grandi vantaggi.
2. Tassi d’interesse: le sue variazioni influenzano soprattutto i settori a più elevata intensità di
capitale per cui un’ abbassamento del tasso d’interesse ha un effetto positivo.
3. Tasso d’inflazione: può avere due effetti.
− Differenziale positivo rispetto ad altri paesi. A parità di tasso di cambio, se in Italia il tasso
d’inflazione aumenta in maggiore entità rispetto ad un altro paese, quest’ultimo avrà meno
convenienza ad acquistare in Italia, quindi l’Italia diventa meno competitiva.
− Influenza sulla percezione dei prezzi relativi dei prodotti sostituti. Se aumentano tutti i
prezzi, è difficile per il consumatore percepire la variazione del prezzo relativo.
4. Costo del lavoro e delle materie prime: varia da settore a settore, ed influenza maggiormente
quelli ad elevata intensità salariale.
Un analista non può analizzare tutte le variabili, è necessario che prenda in considerazione quelle
più significative per il settore in questione. Sicuramente, la prima cosa da fare, è un’analisi
preliminare della correlazione tra variazione del PIL (che riassume l’andamento delle varabili
precedenti) e dell’output del settore. Il secondo passo da fare è analizzare il peso del settore rispetto
al sistema economico:
peso settore = valore della produzione / PIL
A parità di correlazione con il ciclo economico, minore è il peso, più forte è il legame con il sistema
economico. Se il mio settore segue il PIL e pesa poco, il legame è forte, poiché non contribuisce a
crearlo, ma lo segue strettamente. Tutti i settori sono legati all’andamento del PIL poiché tutti
insieme contribuiscono a crearlo.
Un altro elemento chiave è individuare l’interdipendenza con i settori limitrofi e collegati:
− Settori dei beni o servizi complementari
− Settori dei beni o servizi sostituti
− Settori a monte
− Settori a valle
Questo tipo di analisi dovrebbe essere fatta preliminarmente, per individuare i confini del settore
preso in esame. Comunque, serve anche per prevedere cosa succederà al nostro settore a fronte di
certi cambiamenti in quelli limitrofi. I legami tra settori si concretizzano sotto forma di:
− Legami di comportamento
− Flussi di scambio
G3_L’ANALISI DELLA DOMANDA
“Un segmento di mercato indica un sottoinsieme distinto di clienti, omogeneo al proprio interno
per atteggiamenti di consumo o d’acquisto, ma disomogeneo rispetto ad altri segmenti”
Ogni segmento può essere scelto come obiettivo di mercato da raggiungere attraverso una strategia
competitiva (posizionamento strategico). La segmentazione, dunque, indica dove l’impresa
compete. Esistono infiniti tipi di segmentazioni. I più tradizionali sono per consumatore (quindi
in base a caratteristiche del consumatore come aspetti di natura demografica, industriale/privato,
canale di vendita, etc.) e per prodotto (prezzo, qualità, tecnologia, etc.).
La segmentazione
“Esistono 2 o + segmenti quando oltre il 50% dei consumatori di ognuno dei segmenti non prende
in considerazione i prodotti di tutti gli altri segmenti”
Questa definizione può essere utilizzata come criterio di verifica ma non fornisce indicazioni su
come identificare segmenti esistenti e/o potenziali, ovvero i criteri di scelta del consumatore.
La differenziazione
La differenziazione indica come l’impresa compete all’interno di un settore.
Gli aziendalisti, nello studio delle strategie, si sono interessati al posizionamento delle imprese e
dei loro prodotti tramite mappe di posizionamento bidimensionali che hanno come variabili
dipendenti prezzo e costo d’uso e come variabili indipendenti caratteristiche fisiche del prodotto,
quantità e caratteristiche del prodotto, caratteristiche associate alla vendita.
Esistono due metodi quantitativi per stimare la domanda: il modello causale (o esplicativo) e il
modello autocorrelato (analisi delle serie storiche). Nel modello causale stimeremo dal domanda
partendo da una serie di variabili hanno relazione causale con la domanda Qdi = f (Pi, Pn-i, Y, …)
individuando una relazione tra variabili dipendenti ed indipendenti. Il modello causale necessita di
una banca dati sufficientemente completa. Il modello autocorrelato, invece, stima la domanda futura
in base alle indicazioni fornite dall’andamento della domanda passata Qdi, (t) = f (Qdi, (t),Qdi, (t-
1), Qdi, (t-2), …). Questo modello necessita di dati di input facilmente reperibili ed è utilizzato
nell’analisi tecnica finanziaria.
Un modello causale con reddito e prezzo quali variabili indipendenti permette d’identificare
l’elasticità della domanda rispetto al prezzo e l’elasticità della domanda rispetto al reddito.
