Fernando Cipriani, Metafore Della Mostruosità in Villiers e Mirbeau

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FERNANDO CIPRIANI

“Metafore della mostruosità in Villiers e Mirbeau”, in Villiers de l’Isle-Adam e la cultura del suo
tempo, Il poeta, la donna e lo scienziato. ESI, Napoli, 2004, pp. 197-217.

VIII

METAFORE DELLA MOSTRUOSITÀ IN VILLIERS E MIRBEAU

Car il la voyait alors sans tête: et cette sensation-là, d'après la nature de ses appétits,
l'enivrait (L'étonnant couple Moutonnet )

Il me sembla même que les monstres de métal le répétaient dans leurs spasmes, le
hurlaient dans leurs délires de luxure sanglante (Le jardin des supplices )

Dal mostro borghese alle devianze della personalità : il criminale e il carnefice

Villiers ha sviluppato l'idea della mostruosità derivandola dalle potenzialità criminali dell'uomo e
dalla sua tendenza alla perversione esistente tanto nel rapporto amoroso della coppia, quanto nel
rapporto tra persone dello stesso sesso, laddove la crudeltà si rivela come dimostrazione o
applicazione in chiave sadica di un principio morale, sociale (si veda nei Nouveaux contes cruels
«La Torture par l'espérance», «L'Enjeu», «L'Incomprise», «Sylvabel») quasi in opposizione alle
forme dell'idealismo che imprimono all'opera di Villiers un carattere trascendente.
Il primo «mostro», da intendere come eccezione nel senso morale e metafisico, è certamente il
borghese Bonhomet1, per il quale una strategia terroristica, di attacco e di difesa, viene studiata da
Villiers insieme al suo amico Mallarmé nel settembre del 1867: «Il faut que nous affolions le
monstre et je crois que mon plan est parfait»2. Dunque per Villiers, almeno all'inizio della sua
campagna antiborghese, come abbiamo visto nella prima parte di questo studio, il vero mostro da
abbattere o esaltare ironicamente è il positivo, inventivo borghese, il viaggiatore in cerca
d'avventure, l'intrepido inventore che ideerà un giorno, sfruttando i terremoti, lo sterminio di tutti i
poeti; la sua figura simbolicamente può essere assimilata a quella dello strangolatore-carnefice e
dello scienziato sperimentatore3.
Il mostro non si presenta quasi mai nella sua realtà fisiologica o grottesca, ma nella forma
metaforica dell'eccezionalità, intesa come scarto rispetto alla norma, oppure nella forma della
discrepanza o disparità antinomica tra fisico e spirito, tra corpo e anima, come avviene nel perso-

1    Sul   collegamento   e   ambiguo   rapporto   tra   arte   e   criminalità   verificabile   nella   forma   dell'umorismo   nero   che 
Huysmans­des Esseintes definiva «un bafouage d'un comique lugubre»  è stato osservato che l'ultrapositivista Bonhomet 
si arroga «il diritto a una sperimentazione a tutto campo» (S. BRUGNOLO, L'artista come assassino, in La tradizione  
dell'umorismo, Roma, Bulzoni, 1994, p. 225). 
2 Corr., I, pp. 114­115, loc. cit. 
3  L'avanzata del progresso, oltre a giustificare l'innaturale e dunque  il  «mostruoso»,  rende lo  stesso  scienziato  un 

criminale, che in nome del progresso potrà compiere qualsiasi esperimento; l'assurdo è che le invenzioni, quasi sempre 
frutto di sconsiderate speculazioni, distruggono l'umanità in nome del bene della stessa umanità (argomenti su cui 
insistono i cosiddetti «contes à appareil», e non ultimo l'esperimento del dottor Hallidonhill). Quindi la parodia, ideata 
strategicamente da Villiers, anziché contribuire a sminuire Bonhomet, lo innalzerà al ruolo di un geniale scienziato e poi 
a quello di un carnefice­dilettante che, per assaporare da buon borghese le ebbrezze dell'arte, strangolerà con le sue mani 
guantate i bianchi cigni, i quali morendo emetteranno il loro ultimo e sublime canto. Cfr. supra   il cap. II della prima 
parte di questo studio.
naggio dell'attrice dilettante, Alicia, mostro nel senso metafisico4. Ma esistono anche forme sofferte,
drammatiche di sdoppiamento che mettono in luce improvvisamente l'aspetto mostruoso, celato nel
personaggio, spesso artista o genio deviato, che sconfina nell'anormalità del nevrotico ossessionato
dall'idea fissa: si pensi all'attore tragico Chaudval de «Le Désir d'être un homme», al narratore
taciturno di «Sombre récit, conteur plus sombre» e al temperamento d'artista, fin troppo sensibile,
del conte suicida Maximilien di «Sentimentalisme», tutte novelle appartenenti ai Contes cruels.
Qual è la logica sottesa alla creazione della metafora «mostro»? La società5 isola il criminale
perché lo teme, perché eccezione in rapporto alla regola comune; i personaggi che vengono a
rappresentare le metafore della mostruosità sono il carnefice, il seviziatore, il prete diabolico, il bri-
gante-criminale in libertà, l'incendiario, il dinamitardo, il maniaco, ma perfino il borghese rispettato
e stimato, e infine la coppia dei coniugi o amanti in cui spesso l'amore assume la forma di una vera
tortura. Il mostro secondo la concezione di Villiers è dunque il diverso, assimilabile a un caso di
anomalia e di criminalità, che si rivela improvvisamente sotto le apparenze della normalità. Se il
mostro, inteso sempre più nel senso metaforico, diventa una minaccia alla stabilità sociale, una
trasgressione rispetto alla legge-norma, la società risponde con l'isolamento. Lo stesso poeta in
un'ottica utlitaristica-borghese è una sintesi di anomalia, eccezione e diversità. In risposta a tale
difformità all'interno di una morale del buon senso comunemente accettata, Villiers esalta in un'aura
di grandiosità e di atmosfera angosciosa la tortura, la morte e la macchina della ghigliottina 6,
invenzione della rivoluzione, incaricata dall'autore di fare giustizia delle ingenuità e del perbenismo
borghesi. Questa tecnica terroristica sottesa a molti racconti crudeli è molto vicina all'arte raffinata e
geniale della tortura praticata dai cinesi e vantata come rimedio alla mediocrità borghese da Octave
Mirbeau, che per bocca del carnefice cinese nel romanzo Le Jardin des supplices (1899) emette una
paradossale constatazione degna di Villiers: «Nous sommes vaincus par les médiocres... Et c'est
l'esprit bourgeois qui triomphe partout»7. E come esempio di questi racconti del terrore, affilati e
taglienti come una scure contro il mostro-borghese, valga il personnaggio del carnefice (il barone
Saturne più volte ricordato) introdotto in incognito in una lieta brigata, durante una festa di
carnevale, che, pur magnetizzando l'ambiente mondano e licenzioso, non lascia trasparire dalla sua
persona nulla riguardo alla prossima esecuzione capitale e quindi alle sue funzioni ufficiali
d'implacabile esecutore di pene capitali.
La donna fatale e indirettamente carnefice appare nel racconto «La Reine Ysabeau» (Contes
cruels), anch'esso legato al simbolo della morte e dell'esecuzione capitale. Questa regina crudele,
nota nella storia per la sua rara bellezza, è tanto fonte di piacere quanto di morte, poiché in lei le
forze opposte, Eros e Thanatos, sono strettamente interdipendenti. Come tutte le donne fatali di
Villiers questo personaggio proietta un'ombra di morte sull'amante, il vicedomino di Maulle, ignaro
della macchinazione e della trappola mortale che gli prepara la sua amante; il suo piano diabolico e
criminale è di farlo accusare come incendiario proprio mentre trascorre tra le sue braccia l'ultima
notte d'amore (i rintocchi delle campane annunciano l'incendio scoppiato ma anche la condanna a
morte.) Il fuoco diventa la metafora dell'amore che divampa («le feu des désirs», raffinato e
4  Esiste   un   preoriginale   intitolato   «le   monstre   Alicia»:   è   l'attrice   borghese,   simile   esteriormente   alla   statua 
rappresentante la Venere di Milo, cfr.O.C., I, p. 1535 e infra il cap. successivo. 
5 Cfr. F. MORETTI, Segni e stili del moderno, cit., il capitolo «Dialettica della paura» che propone «una sociologia del 

mostro moderno»: «il mostro dunque, serve a spostare gli antagonismi e gli orrori che si manifestano dentro la società 
al di fuori  della società stessa» (Ibid. p. 105, corsivo nel testo). 
6 La ghigliottina, come si sa, costituisce un tema ossessivamente presente in una serie di racconti insoliti o crudeli, in 

cui Villiers esprime una forma di perversione a lui congeniale; questa macchina, simbolo certamente di castrazione, 
diventa nell'ideologia legittimista di Villiers uno strumento ambiguo di morte, piuttosto che «le symbole d'un olocauste 
et présage de mort et présage d'une apocalypse» come è stato sostenuto ultimamente.  Cfr. M.­L. LENTENGRE,  La  
noirceur de Villiers, in AA. VV., Il “Roman noir”    ..., cit., p. 288. Si veda anche sul tema della ghigliottina I. R OSI, 
«L'occhio della ghigliottina» in Immagine in trasparenza... , cit., pp. 131­150.
7  O. MIRBEAU,  Le Jardin des supplices, Edition présentée et annotée par Michel Delon, Paris, Gallimard, “Folio”, 

1988, p. 207. I rimandi delle pagine nel testo si riferiscono d'ora in poi a questa edizione.
sensuale) e i bagliori sinistri che penetrano nella stanza, ricoprendo di rosso gli oggetti, la
suppellettile, si fanno presagio di morte, minaccia. Dunque la metafora della mostruosità in questo
«conte cruel» è legata alla eccezionale figura della regina, capace di una passione e di un amore che
quasi non le appartengono, certamente disumani e quindi mostruosi, contrari alla sua natura
femminile; una passione che si colora certamente di una particolare follia e di una forza perversa,
continuamente associate alla doppia metafora del sangue e dell'incendio8. La mostruosità è
soprattutto connaturata alla seconda personalità che si manifesta all'improvviso: infatti si tratta di
una donna che, pur essendo conosciuta da tutti, dal popolo e dai poveri, come «un ange de bonté,
une sainte et sage princesse» (O.C., I, p. 685) secondo la nota esplicativa apposta al racconto, si
rivela fondamentalmente crudele e diabolica.
Sul piano della narrazione è dato al lettore cogliere le qualità ossimoriche della scrittura di
Villiers. Tratteggiando una donna misteriosa e attraente, dalla languida sensualità, che distilla veleni
al suo amante attraverso baci intramezzati da frasi, che fanno intendere il suo progetto criminale e
vendicativo («–Vous êtes un vilain incendiaire, mon amour», p. 683), il narratore mette in stretta
correlazione l'amore e il crimine: il simbolo del fuoco passa quindi dalla bellezza di Ysabeau
emanante dai suoi capelli rossicci («la chevelure tiède, rousse comme de l'or brûlé», p. 684) al corpo
dell'amante, legando indissolubilmente, metonimicamente, l'amore alla condanna a morte
dell'amante: «Et, comme les parfums qui sortaient de son corps oriental étourdissaient et brûlaient
les sens jusqu'à ôter la force de penser, elle se pressa contre lui» (p. 683). L'abbraccio diventa
attraverso un gioco di scambi metaforici quello del carnefice attaccato alla sua vittima e che ne ha
sadicamente decretato la morte. Questa novella potrebbe appartenere al particolare genere del
Fantastico per le graduate rivelazioni del piano criminale della regina, e quindi a una tecnica che
crea e sviluppa nel lettore una situazione psicologica ambigua, satura di minaccia e di timore9.
L'incipit della novella che ha per titolo «Ce Mahoin!» (Histoires insolites ) presenta il ritratto di
un mostro a tutto tondo: si tratta di un inafferrabile brigante dotato di una forza brutale, che semina
il terrore nella provincia di Bruxelles, nel circondario d'Ixelles:

ah! ce Mahoin! l'hybride et fangeux brigand! Le tragique et retors malvat! Un rôdeur de


routes, une face de crime, à reflets ternes, couleur de couteau sale: l'air d'un mauvais prêtre,
moins la défroque: et gare à ce qu'il rencontrait! (O. C., II, p. 269).

Tuttavia questa specie di «grondante bête puante» (p. 270) esercita uno strano fascino e un potere
soggiogante sulle giovani fanciulle, oggetto della sua smisurata libidine, e viene catturata mentre si
accinge a compiere uno strupro. Il giorno dell'esecuzione una grande folla di curiosi, di tutti i ceti e
le età si assiepa lungo le strade; perfino le case sono zeppe di stranieri venuti da ogni parte della
regione per assistere alla decapitazione del brigante sanguinario. A sorprendere il lettore è la
conclusione che comporta una doppia esecuzione: della vittima e del carnefice, del mostro e della
folla dei curiosi, che per il sollevamento e sfondamento del tetto vengono letteralmente decapitati
nello stesso istante:

Or, devant cette quantité de têtes, qu'éclairait le brouillard en feu et qui guettaient le
tomber de la sienne, les yeux du patient s'agrandirent: – en un grave silence, affolé peut-
8  Il colore rosso è evidenziato dalla doppia congiunzione dei verbi­aggettivi sublimati stilisticamente dallo scambio 

metaforico che intercorre tra sangue­incendio­passione e infine vendetta (O.C., I, p. 683). Anche se il vicedomino 
riuscirà a fuggire dalla prigione, la vendetta della sua amante­giustiziera divampa come un fuoco inestinguibile fino a 
raggiungerlo in esilio: «Encore tout brisé et brûlé par la torture, le vidame de Maulle passa la frontière et mourut dans 
l'exil» (p. 685). Per questo, se la sua mano di carnefice non riuscirà a colpire l'amante, che avrebbe voluto sposare la 
figlia giovanissima del suo gioielliere, lei farà eseguire ugualmente la condanna a morte dell'avvocato che l'aveva aiutato 
a fuggire dalla prigione e farà cancellare dalla lista dei vivi il nome dell'amante. 
9   Secondo uno studioso di tale genere «la situation Victime­monstre n'est pas une situation  d'étrangeté, c'est une 

situation de menace et de crainte» (L. VAX, La séduction de l'étrange, Paris, PUF., 1965, p. 117). 
être, il considéra, dans les airs d'alentour, en frissonnant, cette mouvante assemblée in-
corporelle de faces sinistres, avec une stupeur telle... qu'il fut décapité bouche béante. Ce
Mahoin! (p. 272)

Un altro personaggio che commette un crimine di piromania, rimasto impunito, è il grande


giurista «Maître Pied» che appicca il fuoco a un granaio attinente all'abitazione di un amico di cui è
ospite, senza alcun alibi apparente, – «comme en proie à quelque grave crise de perversité, de
frénésie rancunière, de démence vindicative, absolument inconcevable chez l'homme que tous
avaient, jusqu'alors, connu en lui» (O. C., II, p. 723). All'improvviso si scopre che l'incriminato si
presenterà alle elezioni politiche e avrà il voto compiacente dello stesso narratore, interessato a
conoscere meglio il personaggio (un personaggio dunque due volte mostruoso).
Va osservato che in questi racconti focalizzati sulla figura del mostro, inteso nell'accezione di
personalità deviata e perversa, cinica e crudele, accettata dalla società, il luogo scenografico resta
altrettanto inquietante: un luogo sinistro, su cui si espandono le tinte fosche dell'incendio, spesso
prolungamento simbolico o emanazione magnetica della presenza del criminale, luogo che associa il
colore rosso alla ghigliottina e quindi al sangue, come abbiamo visto. Non ultimo di questa serie di
racconti sulla ghigliottina è il racconto crudele, già menzionato, «Le Convive des dernières fêtes»
(Contes cruels), che ha per protagonista un carnefice che rivela all'improvviso e in modo
insospettabile un'altra personalità, in contrasto con la sua convivialità e le sue belle maniere: «Et il
me sembla – nota il narratore – brusquement que les cristaux, les figures, les draperies, que le festin
del nuit s'éclairaient d'une mauvaise lueur, d'une rouge lueur sortie de notre convive, pareille à
certains effets de théâtre» (O.C. I, p. 618).
L'esecutore della strage, che appicca il fuoco agli esplosivi e provoca l'incendio di Parigi,
scompare nella nebbia dopo l'esecuzione (si veda il cap. «L'exécution» nel racconto «L'Etna chez
soi», O.C. II, p. 350-51); qui l'anonimo personaggio, inafferrabile e insospettato, sembra incarnare
una specie di angelo sterminatore che lavora in incognito. In questa «lueur rouge» è da leggere il
segno inequivocabile della mostruosità che dilaga come sangue, accende il desiderio, senza riuscire
a placare la carica aggressiva dell'esecutore del crimine.

