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Convegno organizzato dall'Osservatorio sulla legalit e sui diritti "INTERNET FRA LIBERTA' E DIRITTI: prevenzione delle violazioni e prospettiva

forense" Milano, 12 novembre 2011 INTERNET NELLA GIURISPRUDENZA1


di Elena Falletti Ricercatore in diritto privato comparato dell'Universit Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza - (VA) Sommario: 1. Introduzione. 2. Internet e i giudici comparatisti. 3. Il blogging, ovvero del bilanciamento tra libert di manifestazione del pensiero e la tutela della onorabilit. 4. Esiste un diritto all'anonimato in rete? Il caso Wikileaks. 5. Internet come vetrina di s: i social network. 6. L'Internet Protocol un dato personale?

1. Introduzione. Internet per sua natura una societ c.d. a "potere diffuso" perch al suo interno non esiste un ente centralizzato in grado di prendere il sopravvento sugli altri nella gestione della regolamentazione e nella divulgazione di contenuti online. Tale peculiarit dovuta alla struttura stessa della Rete, organizzata seguendo i principi del c.d. End to End Principle. Attraverso di esso si configura la fondamentale differenza tra l'architettura di questo strumento di comunicazione e quella adottata dalle reti di comunicazione tradizionali. Infatti telegrafo, telefono e televisione sono pianificati e sviluppati da un singolo operatore ovvero da un ristretto numero di licenziatari che operano seguendo uno stretto regime normativo. Questi operatori costruiscono reti per interagire con le quali gli utilizzatori finali possono utilizzare strumenti semplici e relativamente poco costosi, spesso forniti ed approvati dal medesimo operatore. Invece, per quanto riguarda la Rete, gi a partire dalla creazione del suo precursore ARPANET, ci si trova di fronte ad una situazione radicalmente differente: gli strumenti utilizzabili gi esistevano e non venivano creati all'uopo: si trattava di computer eterogenei tra loro e posseduti da soggetti diversi, introducendo nell'ambito tecnologico un concetto di flessibilit mai conosciuto in precedenza, il quale non presenta al suo interno un controllo centralizzato ma consente a nuove applicazioni introdursi di volta in volta ed interagire anche con nuovi strumenti software e hardware senza chiedere autorizzazioni a operatori centralizzati, perch l'intero sistema non conosce un controllo centralizzato. Internet sia strumento veicolare di giurisprudenza sia oggetto di decisioni giurisprudenziali. Attraverso Internet si realizza la c.d. E-Justice, ovvero la giustizia amministrata attraverso i canali telematici, si pensi a tutti quei procedimenti giudiziari che vengono posti in essere attraverso la Rete. Qui a Milano ha conosciuto grande impiego il decreto ingiuntivo telematico, che fu una delle prime sperimentazioni di giustizia telematica anche all'estero si pensi al Moneyclaims online inglese o al Mahnverfahren tedesco. Sempre gli inglesi, ad esempio, hanno sperimentato modalit di risoluzione online di controversie di cause possessorie ovvero di divorzi congiunti, cio di cause seriali. Internet anche strumento di diffusione (o disseminazione giurisprudenziale) perch la gran parte delle giurisdizioni superiori straniere consente la consultazione gratuita dei provvedimenti giurisprudenziali online da parte del pubblico specializzato e non. Si pensi alle banche dati della Corte Suprema ovvero delle corti inferiori inglesi, americane, tedesche, francesi e cos via. Questa modalit consente a chiunque, operatore professionale ovvero semplice cittadino, di accedere alle decisioni giurisprudenziali consentendo la realizzazione del diritto all'accesso alla giustizia non solo come diritto all'accesso alle Corti, ma anche alla conoscenza, in senso divulgativo non soltanto