Il modello causale con una sola variabile indipendente è il metodo più semplice ed immediato ed è
utilizzato, nel caso di variabili dipendenti e indipendenti fortemente correlate, per stime di breve e
brevissimo periodo. Avremo in questo caso una regressione semplice lineare (Qd = a + bx + e) ad
es. batterie vendute nell’anno t correlato al numero di immatricolazioni avvenute nell’anno t-2.
Il metodo di regressione più usato è quello dei minimi quadrati, ovvero la minimizzazione della
n
somma dei quadrati degli errori (Error Sum of Square) SSE = ∑ ( yˆ i − yi ) 2 . La bontà della stima
i =1
risultante da questo metodo è data da diversi indicatori di verifica ad es. dal coefficiente di
n
∑ ( yˆ i − y)2
determinazione r 2 = SSR = i =1
n
(con ŷi = valore stimato, y = valore medio, yi = valore
SST
∑(y
i =1
i − y) 2
reale, SSR = Regression Sum of Square, SST = Total Sum of Square). Più il valore di r 2 sarà
prossimo ad 1 più le variabili utilizzate nella regressione saranno in relazione causale tra loro e
dunque la stima ottenuta sarà attendibile, al contrario, più r 2 sarà prossimo a 0 meno la stima sarà
attendibile. Per stime di medio/lungo periodo solitamente si utilizzano modelli causali con più
variabili indipendenti. In questo caso parleremo di regressione multipla (Qdi = f (x1, x2, …, xm)).
I modelli autocorrelati hanno come oggetto l’analisi delle serie storiche, ovvero una raccolta di
dati ottenuta dall’osservazione del comportamento di una varabile ad istanti periodici di tempo
La natura di una serie storica può essere analizzata attraverso lo studio di quattro componenti:
1) componente di trend (variazione regolare delle vendite nel tempo)
2) componente ciclica di lungo periodo (es. ciclo economico)
3) componente stagionale, o di breve periodo
4) variazioni irregolari/residuali dovute ad eventi specifici od imprevedibili (shock)
Non sempre i dati temporali hanno lo stesso peso (quelli più recenti posso essere più significativi)
Per isolare il trend si utilizza la tecnica della media mobile cioè si sostituisce il valore reale con
quello medio di n periodi. Inoltre un’altra tecnica utilizzata è l’ Exponential smoothing che
attribuisce maggiore peso alle osservazioni più recenti rispetto a quelle più vecchie.
G4_L’ANALISI DELL’OFFERTA
I confronti intersettoriali sono tesi a verificare due teorie avanzate dagli economisti. La prima teoria,
che deriva dal paradigma interpretativo struttura-comportamenti-risultati, afferma che ad un
maggiore grado di concentrazione corrisponde un maggiore grado di profittabilità. L’altra teoria
afferma che ad un maggiore grado di concentrazione corrisponde un maggiore grado di potere
monopolistico, ovvero la possibilità di applicare un prezzo superiore rispetto a quello di mercato.
Ricordiamo l’indice di Lerner che misura il grado di potere monopolistico di un’impresa:
IL = d (P – Cmgi ) / P = (1/ε) x (qi/Q)
Quindi gli indici servono a verificare come il grado d concentrazione influenza la profittabilità e e il
grado di potere monopolistico.
Il grado di concentrazione è funzione di alcune variabili, che assumono rilevanza diversa da settore
a settore:
− dimensione assoluta del mercato
− barriere all’entrata
− economie di scala
Queste variabili sono determinate in parte da fattori esogeni, in parte da strategie aziendali.
BARRIERE ALL’ENTRATA
Le barriere all’entrata sono costituite dalle difficoltà che le imprese esterne al settore devono
sostenere per entrarvi. Non è abbastanza intuitiva la loro quantificazione, tant’è che vi sono diverse
concezioni.
− Bain afferma che una quantificazione può essere effettuata mediante il differenziale tra il prezzo
effettivamente praticato dalle imprese e quello teorico di concorrenza, ricordando che in
concorrenza non esistono barriere all’ingresso.
− Stigler crede che il neoentrante dovrà sostenere maggiori costi di produzione rispetto agli
incumbent, quindi una valutazione delle barriere all’ingresso è data dal differenziale di tali costi.
− Demsetz crede che i maggiori costi che il nuovo entrante deve sostenere non siano imputabile al
fatto di non godere della posizione del first mover, ma sono dovuti al fatto che chi è da tempo
nel settore ha già effettuato ed ammortizzato investimenti in R&D, immagine, etc, cosa che il
nuovo entrante, invece, deve ancora fare.