La mostruosità nell'amore

Se la figura del «mostro» appare piuttosto isolata (incendiario insospettabile, carnefice o


eversore) la coppia uomo-donna fornisce risvolti mostruosi di maggiore complicità. La mostruosità
entra allora in gioco soprattutto nel rapporto fisico-carnale, come forma di perversità10, quindi nella
storia insolita di una coppia, «L'Etonnant couple Moutonnet» (Chez les Passants). Il cittadino
Thermidor Moutonnet chiede durante gli anni rivoluzionari che insanguinano la Francia (1793)
all'amico esecutore Fouquier Tienville di includere nell'elenco dei condannati anche il nome di sua
moglie, in seguito a una banale lite avuta con lei. (La condanna tuttavia non ha seguito). Trenta anni
dopo ritroviamo i coniugi Moutonnet in Belgio, vivere insieme in una tranquilla casetta l'ultimo
idillio della loro vita. Il narratore ci rivela però che questa lunga fedeltà e questa perfetta intesa
coniugale si reggono su una doppia menzogna, fondata sulla natura perversa del rapporto amoroso
di questa coppia. Durante l'amplesso il marito trae infatti piacere dal vedere sua moglie senza testa,
cioè decapitata: «Et cette idée l'avivait, le faisait sourire, doucement, dans les ténèbres, le délectait,
le rendait amoureux jusqu'au délire. Car il la voyait alors sans tête: et cette sensation-là, d'après la
nature de ses appétits, l'enivrait». (O. C. II, p. 408). La moglie prova lo stesso piacere dopo la sco-
perta della macabra intenzione del marito, manifestata alcuni decenni prima, di farle tagliare la testa.
Questi due perversi desideri fondano l'unione e la fedeltà della coppia su un mostruoso segreto, anzi
10 Tale perversione è degna, secondo Raitt e Castex, di un racconto di Sade che resta il modello di riferimento insieme 

all'altro, più strettamente tematico, presente nel Bonheur dans le crime di Barbey d'Aurevilly. Cfr. «Notice» in O.C., II, 
p. 1328.
la contagiano: «Ainsi le cas d'insanité sensorielle de l'un avait gagné l'autre, par le négatif. Ainsi
vécurent-ils, se leurrant l'un l'autre (et l'un par l'autre), en ce détail niais et monstrueux et tous deux
puisaient un terrible et continuel adjuvant de leurs étranges et macabres plaisirs» (p. 409). Secondo
Décottignies la donna diventa «l'agent de l'Éros aveugle», l'iniziatrice di una distruzione; tale Eros
comporterebbe «l'intervention dans l'acte charnel des pulsions néantisantes, destructrices ou auto-
destructrices»11. Ancora più evidente il legame tra il represso che ritorna travestito da mostro: in
qualche misura è la rivincita di Villiers di fronte al trionfo dell'avanzata borghese che abbiamo visto
legitimare la strategia del terrore.
Il torzionario può essere dunque considerato un'altra figura mostruosa perché assume le stesse
funzioni del boia, in quanto entrambi da freddi esecutori preparano la vittima attraverso la tortura a
quel momento supremo che per Villiers è la morte. Il torzionario in particolare applica
impersonalmente una legge umana-disumana della sofferenza: si tratta di una prova da superare per
la coppia dei giovanissimi amanti che provano il primo slancio d'amore. Una storia d'amore diventa
allora una dimostrazione per assurdo, di tipo matematico-filosofica, tendente a provare che la
felicità non può essere terrestre ma solo celeste, cioè trascendente e ultraterrena. La comunione dei
sensi in una coppia può durare solo quarantotto ore e l'amore esclusivo dei sensi non può essere che
un mostruoso supplizio; è questa l'idea che mette a segno in forma allegorica la storia insolita de
«Les Amants de Tolède» (Histoires insolites); essa ha per protagonisti il grande Inquisitore
Torquemada, già protagonista della «Torture par l'espérance» (Nouveaux contes cruels) e due
giovanissimi adolescenti, che spogliati e legati vengono rinchiusi nella «Chambre du Bonheur». Le
«délices» dell'amore sono brevi (una luna di miele di appena due giorni) per cui il desiderio di
prolungare quell'attimo di assoluta felicità diventa del tutto impossibile («Oh! si cela pouvait durer
l'éternité», O.C., II, p. 285) e la coppia, come quella dei Moutonnet, non conoscerà neppure la gioia
della prole, ma solo una desolante solitudine. Significativamente negli stessi sotterranei scopriamo,
quasi opposta alla stanza della felicità, una stanza infernale, riservata ai condannati, che vengono
sottoposti a torture inventate dallo stesso Inquisitore, che sembrano annunciare quelle del romanzo
di Mirbeau, Le Jardin des supplices; alle «délices» della prima camera vanno confrontati e
contrapposti (per opposizione allitterativa) «i «supplices» della seconda:

Mais ces deux secondes avaient suffi pour qu'une lueur rouge, réfractée par quelque
souterraine salle, éclairait la chambre! et qu'une terrible, une confuse rafale de cris si dé-
chirants, si aigus, si affreux, — qu'on ne pouvait distinguer ni pressentir l'âge ou le sexe des
voix qui les hurlaient, — passât dans l'entrebâillement de cette porte, comme une lointaine
bouffée d'enfer» (p. 284).

La confusione del luogo dell'amore, stanza nuziale o alcova, con il luogo della tortura è
certamente comune alla letteratura di fine secolo, tale paradossale metafora, oltre a fondare un'altra
mostruosità fatta di mescolanza di piacere e di sofferenza, non fa che accentuare la perversione
come forma di conoscenza e modalità d'indagare il male oscuro nascosto nell'uomo, che nei
decadenti assume la forma di una particolare nevrosi. La «lueur rouge» costituisce un filo
metaforico che collega quasi tutti i racconti citati, una luce quasi diabolica che filtra in questi luoghi
sinistri, assimilati a rappresentazioni di morte spettacolarizzata; essa non è altro che la spia
isotopica, il segno linguistico-semantico di una deviazione profonda, anche quando la narrazione si

11 J. DÉCOTTIGNIES, Villiers le taciturne, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1983, p. 122. Quest'idea sarà ripresa 

nel «Frontespice» al Jardin des supplices, nelle pagine in cui si discute delle potenzialità criminali presenti nell'uomo, 
nella   donna   in   particolare   (secondo   la   teoria   del   criminologo   Cesare   Lombroso   le   cui   opere   tradotte   in   francese 
trovavano in quel tempo una larga diffusione tra i letterati, da cui non vanno esclusi Villiers, Mirbeau e il nostro Pica) 
che possiede «une force invincible de destruction, comme la nature»; la donna, ribadisce Mirbeau con Lombroso, non è 
solo «la matrice de la vie» ma è anche «la matrice de la mort» (O. MIRBEAU, op. cit., p. 61). 
tinge di un particolare umorismo che Huysmans tramite des Esseintes definiva come specifico
dell'ironia di Villiers, cioè «un bafouage d'un comique lugubre»12.

La donna: una mostruosità fin-siècle

Il romanzo di Octave Mirbeau Le Jardin des supplices (1899) sembra quasi prolungare l'ultimo
bagliore del romanzo della decadenza, già fastosamente ed emblematicamente definito nei contenuti
estetico-filosofici da À rebours di Huysmans (1884), romanzo tradotto in italiano ultimamente
Controcorrente, titolo ben più calzante pre esprimere a pieno l'intenzione di Huysmans di superare
le strettoie del naturalismo, rispetto all'ormai abusato A ritroso , da intendere forse come «La vita a
rovescio», secondo l'originale proposta del contemporaneo critico decadente italiano, Vittorio Pica13.
A sottolineare la modernità di Mirbeau, vicina per molti aspetti a quella di Huysmans, la rivista
francese «Europe»14 gli ha dedicato recentemente metà del suo numero con un'ampia bibliografia, in
cui spicca il maggiore studioso dell'opera del decadente, Pierre Michel che ha patrocinato già
numerosi convegni e accurate ricerche. Facile dire i titoli di questa modernità: Mirbeau non solo
raffina le istanze naturaliste, quelle di Zola in particolare, scoprendo tanti nuovi talenti in arte e
letteratura, non solo sostiene l'innocenza di Dreyfus, ma coagula in una lucida e pregnante sintesi
tutta la cultura di fine secolo. Lungimirante nella critica d'arte il libellista (come d'altronde il
romanziere) denuncia i misfatti della civiltà occidentale e la precarietà dell'azione riformatrice della
Terza Repubblica, l'oppressività delle istituzioni sociali, comprese quelle educative, la disumanità
delle forze conservatrici. Significativamente Le Jardin des supplices porta questa dedica: «Aux
Prêtres, aux Soldats, aux Juges, aux Hommes, qui éduquent, dirigent, gouvernent les Hommes, je
dédie ces pages de Meurtre et de Sang»15. Anche se questo romanzo sembra continuare e prolungare
in un'unica galleria di ritratti le mostruosità e quindi alcune deviazioni della personalità presenti già
nei racconti di Villiers, i caratteri della crudeltà e della perversione che traspaiono come atti indi-
viduali e dallo stesso rapporto della coppia, vengono esasperati fino a raggiungere l'effetto stilistico
del grottesco: Mirbeau, come Huysmans, in quegli anni sembra aderire ai canoni del simbolismo e
del decadentismo per ricavarne una lezione ‘surnaturalista’. L'inversione di ruoli nella coppia porta
all'effeminizzazione dell'uomo e alla virilizzazione della donna; la perversione appare sempre più
legata alla criminalità e alla nevrosi che l'artista decadente imita come procedimento letterario di
analisi dell'io, in quanto attratto e respinto dalle anomalie (anche sessuali e anatomiche). Grazie a
quest'attenta analisi della nevrosi decadente (secondo il criminologo Lombroso la nevrosi è
assimilabile al genio) anche il romanzo di fine secolo16 si avvia decisamente all'ultima metaforfosi
romanzesca, fino a costituire una forma ibrida di saggio, con punte stilistiche degne del poema in
prosa, affinata dalle tecniche d'espressione proprie della vita psichica.
La discussione ideologica portata avanti da Claire e dall'amante-narratore sul fenomeno “mostri”
non investe nel Jardin des supplices solo la sfera semantica, ma interessa anche la sfera filosofico-
dimostrativa, piuttosto che quella esotica. Se l'amante sostiene che i mostri sono una creazione della
natura osservabili nelle piante lussureggianti e contorte, Clara limita il fenomeno “mostri” alla
natura umana, al genio in particolare, alle forme superiori dell'intelligenza, non esclusa la divinità, e
a certi animali:

12 O. MIRBEAU, Le Jardin des supplices, cit., p. 174 . 
13 Cfr. V. PICA, Arte Aristocratica, cit., pp. 143­163, laddove il critico napoletano apprezza soprattutto le qualità 

stilistiche e la raffinatezza di Huysmans critico d'arte.
14 Cfr. AA. VV., Octave Mirbeau, Louis Guilloux, Poésie du Québec. «Europe»,  Marzo 1999, n° 839. Più di 130 pagine 

sono dedicate allo studio dell'opera e agli aspetti diversi di Mirbeau, politico, satirico, saggista, critico d'arte.
15 O. MIRBEAU, Le Jardin des supplices, ed. cit., p. 41.
16 Cfr. G. PEYLET, La littérature fin de siècle, de 1884 à 1898, Entre le décadentisme et le modernisme, Paris, Vuibert, 

1994, si veda in particolare il cap. «Le roman fin de siècle», pp. 108­123.
Les monstres!... les monstres!... D'abord il n'y a pas de monstres!... Ce que tu appelles
des monstres ce sont des formes supérieures ou en dehors, simplement, de ta conception...
Est-ce que les dieux ne sont pas des monstres?... Est-ce que l'homme de génie n'est pas un
monstre, comme le tigre, l'araignée, comme tous les individus qui vivent, au-dessus des
mensonges sociaux, dans la resplendissante et divine immoralité des choses?... Mais, moi
aussi, alors, je suis un monstre!...( p. 225)

Definendosi dunque anche lei un «monstre», il personaggio femminile di Clara assume gli
stilemi ossimorici della donna decadente, pura e perversa, bambina innocente e cortigiana («un
étrange sourire d'enfant et de prostituée, tout ensemble», p. 147), dominatrice e schiava, tanto
atrocemente perversa da suscitare nel suo amante (passivo turista e allo stesso tempo scienziato
giunto al limite della follia) sentimenti opposti di sensualità accesa e di misticismo: «sa voix était
redevenue amoureuse et caressante, comme lorsqu'elle me contait un beau conte d'amour» (p. 239).
Questa donna mostra evidenti affinità con la Salomé descritta nella sua perversità da Huysmans in À
rebours : entrambe hanno bisogno della crudeltà, della visione della tortura per inebriarsi e
volutamente, secondo la concezione baudelairiana, ripresa da Villiers nella novella «Les amants de
Tolède» (Histoires insolites), laddove l'amore viene assimilato in forma di sineddoche a un vero
supplizio.
Quel dibattito intellettuale tra Clara e il narratore non si limita tuttavia alla ben nota ideologia,
che propugna la generalizzata estensione del concetto di mostro, ma segna una transizione dal piano
del discorso al piano più propriamente diegetico. Nelle ultime pagine del romanzo Clara, colta da
spasimi nervosi e posseduta da forze diaboliche, entrata in un coma profondo, viene deposta ai piedi
dell'«Idole aux sept verges». Allora si (ri)presenta al lettore la stessa scena a cui ha assistito nelle
celle del carcere: un formicolio di corpi contorti e avvinghiati che si contendono «le lambeau de
viande pourrie de Clara». Quest'inversione metonimica ricorda che in un precedente passo del
romanzo era lei a gettare pezzi di carne ai carcerati famelici. La scena del rito tribale, reiterata con
modalità diverse (pp. 262-265), richiama pittoricamente, per la sua atrocità e animalità, ancora una
volta, i dannati dell'inferno dantesco, ma ribadisce anche la nota confusione del luogo d'amore con il
luogo della tortura17. Questa con-fusione, pur essendo comune a tutta la letteratura di fine secolo,
accentua a nostro avviso il carattere simbolico e allo stesso tempo realista-naturalista delle ultime
pagine del romanzo. Di conseguenza l'«obscénité merveilleuse» del corpo di Clara si comunica ai
gruppi architettonici inanimati che rappresentano il rito dell'amore come una «luxure sanglante».
Per una qualità visionaria interna alla scrittura anche il metallo della statua sembra animarsi e
trasformarsi in sesso:

Des animaux symboliques, dardant des sexes énormes et terribles, des divinités bi-
sexuées, se prostituant à elles-mêmes ou chevauchant des monstres en rut, en gardaient le
seuil. [...] Il me sembla même que les monstres de métal le [le nom de Clara] répétaient
dans leurs spasmes, le hurlaient dans leurs délires de luxure sanglante. Je vis, défendant
l'entrée d'une chambre, un groupe de bronze dont la seule arabesque des lignes me donna
une secousse d'horreur... Une pieuvre de ses tentacules, enlaçait le corps d'une vierge et, de
ses ventouses ardentes et puissantes, pompait l'amour, tout l'amour, à la bouche, aux seins,
au ventre.
Et je crus que j'étais dans un lieu de torture et non dans une maison de joie et d'amour»
(p. 263).

17 La camera della tortura sembra un luogo comune dell'estetica decadente (S. JOUVE, Obsession et perversions dans  

la   littérature   et   les   demeures   à   la   fin   du   dix­neuvième   siècle,   Hermann,   Paris,   1996,   p.   158)   e   di   conseguenza 
l'assimilazione dell'amore alla tortura (vedi nota di M. Delon al romanzo nell'ed. cit., p. 334, dove si menziona un passo 
del romanzo di Péladan, A cœur perdu). 
È dunque all'animalità e al sesso che il mostro, nozione dilatata, emanazione di un mondo di
perversione e di lussuria, viene assimilato, talora in termini crudamente realistici e talora in termini
metaforici o ossimorici. Emblematicamente nell'ultimo paragrafo del romanzo una scimmia di
bronzo offre a Clara tramortita, «en ricanant férocement, un sexe monstrueux» (p. 270)18.

Mostruosità animale e floreale in Mirbeau

La forma d'ibridazione condiziona anche il contenuto del romanzo; la presentazione della figura
del torturatore cinese che accoglie la coppia (Claire e il narratore) comporta di per sé i caratteri del
mostro, dalla descrizione della tunica coperta di schizzi di sangue a quella delle mani, che sembrano
guantate di sangue, e al viso dotato di una certa giovialità che si trasforma però in smorfia e quindi
in «une expression de cruauté comique et macabre» (pp. 202-03). Il sorriso diventa un particolare
segno di mostruosità in quanto rivela la natura ambigua del personaggio, temuto e accettato, sinistro
e gioviale, criminale e socievole nei modi. Il tratto particolare della fisionomia mostruosa si
comunica al corpo, per cui ne viene fuori un ritratto metonimico e allo stesso tempo dinamico:
l'incontro della coppia con il carnefice assume la forma del dialogo-intervista che ribadisce la
necessità e l'arte della tortura; i correlati sottintesi sono la crudeltà e il cinismo che vengono a
connotare grottescamente la stessa presentazione (il torturatore ha appena scorticato un uomo dai
piedi alla testa e ripulisce gli arnesi). La meccanicità della sua risata fa perdere la forma umana al
suo viso coperto di pinguedine:

Son ventre secoué par le rire, s'enflait et se vidait, tour à tour, avec des bruits sourds de bor-
borygme. Un tic nerveux lui faisait remonter la fente de la bouche jusqu'au zygome, en
même temps que, par le même mouvement, les paupières s'abaissaient, allaient rejoindre
l'extrémité des lèvres, parmi les plis gras de sa peau. Et c'était une grimace – une multitude
de grimaces – qui donnaient à son visage une expression de cruauté comique et macabre (p.
202-203).