1 Questo testo rappresenta la traccia della relazione esposta al convegno e pertanto non fornito di note a pi pagina.

accademico o professionale, delle decisioni delle Corti. 2. Internet e i giudici comparatisti Per quanto concerne le decisioni giurisprudenziali attinenti ad Internet come oggetto dei provvedimenti si dato spazio anche all'analisi delle fattispecie attinenti ad Internet accadute in altri ordinamenti poich Internet si rivelato essere il pi forte ed efficiente veicolo di imitazione giuridica oggi a nostra disposizione. Non capita di rado, infatti, che i giudici nel decidere le fattispecie in materia di diritto della Rete facciano riferimento a sentenze straniere attraverso la comparazione quando vi un problema simile in altri ordinamenti ed cos possibile avere una risposta armonizzata. La prassi internazionale spesso strumento veicolare per lo scambio di modelli e, soprattutto, cultura giuridica. Internet ne moltiplica in modo quasi esponenziale gli effetti. Autorevole dottrina, appoggiata politicamente da alcuni Paesi emergenti, come ad esempio il Brasile, ha proposto un approccio unitario al tema, fondato sulla protezione dei diritti umani. Ci si riferisce all'Internet Bill of Rights. Nell'ottica di riconoscere la valenza di diritto fondamentale dell'accesso ad Internet, come affermato dal Rapporto La Rue presentato alle Nazioni Unite l'11 maggio 2011, la medesima dottrina ha proposto una modifica alla Costituzione italiana con l'introduzione di un apposito disposto rubricato quale art. 21 bis, ovvero con l'emendamento dell'art. 21, tuttavia al momento questa proposta non avuto seguito. A parere di tale dottrina altres opportuno concentrare l'attenzione su trasparenza e controllo relativamente a quei centri di potere, soprattutto economici, che con le loro direttive aziendali possono minare i diritti fondamentali di milioni di persone che utilizzano i servizi forniti dai giganti della Rete, basti pensare a Google, Yahoo!, Microsoft, Facebook. Se da un lato il Congresso americano ha proposto un progetto di Global Online Freedom Act, che obbliga dette compagnie di informare uno specifico comitato istituito presso il Dipartimento di Stato di tutti i casi in cui sono stati filtrati o cancellati contenuti su richiesta di governi stranieri, dall'altro la proposta dell'Internet Bill of Rights vuole mantenere una dimensione globale del rispetto dei diritti fondamentali su Internet. Questo approccio di tipo multilivello appropriato alla portata sovranazionale del rispetto dei diritti fondamentali collegato sia a dinamiche sociali ed economiche sia a poteri politici e costituzionali. Va osservato che in una dimensione globale come la nostra si sta gradualmente affermando una comunit di corti senza confini formata sia da organi di tipo sovranazionale (come ad esempio la Corte europea dei diritti umani, la Corte interamericana dei diritti umani, la Corte di giustizia delle comunit europee) sia organi giudiziari nazionali, forti della persuasivit acquisita dalle loro decisioni, sovente di grande risonanza. Il caso tipico di questo modello proprio Internet, dove giudici nazionali diversi non solo si citano tra loro nella soluzione di casi rilevanti tematiche inerenti al cyberspazio, ma formano un formante giurisprudenziale che vorrebbe essere, o per lo meno tenta, di diventare omogeneo. 3. Il blogging, ovvero del bilanciamento tra libert di manifestazione del pensiero e la tutela della onorabilit. Attraverso l'uso prima di Internet, con mail e forum, poi dei social network, come blog, Myspace, Facebook, Twitter, Flickr, la libert di manifestazione del pensiero ha assunto una valenza sconosciuta in precedenza, ovvero la consapevolezza che qualunque tipo di messaggio potesse vivere di vita propria indipendentemente dalla fonte che lo ha generato. Vi stato un ribaltamento del ruolo degli utenti, da passivo quali fruitori di contenuti professionalmente prodotti da altri, come scrittori, autori, registi, giornalisti e cos via; ad attivo dove chiunque pu diventare autore ovvero produttore. Il passo successivo rappresentato proprio dall'esplosione del social network che ha applicato a tale esplosione di contributi creativi, il legame sociale insito nei rapporti instaurati attraverso i social network. Detti reti di comunicazione sociale mettono tutti sullo stesso piano, sia 2

in partenza nella produzione e diffusione di contenuti, sia alla destinazione dell'elaborato finale, ovvero la rete dei contatti stabiliti tra gli utenti. Attraverso i social network gli utenti rivelano agli altri i loro gusti con il semplice uso l'uso dei pulsanti I like it o mi piace, le loro relazioni sociali, le loro attivit, trasformando la loro personalit reale nella personalit virtuale che, una volta assurta in Internet, vive di vita propria e indipendente da chi l'ha originata. Questa mutazione influenza la libert di pensiero sia direttamente, quando relativa a manifestazioni di opinioni in senso stretto, sia indirettamente attraverso la registrazione e divulgazione senza limiti spaziotemporali di comportamenti e scelte. Tali scelte diventano di grande rilevanza giuridica quando rivelano anche la rivelazione dell'orientamento politico dell'utente. Il social network pi diffuso ad oggi nel mondo, Facebook, diventato un potente strumento nelle campagne elettorali in molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti per arrivare in Italia. L'elemento innovativo di piattaforme partecipative sulla scena politica, come ad esempio i meetup saliti alla cronaca con il blog di Beppe Grillo ovvero il medesimo Facebook, che consente una conversazione tra pari in grado di alimentare un dibattito inter absentes che si pu sviluppare senza soluzione di continuit, consentendo a chi interviene di diventare un importante punto di riferimento, di rendersi protagonista. Dottrina e giurisprudenza statunitensi hanno evidenziato le strette relazioni