Esistono diversi tipi di barriere all’entrata, che sono di natura:
A. Giuridica: si tratta di tutti gli oneri e imposizioni giuridiche che l’impresa deve assolvere per
entrare in un certo settore. Deve ottenere certe licenze, sostenere certe attività burocratiche e
amministrative, rispettare i brevetti, etc. si tratta comunque di barriere indifferenziate, che
chiunque opera in un certo settore deve sostenere.
B. Economica: ci rifacciamo alla classificazione di Bain.
Tre sono le principali determinanti delle barriere all’entrata::
1.Vantaggi assoluti di costo: il costo medio dell’impresa entrante è superiore a quello dell’impresa
insediata poiché quest’ultima gode di alcuni vantaggi di costo: non deve sostenere elevate
campagne pubblicitarie poiché ha già clienti consolidati; sfrutta le economie d’apprendimento, il
così detto learning by doing; possiede canali distributivi già consolidati. Questi minori costi
costituiscono una barriera all’entrata per il nuovo entrante, in quanto per offrire lo stesso prezzo
degli incumbent l’impresa entrante avrà margini inferiori.
2.Economie di scala: il costo medio di produzione decresce all’aumentare della quantità prodotta,
perché posso spalmare i costi fissi su più prodotti. Il nuovo entrante ha due disincentivi.
Innanzitutto, entra gradualmente, quindi non può offrire volumi elevati immediatamente. Il
costo medio è superiore rispetto a quello dei concorrenti, quindi o vende ad un prezzo superiore,
risultando così poco competitivo, o vende allo stesso prezzo, ottenendo una scarsa profittabilità.
In secondo luogo, supponiamo che il nuovo entrante possa introdurre immediatamente un
grande quantitativo di prodotti, effettuando elevati investimenti. In questo modo, può
avvantaggiarsi anch’esso delle economie di scala, ma non tutte le nuove imprese possono
permettervi operazioni così costose, quindi per la maggior parte permane la barriera all’entrata.
3.differenziazione del prodotto: può essere effettuata mediante due meccanismi.
o Preferenze consolidate/ fidelizzazione: adatto per beni durevoli, per i quali la qualità e
l’affidabilità di un marchi conosciuti ha un forte impatto sulle scelte dei consumatori, o per beni
di consumo ostentativo, i quali vengono acquistati per lo status che rappresentano. In questo
caso è difficile accaparrarsi parte della domanda.
o Switching cost: è il costo che il consumatore dovrebbe sostenere per cambiare fornitore. Il
consumatore oltre a sostenere il costo del prodotto del nuovo offerente, deve sostenere dei costi
aggiuntivi per poterlo utilizzare.
In entrambi i casi, per poter superare le barriere, devo offrire un prezzo inferiore, per invogliare il
consumatore, o effettuare una forte campagna pubblicitaria. Sono comunque azioni che non
posso sostenere nel lungo periodo, in quanto comportano margini di profitto inferiori.
C. Strategica: barriere istituite volontariamente dalle imprese insediate.
1.sfruttamento aggressivo delle economie di scala ed apprendimento: anche se non mi conviene,
produco elevate quantità, per sfruttare le economie di scala e disincentivare i nuovi entranti.
2.creazione di capacità in eccesso: mi permette di coprire un aumento della domanda, non appena
esso si verifichi, evitando così che se l’accaparri un nuovo entrante.
3.introduzione di nuove varietà di prodotto per riempire tutte le nicchie di mercato: un incumbent
copre una nicchia di mercato, anche se non profittevoli, esclusivamente per impedire l’entrata di
una nuova impresa.
4. fissazione di prezzi limite: L’incumbent decide di produrre QL, che rappresenta il punto
limite per l’impresa. Vende al prezzo limite PL, per cui non massimizza il profitto ( pari al
rettangolo E-C-L-PL), cosa che invece avviene per QM (profitto pari al rettangolo A-B-M-PM).
Facendo ciò impedisce al nuovo entrante di produrre la stessa quantità, in quanto, da un lato, il
mercato non potrebbe assorbire tutta l’offerta, dall’altro quest’ultimo non può abbassare il
prezzo per accaparrarsi la domanda, poiché ha costi superiori. È una situazione ovviamente
temporanea, l’incumbent non può produrre sempre a tali livelli che non risultano per esso
particolarmente profittevoli.
CMg
RMg
CMe
M
PM
PL L
B
A
E C
D
QM QL Q
5.ricerca di brevetti e tecnologie per prodotti sostituti: se riesco a fare ciò, escludo la possibilità
che il mio prodotto venga sbaragliato da uno nuovo.
BARRIERE ALL’USCITA
Le barriere all’uscita sono le difficoltà che l’imprese incontrano se desiderano uscire dal settore.
Dipendono principalmente dai costi fissi e dal valore residuo dei beni da ammortizzare. Se:
∑n perdite > ∑n costi fissi annuali – plusvalenze
allora decido di uscire dal settore.