Dalla raffigurazione iperrealistica del volto mostruoso – si potrebbe parlare di visionarismo – la


narrazione passa all'ideologia del carnefice e alla scienza della tortura da lui sostenuta quando il
torturatore cinese arriva a difendere a spada tratta il decadimento di questa nobile professione anzi
dell'arte raffinata del seviziatore. Lo stesso tipo d'elogio ironico del carnefice si trova, come si
18 La designazione del sesso mostruoso rimanda a un discorso sull'uso metaforico e metafisco che ne fanno i decadenti, 

in   particolare   Jarry   nel  Surmâle;   dalla   semplice   descrizione   fisica   che   accoppia   sesso   e   animalità   si   passa   alla 
dimostrazione   della   natura   perversa   insita   nella   donna,   mascherata   dalla   sua   stessa   bellezza  apparente  oppure   alla 
disparità   e   all'antinomia   tra   corpo   e   anima   (in   Villiers   in   particolare).  Mostruosità   legata  dunque  al   corpo,   a 
protuberanze e altre anomalie fisiche, presente anche nel Surmâle . Il protagonista André scopre da ragazzo di avere un 
sesso smisurato rispetto alla norma, per cui inventa tanti esercizi fisici e assume sostanze per tenere a freno «la Bête», il 
sesso, «qui à son insu sortait» (A. JARRY, Le Surmâle, roman moderne, suivi de «Comme s'est petit un éléphant!» par 
Annie   LE  BRUN,   Paris,   Ramsay/Pauvert,   1990,   p.   29).   Si   tratta   di   una   «myse   en   abyme»   di   un  procedimento 
apparentemente naturalista, spiegare cioè un'anomalia fisica, ma sul piano del grottesco. Per una specie di contamina­
zione della scrittura, anche la macchina diventa poi mostruosa, ma innocua, inserita cioè in una serie di metafore: «un 
automobile monstrueux» (p. 47), una macchina alata come l'ippogrifo della favola, dalle sembianze umane, divine e con 
organi di propulsione maschili: «la machine exibait sans pudeur, on eût dit avec orgueil, ses organes de propulsion. Elle 
avait l'air d'un dieu lubrique et fabuleux enlevant la jeune fille (Ellen). Mais celle­ci tournait à son gré, par une sorte de 
couronne, la tête du monstre docile à droite et à gauche» (p. 52). Cfr. B. ERULI, Le monstre, la colle et la plume, nel n° 
203 della Revue des Sciences humaines dedicato a Jarry, utile al nostro discorso, Les savoirs du Surmâle (1986/3). Ben 
diverso  appare il   significato  che  Jarry  dava  all'idea  di  mostro, secondo  la Eruli,   inteso  non  solo  come  utilizzo  di 
«collage», ma anche quale teoria che fonda e giustifica «l'eccezione», determinata da collisioni d'immagini e di scrittura 
(pp. 53­54). Per ogni ulteriore informazione, utile al nostro discorso, si veda della stessa rivista il n° 188, Le monstre. 
ricorderà, nel conte cruel villieriano «Convive des dernières fêtes» di Villiers: anche in questo caso
il boia vanta di avere tutti i riconoscimenti ufficiali per le sue perfette esecuzioni, di conseguenza la
sua monomania è accettata dalla società, quindi legalizzata e istituzionalizzata.
Quando alla narrazione segue la raffigurazione pittorica riprodotta nelle nicchie dei muri del
carcere, la mostruosità della tortura perde nel romanzo di Mirbeau di efficacia segnica, nonostante la
nomenclatura naturalista dei tipi di supplizi inventati dai cinesi e derivati in parte da alcune
raffinatezze proprie della civiltà occidentale. Manca poco perché questo «musée de l'épouvante et
du désespoir» divenga diegeticamente, cioè nell'elaborazione narrativa, un vero «tableau vivant»;
«l'effroyable réalisme» ricorda quello del pittore Luyken in À rebours e rappresenta in termini
realistici e visivi lo spettacolo atroce delle sofferenze umane:

scènes de décollation, de strangulation, d'écorchement et de déplacements des chairs...,


imaginations démoniaques et mathématiques, qui poussent, jusqu'à un raffinement inconnu
de nos cruautés occidentales, pourtant si inventives, la science du supplice. Musée de
l'épouvante et du désespoir, où rien n'avait été oublié de la férocité humaine et qui, sans
cesse, à toutes les minutes du jour, rappelait par des images précises, aux forçats, la mort
savante à laquelle les destinaient leurs bourreaux (p. 174).

Ben diversa è la rappresentazione, sempre truce e iperrealistica dei condannati ai quali Clara
getta pezzi di carne cruda (che non arrivano però a destinazione). L'efficacia plastica della
descrizione rimanda a una scena infernale: prima si profila tra le sbarre il personaggio dantesco, «la
Face», in cui Clara riconosce uno dei suoi amanti, un poeta satirico punito dal regime, e infine viene
descritto il groviglio dei corpi dei condannati, topos dominante nelle scene d'orrore reiterate con
modalità diverse: «Pâle, décharnée, sabrée de rictus squelettaire, les pommettes crevant la peau
mangée de gangrène, la mâchoire à nu sous le retroussis trémescent des lèvres, une face était collée
contre les barreaux, où deux mains longues, osseuses, et pareilles à deux pattes sèches d'oiseau,
s'agrippaient. Cette face, de laquelle toute trace d'humanité avait pour jamais disparu; ses yeux
sanglants, et ses mains, devenues des griffes galeuses, me firent peur» (p. 175). Appare evidente che
la semplice descrizione naturalista tende all'effetto iperbolico e visionario, con richiamo a metafore
e paragoni animaleschi; tale descrizione provoca orrore e ribrezzo nell'amico di Clara e quindi nel
narratore (come nel lettore) per la violenza delle scene, per l'aria fetida che emanano le gabbie
stipate di condannati e per l'atmosfera infernale, dantesca, che regna in queste umide e putride
celle19.
L'aspetto umano si confonde con quello animalesco, la miseria e la fame hanno sfigurato i loro
corpi; la bestialità di questi esseri, in cui ogni traccia di umanità va scomparendo è sottolineata su
un triplice piano, acustico, visivo e olfattivo. La mostruosità dell'aspetto deriva dalla mostruosità
della loro condizione sociale: costretti a rubare per fame, sono diventati oggetto di spettacolo
destinato ai turisti visitatori del Giardino dei Supplizi. Secondo Mirbeau l'assunto morale è che ogni
sistema sociale non fa che riflettere la legge universale della sofferenza e del crimine.
Dunque la mostruosità è tanto l'effetto delle deviazioni e deformazioni naturali già studiati da
Geoffroy Saint Hilaire, l'ispiratore di numerosi personaggi balzachiani, quanto della debilitazione
fisica, conseguenza a sua volta della fame e della miseria, che, secondo l'ideologia socialista a
tendenza anarchica di Mirbeau, costituisce uno scandalo della condizione umana, attribuibile
soprattutto all'insensibilità e all'arrogante cinismo dei governanti. Il suo romanzo Sébastien Roch
(1890) presenta in un quadro composito e pullulante di deformazioni anatomiche, uno spaccato
sociale di un pellegrinaggio religioso dai toni esasperatamente realistici, come più tardi faranno
19 Cfr. P. CAMPORESI, «Le metamorfosi dell'Inferno» in Gli universi del Fantastico a cura di V. Branca e C. Ossola, 

pp. 121­145. La visione dell'inferno dantesco si protrae dagli scrittori rinascimentali e barocchi fino a Gioacchino Belli. 
Esiste una costante tra tante varianti tematiche che ci permette di cogliere anche nel romanzo di Mirbeau l'universalità 
della sofferenza e dipingere lo strazio dei corpi consumati dalla tortura di un male (anche sociale) che li corrode a tal 
punto da trasformarli in rifiuti organici.
Zola e d'Annunzio, rispettivamente in Lourdes e nel Trionfo della morte (1894). Anche nel romanzo
di Mirbeau assistiamo quindi a una sfilata di mostri umani, termine da intendersi naturalisticamente,
cioè nel senso di menomazioni-mutilazioni e deformità del tutto naturali. Mendicanti, ragazzi
idrocefali, il ventre di un idropico in decomposizione diventano per metonimia tante espressioni
delle bizzarrie mostruose della natura, e più precisamente «hallucinants et hideux paradoxes de la
nature créatrice»:

Couverts de vermines grouillantes, de fanges invétérées, soigneusement entretenues


pour des pèlerinages, d'invraisemblables mendiants pullulaient et demandaient la charité,
sur des refrains de cantiques. Et des deux côtés de la route, sur les berges, des estropiés, des
monstres, vomis d'on ne sait quelles morgues, déterrés d'on ne sait quelles sépultures,
étalaient des chairs purulentes, des difformités de cauchemars, des mutilations qui n'ont pas
de nom. Accroupis dans l'herbe ou dans la boue du fossé, les uns tendaient d'horribles
moignons, tuméfiés et saignants; d'autres, avec fierté, montraient leur nez coupé au ras des
lèvres dévorées par des chancres noirs»20 (p. 897).

In questo romanzo che vuole essere una denuncia di un'educazione errata e disumana, quale è
quella impartita nei collegi, in particolare dai gesuiti, il vero mostro, in quanto personalità deviata, è
Padre di Kern, il violentatore della coscienza e della purezza dell'adolescente Sébastien rinchiuso in
collegio, preda dei desideri malsani del religioso, definito «le monstre impudique et pâmé aux lèvres
qui distillent le vice, aux mains qui damnent»21 (p. 915). A ben guardare, in questo romanzo si
effettua la saldatura tra descrizione impersonale, quasi scientifica nella referenzialità del male, dei
relitti umani, in cui si può leggere l'ultima eredità del naturalismo, e una certa predilezione per
l'abnorme, il mostruoso e l'eccezione umana, infame ma formicolante di vita come un morbo.
La lettura del Jardin des supplices manifesta nello stesso tempo un simbolo del crimine e una
generalizzazione metaforica della sofferenza espressa a più livelli, dal mondo naturale-floreale al
mondo umano. Nel Jardin des supplices le mostruosità vegetali non sono frutto del gigantismo ma
di un'assimilazione vampirica, poiché la flora si nutre del sangue dei condannati. Come in Villiers
una particolare forma di umorismo nero giustifica la polivalenza del messaggio poetico di Mirbeau,
dove predominano l'ossimoro, il grottesco, la crudeltà, un'arma usata per inficiare ogni morale del
perbenismo borghese. «Son humour – annota un critico – est un amalgame de dérision et de
dénonciation, de complaisance et de délectation».22

Confusione del naturale con l'artificiale

I fiori e le piante sono definite mostruose in conseguenza della contaminazione natura-artificio e


della interdipendenza delle piante dal sangue dei suppliziati; il carattere esotico e gigantesco delle
piante e il carattere bisessuale dei fiori in particolare trovano un riscontro nell'altro giardino
coltivato da des Esseintes, dove è l'artificio a correggere la natura. La vegetazione, soprattutto quella
floreale, richiama alla mente dell'esteta decadente la natura umana, per cui le piante, secondo la
visione del protagonista, vengono deformate mostruosamente dalla mano dell'uomo, da innesti e
reagenti chimici, oppure sono esse stesse a imitare l'anatomia animale-umana con le sue malattie e
le sue deformazioni. La sifilide diventa quindi la metafora di un'ineluttabile malattia che investe e
travaglia l'intero genere umano:

20 O. MIRBEAU, Romans autobiographiques, Sébastien Roch , Paris, Mercure de France, 1991, p. 897.
21 Ma la seduzione del mostro sull'adolescente è provato anche da altri romanzi: segni del rapporto tra omosessualità e 

mostruosità  si ritrovano in  Confusion  di  Zweig, dove “l'altro” è visto come un demone (Cfr. E. RAVOUX­RALLO, 


Images de l'adolescence dans quelques récits du XX siècle, Paris, Corti,  1989, p. 173).
22 C. LLOYD, Mirbeau auteur comique, in Europe, cit., p. 70.  
Ces Plantes sont tout de même stupéfiantes, se dit-il; puis il se recula et en couvrit d'un
coup d'œil l'amas; son but était atteint; aucune ne semblait réelle; l'étoffe, le papier, la por-
celaine, le métal, paraissaient avoir été prêtés par l'homme à la nature pour lui permettre de
créer des monstres. Quand elle n'avait pu imiter l'œuvre humaine, elle avait été réduite à
recopier les membranes intérieures des animaux, à empreinter les vivaces teintes de leurs
chairs en pourriture, les magnifiques hideurs de leurs gangrènes.
Tout n'est que syphilis, songea des Esseintes, l'œil attiré, rivé sur les horribles tigrures
des Caladiums que caressait un rayon du jour. Et il eut la brusque vision d'une humanité
sans cesse travaillée par le virus des anciens âges (...).
Il est vrai, poursuivit des Esseintes, revenant au point de départ de son raisonnement, il
est vrai que la plupart du temps la nature est, elle seule, incapable de procréer des espèces
aussi malsaines et aussi perverses; elle fournit la matière première, le germe et le sol, la
matrice nourricière et les éléments de la plante que l'homme élève, modèle, peint, sculpte
ensuite à sa guise23.

La flora mostruosa prediletta da des Esseintes non fa parte delle bizzarrie di un decadente ma
rientra nel suo orrore per il naturale, condiviso da Baudelaire e da Villiers, e mostra i segni
dell'ibridismo e della contaminazione: una flora che oltre a imitare la natura umana, gli organi
sessuali, o la natura animale, esprime la malattia, la degenerescenza e la paura, mista a un'attrazione
nevrotica, per la morte. Il protagonista di À rebours ritrova sopratutto nei fiori esotici di dimensioni
gigantesche un'affinità tra il sessuale e il mostruoso24. Villiers si discosta da questa tipologia e
trasferisce la mostruosità nel campo morale, rivelando analogie tra natura umana e talune piante
(l'albero dell'upa è simbolicamente rappresentativa del decadimento morale dell'uomo) e riconosce
la superiorità dell'imitazione artificiale voluta dall'uomo, dallo scienziato in particolare, sul prodotto
naturale.
Villiers concepisce nell'Ève future il personaggio Alicia come un mostro per le dualità della sua
natura femminile, attraente e repellente per il suo innamorato, così come lo è Evelyn Habal per il
suo amante Anderson, perché sotto la maschera della vivente si cela la morte, lo scheletro. Vedremo
che nel romanzo l'ammirazione si mescola all'orrore determinando quella particolare misura stili-
stica dell'ironia. Già l'idea che l'essere artificiale possa animarsi e diventare umano, fino a
confondersi con esso, comporta un superamento delle frontiere dell'identità, per cui anche il sosia ha
la capacità di gettare il lettore nello sgomento. Quando l'artificiale, che consideriamo privo di vita e
freddo, estraneo a qualsiasi forma di vita, si anima e sprigiona calore umano, la nostra ragione
vacilla e proviamo un senso di repulsione. S'intende che il Fantastico manifesta sempre più punti di
contatto con il mostruoso. Edison parlando della somiglianza dei due modelli di Alicia con l'essere
artificiale in progettazione (Hadaly) fa notare a Ewald di poter giungere a creare «des identités
vraiment ... effrayantes» (p. 935) e promette che rivestirà l'automa di una carne dello stesso calore
naturale da confondere i sensi, il tatto in particolare. A proposito della carne artificiale («La
carnation» è il titolo di un capitolo centrale del romanzo) la misura del mostruoso deriva dalla
confusione delle barriere tra l'umano e l'artificiale, in particolare dall'«onctueuse élasticité de la
Vie», dal «sentiment indéfinissable de l'affinité humaine » che tale carne sprigiona (ibidem). Siamo
arrivati al paradosso che la vita è quasi sempre repellente25. Ma anche l'inanimato, qui un'innocua
23 J.­K. HUYSMANS, À rebours, cit., pp. 192­94. 
24 Cfr. M. MILNER, Huysmans et la monstruosité in AA. VV., Huysmans, une esthétique de la décadence, cit., p. 57 e 
passim. 
25 Gli uccelli meccanici e artificiali nel sotterraneo sembrano con  le loro risa umane schernire la Vita (E.f., p. 871); la 

presenza di Hadaly annuncia fenomeni inquietanti che permetteranno di uscire «de la vie normale, de la Vie proprement 
dite» (p. 825); l'attrazione di Evelyn Habal della danza presenta «le fondu de la Vie elle­même» (p. 897), come un 
aspetto   illusorio   e   momentaneo.   Edison   è   per   la   tesi   di   un   artificiale   diverso   e   superiore   alla   vita   stessa,   poiché 
l'Andréide «n'offre jamais rien de l'affreuse impression que donne le spectacle du processus vital de notre organisme» 
(p. 909); il catalogo che presentava in una sezione L'Ève future  ha messo ben in evidenza questo disprezzo per la Vita 
vipera d'oro attorcigliata al braccio artificiale, può animarsi e suggerire orrore e prevaricazione, oltre
che un'eccedenza di vita, quasi un sortilegio attraverso il suo sguardo:

La veilleuse seule brûlait encore, éclairant auprès d'elle, sur le coussin de la table d'ébène,
le mystérieux bras au poignet enlacé de la vipère d'or – dont les yeux semblaient regarder
fixement le grand électricien, dans l'obscurité» (ibid.)

UN GIARDINO DECADENTE E MOSTRUOSO, QUASI EDENICO: LE JARDIN DES


SUPPLICES
Plus rien ne reste de l’horreur du jardin; sa beauté seule demeure,
frémit et s’exalte avec la nuit qui tombe, de plus en plus délicieuse, sur
nous.