tra la partecipazione politica online, la libert di manifestazione del pensiero e le libert protette dal First Amendement, in quanto una delle implicazioni della libert di manifestazione del pensiero la mutevolezza sociale dell'individuo, poich Speech acts and the relationships they create change the people who are involved." Negli Stati Uniti questo orientamento impostato dalla Corte Suprema ha consentito di valorizzare la strumentalit di Internet nei confronti della libert di manifestazione di pensiero che, costantemente, va tutelata nei confronti dei poteri pubblici. Autorevole dottrina afferma che tale impostazione stata di riferimento anche per la giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana, secondo la quale cosa certa , comunque, che, essendo ormai internet un (potente) mezzo di diffusione di notizie, immagini e idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche -evidentemente- attraverso di esso si estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni, diritto che costituisce uno dei cardini di una democrazia matura e che, per tale ragione, figura in posizione centrale nella vigente Carta costituzionale. I diritti di cronaca e di critica, in altre parole, discendono direttamente -e senza bisogno di mediazione alcuna- dall'art 21 Cost. e non sono riservati solo ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma fanno riferimento all'individuo uti civis. Chiunque, per tanto, e con qualsiasi mezzo (scil. anche tramite internet), pu riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque -nei limiti dell'esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza)- pu "produrre" critica e cronaca. I problemi giuridici che possono sorgere relativamente all'attivit del blogger riguardano innanzitutto: la possibile equiparazione del blogger al giornalista, specialmente in merito al diritto di riservatezza sulle fonti; la tutela della libert di manifestazione del pensiero da in relazione a cause pretestuose radicate esclusivamente per far sorgere il timore dell'azione legale e delle sue conseguenze, quali il costo materiale e psicologico del processo, senza la copertura, anche forense di un grande editore, che al blogger manca, essendo la sua attivit libera e generalmente volontaria e svolta a titolo gratuito; la libert di critica politica, corollario specifico del punto precedente; il diritto all'anonimato la neutralit e quindi l'irresponsabilit del provider. Negli Stati Uniti la questione stata risolta con il noto caso Apple v. Doe, che ha esteso positivamente il Journalists Priviledge al blogger in virt del First Amendment: La Court of Appeal of the State of California pose il problema sul piano della libert di circolazione delle notizie che abbiano un fondamento di verit senza che possa venire esaminata la legalit ovvero illegalit della modalit della loro diffusione. Nel bilanciamento degli interessi tra la protezione del segreto 3

industriale e linteresse alla libert di espressione e di stampa, la Court of Appeal privilegi la forte protezione per la libera circolazione delle notizie rispetto al differente strumento di diffusione utilizzato estendendo di fatto il journalists privilege anche ai curatori di blog. Non si pu pensare di poter adottare un test che suddivida le notizie in legittime o illegittime. Ogni tentativo delle corti di disegnare una distinzione pu incidere (negativamente) sui diritti garantiti dal First Amendment, il quale deve restare il migliore e il pi importante parametro di valutazione delle idee, invece di formule sociologiche o economiche, progesso governativo o competizione sul mercato1. La decisione di secondo grado Apple v. Doe venne discussa dalla dottrina perch non risolve compiutamente la questione sui doveri minimi di correttezza che anche il giornalismo c.d. diffuso, o citizen journalism deve conoscere e rispettare. In Italia si propose il noto caso del blog del Bolscevico stanco, deciso prima dal Tribunale di Aosta (il cui orientamento venne ripreso da un decisione del Tribunale di Lecce del 2007) e poi ribaltato dalla Corte d'Appello di Torino nel 2010. Il giudice aostano afferm che il gestore di un blog ha una posizione identica a quella di un direttore di testata giornalistica. Il medesimo ha infatti il totale controllo di quanto viene postato e, per leffetto, allo stesso modo di un direttore di giornale, ha il dovere di eliminare gli scritti offensivi. Il gestore di un blog risponde pertanto ex art. 596 bis c.p La Corte Appello di Torino, riformando la menzionata decisione, ha invece seguito l'impronta della Cassazione secondo cui un blog, come i forum e altri siti web simili, aventi un carattere volontaristico di libera espressione di pensiero e dove non si esercita una libera informazione a livello professionale non hanno un obbligo giuridico di munirsi di un direttore responsabile (poich) rappresentano uno strumento di comunicazione ove chiunque pu esprimere le proprie opinioni su svariati argomenti e che non prevedono un (in quanto non imposto da alcuna norma) controllo degli scritti immessi da chiunque ad esso acceda; quindi non possono ritenersi prodotti editoriali. Il giudice d'appello torinese esclude quindi che vi sia coincidenza (anzich mera analogia) tra il gestore del blog e i soggetti di cui all'art. 57 c.p., n vi a carico del gestore del blog un obbligo giuridico di impedire che taluno inserisca un commento diffamatorio, n di far si che i commenti possano essere postati soltanto previo un proprio controllo sul contenuto degli stessi. D'altro canto i giudici torinesi non ritengono che il suddetto obbligo anche se non consacrato in una specifica norma scaturisca dall'esercizio di un'attivit pericolosa, perch tale non pu essere definita quella del gestore d'un blog. La messa a disposizione da parte del blogger di uno spazio virtuale in cui inserire commenti od esprimere opinioni, non pu essere ins se stessa considerata