Le barriere all’uscita sono determinate anche da altri fattori:
− costi di trasferimento o di conversione degli impianti
− penali derivanti da contratti non onorati
− interdipendenze tra aree d’affari che condizionano la strategia aziendale
Esistono, quindi, dei settori in cui le barriere all’uscita sono maggiori, e sono quelli caratterizzati da
elevati investimenti fissi o da investimenti specialistici.
DIVERSIFICAZIONE
Per diversificazione s’intende l’operare in settori diversi, quindi bisogna fare un netta distinzione
con la differenziazione, che consiste nel vendere prodotti diversi in uno stesso settore. Per verificare
il grado di diversificazione di diversificazione di un’impresa posso utilizzare alcuni indicatori:
− indice di Berry (Herfindal): D = 1- ∑Ni P2i dove Pi rappresenta il valore della quota di
fatturato in un certo mercato, mentre N è il numero di mercati in cui opera l’azienda.
− coefficiente di specializzazione ( Wringley): CS = Fpp / FT = fatturato del prodotto prevalente
fatturato totale. Più è basso il rapporto, più è diversificata l’azienda.
INTEGRAZIONE VERTICALE
L’integrazione verticale indica il fatto che l’impresa opera in mercati a monte/valle di quello
considerato. Ciò avviene per diversi motivi:
− incremento del valore aggiunto e diminuzione dei costi di transazione: (riduzione dei costi
amministrativi, ricerca del fornitore,…)
− asimmetrie informative: integrando a monte posso ridurre le asimmetrie informative rispetto al
fornitore. Se si integra a valle si acquisiscono maggiori informazioni sui clienti e si può così
tarare la produzione in maniera maggiormente confacente alle loro aspettative.
− aumento delle barriere all’entrata: non sempre è possibile farlo. Se esiste, ad esempio, un solo
fornitore di una certa materia per un dato settore, e l’impresa si integra a monte acquisendolo,
chiunque voglia entrare in quel settore deve fare i conti con l’impresa in questione.
− imperfezioni in uno altro stadio
− efficiente discriminazione di prezzo: supponiamo che vi sia un monopolista che vende a due
imprese, A e B, la prima più elastica (se aumento il prezzo diminuisce la domanda) e l’altra
meno. Il monopolista non può discriminare il prezzo altrimenti s’innescherebbero fenomeni
d’arbitraggio, deve quindi applicare un prezzo intermedio. Se però il monopolista si integra a
valle con l’impresa più elastica A, può vendere a B ad un prezzo più alto, perché so che la sua
domanda è meno elastica.
Per misurare il grado d’integrazione si utilizzano i seguenti indici
− Indice di Aldeman (integrazione impresa): In = VA / VP = valore aggiunto/ valore di
produzione.
− Indice di integrazione (settore): Is = ∑VA / ∑VP. Mi da una valutazione rozza del settore.
Si utilizza il VA poiché ad una maggiore integrazione corrisponde un maggior VA. Questo tipo
d’indicatori comportano una certa distorsione poiché, dato che il valore aggiunto decresce nelle fasi
più a valle, potrebbe valutare maggiormente integrato un settore che integra più a monte.
Tecnologia, Design
Risorse umane
semi- vendita
ine
lavorati
Marg
Non è detto che i migliori risultati sono ottenuti perché l’impresa ha singole attività peculiari
eccellenti. Un’impresa potrebbe avere maggiore successo complessivo poiché ha una migliore
gestione dell’intero processo, oppure per una migliore performance dal lato della domanda, ad
esempio l’impresa potrebbe avere individuato una migliore nicchia di mercato.
Un ulteriore strumento che ci fa capire in quale fase del processo produttivo risiedono gli elementi
chiave all’interno di quel settore è il costing, che consiste nello scomporre il processo produttivo in
termini di costo ed andare poi a valutare come ogni voce incide sul costo finale. A questo punto è
possibile focalizzarsi sulla fase critica e cercare di migliorarla.
L’approvvigionamento delle risorse: la funzione dell’approvvigionamento mira ad assicurare il
rifornimento e la gestione degli input produttivi. Gli elementi chiave sono:
− disponibilità esclusiva di input: risorse che prendono parte al processo produttore.
L’approvvigionamento di alcune di esse, soprattutto di quelle specializzate, potrebbe
determinare il raggiungimento del vantaggi competitivo.
− criticità/prezzo/qualità degli input
− velocità dell’approvvigionamento: il sistema just in time permette di diminuire le scorte e quindi
i costi di gestione dei magazzini.