Un romanzo di rottura con la tradizione romanzesca: une monstruosité littéraire

Il successo del romanzo Le Jardin des Supplices di Octave Mirbeau, pubblicato nel 1899, ha
consacrato la fama del suo autore e l’ha fatto conoscere a un vasto pubblico di lettori. Molto vicino
al genere di romanzo ibrido inaugurato da Huysmans con A Rebours qualche decennio prima
(1884), le Jardin des Supplices può essere letto in chiave degli interessi e delle idee della sua epoca
e quindi del decadentismo o meglio di un’estetica decadente: l’attrazione per il macabro e le forme
della mostruosità, per una letteratura dell’eccezione e quindi del patologico26. Innanzi tutto piante e
fiori sono definiti ‘mostruosi’ in conseguenza di una stretta correlazione e simbiosi con i condannati
che forniscono con il loro sangue il primo elemento organico alla crescita delle piante. In quanto
alla storia di questo genere letterario siamo giunti al superamento del romanzo classico, del
realismo e quindi al romanzo-saggio in cui di classico resta forse solo la descrizione, con un
particolare richiamo al mondo delle sensazioni, olfattive, visive e tattili, un mondo evanescente
prodotto dai colori, da due mezzi espressivi che formano “le couple fin-de-siecle”: la penna e il
pennello27. Gli studi dedicati a questo romanzo testimoniano un crescente interesse per tutta la

nell'epigrafe: «La Vie? proprement dite? répondit Edison, – eh bien, mon cher Lord, je vous dirai que j'ai cru devoir 
l'écarter comme superfétation nuisible». Il processo fisiologico è ancora evocato come funzione interna dell'andreide 
(«la fulguration torride que vous voyez courir comme la vie en votre amie», p. 244). Ma esistono per quel processo 
dialettico e dualistico, spesso ricordato, anche le accezioni positive del termine Vie; si veda  infra, il cap. successivo, 
nota 53. 
26 Cfr. F. Cipriani, Villiers de l’Isle-Adam e la cultura del suo tempo. Il poeta, la donna e lo
scienziato, in particolare il cap. “Metafore della mostruosità in Villiers e Mirbeau”, Napoli: ESI,
2004, e AA. VV., Huysmans. Une esthétique de la décadence, Genêve-Paris: Editions Slatkine,
1987.
27 Cfr. P. Lombardo, « Huysmans, Taine et la description naturaliste » in AA. VV., Huysmans.
Une esthétique de la décadence, cit ., p. 149.
produzione mirbelliana che muove da una rinnovata concezione della natura e del funzionamento
testuale.28
Per comprendere questo genere ibrido di romanzo, dove attraverso slittamenti 29 e conversazione a
più voci si passa dal discorso sociale a quello filosofico sulla natura, fino a fare del personaggio
femminile il simbolo del trionfo del male, “il motivo che unifica racconti, ideologia e azione”30, non
basterà osservare che Mirbeau riunisce nel Jardin des supplices alcuni temi trattati nelle opere
precedenti, ma occorre coglierne, malgrado la frammentazione della storia, la coerenza delle figure,
in definitiva la sua unità e la coesione testuale, come sottolinea giustamente Pierre Michel; così si
passa nel romanzo dal racconto di un viaggio esotico a oziose discussioni sul crimine e sull’arte
delle esecuzioni, accompagnata da descrizioni compiaciute su atroci torture (come quella della
campana o del ratto introdotto nel corpo del condannato), lasciando trasparire un fondo di erotismo
sadomasochista, poiché il gioco ironico sconvolge il testo e gli conferisce quella “ambivalence
redoutable” riscontrabile nelle immagini e nelle figure stilistiche che associano i contrari, fino a
produrre quel particolare effetto di umoristico non-sens, quasi un vuoto.31 Detto diversamente,
Mirbeau con questo romanzo rompe con la tradizione realista rappresentata dal romanzo
balzachiano e attraverso un miscuglio di materiali eterocliti, testi di natura diversa scritti dall’autore
in momenti diversi, apparsi per lo più come cronache sulla stampa dell’epoca, quasi tutte durante
l’affaire Dreyfus, opera una “double construction en abyme”, quindi una felice sintesi di
procedimenti e di realtà differenti, inverosimili e trasgressivi, nei riguardi delle abitudini del lettore,
dell’ordine e quindi delle stesse categorie del romanzo tradizionale. Per tali ragioni questo romanzo
costituisce “bel et bien - come sostiene lo studioso mirbelliano - une monstruosité littéraire” che
arriva non solo “à remettre radicalement en cause les présupposés du roman balzacien” ma anche ad
affermare “l’absolue liberté du romancier” 32, abile nel combinare alla maniera di un “bricoleur” i
pezzi di questo strano puzzle. Il “Frontespice” insieme alla Prima e alla Seconda parte del romanzo
si presenta come una conversazione salottiera sull’antropofagia, sul crimine, continua con la
missione di uno strano pseudo-embriologo, il protagonista, in cui trova spazio la caricatura dei
costumi politici francesi, si conclude con la visita del narratore in compagnia dell’amante Clara al
bagno e ai giardini di Canton. Appare evidente che il fatto individuale trova riscontro nel fatto
sociale, la perversione del singolo trova un riflesso nella perversione sociale, per esempio il motivo
del male accentuato nel carattere ambivalente della protagonista rispecchia con modalità diverse la
corruzione sociale. Per questo bisogna ricercare l’unità tematica per quanto difficile a definire, al di
là dell’artificio e della finzione romanzesca, che non può essere peraltro la discussione sulle
predisposizioni dell’uomo, della donna soprattutto, al crimine, secondo le teorie dell’antropologo e
psichiatra Lombroso. Neppure appare rilevante da un punta di vista tematico il parallelismo tra le

28 La maggior parte degli studi sul romanzo si trovano nei Cahiers Octave Mirbeau, tra i quali
segnaliamo gli articoli di J. Gouyette, “Perspective sadienne dans le Jardin des supplices” (n. 1,
1994, pp. 83-93), F. Soldà, “ Le Jardin des supplices: récit d’une initiation ” (n. 2, 1995, pp. 61-
86), E. Roy-Reverzy, “D’une poétique mirbellienne: Le Jardin des supplices” (n. 3, 1996, pp. 30-
45), P. Michel, Le Jardin des supplices: entre patchwork et soubresaut d’épouvante” (pp. 46-45,
n 3, 1996), F. Soldà, “Octave Mirbeau et Charles Baudelaire: Le Jardin des supplices ou Les
Fleurs du mal revisitées”, n. 4, 1997, pp. 197-222 (Actes du Colloque de Caen, Mirbeau et la
Modernité), “ Utopie et perversion dans Le Jardin des supplices ”, n. 11, 2004, pp. 91-114, T.
Kaczmarek, “De l’art romanesque de Mirbeau au drame expressionniste manqué ”, n. 12, 2005,
pp. 86-105. Inoltre un numero speciale della rivista Europe (marzo 1999, N° 839) è dedicato a
Octave Mirbeau, il n. 8 di Seminari pasquali di analisi testuale al romanzo Le Jardin des
supplices , Pisa : Edizioni ETS, 1993
29 S. Teroni, “Le Jardin des supplices, slittamenti di genere” in AA. VV. Seminari Pasquali di
analisi testuale, n.8. Le Jardin des supplices cit., pp. 29-52.
30 Ibid., p. 37.
31 P. Michel, Les Combats d’Octave Mirbeau, Annales littéraire de l’Université de Besançon,
Paris : Diffusion Les Belles Lettres, 1995, pp. 217-221.
32 P. Michel, “Le Jardin des supplices : entre patchwork et ‘soubresaut d’épouvante” in Cahiers
Octave Mirbeau, n. 3, 1996, rispettivamente pp. 49, 50, 56 e 58.
due civiltà, tra due modi di dominazione, quella europea e quella cinese, ma forse l’unità tematica
potrebbe essere ricercata nella portata profonda e simbolica riguardante l’universalità della
sofferenza e della legge del crimine, precisata da Pierre Michel, sia pure a un secondo livello di
lettura, come “la critique, d’inspiration libertaire, non seulement des atrocités coloniales, mais aussi,
plus généralement, des institutions humaines déja stigmatisées par l’ironique et vengeresse
dédicace”33. Il romanzo risente in maniera contraddittoria delle tesi colonialiste di Mirbeau che al
momento dell’affaire Dreyfus subiscono l’influenza di un esotismo equivoco, tendente a
confondersi con l’orientalismo di fine secolo, un Oriente fatto di crudeltà e di lusso, in cui trova
posto un dispotismo esotico, di maniera, di tipo politico e sessuale.34
In questo studio tenterò non solo di definire alcuni aspetti letterari del decadentismo presenti nel
romanzo (anche attraverso più di un parallelo, con A rebours in particolare, opera che è stata
definita la Bibbia del decadentismo) ma verificare come e se la particolareggiata descrizione dei
giardini sia da mettere in stretta corrispondenza con il messaggio estetico, etico e sociale del
romanzo.
Il decadentismo inteso come un movimento letterario e culturale ispirato a principi estetici e
filosofici, estraneo in una certa misura a sollecitazioni politiche e sociali, non resta confinato nella
pura discussione delle forme del bello e dell’arte ma entra nel vivo del dibattito culturale sulla storia
dell’uomo, sul destino e uso della scienza, sull’avvenire della tecnica e sul ruolo sociale dello
scrittore. Il primo ruolo di scrittori come Mirbeau, Bloy, Villiers de l’Isle- Adam, Barbey
d’Aurevilly è quello d’inquietare le coscienze, di smascherare l’ideologia dominante, perversa e
corrotta, che si cela dietro il perbenismo piccolo borghese, dietro gli affari politici, dietro lo stesso
apparato statale. Nelle opere di Mirbeau la chiesa, l’esercito, la giustizia, l’amministrazione sono
guardati come principi generatori di morte e di sofferenza. Di qui la giustificazione della dedica
ironica e inusuale del libro che viene a illustrare la diversità della tematica trattata, in cui si rivela
quel ruolo d’“inquiéteur ” del romanziere: “Aux Prêtres, aux Soldats, aux Juges, aux Hommes, qui
éduquent, dirigent, gouvernent les hommes, je dédie ces pages de meurtres et de sang ”.

L’horreur du jardin ovvero sadismo, amore e morte

Sulla mostruosità letteraria, non limitata alla condizione umana, che s’irradia come una forza
distruttrice nei vari regni, non solo dell’umano e dell’animale ma anche del vegetale, insiste il
romanzo in maniera vistosa. In quanto al legame tra mostruosità e vegetazione che caratterizza e
accentua il carattere decadente del giardino in queste pagine, esso non deriva tanto dalle dimensioni
e dalle forme delle piante quanto dalla natura del terreno, quindi dalla composizione organica a cui
contribuisce il sangue dei condannati che subiscono i supplizi, talvolta esibiti con noncuranza lungo
i viali oppure rinchiusi in putride celle che mostrano spettacoli di sporcizia e di sofferenza.
L’originalità di questi giardini rispetto a quelli famosi di Kiew consiste, a dire della protagonista
Clara, da quel “haut goût qu’on y ait mêlé les supplices à l’horticulture, le sang aux fleurs”35. La
fertilità del terreno, la lussureggiante vegetazione, la bellezza dei fiori, la robustezza delle piante
sono spiegate in funzione “des ordures des prisonniers, du sang des suppliciés, de tous les débris
organiques” che vengono successivamente “lavorate ad arte” (ibidem). L’aspetto floreale del
giardino è deturpato dall’immagine reiterata del sangue dei giustiziati, ma soprattutto della
decapitazione: “on eût dit d’effrayantes, de vivantes têtes de décapités posées sur des tables” (p.
171) . In particolare la relazione tra fiori e tortura, tra flora e decapitazione diventa ossessiva e
sempre più evidente nel testo: “les nymphées et et les nélumbiums étalaient sur l’eau dorée leurs

33 Ibid., p. 58.
34 D. M. Figueira. “Le Jardin des supplices. Roman philosophique, utopique et orientaliste ” in
Seminari pasquali di analisi testuale cit., pp. 5-16, in particolare p. 9.
35 O. Mirbeau, Le Jardin des supplices, Préface de Michel Delon, Paris : Gallimard,
“ Folio” , 1991, p. 181; i successivi riferimenti alle pagine del romanzo figureranno tra
parentesi, in alto nel testo.
grosses fleurs épanouies qui me firent l’effet de têtes coupées et flottantes (p. 244). In maniera
insistente e quasi continua la visone del giardino si tinge di rosso per la presenza del sangue che si
mescola ai fiori, del sangue che fuoriesce dalle piaghe dei suppliziati e dalle loro carni, che riveste
le mani dei torzionari, ma anche gli strumenti di tortura:

tout un outillage de sacrifice de sacrifice et de torture, étalait du sang, ici séché et noirâtre, là
gluant et rouge. Des flaques de sang remplissait les parties creuses ; de longues larmes de sang
figé pendaient par les assemblages disjoints…Autour de ces mécanismes , le sol achevait de
pomper le sang… Du sang encore étoilait de rouge de rouge la blancheur des jasmins,
marbrait le rose coralin des chèvrefeuilles, le mauve des passiflores, et de petits morceaux de
viande humaine, qui avaient volé sous les coups des fouets et des lanières de cuir,
s’accrochaient ça et là, à la pointe des pétales et des feuilles (p. 226).

A rinforzare questa visone cruenta e sadica del giardino dei suppliziati l’elemento olfattivo
accompagna come una presenza ossessiva la visita alla prigione dei due visitatori protagonisti, che
si mescolano, dopo aver oltrepassato il maleodorante penitenziario, a questi esseri viventi
dall’andatura animalesca, ridotti a sanguinolenti larve umane, che emanano “une odeur suffocante
et mortelle” (p. 175). La dura legge del naturalismo, secondo la quale tutto nella natura si trasforma
e nulla si distrugge, viene qui ribadita; l’immagine della carogna, contrassegnata dalla “pourriture”,
dalla corruzione della carne e consacrata dall’omonima poesia di Baudelaire delle Fleurs du Mal,
specie di manifesto del Naturalismo, plana su tutto il romanzo, anche con un riferimento metaforico
all’accompagnatrice e protagonista Clara, che apprezza tale epiteto (“charogne”) a lei riferito (p.
237). La voluttà, il piacere dei sensi ha bisogno del sangue, della visione di scene sanguinose, di
corpi straziati, come sostiene Clara: “le sang est un précieux adjuvant de la volupté… C’est le vin
de l’amour… ” (p. 189).
La poetica naturalista cede il passo a un’altra tipicamente decadente, pur continuando a sussistere
uno stretto legame tra le due poetiche. La preponderante importanza che i fiori occupano nella
descrizione dei giardini sulle altri parti della flora (vegetazione, arbusti, alberi da frutta, erba)
sembra un esplicito omaggio al poeta delle Fleurs du Mal36 per aver collegato, secondo
un’interpretazione estetica decadente, i fiori alle immagini del crimine, del peccato e della gioia dei
sensi, a tanti segni manifesti di un gusto per la perversione. Secondo Clara, rappresentazione della
femme fatale, ma anche di un sadismo letterario, la parte più interessante del giardino sarebbe quella
in cui la bellezza si mescola all’orrore: è la costante contrastava su cui si basano le stesse
descrizioni del giardino. Il torturatore, con il quale Clara condivide le sue idee, spiega il legame che
intercorre tra tortura e flora sostenendo che i fiori fanno l’amore, senza tuttavia quel carattere di
perversità, vero appannaggio dell’uomo, essendo essi forniti, come vuole la botanica, di organi
maschili e femminili:

Ah! Les fleurs ne font pas de sentiments, milady… Elles font l’amour… rien que l’amour…
Et elles le font tout le temps et par tous les bouts… Elles ne pensent qu’à ça… Et comme elles
ont raison!... Perverses?... Parce qu’elles obéissent à la loi unique de la Vie, parce qu’elles
satisfont à l’unique besoin de la Vie, qui est l’amour?... Mais regardez donc !... La fleur n’est
qu’un sexe, milady… Y a-t-il rien de plus sain, de plus fort, de plus beau qu’un sexe?... Ces
pétales merveilleux… ces soies, ces velours… ces douces, souples et caressantes étoffes… ce
sont les rideaux de l’alcôve… les draperies de la chambre nuptiale… le lit parfumé où les
36 Si veda sull’argomento F. Soldà, “Octave Mirbeau et Charles Baudelaire: Le Jardin des
supplices ou Les Fleurs du mal rivisitées”cit., pp. 197-222, dove l’attenzione è portata
soprattutto sulla natura della donna, assimilata alla natura animale, per cui “la femme est un
être naturel, un sexe, un être cruel ” (ibid., p. 200). Ma esistono nel romanzo altri spunti
baudelairiani, l’immagine dell’impiccato sull’isola di Citera (“Voyage à Cythère” ) e soprattutto
la concezione della donna quale essere naturale in opposizione alla donna artificiale e
intelligente.
sexes se joignent… où ils passent leur vie éphémère et immortelle à se pâmer d’amour. Quel
exemple admirable pour nous! (p. 214).