attivit pericolosa. Tale attivit (come quella dei providers: cfr D. Lgs. 9/4/03 n. 270), ha, in sostanza, un carattere neutro. Parimenti, non dato di ravvisare in capo al gestore d'un blog un obbligo giuridico di cancellare un commento diffamatorio ormai immesso nel sito; il fatto che, come nella specie, egli abbia la possibilit di cancellare (a reato di diffamazione ormai perfezionato) non equivale ad obbligo giuridico di cancellare. La giurisprudenza di legittimit ha confermato questa impostanzione negando l'estensione alla Rete della disciplina prevista in materia di stampa, poich occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium non realizza: a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il prodotto di tale attivit (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius). Il fatto che il messaggio internet (e dunque anche la pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualit, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono "stampabili": si pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realt, il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa la "schermata" (Cass. 35511/2010). Tuttavia, in corso un dibattito giurisprudenziale sulla configurabilit del sequestro preventivo in materia di stampa. Da un lato l'orientamento pi recente dei giudici di legittimit afferma che sia ammissibile 4

il sequestro preventivo di cui all'art. 1 del r.d.lg. n. 561/46 di articoli pubblicati su internet (nella specie, su un blog) allorch la sua imposizione sia giustificata da effettiva necessit e da adeguate ragioni, il che si traduce, in concreto, in una valutazione della possibile riconducibilit del fatto all'area del penalmente rilevante e delle esigenze impeditive tanto serie quanto vasta l'area della tolleranza costituzionalmente imposta per la libert di parola (Cass. 7155/2011). Dall'altro lato la giurisprudenza di merito con decisioni appena anteriori e pi condivisibili ha affermato che (L)a disciplina sulla stampa e le garanzie di cui all'art. 21 della Costituzione, tra cui il divieto di sequestro, sono applicabili alle pubblicazioni diffuse tramite supporti informatici ed in particolare su siti internet ove si tratti di ipotesi, da valutarsi caso per caso, in cui le prescrizioni della legge sulla stampa siano state pienamente adempiute, specie per quanto riguarda l'indicazione di direttore responsabile e la registrazione: condizione non riscontrabile nella mera indicazione di un curatore responsabile rinvenibile in un blog, in quanto non soggetta ad alcuna verifica e suscettibile di essere disconosciuta in qualsiasi momento dall'interessato (Trib. Milano 25 giugno 2010). Tale decisione, confermata in sede d'appello, gravemente viziata sotto il profilo sostanziale perch viola il divieto di analogia in malam partem, nonostante il giudicante tenti di rassicurare sugli effetti del suo dispositivo affermando che il provvedimento di registrazione consiste in un mero controllo di legittimit della regolarit formale dei documenti prodotti e della rispondenza del loro contenuto alle disposizioni di legge. La registrazione di un periodico, quindi, non costituisce un limite preventivo alla libert di stampa, essendo esclusa nell'emissione del suddetto provvedimento ogni valutazione discrezionale circa l'opportunit di consentire o meno la pubblicazione (trib. Modica 8 maggio 2008; C. App. Catania 26 aprile 2011). Secondo il giudicante la finalit della registrazione unicamente quella di garantire la repressione degli abusi e di individuare i soggetti responsabili di eventuali illeciti commessi a mezzo stampa. Essa rappresenta soltanto una condizione di legittimit della pubblicazione, la cui mancanza d luogo al reato di stampa clandestina, ma come reiteratamente affermato il blog non assimilabile n concettualmente, ne giuridicamente, alla stampa. 4. Esiste un diritto all'anonimato in rete? Il caso Wikileaks. In giurisprudenza il caso di Wikileaks molto importante perch se da un lato esso concerne il diritto di anonimato in Rete, esso riguarda il fatto che Wikileaks stato oggetto di diversi contenziosi giurisprudenziali ed altres strumento di rivelazione di prove inerenti altri processi rilevanti. Sotto il primo profilo, come noto, si ricorda la coppia di decisioni della Corte distrettuale di San Francisco del febbraio 2008, quando il sito venne prima oscurato per ordine di un giudice che dopo quindici giorni annull il suo ordine perch il sistema di siti mirror aveva vanificato la suddetta ingiunzione. Cosa pubblic Wikileaks di tanto scottante? Esso rivel una serie di documenti relativi a conti riservati in paradisi fiscali. Il secondo profilo emerso pi chiaramente con il Cablegate, che consent di valutare l'impatto di Wikileaks in una prospettiva pi ampia. Principalmente si tratta della 1. valenza processuale di questi documenti illegittimamente rivelati. Sono pendenti diversi casi: 1. Caso Trafigura, societ condananta in Olanda per traffico illecito di rifiuti tossici. Wikileaks rivel documenti 2. Guantanamo, pubblicazione online dei protocolli di tortura completi, che non erano stati ottenuti neanche attraverso istanze di accesso agli atti ai sensi del Freedom of Information Act. 3. Abu Graib: seppure Wikileaks riprenda la pubblicazione delle foto terribili da un altro sito, sulla base di questi documenti le vittime hanno agito negli Stati Uniti per ottenere il risarcimento del danno; tuttavia sull'ammissibilt di tali documenti pendente un writ of certiorari proposto alla Corte Suprema per impugnare due decisioni federali, primo grado e merito, che rigettano la richiesta di danni nei confronti dei contractors. 4. Documenti che che concernono casi di giurisdizione italiana come il rapimento Abu Omar e l'uccisione di Nicola Calipari. 6. documenti relativi ad indagini sul Paradiso Fiscale di Turks and Caicos; 7. documenti relativi al fallimento Banca Northern 5