− gestione del magazzino
− legame contrattuale/integrazione /potere contrattuale dei fornitori
La produzione: I principali vantaggi di costo (economie) che caratterizzano i processi produttivi
sono:
− economie di scala: Riduzione del costo medio di produzione all’aumentare del volume della
produzione (della scala produttiva). Le motivazioni sono da un lato di tipo pecuniario, in quanto
vi sono sconti associati all’acquisto di grandi volumi, dall’altro reali. Si verificano le economie
stocastiche di scala (all’aumentare della domanda, ne diminuisce la varianza); economie dei
fattori comuni (spalmare costi una tantum, es. R&D, all’interno del costo medio di produzione);
economie ingegneristiche (legate al fatto che il volume di proporzione aumenta in maniera
meno che proporzionale al costo di produzione).
− economie di varietà (o scopo): Il costo della produzione congiunta di 2 beni è inferiore alla
somma dei costi delle 2 produzioni separate.
C(q1 + q2) < C(q1,0) + C(0,q2)
− economie di multilocalizzazione: riduzione del costo di trasporto dell’output o dei fattori
produttivi; differenziazione del prodotto più sensibile alle peculiarità della domanda locale;
costi di approvvigionamento inferiori
− economie di apprendimento (learning by doing): Riduzione del costo medio di produzione
all’aumentare della produzione cumulata. Tale riduzione è dovuta a migliore organizzazione
interna; specializzazione della forza lavoro; maggiore programmabilità dell’attività. I settori in
cui tali economie sono particolarmente rilevanti sono quelli con forte componente del lavoro
manuale, e quelli con molte fasi distinte del processo di produzione.
Oltre un certo livello non è più conveniente per l’imprese aumentare la produzione perché ciò
determina delle diseconomie.
Costo
ECONOMIE DISECONOMIE
DI SCALA COSTI DI SCALA
COSTANTI
q1 q2 q
CLUSTER ANALYSIS
Tecnica statistica che identifica e classifica, in funzione di alcuni predeterminati criteri di selezione,
le osservazioni all’interno di cluster aventi un’alta omogeneità interna ed un’alta eterogeneità
esterna. Metodo di classificazione caratterizzato da due fattori: una misura del grado di diversità tra
le coppie d’unità, cioè come si misura la similitudine tra ciascuna coppia di imprese; una volta
valutata la similitudine si usa un algoritmo con cui procedere alla ricerca dei cluster.
1° fase – Standardizzazione delle variabili: Ogni valore viene espresso in base al numero di
deviazioni standard rispetto alla media.
2° fase – Misurazione delle distanze tra le osservazioni sulla base di tutte le dimensioni strategiche
Esistono varie tecniche di misurazione, ma la più utilizzata è la distanza euclidea:
( x2 − x1 ) 2 + ( y2 − y1 ) 2 + ... + (m2 − m1 ) 2
3° fase – Aggregazione delle imprese in funzione della distanza, basata su metodi gerarchici e
metodi non gerarchici. I metodi gerarchici producono raggruppamenti successivi ordinabili secondo
livelli crescenti o decrescenti della distanza, quelli non gerarchici prestabiliscono il numero di
gruppi per il sistema.
I metodi gerarchici si suddividono in agglomerativi e scissori, i primi sono più usati; partendo da n
elementi producono un numero decrescente di cluster di ampiezza crescente, sino ad ottenere un
unico gruppo.
Metodo del legame singolo (SLM): la distanza tra il gruppo appena formato e le rimanenti unità è
calcolata come la minima distanza tra le unità del gruppo e le altre unità;
Metodo del legame completo (CLM), la distanza è calcolata come la massima distanza tra le unità
del gruppo e le rimanenti unità;
Metodo del legame medio (ALM), la distanza è calcolata come la distanza tra l’unità e una unità
fittizia in cui ciascun carattere è presente con una media delle modalità presentate dalle unità
comprese nel gruppo.
La cluster analysis comporta un guadagno nella consistenza dell’analisi, poiché sono considerate
tutte le variabili, ma non evidenzia quali sono le variabili determinanti delle distanze tra i vari
gruppi, a differenza dell’analisi di Porter.
Indici per la misurazione della performance in termini tecnico-qualitativi, di gestione delle risorse e
soddisfazione del consumatore
I risultati tecnico-qualitativa sono risultati in termini di efficienza tecnica che si riflettono sulla
qualità tecnica del prodotto (% prodotti difettosi, vita media prodotto, etc) (lato della domanda).
E’impossibile applicare gli stessi indicatori a tutti i settori, al contrario, la scelta dei parametri per
valutare la performance tecnico-qualitativo è effettuata ad hoc ogni volta e di conseguenza spesso
non sarà possibile fare raffronti tra settori diversi.