L’arte floreale è vista come un’arte tipicamente cinese, in quanto non si tratta di fiori importati
dall’Europa, poiché la Cina possiede, come asserisce il seviziatore cinese, “la flore la plus
extraordinaire et la plus variée du globe” (p. 213). Come spiegare questa passione che i cinesi
riservano ai fiori se non mediante quelle caratteristiche analogiche intercorrenti tra fiori e amore (in
cui riemerge però quel carattere di perversità e di crudeltà, prima escluso ironicamente dal
torturatore): “Perverses, les fleurs!... En vérité, on ne sait plus quoi inventer... Avez-vous idée d’un
pareil non-sens, milady et si monstrueux?... Mais les fleurs sont violentes, cruelles, terribles et
splendides… comme l’amour!... ” (ibidem).
Questo carattere della commistione, della contaminazione vicina all’ibridismo, presente in forma
di metafore e di slittanti paragoni non solo tra regno vegetale e regno animale, quindi umano, ma
anche tra organi sessuali diversi, serve a ribadire, soprattutto nella descrizione del giardino, la
stretta unione tra vita e morte, tra mostruosità e natura, tra supplizio e “pourriture”, a dei fini
estetici, per cui la bellezza si mescola all’orrore e al perverso, con un sottinteso omaggio alla
magnificenza e allo splendore della Natura vivente, che simile in questo a Clara, che ne è una felice
interprete, unisce l’amore e la morte, fino a farne uno spettacolo unico di sofferenza che non
risparmia neppure il mondo floreale:

Et elle [Clara] me désigna de bizarres végétaux qui croissaient dans une partie du sol où
l’on voyait l’eau sourdre de tous côtés… Je m’approchais… C’étaient sur de hautes tiges,
squamifères et tachées de noir comme des peaux de serpents, d’énormes spathes, sortes de
cornets évasés d’un violet foncé de pourriture à l’intérieur, à l’extérieur d’un jaune verdâtre de
décomposition, et semblables à des thorax ouverts de bêtes mortes… Du fond de ces cornets,
sortaient de longs spadices sanguinolents , imitant la forme de monstrueux phallus… Attirées
par l’odeur de cadavre que ces horribles plantes exhalaient, des mouches volaient autour, par
essaims serrés, des mouches s’engouffraient au fond de la spathe, tapissée de haut en bas, de
soies contractiles qui les enlaçaient et les retenaient prisonnières, plus sûrement que de toiles
d’araignées… Et le long des tiges, les feuilles digitées se crispaient, se tordaient, telles les mains
des suppliciées (p. 224).

La nota sadica evidenziata da una descrizione reiterata con diverse modalità, ma plastica,
scultorea, viva e ricca di particolari pertinenti, adatti quindi a produrre l’effetto iperbolico voluto
dell’orrore (“ces horribles plantes”), arriva a fare della tortura un vero e proprio spettacolo, un
vivente ‘tableau’. Esempio che corrobora la celebrazione dell’arte cinese della tortura (e più
particolarmente di quella coreana) attraverso degli episodi salienti di questo “museo degli orrori”
rappresentati con icone ai condannati che prima dell’esecuzione, devono raffigurarsi la morte,
secondo un realismo particolare proprio all’arte dell’Estremo Oriente e secondo una scienza
raffinata del supplizio prevista dagli stessi carnefici. Simili raffinatezze della tortuta esibita
pittoricamente o figurativamente avrebbero entusiasmato il dilettante Des Esseintes, alla ricerca
spasmodica di sensazioni visive particolarmente forti37: “scènes de décollation, de strangulation,

37 Cf. F. Cipriani, , Villiers de l’Isle-Adam e la cultura del suo tempo. Il poeta, la donna e lo
scienziato, in particolare il cap. cit. “Metafore della mostruosità in Villiers e Mirbeau”, p. 212. Il
riscontro di queste scene si trova in A rebours. Des Esseintes si circonda delle stampe di Jan
Luyken, fervente calvinista, autore delle Persécutions religieuses, così dettagliate nella
rappresentazione delle torture: “ d’épouvantables planches contenant tous les supplices que la
folie des religions a inventés, des planches où hurlait le spectacle des souffrances humaines,
des corps rissolés sur les brasiers, des crânes décolletés avec des sabres, trépanés avec des
clous, entaillés avec des scies, des intestins dévidés du ventre et enroulés sur des bobines, des
ongles lentement arrachés avec des tenailles, des prunelles crevées, des paupières retournées
avec des pointes, des membres disloqués, cassés avec soin, des os mis à nu, longuement
d’écorchement et de dépècement des chairs…, imaginations démoniaques et mathématiques, qui
poussent jusqu’à un raffinement inconnu de nos cruautés occidentales, pourtant si inventives, la
science du supplice. Musée de l’épouvante et du désespoir, où rien n’avait été oublié de la férocité
humaine et qui, sans cesse, à toutes les minutes du jour, rappelait par des images précises, aux
forçats, la mort savante à la quelle les destinaient leurs bourreaux ” (p. 174).
Continuano nel romanzo questi esempi di sadismo raffinato affidati alla scelta del mezzo di
tortura, che hanno l’effetto di produrre una “mort savante”(ibidem). Nel supplizio della campana di
vetro fiori e lacrime si confondono nell’offerta della famiglia venuta a onorare il cadavere di un
giustiziato, in cui la morte viene raffigurata spettacolarmente attraverso il sorriso straziante del
cadavere e il suo viso corrugato, contratto in uno sforzo di liberazione dolorosa, dove aleggia
ancora lo sguardo fisso della follia per effetto di una lunga agonia, in particolare della tortura
prodotta da una campana, dalle sue insopportabili e assordanti vibrazioni (“ce son de cloche
invisibile et immatériel devenant, à lui seul, tous les instruments connus du supplice, s’acharnant, en
même temps, sur toutes les parties sensibles et pensant d’un individu, faisant l’office de plus de cent
personnes”, p. 241). È l’esempio più chiaro da un punto di vista stilistico dell’ipotiposi che potrebbe
riassumere e suggellare nel romanzo l’immagine del giardino dei suppliziati e quindi la forza sadica
che agisce sottilmente sui condannati. Lo spettatore assiste quindi “paroxystement” (avverbio
volutamente stridente) a una morte fissata in un’immagine viva e sorprendente, attraverso un sorriso
forzato, quasi a significare una smorfia e nel contempo un enigma scolpiti sul viso del condannato,
oltre che sul suo corpo dilaniato dallo strazio e dalla contrazione dei muscoli:

Sur sa face toute convulse et dont tous les muscles rétractés dessinaient, creusaient d’affreuses
grimaces et des angles hideux, la bouche tordue, découvrant les gencives et les dents, mimait un
rire effroyable de dément, un rire que la mort avait raidi, fixé et pour ainsi dire, modelé dans
tous les plis de la peau. Les deux yeux, démesurément ouverts, dardaient sur nous un regard qui
ne regardait plus, mais où l’expression de la plus terrifiante folie demeurait, et si
prodigieusement ricanant, si paroxystement fou, ce regard, que jamais dans les cabanons des
asiles, il ne me fut donné d’en surprendre (p. 240-241).

L’ombra dei suppliziati si estende dunque sui giardini senza sosta contrassegnandoli di morte, di
sofferenza, ma il legame con la fauna è quasi costante; nelle pagine descrittive (più di trenta) non
c’è parte del giardino che non mostri un fogliame, uno specchio lacustre animato da uccelli e da
insetti. Abbiamo visto che le carogne attiravano le mosche e che la vita vegetale veniva alimentata
dai resti dei giustiziati. Questo aspetto repellente e parossistico viene per un momento dimenticato
dal lettore, quasi offuscato dalla splendida visione di altre parti rigogliose del Giardino dei Supplizi.
Anche se il male sotto le varie forme di un sadismo teatralizzato, messo in scena, offerto come uno
spettacolo di morte, sembra contraddistinguere quasi interamente il romanzo, il capitolo V della
seconda parte diventa invece la celebrazione dell’arte cinese del giardinaggio e delle piante,
soprattutto occidentali, che si acclimatano tanto facilmente grazie alle cure dei giardinieri e alla
natura fertile del terreno. La relazione tra arte e sadismo spiega la bellezza del giardino e l’unione
perfetta tra strumenti di tortura e coreografia, innalzata da Clara a una vera “orgie florale”, un
motivo che introdurrà la parte più propriamente descrittiva del giardino e si confonderà, grazie a
una sottintesa intenzione polemica, con il tema della barbarie delle società moderne, delle politiche
colonialiste perseguite dai conquistatori ai danni delle popolazioni sottomesse38. L’aspetto bifronte

raclés avec des lames” (J.-K Huysmans, A rebours, Préface de Marc Fumaroli, Paris: Gallimard,
« Folio », p. 151).
38 Clara condanna le torture inflitte dai francesi agli arabi. L’eccitazione di Clara per l’arte della
tortura cinese è in contraddizione palese con le tesi anticolonialistiche , manifestando una vena
polemica e umanitaria del tutto inattesa dal lettore : “les pauvres arabes qui n’avaient pas
commis d’autres crimes que de fuir les brutalités de leurs conquérants” (p. 189). Si veda infra
la conclusione sulla portata sociale e simbolica del romanzo.
del personaggio femminile si confronta con la duplicità della natura, sana e devastatrice; per ora
parla ancora la donna fatale, inebriata dalla raffinatezza delle scene crudeli e sadiche :

Vois, mon amour, comme les Chinois sont de merveilleux artistes et comme ils savent rendre la
nature complice de leurs raffinements de cruauté ! (…) Ici, c’est parmi les fleurs, parmi
l’enchantement prodigieux et le prodigieux silence de toutes les fleurs, que se dressent les
instruments de torture et de mort, les pals, les gibets et les croix… Tu vas les voir, tout à l’heure,
si intimement mêlés aux splendeurs de cette orgie florale, aux harmonies de cette nature unique
et magique, qu’ils semblent en quelque sorte, faire corps avec elle, être les fleurs miraculeuses
de ce sol et de cette lumière… (p. 188).

L’enchantement floral: la parentesi edenica del giardino

Fa capolino in alcune descrizioni del giardino la nota simbolista, accompagnata da una visone
luminosa, quasi paradisiaca, che fa dimenticare la nota naturalista, cruda, perversa e distaccata. Se
per un verso i paragoni che ricorrono rendono la flora ora selvaggia, quasi barbara, ora esotica, ora
sconosciuta al collezionista e al botanico, ora pura e profumata ora impura e maleodorante, ora fitta
ora soleggiata, la dimensione edenica risalta in più di una descrizione, anzi ne è la parola
conclusiva, attesa dal lettore per esprimere non solo un momento di sospirata pausa, ma soprattutto
la gioia di essere immersi in una macchia indistinta di variegati colori che finisce col produrre sui
visitatori un vero “enchantement floral”, uno“charme inexprimablement édénique”:

Et tout autour de nous, et tout autour de la civière qui s’éloignait, c’était comme une pluie
rose, mauve, et blanche, un fourmillement nuancé, une palpitation carnée, lactée, nacrée, et si
tendre et si changeante, qu’il est impossible d’en rendre, avec les mots, la douceur infinie et le
charme inexprimablement édénique…(p.200)

Questo pezzo di bravura o di scrittura cosiddetta “artiste” si ritrova come un ritornello nel testo
quindici pagine prima per esprimere la gioia di uscire da quel luogo infernale, straziante come un
incubo e quasi per celebrare l’arte cinese del giardinaggio e far dimenticare quindi per un momento
l’altra arte cinese della tortura: “Les Chinois sont des jardiniers incomparables, bien supérieurs à
nos grossiers horticulteurs qui ne pensent qu’à détruire la beauté des plantes par d’irrespectueuses
hybridations” (p. 182). Tale affermazione sull’arte del giardinieri cinesi sostenuta a più riprese
lungo il romanzo sembra fare eco, in parte contestandola, alla tesi del protagonista decadente di A
rebours riguardo all’intelligenza dell’uomo (“son cachet d’art”) applicata alla coltivazione delle
piante per operare trasformazioni della specie mediante trapianti e innesti, in modo da anticipare nel
tempo gli stessi processi naturali: “Il n’y a pas à dire, fit-il, résumant ses réflexions; l’homme peut
en quelques années amener une selection que la paresseuse nature ne peut jamais produire qu’après
des siècles; décidément, par le temps qui court, les horticulteurs sont les seuls et les vrais artistes”39
Le piante della flora di Des Esseintes rappresentano un’esaltazione dell’artificiale, cioè della
possibilità dell’uomo d’intervenire sulla natura per modificarla, a sua immagine e somiglianza, nel
caso della particolare psicologia del protagonista per esaltare il patologico, la deviazione dalla
norma, l’eccezionale, il mostruoso, parola fin troppo ricorrente nei testi dei due autori. Non si riesce
a capire tuttavia in quale misura il punto di vista dell’osservatore coincida con l’immaginazione
perversa e patologica del protagonista decadente, ossessionato dalla malattia della sifilide, quindi
dall’idea della contaminazione e corruzione della specie umana:

Ces plantes sont tout de même stupéfiantes, se dit-il; puis il se recala et en couvrit d’un coup
d’oeil l’amas ; son but était atteint ; aucune ne semblait réelle ; l’étoffe, le papier, la porcelaine,
39 J.-K Huysmans, A rebours cit., p. 194.
le métal, paraissaient avoir été prêtés par l’homme à la nature pour permettre de créer ses
monstres. Quand elle n’avait pu imiter l’œuvre humaine, elle avait été réduite à recopier les
membranes intérieures des animaux, à emprunter les vivaces teintes de leurs chairs en
pourriture, les magnifiques hideurs de leurs gangrènes40.

Non si può assecondare del tutto l’opera della natura, poiché l’uomo può modificarla, effettuare
innesti (“la nature est, à elle seule, incapable de procréer des espèces aussi malsaines et aussi
perverses), pur fornendo la stessa natura “la matière première, le germe et le sol, la matrice
nourricière et les éléments de la plante”41 ; anzi l’uomo intervenendo sulle piante da artista, da
orticultore, alla stessa stregua dei giardinieri cinesi, considerati anch’essi nel romanzo mirbelliano
veri artisti, dimostra la sua piena superiorità sulla stessa natura, la sua capacità inventiva e creativa.
Il narratore del romanzo mirbelliano celebra la bellezza superiore del “Jardin des Supplices” su
tutti gli altri giardini cinesi per la varietà delle specie (dai fiori ricercati a quelli più comuni), per la
colorazione intensa, per la capacità di riunire in poco spazio tutte le essenze di fiori che si trovano
in pianura o in montagna, nelle valli o nelle foreste, grazie a un lavoro di acclimatamento e al suo
ricco humus: “depuis le palétuvier jusqu’à l’alzalée saxatile, la violette cornue et bifore jusqu’au
népenthès distillatoire, l’hibiscus volubile jusqu’à l’élianthe stolonifère, depuis l’audrosace,
invisibile dans sa fissure de roc, jusqu’aux lianes les plus follement enlaçantes” (p. 184).
Octave Mirbeau fornisce al lettore tutti i colori di cui si compongono le parti del giardino
seguendo con la sua amante i viali in una giornata calda immersa in un tripudio festoso di flora
variopinta, su cui scorre il pennello di un pittore impressionista e con esso il gusto di un critico
d’arte. Così il romanziere privilegia da artista il tocco che anima i fiori che diventano a loro volta i
soggetti di tante azioni generate da movimento unico che coinvolge flora e fauna mentre lo sguardo
dell’osservatore si sposta come un obiettivo dall’ampio bacino, situato in un avvallamento del
terreno da cui partono sinuosi viali, ai bordi della distesa lacustre e ai suoi pendii, fino ad
abbracciare le strutture di legno costruite ad arte dai rami:

Des nymphéas, des nélumbiums animent l’eau de leurs feuilles processionnelles et de leurs
corolles errantes jaunes, mauves, blanches, roses, pourprées; des touffes d’iris dressent leurs
hampes fines, au haut desquelles semblent percher d’étranges oiseaux symboliques; des
butomes panachés, des cypérus, pareils à des chevelures, des luzules géantes, mêlent leurs
feuillages disparates aux florescences phalliformes et vulvoïde des plus stupéfiantes aroïdes. Par
une combinaison géniale, sur le bords du bassin, entre les scolopendres godronnés, les trolles et
les inules, des glicines artistement taillées s’élèvent et se penchent, en voûte, au-dessus de l’eau
qui reflète le bleu de leurs grappes retombantes et balancées. Et des grues, en manteau gris
perle, aux aigrettes soyeuses, aux carancules écarlates, des hérons blancs, des cigognes blanches
à nuque bleue de la Mandchourie, promènent parmi l’herbe haute leur grâce indolente et leur
majesté sacerdotale (p. 184-85)