Rocks; 8. documenti ocumenti relativi alla strage della Love Parade di Duisburg nel 2010. 2. Aspetti relativi al disvelamento della privacy di soggetti considerati afferenti all'organizzazione, tra cui anche una parlamentare islandese. A questo proposito, una corte federale ha intimato a Twitter di rivelare alle autorit giudiziarie i dati personali di quattro collaboratori di Wikileaks. Tali dati concernono: il nome dell'utente, indirizzo, Internet Protocol, la registrazione della localizzazione della connessione telefonica, la registrazione della durata delle conversazioni, la lunghezza e i tipi di servizio utilizzati, il numero di telefono e il nome del suo titolare, compreso il numero temporaneamente assegnato dal provider e la traccia dei mezzi di pagamento per il servizio fruito da ciascun utente. Secondo il giudice federale dell'Eastern District of Virginia, questi dati non sono meritevoli delle garanzie previste dal I e dal IV Emendamento poich concernono informazioni volontariamente cedute dai titolari a Twitter nel momento della sottoscrizione del servizio. Questa impostazione stata confermata anche in appello. 3. Questione dei siti mirror e pronunce dei giudici francesi: all'oscuramento del sito e al blocco dei mirror che ne ripropongono i contenuti. Stavolta sono stati i giudici francesi1 a emanare una decisione molto interessante per la tutela della libert di espressione e del diritto del cittadino di venire informato: essi si sono chiesti se l'attivit di diffusione di tali dispacci diplomatici costituisse violazione del diritto francese (come ipotizzato dal Ministro francese della giustizia) oppure si trattasse di attivit lecita rispettosa della libert di informazione. I giudici, stimolati da una istanza di rfr, hanno detto che allo stato non si vedono motivi sufficienti n per oscurare il sito senza contraddittorio, n per ipotizzare l'illiceit dei contenuti. E i mirror francesi di Wikileaks sono rimasti al loro posto. 5. Internet come vetrina di s: i social network Occorre dunque definire cosa sia privacy e cosa sia riservatezza, trattandosi di espressioni che nel linguaggio colloquiale vengono interscambiate, ma sotto il profilo giuridico indicano la protezione di beni differenti. Da un lato la privacy garantisce l'autodeterminazione delle scelte di vita, mentre dall'altro la riservatezza riguarda la non ingerenza di terzi nella propria sfera personale L'esperienza comparatistica suggerisce che esista un diritto dei singoli a definire la propria esistenza senza interferenze da parte delle autorit statali. giunto a queste conclusioni il Bundesverfassungsgericht tedesco con una sentenza emanata il 27 febbraio 2008, il quale riconosce l'esistenza di un principio relativo al c.d. habeas data, ovvero che ciascun fruitore delle tecnologie telematiche ha diritto alla propria libert digitale in quanto espressione di una personalit digitale e quindi anche di un domicilio digitale dove si racchiudono le comunicazioni digitali, siano esse raccolte in una casella di posta webmail o il laptop di uso quotidiano. Per siffatte ragioni gli utenti informatizzati ovvero telematici hanno diritto alla tutela della riservatezza e della privacy tanto nel mondo virtuale quanto in quello reale. Va tuttavia osservato che il pericolo di violazione della propria personalit digitale tornato alla ribalta in recenti episodi di cronaca. Si registra infatti che un gruppo di hacker berlinesi ha denunciato la diffusione di spyware rudimentali e infestanti i programmi Windows degli internauti, installati da parte della polizia statale di alcuni Land, tra cui la Baviera, nonostante i principi stabiliti dal Bundesverfassungsgericht. Altrettanto interessante la configurabilit di un diritto all'oblio, ovvero che alcune vicende spiacevoli possano essere dimenticate non solo dai consociati ma anche dalla Rete. Infatti, con l'avvento di Internet tutto cambia: la possibilit di accedere in qualsiasi momento a qualsiasi notizia diffusa attraverso la Rete rende perenne il concetto di attualit, quindi si potrebbe affermare che l'unica salvezza dalla memoria imperitura della Rete non venirne intrappolati. Questa soluzione per non praticabile per la svolta social intrapresa dall'evoluzione di Internet, perch attraverso l'uso di massa delle piattaforme di interazione sociale a venire rivelati non sono solo le notizie inerenti alla persona, ma l'intera sua connessione di rapporti e, attraverso questi, la ricostruzione della vita personale del soggetto. 6

Come accennato in precedenza, il rapporto tra uso dei social network, riservatezza e diritto all'oblio si fa sempre pi stretto e l'analisi della casistica giurisprudenziale consente di coglierne la portata concreta. A questo proposito interessante analizzare il caso giudiziario conosciuto come Google Video contro Vividown inerente alla tutela della riservatezza e della dignit della vittima di un atto di cyberbullismo. I fatti si possono riassumere come segue. Nell'autunno 2006 veniva caricato su Google Video un video realizzato con un videofonino che illustrava un ragazzo disabile oggetto di denigrazione da parte dei suoi compagni in orario scolastico. Oltre allo sdegno dell'opinione pubblica tale fatto ha provocato l'interesse della magistratura inquirente che ha formulato il rinvio a giudizio alcuni manager di Google per due capi di imputazione: il primo relativo all'integrazione di una fattispecie di diffamazione per violazione degli artt. 110, 40, 595, commi 1 e 3, dalla quale gli imputati sono stati assolti poich al momento tale fattispecie non prevista quale reato penale, mentre il secondo relativo alla violazione del codice della privacy (D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196) relativamente alla diffusione online di dati sensibili della vittima, ovvero il suo stato di salute. Il Tribunale di Milano ha condannato a 6 mesi di reclusione i dirigenti di Google con la condizionale esclusivamente in