I risultati di gestione delle risorse sono risultati in termini di efficienza del processo produttivo,
ovvero nella gestione ed amministrazione delle risorse (lato dell’offerta). I più comuni indicatori
sono:
Produttività media Output (o Ricavi)
=
di un fattore Quantità fisica del fattore
Debito
Rapp. di indebitamento =
Attivo
Il quick test mostra se l’impresa è in grado di fronteggiare le spese future. La critica che viene fatta
a questi indici sta nella loro difficoltà di utilizzo per comparazioni inter-settoriali dovuta all’elevata
diversità tra le singole imprese. Questi indici vengono invece molto spesso usati per confrontare la
posizione dell’impresa rispetto alla media settoriale.
Gli indici di customer satisfaction servono per misurare il grado di soddisfazione complessiva del
consumatore (non solo la qualità tecnica). La misurazione presenta notevoli difficoltà poiché la
qualità del prodotto si basa su parametri differenti (estetici, tecnici, funzionali) che variano in base
al consumatore ed al prodotto di riferimento. I più comuni sono ACSI (USA), ECSI (pan-europeo).
E’ utile attuare una scomposizione delle performance per avere risultati maggiormente attendibili.
Le scomposizioni più comuni sono per:
1) Per gruppi strategici (Differenti comportamenti strategici possono accompagnarsi ad un
diverso uso della leva finanziaria,… )
2) Per segmenti
3) Per canali di vendita (Differenti quote del fatturato realizzata attraverso un dato canale
(trend) o differente redditività dei canali (legata alla lunghezza))
4) Per area geografica (Redditività delle diverse aree geografiche oppure penetrazione
geografica (quota di mercato acquista))
Per verificare la relazione tra struttura e performance sono stai attuati diversi metodi.
Inizialmente il metodo più semplice utilizzato è stato quello di compiere una regressione con
variabile dipendente le Performance e con variabili indipendenti caratteristiche tipiche della
struttura. Performance = a + b (Struttura). Le ipotesi di partenza sono che le variabili strutturali
siano esogene e che l’effetto delle variabili strutturali sia uguale per tutte le imprese. Benin negli
anni ‘50 trovò con questo modello una correlazione tra Concentration Ratio e ROI.
Successivamente però il modello di Benin fu considerato lacunoso e si aggiunsero nuove variabili
alla regressione, in particolare vennero aggiunte al Concentration Ratio le barriere all’entrata (di
diversi tipi) πj = a + b CRj + c BEj1 + d BEj2 + e BEj3. Anche in questo caso fu riscontrata una
correlazione positiva tra grado di concentrazione e profitti conseguiti, ma emerse che mancava una
relazione lineare in questo rapporto e che tale correlazione era apprezzabile solo ad alti livelli di
concentrazione. Fu riscontrata invece una correlazione più apprezzabile e robusta tra barriere
all’entrata e grado di profittabilità.
La versione comportamentista si contrappose a questo approccio con la critica di Demsetz.
Secondo Demsetz l’esistenza di una relazione positiva tra profitti e concentrazione non implica
necessariamente che la concentrazione permette di sfruttare il potere di mercato inoltre le imprese
più efficienti hanno profitti più alti e quote di mercato più elevate, quindi le differenze tra i costi
possono spiegare sia i profitti sia la concentrazione del settore (la concentrazione è la conseguenza
dell’esistenza di imprese efficienti e non la causa di una maggiore profittabilità).
Le regressioni sulle performance studiate dai comportamentismi aggiungevano alle variabili dei
strutturalisti delle variabili riferite alle strategie arbitrariamente adottate dalle imprese (come la
dimensione) πij = f (CRj, BEj, SIZE, MSi, R&Di, ADVi). I risultati di queste regressioni hanno
evidenziato come le variabili utilizzate dagli strutturalisti avevano un effetto limitato sulle
performance a differenza dei quelle dei comportamentismi.
Il passo successivo in questa analisi è stato quello di introdurre anche le variabili derivanti dalla
linea di business πijh = f (Caratt. settore, Caratt. Impresa, Caratt. Linea di Business). Questo
passaggio ha evidenziato che le caratteristiche della linea di business contano per un 80%, le
caratteristiche del settore contano per un 20% mentre le caratteristiche dell’impresa contano in
modo irrilevante. Le principali variabili che incidono sulla profittabilità (ROI) della linea di
business in modo direttamente proporzionale sono:
1) tasso di crescita del mercato
2) tasso di crescita dei prezzi
3) quota di mercato
4) utilizzazione degli impianti produttivi
5) grado d’integrazione verticale
Le variabili che sono inversamente correlate sono invece:
1) spese per marketing e R&D
2) elevata intensità degli investimenti
La critica a questo modello è che la regressione ipotizza che il profitto sia influenzato, in maniera
diversa, da tutte le dimensioni strategiche, ma con un pattern comune a tutte le imprese del settore.