La nota stilistica più evidente è la forza rappresentativa dell’aggettivo (a cui va assimilato anche
l’avverbio modale) che forma la gamma pittorica, caratterizzando questa o quella pianta, per quanto
contrastata da uno slancio vitalistico affidato al verbo e sovente al participio presente con funzione
verbale. Tutto il movimento floreale e faunistico culmina nella fusione dei colori, al termine di una
nomenclatura snocciolata lungo la descrizione che si apre con determinazioni spaziali, prima vaghe
(“Ici et là”) e poi precise e limitate a segmenti topico-spaziali del giardino (“sur des éminences de
terre et de rocs rouges”, “le long des pentes”, p. 185). Dunque questo passo descrittivo della flora
del giardino sembra costituire nell’economia romanzesca una zona “edenica”, al riparo delle visione
delle crudeltà subite dai suppliziati, che si potrebbe situare a Ceylan, come viene indicato nel
romanzo, e dove Clara ambivalente, più che ambigua, rappresenta la donna biblica e tentatrice ma
40 Ibid., p. 192-93.
41 Ibid. pp. 193 e 194.
anche la nuova Eva, che si propone come una donna innocente, secondo la prima esperienza e
visione del narratore. Resta l’eccezionalità del giardino del bagno di Canton che subito mostrerà
anch’esso il suo aspetto infernale, costruito come tanti cerchi concentrici, costituito da uno spazio
chiuso e circolare, ma al cui centro si ritrova sempre lo stesso spettacolo di dolore straziante.
L’ambivalenza del luogo che passa al personaggio di Clara, rappresentata come una creatura
“claire-oscure”, come l’unione di una contraddizione che ripropone l’ossimoro del giardino nei
termini mitici dell’Eden infernale e paradisiaco.42
L’aspetto edenico del giardino non è estraneo al decadentismo. Villiers de l’Isle-Adam intitolando
un capitolo centrale dell’Ève future appunto “L’Eden sous-terre”, aveva inventato per illustrare i
miracoli dell’elettricità un laboratorio sotterraneo, un specie di giardino quasi di pietra, posto a una
profondità abissale, illuminato dalla luce artificiale delle prime lampade; qui gli uccelli
gorgheggiano interpretando le opere dei grandi musicisti e i fiori, migliaia di rose e di liane
d’Oriente, splendono emettendo una luce diafana; al centro dei due pendii si trova una vasca da cui
zampilla un gettito d’acqua che ricade “en pluie neigeuse” e nella penombra Hadaly, la creatura che
aspetta l’incarnazione, si manifesta come visione luminosa e nello stesso tempo tenebrosa, come
una possibilità umana, un essere misterioso che attende la nascita e che riassume sul piano
simbolico “l’Éden perdu… et retrouvé”43. In questo mondo incantato, simbolo di una favola
moderna che s’ispira alla tecnica e particolarmente alle tecniche di riproduzione e di animazione, è
possibile che in un fiore fittizio, luminoso, perfettamente uguale a quello naturale, si possa
accendere un sigaro, e che in esso continui a cantare l’anima di un uccello morto, come spiega
Edison all’innamorato Ewald: “vous pouvez allumer votre cigare à cette étincelle inoffensive, dans
cette même fausse fleur parfumée où chante, lueur mélodieuse l’âme de cet oiseau” 44. Anche in
quest’opera il giardino, oltre a presentarsi come una nostalgia dell’Eden perduto, evoca il luogo
della tentazione biblica, il luogo di una felicità da riconquistare attraverso la riproduzione tecnica,
fino alla creazione di un essere femminile, dotato di un’anima, quindi un’opera satanica e
profanatrice. Ivanna Rosi vede giustamente un’opera diabolica nell’impresa titanica di Edison, che
riproduce una donna-giardino, cioè “un giardino che viene ad assumere, artificialmente, la forma di
una donna o della donna (artificiale) che tende ad identificarsi alla natura (il giardino)”45.
Non c’è ovviamente posto per il giardino artificiale e per il giardino-donna nel Jardin des
supplices, ma rimane nel giardino mirbelliano quell’aria luminosa e festosa propria del primitivo
giardino delle origini, quello edenico. Nelle descrizioni del romanzo, così particolareggiate, quasi
stilate con la velocità di chi passeggia tra i viali, ammirando estasiato, con lo sguardo rivolto in alto
e spesso ai colori della volta celeste, l’attenzione si sofferma sulla varietà della specie, sui profumi
intensi e sulla varietà dei colori e delle forme assunte dalle piante, ordinate sapientemente dalla
mano dell’uomo, che rivestono strutture marmoree e che hanno vita propria, una vitalità intensa,
che avvolge, soffoca la vegetazione e trionfa modellando una ricaduta dei rami a pioggia o a
valanga. Lo slancio verso l’alto, e l’erezione trionfano e s’incurvano fino a ricadere in volute tra i
rami secchi di una pianta morta. Seguiamo la ramificazione di una vigna e dei suoi tralci:

C’était, à claque pas, une joie nouvelle, une surprise des yeux qui me faisait pousser des cris
d’admiration: Ici une vigne dont j’avais remarqué, dans les montagnes de l’Annam, les larges
feuilles blondes, irrégulièrement échancrées et dentelées, aussi dentelées, aussi échancrées, aussi
larges que les feuilles du ricin, enlaçait de ses ventouses un immense arbre mort, montait
jusqu’au faîte du branchage et, de là, retombait en cascade, en cataracte, en avalanche,

42 E. Roy-Reverzy, “D’une poétique mirbellienne : Le Jardin des supplices” cit., p. 34.


43 Villiers de l’Isle-Adam, Œuvres complètes, L’Eve future, vol. I, Paris: Gallimard, Bibliothèque
“ La Pléiade”, p. 873.
44 Ibid., p. 874.
45 I. Rosi, L’immagine in trasparenza: mito, teche, natura in Villiers de l’Isle-Adam, Genève-
Paris: Slatkine, 1992, p. 41.
protégeant toute une flore d’ombre qui s’épanouissait à la base entre les nefs, les colonnades et
les niches formées par des serments croulants.. (p. 195)

Solo alcuni fiori hanno una menzione particolare e danno luogo, oltre che a una descrizione
particolareggiata, ricca di sfumature, anche a una simbologia floreale e a una poetica del giardino, a
un’animazione governata dalla figura poetica della metafora, da una personificazione (ma senza
l’abusato ricorso alle maiuscole proprio del naturalismo di maniera), fino a raggiungere l’effetto di
una vera antropomorfizzazione, quasi di un’umanizzazione di alcuni fiori. Tra questi spiccano,
come si vede alla fine del passo poco prima citato, le primule cinesi, una varietà diversa da quella
nostrana: “des ruissellemnts de primevères, ces primevères de la Chine, si abbondamment
polymorphes et dont nous n’avons, dans nos serres appauvries; et tant de formes charmantes et
bizarres, et tant de couleurs fondues” (p. 185). In un altro passaggio le peonie, di un rosa sbiadito e
antico, che non temono il cambiamento stagionale, vengono a costituire una vera e propria sinfonia
nel capitolo del romanzo omonimo dedicato alla descrizione del Giardino dei supplizi, a ricordarci e
sottolineare l’aspetto edenico del giardino rappresentato metaforicamente da queste “reines
miraculeuses de ce miraculeux jardin” (p. 196); quest’espressione metaforica non sarebbe
dispiaciuta per quell’aria festosa a Proust46, al narratore particolarmente attratto dalla visione di un
campo ondeggiante di fiori, una distesa qui assimilata nella pagina mirbelliana, sempre
metaforicamente, a “une foule en fête”, e quindi animata e festosa. Nel passo che segue le strutture
architettoniche (ponti di pietra, chioschi, muretti a spirale, sbalzi, coperture) inserite
opportunamente nel paesaggio sono modellate dalla mano dell’uomo per celebrare non solo la
bellezza delle perenni peonie (“des pivoines immémoriales” altro aggettivo preferito da Proust) ma
anche la magnificenza della natura e la bravura dei giardinieri cinesi:

46 Sono forse ragioni eufoniche che spingono Mirbeau (e con lui Proust) a scegliere alcuni fiori,
le “pivoines” ad esempio, insieme a ragioni affettive che fanno sì che Mirbeau arriva a
personalizzarle, a vederle come persone, come “regine miracolose” o religiose solitarie; infine
va osservato sul piano stilistico quel ritardare l’apparizione finale del soggetto nella frase e
quell’attenzione alle impressioni fugaci e suggestive proprie dell’impressionismo pittorico,
introdotte dal paragone o dall’analogia, dal comme (vedi infra il passo sul risveglio delle
sensazioni nel narratore-poeta). Cfr. un classico dell’analisi stilistica, L. Spitzer, Marcel Proust e
altri saggi di letteratura francese moderna, Torino: Einaudi, 1959 (prima edizione). Per rendere
plausibile l’effetto sonoro e olfattivo, non disgiunto da quello affettivo, di questi fiori nei due
autori, basterà ricordare che il giardino francese conserva per l’autore della Recherche un
timbro esotico orientaleggiante, laddove fioriscono les lilas (poiché “ce jardin français” può
rivestire “les tons vifs et purs des miniatures de la Perse”, p. 244); è nota nel romanzo
l’attrazione per l’odore dei biancospini, e per quelle particolari spine rose. Se Proust privilegia il
giardino della memoria, ricreata dalla memoria affettiva, in particolare il fiore svettante nella
massa indistinta (per esempio il “coquelicot”) e Mirbeau la successione naturalistica delle
piante del giardino, per entrambi gli scrittori l’accordo di alcune tinte festose (e da festa), come
il color bianco e il color rosa, resta uno dei momenti privilegiati della descrizione, specialmente
quando questi colori si mescolano alla luce che emana il cielo, come avviene a proposito delle
corolle delle ninfee, piante presenti anche nel testo di Mirbeau, soprattutto in quelli dedicati
all’arte impressionista: “Ailleurs un coin semblait réservé aux espèces communes qui
montraient le blanc et le rose proprets de la julienne, lavés comme de la porcelaine avec un
soin domestique, tandis qu’un peu plus loin, pressées les unes contre les autres en une
véritable plate-bande flottante, on eût dit des pensées des jardins qui étaient venues poser
comme des papillons leurs ailes bleuâtres et glacées, sur l’obliquité transparente de ce parterre
d’eau; de ce parterre céleste aussi: car il donnait aux fleurs un sol d’une couleur plus
précieuse, plus émouvante que la couleur des fleurs elles-mêmes; et, soit que pendant l’après-
midi il fît étinceler sous les nymphéas le kaléidoscope d’un bonheur attentif, silencieux et
mobile, ou qu’il s’emplît vers le soir, comme quelque port lointain, du rose et de la rêverie du
couchant, changeant sans cesse pour rester toujours en accord, autour des corolles de teintes
plus fixes, avec ce qu’il y a de plus profond, de plus fugitif, de plus mystérieux - avec ce qu’il y
a d’infini - dans l’heure, il semblait les avoir fait fleurir en plein ciel” (M. Proust, A la Recherche
du temps perdu, Du côté de chez Swann, Paris : Flammarion, 1987, p. 282).
Tout, aussi, semblait avoir été disposé, par la munificence de la nature, pour le triomphe
des pivoines.
Sur les pentes douces, semées en guise de gazon, d’aspérules odorantes et de
crucianelles roses, du rose passé des vieilles soies, des pivoines, des champs de pivoines
arborescentes déroulaient de somptueux tapis. Près de nous, il y a en avait d’isolées, qui
nous tendaient d’immenses calices rouges, noirs, cuivrés, orangés, pourprés. D’autres,
idéalement pures, offraient le plus virginales nuances du rose et du blanc. Réunies en foule
chatoyantes, ou bien solitaires au bord de l’allée, méditatives au pied des arbres, amoureuses
le long des massifs, les pivoines étaient bien réellement les fées, les reines miraculeuses de
ce miraculeux jardin.
Partout où le regard se posait, il rencontrait une pivoine. Sur les ponts de pierre,
entièrement recouverts de plantes saxatiles et qui, de leurs arches audacieuses, relient les
masses de rochers et font communiquer entre eux les kiosques, les pivoines passaient,
pareilles à une foule en fête. Leur procession brillante ascensionnait les tertres, autour
desquels montent, se croisent, s’enchevêtrent les allées et les sentes que bordent de menus
fusains argentés des troènes taillés en haies. J’admirai un monticule où des murs très bas,
très blancs, construits en colimaçon, s’étendaient, protégées par des nattes, les plus
précieuses espèces de pivoines, que d’habiles artistes avaient assouplies aux formes
multiples de l’espalier. Dans l’intervalle de ces murs, des pivoines immémoriales, en boule
de hautes tiges nues, s’espaçaient, dans des caisses. Et le sommet se couronnait de touffes
épaisses, de libres buissons de la plante sacrée dont la floraison, si éphémère en Europe, se
succède ici durant toutes les saisons. Et, à ma gauche, toutes proches de moi, ou bien
perdues dans les perspectives lointaines, c’étaient encore, c’étaient toujours des pivoines,
des pivoines, des pivoines… (p. 196-97)

La larghezza del ventaglio semantico che il romanziere innalza a visione unificante e armonica,
come appare evidente dalle citazioni tematiche finora riportate, attraverso il tema del giardino
testimonia una cultura che diventa credibile e operativa all’interno di una poetica e di un’estetica
ora decadenti ora naturaliste, ora reali ora simboliche, secondo movenze figurative, pur sempre
ancorate all’universo del linguaggio, vero promotore di una cultura floreale ricca di nuovi messaggi,
adeguati al mezzo espressivo e alla rappresentazione di una struttura interna, moderna, quale quella
che può essere colta da un osservatore attento al mutare del gusto e quindi delle idee47.
L’assonanza proustiana che il “Jardin des supplices” richiama è certamente “délices”, sostantivo
che, oltre che evocare un che di sensuale, suscita un piacere visivo, a tal punto che la visione del
giardino, la parte soleggiata, esposta alla combinazione dei colori dell’arcobaleno produce nel
narratore “une détente subite”. Qui l’osservatore impressionista, “ébloui de la féerie mouvante des
fleurs” (p. 186, l’aggettivo “ébloui” è ripetuto con una voluta insistenza per scandire il ritmo della

47 È quanto lascia intuire l’Introduzione di Andrea Mariani (“Meravigliosi e terribili giardini


dell’Occidente: variazioni sul tema”) al terzo volume delle Riscritture dell’Eden: il giardino
nell’immaginazione letteraria dell’Occidente (Venezia: Mozzanti editori, 2006) laddove scrive
(p. 11): “Si scopre, peraltro, anche, e con soddisfazione forse maggiore, che ogni cultura, e
quasi tutti gli autori all’interno di una determinata cultura, non hanno potuto fare a meno di
fornire interpretazioni originali, che arricchiscono infinitamente il quadro d’insieme e
ribadiscono l’ampiezza del ventaglio semantico che il giardino apre, da un alto, (in modo
autoreferenziale) su se stesso e sulla pluralità dei suoi significati, dall’altro sul mondo, di cui si
fa segno sempre nuovo e mezzo di rappresentazione incredibilmente adeguato”. Anche se va
posto l’attenzione sulle “nuove conquiste nell’universo del linguaggio”, non si deve ignorare
che nello spazio di cui il giardino francese gode nella rappresentazione poetica e romanzesca
francese (da Bernardin di Saint-Pierre a Proust, da Rousseau a Maeterlinck) Mirbeau segna una
precisa traiettoria per certi aspetti classica e per altri postmoderna: “In Octave Mirbeau (Le
jardin des supplices, 1899) si assiste al passaggio da un giardino/mandala geometricamente e
simbolicamente ‘ideale’, a un misterioso spazio sinuoso, con struttura a spirale: è qui una delle
fonti primarie dei ‘torture gardens’ postmoderni” (Ibid., p. 20).
frase), risveglia nel narratore, sconvolto dagli spettacoli di crudeltà e di sadismo, il poeta che dorme
in lui; con il nuovo essere risorto a vita nuova si risvegliamo sensazioni nuove: “Avec délices,
j’aspirais, à pleines gorgées, l’air nouveau que tant de fins et mols arômes imprégnaient … C’était
l’indicible joie du réveil, après l’oppressant cauchemar” (p. 187).
L’impressionista Mirbeau ci offre con il ritorno del protagonista verso la luce un quadro vivente
della natura, vista attraverso il prisma della luce che tratteggia (dopo un percorso infernale tra
tenebre e urla) uno spettacolo variopinto e solare in cui fiori, aiuole e tappeto erboso, come per
effetto di una “baguette magique”, si rivestono di un luccichio sfolgorante (la parola chiave del testo
da cui s’irradiano le emozioni visive è certo “ébloui”), che suggerisce al lettore la vastità
dell’orizzonte insieme a una visione fluida, vaporosa e paradisiaca: “Et, soudain, comme sous la
baguette d’une fèe, ç’avait été en moi une irruption de clarté céleste et devant moi des horizons, des
horizons! (p. 186). Il testo alleggerito, sgombro da ridondanze semantiche e da descrizioni
botaniche, ci presenta nuove sensazioni visive come una proiezione della rinascita spirituale del
narratore (“comme une irréelle ascension de tout mon être vers les éblouissements d’un pays de
rêve”, p. 187) dopo l’incubo della visione dei dannati, dove prevaleva soprattutto l’elemento
olfattivo ripugnante (“cette odeur de pourriture et de mort”, ibidem). Nel testo, come esempio di
quella ‘écriture artiste’ tipica del naturalismo e dell’impressionismo, diventa sempre più tangibile
un’arte del passaggio che addolcisce nell’economia romanzesca e nella narrazione i toni di
contrasto simbolico tra visione cupa e infernale e visione edenica del giardino, in cui “les pivoines”
diventano l’elemento floreale più significativo, su cui tornerà il narratore:

Je regardais, ébloui; ébloui ; ébloui de la lumière plus douce, du ciel plus clément, ébloui
même des grandes ombres bleues que les arbres, mollement, allongeaient sur l’herbe, ainsi que
des paresseux tapis ; ébloui de la féerie mouvante, des planches de pivoines que de légers abris
de roseaux préservaient de l’arteur mortelle du soleil… Non loin de nous, sur l’une de ces
pelouses, un appareil d’arrosage pulvérisait de l’eau dans laquelle se jouaient toutes les couleurs
de l’arc-en-ciel, à travers laquelle les gazons et les fleurs prenaient des translucidités de pierres
précieuses

Dalla visione edenica al tocco di pittura impressionista, quasi huysmansiano

Mirbeau critico d’arte, fortemente interessato all’esperienza pittorica dell’impressionismo,


non poteva che essere condizionato dalle tecniche degli impressionisti (in particolare da colui che
Mirbeau considerava il maestro della scuola, Claude Monet) in cui cercava l’equivalente verbale
delle loro tele48. L’attenzione del romanziere per le sfumature di uno stesso colore o la gradazione

48 P. Michel, Combats d’Octave Mirbeau, cit., p. 307. L’impressionismo pittorico consisterebbe


secondo lo studioso mirbelliano in un insieme di tecniche usate per “ révéler l’instabilité et le
chaos de l’univers” : “L’absence de contours, le flou vaporeux, la vibration de l’air, les effets
changeants et fugitifs de la lumière qui transfigure les objets perçus, la notation des nuances et
des taches de couleurs, leur interaction, l’importance des apparences et des impressions
ressenties par l’observateur, le mélange des sensations visuelles, olfactives et auditives, le
décadrage systématique du camp de vision, et les correspondances entre les sensations et les
états d’âme, sont les constantes dans ses textes descriptifs ”(ibidem). La sicurezza del mezzo
espressivo ispirato da Monet si rivela soprattutto in alcune pagine di viaggio già nel 1886 e si
ritrova a mio avviso, oltre che nei primi romanzi, come osserva P. Michel, anche nel Jardin des
supplices, soprattutto per l’attenzione riservata alle sfumature del colore rosa, più suggestive
di quelle del verde. “Il faudrait le pinceau de Claude Monet pour exprimer cette clarté, cette
légèreté, cette limpidité de rose. Un nuage passe , et voilà une ombre violette qui s’allonge sur
la mer, s’échancre, glisse lentement, pareille à une île qui flotterait… Et tandis qu’une goélette
et deux cotres restent immobiles à leur mouillage, des chaloupes de pêche traversent la rade
et bientôt vont se perdant délicieusement roses, dans tout ce rose épandu qui monte de la mer
dei colori compositi, soprattutto quando essi entrano in contrasto, è manifestamente visibile in
alcuni passi del Jardin, oltre che nei passi da me sopra citati:

Là un stéphanandre exhibait son feuillage paradoxal, précieusement ouvré comme un


cloisonné et dont je m’émerveillais qu’il passât par toute sorte de colorations, depuis le vert
paon jusqu’au bleu d’acier, le rose tendre jusqu’au pourpre barbare, le jaune clair jusqu’à
l’ocre brun. Tout près, un groupe de viburnums gigantesques, aussi hauts que des chênes,
agitaient de grosses boules neigeuses à la pointe de chaque rameau (p. 195).