riferimento alla seconda incriminazione. Nella sua lunghissima motivazione, il giudice monocratico di prime cure ha ricostruito la serie di comunicazioni avvenute tra gli operatori di Google sulla cancellazione del video, al fine di dimostrare come i gestori del website cercassero di guadagnare delle posizioni sul mercato del video-sharing, e quindi appetibilit dei loro spazi pubblicitari, trascurando gli adempimenti di legge in materia di privacy. Tale sentenza ha suscitato diverse perplessit tra gli operatori e tra i commentatori in relazione alla condanna del provider per la pubblicazione da parte di terzi online di materiali lesivi della privacy altrui. I commentatori critici della sentenza si basano sull'art. 15 della Direttiva 2000/31/CE rubricato "Assenza dell'obbligo generale di sorveglianza". Tuttavia si osserva da un lato che tale disciplina limitata al commercio elettronico, mentre dall'altro si nota che Google Video (e servizi assimilabili, come la medesima YouTube, controllata di Google), non possono pi essere considerati fornitori di servizi neutri, in quanto essi svolgono un vero e proprio ruolo di natura editoriale relativamente ai materiali pubblicati con classifiche di gradimento, inserzioni pubblicitarie e di intervento sui materiali. Un dato oggettivo emerge da questa sentenza, ovvero l'assenza di espliciti riferimenti comunitari in tema di privacy, nemmeno la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, seppur gi vincolante al momento della pubblicazione del dispositivo, stata citata per richiamare la necessariet della protezione della parte lesa, nonostante l'esplicito riferimento contenuti nella medesima alla riservatezza dei dati sensibili dei soggetti sottoposti a quel tipo di riprese. A questo proposito soccorre il diritto comparato, dove, in un caso analogo, ovvero la pubblicazione di commenti denigratori e ingiuriosi consistenti in hate speech, la Court of Appeal of the State of California ha statuito che trattandosi di cyberbullismo, tale azione non pu avvalersi delle garanzie di libert di espressione fornite dal First Amendment del Bill of Rights della Costituzione americana poich il contenuto diffamatorio configura un reato. Ne conseguirebbe quindi che la tutela del soggetto debole dalla pubblicazione di dati ovvero immagini diffamatorie online implicherebbe un aspetto delicato, ancora pi profondo della rivendicazione del diritto all'oblio, inerente alla tutela della dignit della vittima. Si tratta di un elemento essenziale del dovere di solidariet verso i pi deboli, dovere che non viene meno neanche sul web. Il problema diventa di gestione ancora pi difficile sulle piattaforme di condivisione sociale dei contenuti come Facebook, lo svelamento non autorizzato dei propri dati o materiali (come fotografie, video, commenti, note e cos via) avviene generalmente senza il consenso dell'avente diritto, tuttavia questo comportamento non da considerarsi pienamente illegale poich nel momento in cui ci si iscrive alla piattaforma si accettano le condizioni d'uso nonch il rischio ad essa connesso, ovvero la possibilit che dati personali inerenti all'utente vengano dispersi. tuttavia difficile verificare come i rimedi a disposizione degli utenti lesi nella loro privacy vengono posti in essere perch relativamente alle piattaforme di social networking, come Facebook, le decisioni giurisprudenziali sono ancora rare. Per quanto concerne l'ordinamento nazionale, secondo la 7

giurisprudenza di merito tenuto al risarcimento a titolo di danno morale, colui il quale leda diritti e valori costituzionalmente garantiti, quali la reputazione, l'onore o il decoro altrui, mediante l'invio di messaggi offensivi condivisi su "Facebook". Nel caso di specie si trattava della condivisione su Facebook da parte dell'ex-boyfriend di una ragazza di frasi canzonatorie dei difetti fisici della giovane. La giurisprudenza di legittimit ha considerato integrata la condotta tipica del delitto di atti persecutori (art. 612 bis c.p.), le molestie perpetrate attraverso il reiterato invio alla persona offesa di "sms" e di messaggi di posta elettronica o postati sui cd. "social network" proprio come Facebook, nonch con la divulgazione attraverso questi ultimi di filmati ritraenti rapporti sessuali avuti con la medesima. L'esperienza comparatistica fornisce un interessante parametro di confronto: i giudici federali americani hanno iniziato a delineare che cosa costituisca violazione della privacy su Facebook, e quindi sia censurabile, da cosa sia semplicemente inopportuno o disgustoso, e quindi sia tutelato dalla libert di manifestazione del pensiero. Nel caso di specie, un gruppo di allievi infermieri aveva seguito un corso in ostetricia e ginecologia presso un ospedale di Olathe, nel Kansas. Alla fine del corso alcuni di loro avevano chiesto di potersi fotografare con la placenta di una paziente rilasciata durante il parto. Una di essi pubblic la sua foto sulla sua pagina di Facebook, provocando la sua espulsione dal corso. La ragazza fece causa per venire riammessa argomentando che non era stato rispettato il suo diritto al Due Process poich sanzionata senza contraddittorio, domanda accolta dai giudici. Per quanto concerne il merito della vicenda, la Corte ha enucleato due argomenti di interesse: a) dal momento in cui il docente concede il permesso di fotografare le persone che tengono in mano la placenta questi deve fondatamente supporre che poi le immagini verranno postate sul pi popolare social network del mondo; b) fotografare tale materiale umano non viola la privacy di alcuno perch dalle immagini non possibile risalire a chi appartenesse la placenta stessa. In altra causa, giudici statali hanno affermato che non necessario il consenso per venire taggati in una foto caricata su Facebook. La decisione stata presa all'interno di un procedimento di affido di minori. Il padre ha portato quale prova giudiziaria una foto pubblicata su Facebook che rappresentava la madre mentre beveva alcoolici, nonostante la controindicazione medica correlata all'assuzione di psicofarmaci per la cura di un disturbo comportamentale della signora. Le difese della donna, rigettate della corte, argomentavano che essa stata fotografata e taggata su Facebook senza il suo consenso. Questo provvedimento pone due questioni: da un lato quale sia la possibile difesa della privacy su Facebook, completamente negata in questo caso; dall'altro fino a quando le foto digitali potranno venire considerate come affidabili mezzi di prova per la rappresentazione della realt, considerata la facile reperibilit di software in grado di modificarle. 