Se esistono gruppi d’imprese che fanno un uso differente delle variabili strategiche (bassi volumi ed
elevata qualità vs. grandi volumi e bassa qualità), è inutile stimare una relazione di “impatto medio”
sul profitto.
RMg
M
PM
CMe Monopolio
QM QC Q
In blu area di perdita di efficienza produttiva (caso di concorrenza perfetta), in rosso area di perdita
di efficienza allocativa (monopolio). La situazione da preferire è quella che innesca una perdita
minore nel caso considerato.
Le autorità garanti dei mercati vigilano sulle operazioni di Fusione-Acquisizione per verificare che
non comportino esclusivamente un aumento del potere monopolistico, senza alcun beneficio
collettivo (anti-trust).
Secondo la scuola di Harvard bisogna vigilare sui settori altamente concentrati perché sede di un
maggiore potere monopolistico, maggiori profitti e di conseguenza una minore efficienza allocativa.
Secondo la scuola liberista di Chicago, invece, una maggiore concentrazione è determinata da una
maggiore efficienza produttiva, sono consapevoli comunque che la maggiore concentrazione può a
volte essere dovuta a situazioni temporanee di squilibrio, ma considerano l’intervento pubblico
costoso ed inefficace.
G7_I DISTRETTI INDUSTRIALI
Secondo tale approccio i criteri di identificazione della presenza di un distretto industriale stanno:
(1) presenza di divisione e specializzazione del lavoro cioè parcellizzazione del processo
produttivo in molteplici fasi distinte ed altamente specializzate e divisione del lavoro orizzontale e
verticale tra le imprese. La divisione verticale del lavoro consente di riorganizzare la produzione
modificando la combinazione di produttori generando una notevole flessibilità, la specializzazione
verticale favorisce l’ uso specializzato della risorse e l’ introduzione d’innovazioni (adattive ed
incrementali).
La forte divisione del lavoro orizzontale e verticale tra le imprese innesca due meccanismi virtuosi
cioè (2) coesistenza di cooperazione e competizione che genera un elevato grado di dinamismo
positivo all’interno del distretto. Questi meccanismi sono dovuti dunque al coordinamento
automatico tra imprese complementari e alla competizione tra imprese che producono prodotti
sostituibili.
Il distretto è un incubatore di nuove imprese, ma non di crescita dimensionale, all’interno di un
distretto, infatti, è possibile identificare una notevole (3) propensione all’imprenditorialità. La
presenza di modello di successo, attraverso processi sociali di tipo imitativo, infatti, riduce i costi
percepiti di start-up favorisce fenomeni di spin-off (il meccanismo che si innesca quando una
società che faceva parte in origine di una più grande diventa indipendente).
Le critiche fatte al modello classico sono quelle di aver focalizzato eccessivamente l’analisi sul
distretto nel suo insieme (livello meso), sottovalutando il ruolo fondamentale dell’impresa
distettuale (livello micro), inoltre dedica poca attenzione alle modalità di formazione, alle traiettorie
di crescita ed alle dinamiche evolutive del sistema.
I nuovi approcci evidenziano la natura evolutiva dei distretti e mirano a spiegare la molteplicità di
traiettorie di sviluppo emerse in Italia.
L’approccio cognitivo pone l’attenzione sull’attività di creazione e diffusione della conoscenza
all’interno dei distretti. L’evoluzione del distretto è spiegata dai diversi processi di apprendimento:
1) Apprendimento interno (impresa): la specializzazione di fase e la bassa divisione interna
del lavoro generano lo sviluppo di specifiche competenze tecniche e meccanismi di learning
by doing;
2) Apprendimento collettivo (territorio): l’alta mobilità del lavoro interna al distretto e l’alta
contiguità spaziale al suo interno genera meccanismi di replicazione delle conoscenze e di
diffusione dell’innovazione; l’innovazione che si genera all’interno del distretto sarà senza
“ricerca e sviluppo”, inclusiva verso l’interno (facilmente appropriabile ed imitabile),
esclusiva verso l’esterno (utilizzabile esclusivamente in determinati contesti). Queste
caratteristiche genereranno delle barriere all’entrata, ma potrebbero condurre a dei
meccanismi di stasi e di isolamento (sistema cognitivo chiuso).
3) Apprendimento cooperativo (inter-impresa): la volontà collaborativa e l’instaurazione di
rapporti stabili e duraturi (formalizzati e non) genera meccanismi di cooperazione tra
imprese che decidono di relazionarsi ad attori esterni. In questo caso il meccanismo di
apprendimento è generato dalle imprese stesse che decidono di cooperare, quindi è
indipendente dalla struttura del distretto.