È quasi certamente il bianco nella forma metaforica della “blancheur de neige” (p. 194) che mi
sembra prevalere, dopo l’orgia del rosso assocciato al sangue, sugli altri colori (il blu, il rosa e il
verde): “ces jolies lingoustrines de Pékin, au feuillage velu, aux grandes panicules plumeuses de
fleurs blanches, poudrées de soufre”, e non distante, “un groupe de viburnums gigantesques, aussi
hauts que des chaînes, agitaient de grosses boules neigeuses à la pointe de chaque rameau” (p. 195).
Il romanziere è sedotto nella descrizione dei giardini dai colori volteggianti nell’aria e alla
maniera di un pittore impressionista annota soprattutto l’effetto visivo, avendo forse come modello
lo scambio tra esperienza letteraria ed esperienza pittorica, che già Huysmans aveva praticato in A
rebours nel 1884. A proposito dell’osservazione di Remy de Gourmont che ha scritto “Huysmans è
un occhio”, il compianto e intelligente Ivos Margoni ha chiarito: “Un occhio (…), che sa
trasformare ciò che vede - colori, toni, paesaggi, atmosfere, luoghi, qualità della materia, ecc. - nella
parola insostituibile, fatale, istituendo con il visivo quel rapporto incessante di 'parafrasi' e di
'similitudine' (…) che vieta di separare il critico d’arte dal romanziere, l’occhio che vede con
estrema acutezza, il linguaggio della pittura dalla scrittura che rende acutamente pittorico il
linguaggio verbale” 49, fino a sciogliere “la fissità oggettuale del dipinto in una ri-creazione visiva e
narrativa, distesa nel tempo, dove anche la valutazione critica si fa rappresentazione pienamente
letteraria, come nel caso della lettura delle due Salomé”50. In Huysmans il descrittivismo si scioglie
però in una visione dinamica, che s’iscrive nella malattia e nella nevrosi del protagonista Des
Esseintes, in una particolare passione non solo per i fiori naturali, tanto perfetti da sembrare
artificiali, ma anche per quelli che imitano i fiori falsi o la pelle umana o i minerali o ancora le parti
del corpo di un animale, comunque per le piante ferite, mostruose e carnivore (un altro epiteto caro
anche a Mirbeau oltre a quello di “mostruoso”). Ma è quasi sempre il colore, talvolta il profumo
irritante, talvolta sono le forme bizzarre (asso di cuori o coda di maiale) a far esultare il
protagonista, mentre verifica le varietà delle piante da lui acquistate per un giardino tutto domestico
che in qualche misura rappresenti il suo gusto per l’artificio presente nella natura: “Les hommes
débarquèrent ensuite des touffes de feuilles, losangés, vert-bouteille; au milieu s’élevait une
baguette au bout de la quelle tremblotait un grand as de cœur, aussi vernissé qu’un piment ; comme
pour narguer tous les aspects connus des plantes, du milieu de cet as d’un vermillon intense,
jaillissait une queue charnue, cotonneuse, blanche et jaune, droite chez les unes, tire-bouchonnée,
tout en haut du cœur, de même qu’une queue de cochon, chez les autres”51.
et qui tombe du ciel ”(citato da P. Michel in Combats…, cit. p. 309). Ed è certo questo pittore
impressionista a insegnargli i legami tra arte e natura, a evocare “ tout ce qui s’agite en nous,
par elle (la nature), de force animique, tout ce qui, au dessus de nous, en elle , s’immémorialise
d’infini et d’éternité ”(articolo su Monet apparso ne L’art dans les deux Monde il 7 marzo 1901,
citato da S. Lair, “L’art selon Mirbeau : sous le signe de la nature ” in Cahiers Octave Mirbeau,
n. 2, 1995, p. 133-34). Ovviamente Mirbeau critico d’arte, contrario a ogni forma di
accademismo, è ugualmente interessato alla pittura di Rodin e a quella di Van Gogh , e forse in
misura minore ai quadri di Cézanne e degli altri impressionisti, non esclusi Degas, Manet e
Toulouse Lautrec. Si vedano i due volumi Combats artistiques, presentati e annotati da P. Michel
e J.-F. Nivet (Paris: Séguier, 1993) e di C. Limousin, “Une critique tranchante” in Europe, mars
1999, N° 839, pp. 79-95.
49J.- K. Huysmans, Controcorrente, Postfazione di Ivos Margoni, Torino: Einaudi, 1989, p. 228.
50 Ibid., p. 229.
51 J.-K. Huysmans, A rebours cit., p. 189.
Se verifichiamo quali fiori o piante tornano nei due testi di A rebours e del Jardin des supplices,
ci accorgiamo che i riferimenti comuni ai due autori sono pochi, ma significativa è certamente la
differenza fra gli stessi; ad esempio nel romanzo di Huysmans la collezione di Caladium, così varia
nel colore dominante e caratterizzante, nella diversità e nell’imitazione delle forme viventi o dei
tessuti, serve a celebrare il trionfo del fittizio, in particolar modo di ciò che si confonde con le forme
animali e con il vivente, ma che non lo è:

Les jardiniers descendirent de leurs carrioles une collection de Caladiums qui appuyaient sur
des tiges turgides et velues d’énormes feuilles, de la forme d’un cœur, ; tout en conservant
entre eux un air de parenté, aucun ne se répétait. Il y a en avait d’extraordinaires, des rosâtres,
tels que le Virginale qui semblait découpé dans la toile vernie, dans du taffetas gommé
d’Angleterre; de tout blancs, tels que l’Albane, qui paraissait taillé dans la plèvre transparente
d’un bœuf, dans la vessie diaphane d’un porc. 52

Tra queste varietà che evocano malattie, pelle umana o animale, metalli, forme repellenti non
troviamo, a parte qualche vaga rassomiglianza di colore e striatura, i Caladiums merlettati e dalle
tinte delicate incontrate nel giardino mirbelliano (« caladiums dont les nervures de vieil or sertissent
des soies brodées et des dentelles roses », p. 201); neppure le orchidee rivestono la stessa
importanza nelle flore descritte dai due romanzieri. In particolare l’esteta decadente Des Esseintes è
affascinato dall’orchidea in un primo tempo inodore, ma poi finisce col rifiutarla per i ricordi che
emana (“cette orchidée qui fleurait les plus désagréables des souvenirs”53) mentre nel romanzo
mirbelliano essa si tinge di una colorazione impura (“des arbres inconnus sur le tronc desquels se
balançaient d’impures orchidées” p.197). Anche quando nei due romanzi intravediamo nella
descrizione una nomenclatura di piante in successione e l’assimilazione del colore delle foglie ora
ad animali, ora a metalli, la forza evocativa che sprigiona il testo di Huysmans è più sorprendente e
fantasiosa di quella di Mirbeau. Tuttavia nelle due descrizioni piante e fiori assumono quel carattere
di mostruosità (la frequenza della parola “monstres”, sia pure con accezioni leggermente diverse, è
significativa in tutti e due i testi, per indicare l’eccezione ma anche l’anti-natura) non certo per le
dimensioni, ma per le affinità che mostrano con gli organi sessuali (fiori “vulvoidali” o
“falliformi”in Mirbeau). L’uomo e con lui il giardiniere ha compiuto l’ultimo passo verso la
trasgressione dell’ordine naturale, ha sostituito il vegetale con l’intelligenza e, come voleva l’autore
delle Fleurs du mal, con l’artificio, che assume una particolare forma di sadismo e di perversione,
una volontà distruttiva e nel contempo rigenerativa, aggressiva nei confronti del naturale54. Sul
piano dell’effetto visivo e stilistico la pagina floreale mirbelliana, scandita dai ritmi propri della
visone impressionistica, mi sembra superare la plasticità della pagina huysmansiana.
Come il racconto s’inserisce nella descrizione dei giardini? La coppia, abbandonato il viale
circolare, imbocca un piccolo sentiero che conduce alla campana dei suppliziati tra piante e fiori di
cui il narratore, sempre attento alle variazioni della luce solare, non dimentica di segnalarci di volta
in volta il colore delle foglie e delle corolle dei fiori, talora anche per mezzo di paragoni e metafore
che associano il colore ai minerali e più raramente agli animali e ai vegetali, a cominciare dal colore
della sabbia che ricopre il sentiero, dalle piante più comuni (aceri, allori, tuie, tamerici, piante di
cotone, salici, crittogame, anemoni, muschi, ranuncoli e licheni) alle piante ornamentali più
ricercate e rare, di una pretesa scientificità, alcune esotiche, altre barbare, dalla desinenza spesso
latineggiante, talvolta inventate per creare un effetto di spaesamento (maonie, eleagne, caladiums,
pirus, clerodendri, euchere):
52 Ibid., p. 187-188.
53 Ibid, p. 192.
54 Il parallelo Huymans- Mirbeau è ricorrente quasi obbligatorio quando si vuole insistere sul
particolare umorismo che trae lo spunto dalla perversione operata dall’artista sulla natura e
sulla visione di una natura decomposta e malata. Cfr. V. Ramacciotti, “Dal Jardin d’hiver al
Jardin des supplices”, in AA. VV., La letteratura e i giardini, cit., Atti del Convegno Internazionale
di Studi di Verona-Garda, 2-5 ottobre 1985, Firenze: Olski, 1987.
Sentes set allées étaient sablées de brique pulvérisée qui donne au vert des pelouses et des
feuillages une extraordinaire intensité et comme une transparence d’émeraude sous la lumière
d’un lustre. A droite, des pelouses fleuries ; à gauche des arbustes encore. Acers roses, frottés
d’argent pâle, d’or vif, de bronze ou de cuivre rouge ; mahonias dont les feuilles de cuir
mordoré ont la largeur des palmes du cocotier ; éléagnus qui semblent qui semblent avoir été
enduits de laques polycromes : pyrus , poudrés de mica ; lauriers sur lesquels miroitent et
papillotent les mille facettes d’un cristal irisé ; caladiums dont les nervures de vieil or
sertissent des soies brodées et des dentelles roses ; thuyas bleus, mauves, argentés, panachés
de jaunes malades, d’orangers vénéneux ; tamarix blonds, tamarix verts, tamarix rouges, dont
les branches flottent et ondulent dans l’air, pareils à de menues algues dans la mer ; cotonniers
dont les houppes s’envolent et voyages sans cesse à travers l’atmosphère ; salix et l’essaim
joyeux de leurs graines ailées ; clérodendrons étalant ainsi que des parasols leurs larges
ombrelles incarnadines… Entre ces arbustes, dans les parties ensoleillées, des anémones, des
renoncules, des heucheras se mêlaient au gazon ; dans les parties ombrées se montraient
d’étranges cryptogames, des mousses couvertes de minuscules fleurettes blanches, et des
lichens semblables à des agglomérations de polypes, à des masses madréporiques. C’était un
enchantement perpétuel (p. 201).

Anche se Mirbeau non riesce a pieno a produrre alla stregua di un Huysmans , “per una strana
allucinazione intellettuale, il diletto di una sensazione visiva” 55, tuttavia egli usa la penna alla
maniera di un pittore impressionista per conferire al quadro una sensazione visiva, con tocchi e
ritorni successivi, fino a che i colori finiscono col fondersi e armonizzarsi: era questa la ragione per
cui nel romanzo veniva ripetuto in sei righe un segmento di frase, come un ritornello, per aprire e
chiudere una visione di tripudio di colori, festosa e emotivamente carica di un’emozione diluita in
tante descrizioni, quasi alla ricerca di un “enchantement perpétuel”. Ma ecco che quest’incanto si
precisa nel rigo successivo come “enchantement floral” caratterizzante il giardino come l’Eden
primitivo, che produce visivamente “la douceur infinie, la poésie inexprimablement édénique” (p.
186, più tardi “la douceur infinie et le charme inexprimablement édénique”, p. 200), per farsi di
nuovo storia dei sensi, accaparrati unicamente da una forza distruttiva. Simbolicamente, quindi
emblematicamente, il protagonista-narratore è presto risucchiato dal profumo infernale che emana il
corpo di Clara che lo attira a sé nelle spirali di questo maelstrom dantesco. I due visitatori
abbandonano questa specie di giardino incantato per tornare nei gironi della violenza e del crimine,
il contrasto tra l’atmosfera idilliaca e naturale del giardino e le macchine di morte si fa sempre più
evidente, la sovrapposizione di elementi floreali e di elementi lugubri serve poi a introdurre la
figura sadica del seviziatore cinese che pulisce gli strumenti della tortura e che al pari di un
personaggio dei Contes cruels di Villiers (“Le convive des dernières fêtes”), farà un elogio dell’arte
della tortura56. La stridente unione di mezzi di tortura, esemplificati con il ricorso a termini tecnici e
55 L’ammirazione di V. Pica per l’arte pittorica celata nelle pagine di A rebours potrebbe
applicarsi ugualmente a alcune pagine del Jardin des supplices: “le pagine di questo libro
hanno a volta i meravigliosi splendori della pittura, le squisite finezze dell’acquaforte, gli
abbaglianti luccichii delle pietre preziose. Con una lingua meravigliosa di pieghevolezza e di
precisione il giovane scrittore è riuscito a fermare così le più sfolgoranti orgie di colore, come le
sfumature le più tenui, le più cangianti, come i tratti più fugaci. È tale e tanta è l’arte
dell’autore che alcune sue pagine descritte producono quasi quasi al lettore, per una strana
allucinazione intellettuale, il diletto di una sensazione visiva” (V. Pica, Arte aristocratica e altri
scritti su naturalismo sibaritismo e giapponismo (1881-1892) a cura di N. D’Antuono, Napoli:
ESI, 1995, p. 160 )
56 Il carnefice che fa della tortura non solo un’arte ma anche una funzione che ricopre davanti
alla società come esecutore di pene capitali, con una sua soddisfazione che placa i suoi istinti
sanguinari e la sua monomania. Esistono altre tematiche che apparentano le opere di Villiers e
di Mirbeau, oltre a quelle menzionate da B. Vibert (“Celui qui croyait au ciel, celui qui n’y
croyait pas. Villiers de l’Isle-Adam et Octave Mirbeau” in Cahiers Octave Mirbeau, n. 9, 2002,
specialistici, inventati da una mente malata e perversa (“par un raffinement diabolique”) con una
strana vegetazione, che serve a dare un rilievo esotico estraniante, e successivamente con il canto
degli uccelli, finisce per creare in maniera ironica e stridente un paesaggio lugubre e allo stesso
tempo lirico. Il collegamento in forma di catafora tra “cet enchantement floral” (edenico) e le
macchine di tortura viene spezzato liricamente dal gorgheggio degli uccelli. Questa stridenza
stilistica evidenzia un altro segno del decadentismo letterario, accostabile all’umorismo graffiante di
alcune pagine di A rebours:

Et, de cet enchantement floral, se dressaient des échafauds, des appareils de crucifixion, des
gibets aux enluminures violentes, des potences toutes noires au sommet desquels ricanaient
d’affreux masques de démons; hautes potences pour la strangulation simple, gibets plus bas et
machinés pour le dépècements des chairs. Sur les fûts de ces colonnes de supplices, par un
raffinement diabolique, des calystégies pubescentes, des ipomées de la Daourie, des
lophospermes, des coloquintes enroulaient leurs fleurs, parmi celles des clématites et des
atragènes… Des oiseaux y vocalisaient leurs chansons d’amour… (p. 201-202).