6. L'Internet Protocol un dato personale? Il dibattito sulla natura dell'Internet Protocol e quindi sulla liceit della sua tracciabilit molto acceso. Per quanto concerne la tutela dei diritti fondamentali, infatti, si vedono contrapposti da un lato l'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che protegge la riservatezza della vita privata e famigliare in combinato con l'art. 8 della medesima relativo alla protezione dei dati di carattere personale, mentre dall'altro il tema particolarmente sentito in materia di tutela della propriet intellettuale, diritto fondamentale previsto dall'art. 17.2 della stessa Carta. Vi sono anche altri ambiti in cui il tema assume particolare rilievo, ovvero nell'individuazione della responsabilit di tutti quei comportamenti configurabili come reato che si possono commettere attraverso la Rete, specie in materia di protezione di soggetti deboli, come i minori. Focalizzando il dibattito sulla protezione del diritto patrimoniale d'autore si ricorda che la Corte di Giustizia nella sentenza Promusicae si espressa per un equo bilanciamento dei diritti affermando da un lato che le direttive 2000/31/CE sul commercio elettronico, 2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore, 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di propriet intellettuale e 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e sul rispetto della vita privata nelle comunicazioni elettroniche non impongono agli Stati membri di istituire un obbligo di comunicare 8

dati personali per garantire leffettiva tutela del diritto dautore nel contesto di un procedimento civile in una situazione in cui unassociazione senza scopo di lucro di cui fanno parte produttori ed editori di registrazioni musicali e di registrazioni audiovisive ha presentato una domanda allo scopo di ottenere che venga ingiunto a un fornitore di servizi di accesso ad Internet di rivelarle lidentit e lindirizzo fisico dei titolari di talune linee di abbonati per poter promuovere azioni legali di diritto civile per violazione dei diritti dautore. Dall'altro lato per, e qui la Corte introduce la seconda fase del bilanciamento, il diritto comunitario richiede che gli Stati membri, in occasione della trasposizione di queste direttive, abbiano cura di fondarsi su uninterpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dallordinamento giuridico comunitario. Poi, in sede di attuazione delle misure di trasposizione delle dette direttive, le autorit e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su uninterpretazione di esse che entri in conflitto con i detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come il principio di proporzionalit. Il riferimento al principio di proporzionalit, quindi, sembrerebbe essere il parametro di bilanciamento che il giudice deve applicare nel caso concreto sottoposto alla sua attenzione. Successivamente, nell'ordinanza LNSG Gesellschaft zur Wahrnehmung von Leistungsschutzrechten GmbH contro Tele2 Telecommunication GmbH., la Corte afferma che "La Tele2 un fornitore di accesso a Internet, che assegna ai propri clienti un indirizzo IP (Internet Protocol), per lo pi dinamico. Sulla base di questultimo e del periodo o momento preciso in cui esso stato assegnato, la Tele2 in grado di identificare un cliente. La medesima Corte di Giustizia, nella precedente causa Bodil Lindqvist, ha affermato che "La nozione di dati personali accolta nell'art. 3, n. 1, della direttiva 95/46 comprende, conformemente alla definizione che figura nell'art. 2, lett. a), di questa, qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile. Tale nozione ricomprende certamente il nome di una persona accostato al suo recapito telefonico o ad informazioni relative alla sua situazione lavorativa o ai suoi passatempo". Se la nozione di dato personale comprende "qualsiasi informazione", e questa a sua volta comprende "il nome accostato al suo recapito telefonico" risulta alquanto complicato negare che l'indirizzo fornito dal provider all'utente per messo di una connessione telefonica non sia un dato personale. In Italia vi stato un contenzioso giudiziario che ha affrontato in modo controverso la questione sulla natura dell'IP come dato personale, come nel caso "Peppermint". Molti si ricorderanno della casa discografica tedesca che aveva utilizzato un certo programma software (Logistep) per la raccolta degli indirizzi IP di coloro che si connettevano a reti peer to peer onde scaricare materiali anche protetti dal diritto d'autore. Dopo la raccolta di tali dati, i difensori della casa discografica si rivolgevano al Tribunale di Roma, competente per territorio, considerata la sede dei provider convenuti, ai quali veniva chiesta con provvedimento d'urgenza la disclosure dei dati personali di titolari degli indirizzi IP intercettati. Dopo un primo orientamento di accoglimento, la giurisprudenza di merito ha rigettato tali richieste poich "non pu ritenersi sussistere a carico del "provider" alcun obbligo di comunicazione ed estensione dei dati anagrafici necessari all'identificazione degli autori delle suddette violazioni allorch i titolari del diritto d'autore agiscano in sede civile (anche con istanza cautelare) per la tutela dei propri interessi economici. Invero, l'applicazione del combinato disposto degli art. 156 e 156 bis l. auton. non estensibile ai dati e informazioni che attengono alle comunicazioni "lato sensu" elettroniche, n ai dati di traffico da queste generate, visto l'espresso divieto che deriva sia dal sistema normativo interno (primario e costituzionale) sia da quello comunitario. Unica deroga ammessa quella relativa all'uso e alla comunicazione dei dati solo per la tutela di valori di rango superiore e che attengono alla difesa della collettivit ovvero alla protezione di sistemi informatici". Anche l'Autorit Garante della Privacy ha accolto questa impostazione, tuttavia la questione stata riproposta, sempre presso il Tribunale di Roma, in materia di "dati aggregati" sulla fruizione di contenuti cinematografici illeciti 9