L’approccio relazionale utilizza le connotazioni di matrice aziendalista del termine di rete (cioè
insieme di unità esterne/interne e ruoli o persone all’interno dell’azienda). Gli elementi costitutivi di
una rete sono le relazioni che la compongono e i nodi (gli attori presenti).
Esempi tipici di soluzioni organizzative e gestionali che richiamano la rete esterna:
9 costellazione d’imprese: insieme di aziende, guidate da un leader, che convergono verso un
obiettivo comune
9 hollow corporation: impresa che attua un decentramento estremo, limitandosi alla regia
industriale (es. alta moda)
9 i distretti industriali
Fattori critici
La rivoluzione tecnologica ha generato una riduzione del costo di elaborazione e circolazione
dell’informazione. Più l’informazione può essere formalmente codificata più gli incrementi di
produttività derivanti sono maggiori. Inoltre sono più significativi se associati a cambiamenti
dell’organizzazione formale delle imprese.
Globalizzazione: divisione del lavoro tra aree a diverse dotazione di fattori; outsourcing delle
multinazionali
Dinamiche di mercato: maturità del mercato interno; accresciuta importanza dell’export; forte
pressione competitiva internazionale
Cambio generazionale
Traiettorie evolutive
Percorsi path-dependet :Sistemi stazionari che seguono percorsi evolutivi di tipo inerziale
senza modifiche sostanziali della struttura interna
Percorsi path-breaking: Sistemi che nel corso del tempo registrano sostanziali modifiche della
strutturazione interna e del posizionamento strategico
PERCORSI PATH-DEPENDENT
Rischio di declino più elevato di fronte a cambiamenti esogeni rilevanti
La crescente competizione dei paesi di nuova industrializzazione promuove fenomeni di
delocalizzazione produttiva (es. TPP del sistema moda): importanti ripercussioni sui distretti,
(specie su quelli “satellite”)
Effetti della delocalizzazione produttiva sul distretto: riduzione imprese ed occupazione; aumento
importazione semi-lavorati; selezione e consolidamento rapporti con fornitori. Si può intervenire
con la Rivitalizzazione: Riposizionamento strategico delle imprese minori (riqualificazione);
Strategie di nicchia; Rafforzamento della cooperazione commerciale (consorzi per l’export.) O si ha
il Declino
PERCORSI PATH-BREAKING
L’evoluzione non è vincolata dalle peculiari condizioni iniziali ma determinata da attori propulsivi
del cambiamento. Si possono avere processi involutivi (dissoluzione della struttura distrettuale) o
processi evolutivi (alterazione della struttura organizzativa interna mantenendo il carattere
sistemico)
Gerarchizzazione sostitutiva endogena
Imprese leader internalizzano e/o delocalizzano fasi del processo produttivo Involuzione del
distretto che tende ad assumere la connotazione di una rete centrata caratterizzata da: perdita di
autonomia delle imprese, riduzione della divisione del lavoro, modifica dei modelli di
apprendimento ed innovazione
Gerarchizzazione per linee esterne Acquisizione di altre imprese distrettuali miranti a: ridurre
concorrenza interna e/o aumentare efficienza produttiva, strategie d’integrazione
orizzontale/verticale, Assunzione del controllo diretto delle
fasi strategiche del processo produttivo
Gerarchizzazione sostitutiva esogena
Acquisizioni esterne da parte di imprese multinazionali che internalizzano nella loro rete
organizzativa le principali funzioni strategiche distrettuali
Compatibilità tra strategie dei leader e l’evoluzione del sistema dipende da:le imprese leader
mantengono rapporti con il resto delle imprese del distretto pluralità d’imprese coinvolte nel
cambiamento Æ transazioni guidate
SYLLABUS
• L’impresa nel sistema economico (Boccella, D’Orlando: Il flusso circolare del reddito)
Circuito economico semplice e allargato
Funzioni economiche e soggetti economici
Reddito, domanda aggregata e relazioni macroeconomiche
Sistema produttivo e suoi livelli di analisi
L’analisi dell’offerta:
¨ l’analisi delle caratteristiche delle imprese;
¨ il grado di concentrazione, integrazione e diversificazione;
¨ le barriere all’entrata ed all’uscita;
¨ l’analisi delle fasi del processo produttivo e dei fattori critici di successo: la catena del valore di
Porter e gli elementi chiave della fasi di approvvigionamento, di produzione (economie di scala,
di varietà, di multilocalizzazione e di apprendimento) e di distribuzione
I distretti industriali:
¨ principali approcci teorici (neo-marshalliano, cognitivo e relazionale);
¨ la metodologia ISTAT per la rilevazione territoriale dei distretti;
¨ il ciclo di vita dei distretti, traiettorie evolutive ed internazionalizzazione