Il giardino simbolo del mondo e della società: les fleurs monstrueuses ovvero sanglantes et
dévoratrices

Il giardino che diventa metafora della società e poi del mondo, di una crudeltà dell’uomo e
dell’universo57 non è fuori luogo, se ammettiamo che tutto orbita intorno al bagno-prigione e che il
ciclo della vita comprende distruzione e morte, poiché, come abbiamo visto, la vegetazione
rigogliosa si nutre del sangue e dei resti dei condannati e che il rifugio in Oriente del protagonista
non gli fa dimenticare la ciarlataneria e la corruzione dell’Occidente, da cui egli è fuggito. In realtà
la spinta esotica che dovrebbe trasportarci in un mondo migliore di quello europeo (“L’Europe et sa
civilisation hypocrite, barbare, c’est le mensonge”, p. 133, sostiene Clara) e mostrare la superiorità
della civiltà orientale-cinese, su quella europea-francese, non fa che confermare la malvagità innata
dell’uomo, quale che sia la latitudine in cui egli vive, quale che sia il governo politico (dinastia o
Repubblica) nei due paesi e nei due emisferi; la barbarie sussiste sempre e reclama le sue vittime, la
missione civilizzatrice si trasforma spesso in conquiste cruente, in colonizzazioni feroci, in atroci
conflitti e devastazioni (da ricordare che la Francia come l’Inghilterra è impegnata nell’avventura
coloniale, pp.116-121). Conclusione: la Cina è tanto barbara quanto la Francia, il rito sacrificale,
come appare la guerra58, maschera, a ben osservare la sua frequenza, il desiderio di dominazione e
pp. 64-76), tematiche che a mio avviso hanno per epicentro la crudeltà, il sadismo, l’odio per la
morale borghese, la difesa della condizione del letterato in lotta con la società e con il mondo
del giornalismo opportunista e convenzionale, una tendenza all’anarchismo inteso soprattutto
quale ricerca di una soluzione a un malessere sociale diffuso, come dimostra il “conte cruel”,
L’Etna chez soi, inserito nel 1888 nella raccolta Histoires insolites (1888) e significativamente
dedicato “Aux mauvais riches” (si veda sulle forme dell’anarchia di Villiers lo studio convincente
e analitico di Paola Salerni, Anarchie, langue, société, Fasano: Schena editore, Presses de
l’Université de Paris-Sorbonne, 2004, 346). Per una comparazione di contenuti e di forme non
vanno ignorate certe figure stilistiche, come l’ambivalenza, l’ironia e l’ossimoro, l’uso del
dialogo quale supporto pertinente ai fini della dimostrazione e della discussione di principi
teorico-filosofici.
57 Cfr. V. Ramacciotti, “Dal Jardin d’hiver al Jardin des supplices” in AA. VV., La letteratura e i
giardini cit., p. 123.
58 Per molti aspetti Il lungo “Frontespice” e la Prima parte costituiscono una vera cassa di
risonanza delle tematiche trattate nel corso del romanzo, tra queste la guerra come
espressione generalizzata del crimine che travaglia l’intero genere umano, alimentata dalla
scoperta di nuovi mezzi di morte, come quella pallottola esplosiva (la “Dum-Dum”). Il tono
ironico e falsamente progressista del capitano che interviene nella conversazione con il
narratore quale convinto assertore del mezzo che giustifica il fine e quindi del governo fondato
di sopraffazione di una classe sull’altra, in definitiva i due semantemi tanto ricorrenti, il sangue e il
fango, esprimono metaforicamente e preannunciano già nel “Frontespice” il Giardino dei supplizi,
per cui sussistono le equivalenze tra i due sistemi di civiltà messi a confronto
(occidentale/orientale), come dimostra l’analisi comparata di Pierre Michel: “De même qu’en
France la classe dominante camoufle son pouvoir, qui repose entièrement sur l’extorsion légalisée et
sur l’écrasement planifié du plus grand nombre, derrière les figures de rhétorique des discours
démagogiques grâce aux quels elle s’assure, au cours des rites électoraux, la bénédiction du
troupeau asservi ; de même les prolétaires chinois sont maintenus dans un noir et sanglant
esclavage, non seulement par la terreur, mais aussi parce qu’ils participent à des rites sacrificiels qui
les font communier avec leurs propres bourreaux”.59 Il personaggio che meglio rappresenta
simbolicamente nella prima parte del romanzo (“En mission”) il mondo delle relazioni sociali e del
carrierismo, di una vita salottiera insipida, forzata e immorale è Mme G …, da cui si reca il
narratore-protagonista e di cui ci svela sotto le belle maniere la sua sfrontatezza e volgarità, usando,
come indica la mia sottolineatura, metafore e riferimenti al giardino e all’universo floreale:

La vérité est que Mme G…, débarrassée du grossissement des réclames et de la poésie des
légendes, réduite au strict caractère de son individualité mondaine, n’était qu’une très vieille
dame, d’esprit vulgaire, d’éducation négligée, extrêmement vicieuse, par surcroît, et qui ne
pouvant plus cultiver la fleur du vice en son propre jardin, le cultivait en celui des autres, avec
une impudeur tranquille, dont on ne savait pas ce qu’il convenait le mieux d’admirer, ou
l’effronterie ou l’inconscience (p. 87).

Si potrebbe parlare anche di romanzo d’iniziazione, nella Prima parte in senso però negativo, in
quanto educazione al Male e in quanto il nostro protagonista ci riferisce il suo apprendistato della
vita sociale, in cui egli apprende alcune regole fondamentali che gli fanno capire come
l’apparecchio statale permetta ad alcuni politici, in particolare al ministro Mortain (una specie di
padre adottivo del narratore) di arricchirsi e quindi egli scopre “les rapports qui lient le Pouvoir,
l’Argent et le Sexe”60. Ma è soprattutto Clara che l’inizia alle arti amorose, in particolare ai legami
esistenti tra Eros e Thanatos, anche se simile tentativo è destinato a fallire; più tardi, due anni dopo,
nella Seconda parte del romanzo, si potranno riconoscere invece le tappe di un romanzo
d’iniziazione inteso in senso positivo. La discesa agl’inferi, compiuta sotto il segno della sofferenza
e dell’espiazione si concluderà con la morte iniziatica, quella che darà poi l’accesso a una nuova
nascita. Inoltre Clara spingerà il protagonista ad adottare un altro punto di vista, non più
occidentale, ma orientale e cinese; il percorso che lo condurrà dalla prigione al giardino sarà
accompagnato dalla visione infernale dei suppliziati, fino a produrre la prostrazione fisica del
narratore e un desiderio di purificazione. Tale desiderio era sgorgato nel narratore alla prima vista di
Clara, due anni prima del viaggio a Canton, superando quel malessere e disgusto che l’amico
Mortain e Mme G… gli avevano distillato nell’animo:

sulla guerra, sulla forza bruta e sul massacro, è sorprendentemente degno della vena
dissacrante dei migliori contes antiborghesi di Villiers . “Or en quoi consiste la guerre?... Elle
consiste à massacrer le plus d’hommes que l’on peut, en le moins de temps possible… Pour la
rendre de plus en plus meurtrière et expéditive il s’agit de trouver des engins de destruction de
plus en plus formidables… C’est une question d’humanité… et c’est aussi le progrès moderne…
(…) Et, puisque c’est par la guerre, c’est-à-dire par le vol, le pillage et le massacre, que nous
entendons gouverner, commercer, régler nos différends, venger notre honneur… Eh bien ! nous
n’avons qu’à supporter les inconvénients de cet état de brutalité où nous voulons nous
maintenir quand même… Nous sommes des brutes, soit !... agissons en brutes ” (pp. 121 e
123).
59 P. Michel, “Le Jardin des supplices : entre patchwork et ‘soubresaut d’épouvante” cit., p. 54.
60 F. Soldà, “Le Jardin des supplices: récit d’une initiation ? ”, Cahiers Octave Mirbeau, 1995, n.
2, p. 61 e passim.
Oh! Comme Eugène Mortain, Me G… étaient loin de moi… Comme toutes ces figures de
grimaçants fantômes se fondaient, à toutes les minutes, davantage sous le céleste regard de
cette créature lustrale, par qui je me révélais à moi-même un homme nouveau, avec des
générosités, des tendresses, des élans que je ne m’étais jamais connus (p. 111).

Cosa diventa nel ricordo, dopo il viaggio con Clara portato a termine dal secondo narratore,
questa enigmatica signora, che insieme al ministro Eugène Mortain forma una felice coppia
rappresentante la corruzione di quella società, coronata dallo stesso governo Gambetta (p. 89-80)?
La sua mostruosità non è diversa da quella che ci offre la lettura simbolica del carnefice (“le gros
patapouf”) incontrato nei giardini, figure riconducibili a una generalizzazione, se non
universalizzazione, del male, soprattutto nelle sue forme sociali: un male rappresentato come tanti
cerchi concentrici, metaforicamente e fantasmaticamente da un “ineffaçable tache rouge” e da una
“sale écume” (pp. 249 e 250). Tale feed-back retroattivo serve a dare alla corruzione e al desiderio
di morte, strettamente congiunto a quello della vita, tutta la pregnanza di un ossimoro che al suo
interno racchiude la potenza del male per il quale però non c’è placamento, malgrado quel desiderio
di palingenesi sociale auspicata da un improbabile rito d’iniziazione, che diventerà evidente solo
nelle ultime pagine, quando Clara viene offerta durante un’orgia tribale al dio crudele della lussuria.
Per concludere il discorso su questa specie di viaggio iniziatico dobbiamo cogliere un altro
emblema non visibile. Al centro del giardino s’innalza come emblema di tutto il romanzo la figura
sacrificale dell’artista, legata a una tematica che Mirbeau aveva trattato pochi anni prima (1892-93)
nel romanzo Dans le ciel: l’artista vittima suppliziata che ubbidisce a quella stessa “devastante
pulsionalità che caratterizza il giardino” 61, a un’esibizione estetizzata dell’agonia, che il san
Sebastiano aveva rappresentato nelle arti dell’umanesimo rinascimentale, figura ripresa poi
all’inizio del XX secolo da Proust. Seguendo l’interpretazione di Bataille si può intravedere la
pulsionalità come sofferenza della scrittura e meglio ancora come “lo stretto legame che unisce il
piacere dell’estasi all’orrore della sofferenza”.62
La maldororiana “sale écume” (p. 249) lascia intendere il sudiciume che predomina sul forte
desiderio di pulizia e di sublimazione, di tensione idealizzatrice e narcisistica affidata al narratore
sin dalla Prima parte, alla disperata ricerca oltre che di una propria identità e di una civiltà diversa,
anche di una donna diversa, ricerca assecondata da uno sforzo liberatorio, dal desiderio di fuga da
uno spazio chiuso, come è quello del giardino insanguinato (“au-delà de ce jardin”, ibidem) e
popolato da “fleurs sanglantes et dévoratrices”: “Alors, peu à peu, ma pensée se détache du jardin,
des cirques de torture, des agonies sous les cloches, des arbres hantés de la douleur, des fleurs
sanglantes et dévoratrices” (p. 248). Sono dunque i segni di deterioramento e di disfacimento che
alla fine prevalgano, nonostante qualche breve squarcio lirico che perdura tuttavia anche negli spazi
delle rappresentazioni cruenti. Quelle descrizioni che sono state definite dal narratore “orgia
floreale”, quasi certamente per i festosi spunti pittorici e impressionisti ricordati, devono essere lette
nella prospettiva generale del male e del malessere che avvolge i protagonisti. Il male si annida già
nel primo giardino terrestre, dove striscia come un serpente il desiderio della potenza e della
lussuria. Si passa così, con un saliente contrasto, come ho spiegato, da una visione paradisiaca dove
i giardini trovano la massima espressione visiva e pittorica a un’altra infernale e realista, incentrata
particolarmente sulle torture dei condannati. Alla fine è quasi inevitabile che, ridefinita dalla cifra
dell’ambivalenza del discorso, anche la primitiva e originaria bellezza del giardino edenico si
degradi e che la rappresentazione del mondo conviva in modo ambivalente con un desiderio di
purificazione e di rigenerazione che si manifesta innanzi tutto nel ciclo vitale, il quale accomuna
tutti gli esseri viventi, dalle piante agli uomini, e si manifesta quindi in “toute la nature” come una
forza prorompente, cosmica, più distruttiva che rigeneratrice, non sottoposta alla volontà dell’uomo
ma sottomessa alla legge del crimine, che si allarga a macchio d’olio invadendo, come una
“inneffaçable tache rouge” (p. 249), tutte le gerarchie di ogni ordine e grado, ecclesiastico,
61A. Castoldi, “L’artista suppliziato” in Seminari Pasquali … cit, p. 24.
62Ibid., p. 26.
giudiziario, militare e quindi le organizzazioni sociali che l’individuo ha creato. Così assassini e e
carnefici vengono identificati con i rappresentanti responsabili dell’organizzazione sociale (i
destinatari della dédicace): “Et ce sont les juges, les soldats, les prêtres qui, partout, dans les églises,
les casernes, les temples de justice s’aharnent à l’œuvre de mort… Et c’est l’homme-individu, et
c’est l’homme-foule, et c’est la bête, la plante, l’élément, toute la nature enfin qui, poussée par les
forces cosmiques de l’amour, se rue au meurtre, croyant ainsi trouver hors la vie, un assouvissement
au furieux désir de vie qui la dévorent et qui jaillissent, d’elle, en des jets de sale écume” (p. 249-
250). La volontà di denuncia, spesso tenuta a freno e sfumata dalla forma ironica, tende a farci
dimenticare “ il compiacimento nelle immagini della decadenza, del corrompimento, della
perversione”.63 Il procedimento di Mirbeau sempre più vicino alla provocazione, si fa ancora più
evidente, se consideriamo che la funzione del narratore è quella di costringere il lettore a reagire
alla stessa provocazione, all’eccessiva teatralizzazione delle scene di tortura, per cui anche la
crudeltà tende a “un défoulement collectif”64.
Come il discorso sociale passi attraverso la simbolizzazione del giardino e più precisamente
dell’universo (ma anche la società è riflesso di quell’universo) visto come un giardino dei supplizi
(e viceversa) lo dimostra chiaramente il passaggio simbolico dal giardino ai fiori paragonati ai frutti
mostruosi della sofferenza umana e del crimine, entrambi alimentati dagli odi, dagl’interessi
particolari, dalle leggi e dalle stesse istituzioni sociali che hanno la funzione di perpetuare
l’ingiustizia sociale e di generalizzare un male, ormai impossibile sradicare, in un gioco sado-
masochista di carnefice e vittima, di dominanti e dominati, di governanti e governati, secondo il
pensiero anarchico di Mirbeau:

Et l’univers m’apparaît comme un immense, comme un inexorable jardin des supplices…


Partout du sang, et où il y a plus de vie, partout d’horribles tourmenteurs qui fouillent les
chairs, scient les os, vous retournent la peau, avec des faces sinistres de joie…
Ah oui ! le jardin des supplices !... Les passions, les appétits, les intérêts, les haines, le
mensonge ; et les lois, et les institutions sociales, et la justice, l’amour, la gloire, l’héroïsme,
les religions, en sont les fleurs monstrueuses et les hideux instruments de l’éternelle
souffrance humaine… Ce que j’ai vu aujourd’hui, ce que j’ai entendu, existe et crie et hurle
au-delà de ce jardin, qui n’est plus pour moi qu’un symbole, sur toute la terre… J’ai beau
chercher une halte dans le crime, un repos dans la mort, je ne les trouve nulle part… (p. 248-
249).

La conclusione rimanda quindi a una lettura più attenta, certamente ironica, della tesi sostenuta
dal filosofo per dimostrare come “le besoin de manger” sia nato parallelamente al “besoin de tuer”
(p. 52) e che i mali sociali nascondano questo stesso bisogno di uccidere; così l’uomo “trouvera,
dans la guerre, la suprème synthèse de l’éternelle et universelle folie du meurtre, du meurtre
régularisé, enregimenté, obligatoire, et qui est une fonction nationale” (p. 53). Il merito di questo
romanzo è proprio l’affresco di un mondo alla rovescia, che propone una lettura dell’ambivalenza,
in cui i contrari si annullano e dove l’ironia, tendente allo scioglimento delle contraddizioni, spesso
coincide con la figura stilistica dell’ossimoro: il giardino cimitero o “museo degli orrori” mostra la
crudeltà di una civiltà corrotta, alla ricerca affannosa di una soddisfazione dei propri istinti in cui
“le meurtre” si propone come “le démon de la perversité” (p. 79), come una forza distruttrice e
disgregatrice (“la persévérance dans le mal”, p. 77) e il male personificato dal giardino
insanguinato, dal carnefice e dai corpi suppliziati non fa che riflettere la dolorosa condizione
dell’uomo, condannato a subire il male, senza alcuna possibilità di redimersi dalla colpa.
63 S. Teroni, “Le Jardin des supplices, slittamenti di genere” cit., p. 46. Tra le denunce Teroni
ricorda giustamente gli orrori del colonialismo, l’alleanza del capitalismo con le forze religiose e
militari: “l’umanità è già, come per Céline, ‘un vaste abattoir’; la sola contraddizione interna è
che la società - illogicamente, ingiustamente e ipocritamente- condanna chi uccide al di fuori
delle forme e dei momenti istituzionalizzati” (p. 32).
64 J. Gouyette, “Perspectives sadiennes dans Le Jardin des supplices” cit., p. 86.

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