attraverso reti peer to peer. Il giudice romano ha confermato l'impostazione gi accolta nella precedente controversia riguardante Peppermint aggiungendo che ai sensi della disciplina sul commercio elettronico non grava sullintermediario della comunicazione alcun generico obbligo di sorveglianza ma solo taluni obblighi c.d. di protezione accomunati dallavere ad oggetto comportamenti di collaborazione con lAutorit giudiziaria o amministrativa di vigilanza investite nellaccertamento delle violazioni commesse attraverso il servizio reso al fine di prevenire o reprimere tali violazioni. Ulteriormente il giudicante ha chiarito che in presenza della sola informativa ricevuta attraverso la diffida inviata dalla Fapav Telecom non solo non avrebbe dovuto ma nemmeno avrebbe legittimamente potuto interrompere il servizio, non essendo responsabile delle informazioni trasmesse, ai sensi dellart. 14, comma 1 [della Direttiva 2000/31/CE] ed essendo contrattualmente tenuta alla prestazione. La giurisprudenza comunitaria non ha ancora affrontato in modo diretto cosa sia l'Internet Protocol e se sia da considerarsi un dato personale, tuttavia possibile rispondere affermativamente a questo dubbio con una ricostruzione interpretativa. Mentre nell'esperienza comparatistica, si segnala il dibattito giurisprudenziale tedesco. Infatti, in Germania ancora non chiara la natura dell'Internet Protocol e quindi permangono dei dubbi sulla possibile tracciabilit e conservazione di questo dato. Recentemente una decisione del Bundesgerichtshof afferma che agli Internet Services Provider consentito registrare il numero di Internet Protocol dinamico attribuito da una connessione flat per un tempo di sette giorni. In senso contrario a questa direzione si indirizza la decisione dell'Oberlandesgericht di Colonia il quale ha deciso che le informazioni sul titolare dell'Internet Protocol dinamico collegato ad connessione non sono ammissibili visti i dubbi sulla attendibilit delle investigazioni in materia di indirizzi IP. Negli Stati Uniti, al contrario, nella causa Viacom v. YouTube, il giudice distrettuale di New York ha affermato che il "login ID is an anonymous pseudonym that users create for themselves when the sign up with YouTube wich without more cannot identify specifc individuals (...) and Google has elsewhere states: We are strong supporters of the idea that data protection laws should apply to any data that could identify you. The reality is though that in the most cases, an IP address without additional information cannot". Per comprendere quale sia l'effettiva posta in gioco si possono prendere in considerazione i dati che l'autorit francese HADOPI (Haute autorit pour la diffusion des uvres et la protection des droits sur internet) ha pubblicato nel suo rapporto per il primo anno di attivit. Si ricorda che in Francia si deciso di dare realizzazione legislativa alla policy del "three strikes" che, invece di bilanciare gli interessi in modo equo, privilegia gli interessi dei pochi detentori dei diritti di propriet intellettuale distaccando la connessione da Internet per un certo periodo tra i 3 e i 12 mesi a colui che sia stato identificato mentre fruiva di materiale illecitamente condiviso online. A carico dell'utente disconnesso permane l'obbligo del versamento dei canoni di abbonamento al fornitore di connettivit. Tale strategia stata sottoposta a severe critiche da pi parti, infatti diversi autori hanno suggerito di adottare strumenti alternativi pi consoni con la violazione commessa, come ad esempio il risarcimento del danno ovvero il pagamento di una multa. I dati rilevati dalla HADOPI sulle sanzioni somministrate nel primo anno di attivit sono significativi del non neutrale utilizzo della tecnologia P2P. L'Autorit ha dichiarato di aver effettuato 1.023.079 richieste di identificazione di utenti Internet agli internet services provider, che hanno risposto identificando 911.970 utenti. Di questi hanno gi ricevuto il primo avvertimento, a partire dall'ottobre 2010 ben 470.935 utenti, mentre il secondo avvertimento stato recapitato a 20.598 abbonati gi individuati in precedenza. Di fronte a questi numeri certificati dall'autorit medesima, non si pu far a meno di chiedersi se non si sia messa in piedi una gigantesca attivit di sorveglianza lesiva del diritto fondamentale alla riservatezza, creando di fatto un Big Brother eccessivamente invadente? Davvero sensato che per la difesa dei diritti patrimoniali degli editori e dei produttori, pi che degli autori, si debba schedare centinaia di migliaia di persone? In considerazione anche del fatto che non vi certezza della coincidenza dell'identit tra chi titolare 10

dell'abbonamento Internet e chi invece porrebbe in essere il comportamento illegale incriminato. Questi numeri dimostrano che il problema pi che giuridico politico, ovvero di criminalizzazione di un comportamento ormai non solo socialmente accettato, ma pure incongruo con l'immaterialit dei beni digitali, per loro natura astrattamente infiniti e quindi inesauribili.

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