Ricordate, lettrici, il Journal d'une femme de chambre di Ottavio Mirbeau?
Questo libro, che è un'opera d'arte e nello stesso tempo uno studio sociale, che è ardito fino all'indecenza e triste fino alle lagrime, narra la vita d'una cameriera, e lascia comprendere qual è, in generale, la vita di tutte le cameriere. Il tipo di Célestine, di questa bella fanciulla venuta d'Audierne a Parigi per corrompersi, come un fiore viene dai campi per avvizzir nei salotti, ricorda la figura malinconica di Germinie Lacerteux; ma mentre i Goncourt nel loro romanzo avevano analizzato soltanto la psicologia d'una donna, il Mirbeau seppe compiere nel suo volume l'analisi di tutta una classe sociale. È la classe delle persone di servizio che nel Journal d'une femme de chambre confessa audacemente, cinicamente le sue miserie e le sue vergogne, svelando quelle dei suoi padroni. Classe sociale ibrida, che non ha più il sangue generoso del popolo donde esce, ma che ha già acquistato i vizi della borghesia ove vuol penetrare; esercito di malcontenti e di invidiosi che noi manteniamo nelle nostre case per sua o nostra sventura, che avvelena la nostra vita corrompendo la propria, che imita ciò che abbiamo di peggio e desidera ciò che abbiamo di meglio, che si mescola necessariamente alla nostra intimità, ed è quindi complice o spia di quanto abbiamo di più geloso e di più segreto.... * Forse molti leggendo il libro del Mirbeau l'avranno creduto una descrizione fantastica o esagerata, dovuta allo spirito ironico e paradossale dell'autore francese. Malauguratamente la lettura in questo caso non è stata che lo specchio della verità. Ho qui sul tavolo un volume di quasi 500 pagine in ottavo: La servante criminelle, étude de criminologie professionnelle di Raymond de Ryckère, un magistrato sociologo, e leggendolo m'è parso vedermi svolger dinanzi la prova documentata di quella diagnosi dolorosa che Ottavio Mirbeau aveva sintetizzata in un'opera d'arte. Colle cifre e coi fatti, con la fredda eloquenza della statistica e con la precisione inoppugnabile di inchieste rigidamente condotte, il De Ryckère dimostra che la classe delle persone di servizio è, relativamente, una di quelle che offrono la più alta percentuale alla delinquenza, e ad ogni forma di degenerazione: pazzia, suicidio, alcoolismo, prostituzione. E bisogna aggiungere che la statistica non può numerare tutti i delitti, in ispecie i furti, delle persone di servizio, perché dei domestici che rubano accade quasi sempre ciò che accade dei giocatori che barano: quando vengono scoperti si cacciano, per unica punizione. * Se è vero che le società hanno i delinquenti che si meritano, deve essere altrettanto vero che i padroni hanno i servitori che si meritano. L'atto di accusa contro questi include quindi un atto di accusa anche contro quelli. E la crisi della domesticità, che preoccupa le nostre famiglie ed è oggi uno dei leit-motiv dei discorsi delle nostre signore, si eleva dalla meschinità del pettegolezzo al valore di problema sociale ed assurge a sintomo non trascurabile della trasformazione morale ed economica di tutta la nostra vita. Se le persone di servizio peggiorano, gli è infatti perché peggiorano i padroni, perché l'ambiente della casa è mutato da quel che era una volta. Uomo o donna, il domestico non è più, salvo rare eccezioni, come l'edera che muore ove s'attacca. Nelle famiglie moderne sfilano figure sempre nuove di cuoche, di cameriere, di servitori, con la rapidità di un cinematografo. Si direbbe che, alla stessa guisa che si son rallentati i vincoli famigliari, s'è perduto anche il prestigio di attrazione che le famiglie antiche avevano sui loro domestici. Una volta, la persona di servizio faceva quasi parte della famiglia, vi rimaneva a lungo, ne divideva le gioie e i dolori: oggi, non è che un salariato che passa. Colpa, in parte, del modo come oggi da molti padroni sono trattati i domestici. La distanza che separa gli uni dagli altri è accentuata. Non più dolcezza nei comandi: non più confidenza sincera nelle reciproche relazioni. Ordini brevi, o generosità del genere di queste: "Voi potete mangiare questa pera; è marcia". - "Finite pure questo pollo in cucina, sa di cattivo odore". Ah, eleganti ed educate padrone di casa che vi lamentate tanto dell'insolenza delle vostre persone di servizio, siete voi ben sicure di aver sempre rispettata la loro dignità? Colpa, anche, dell'aumento vertiginoso che si è manifestato in questi ultimi tempi nel numero delle persone di servizio. Nella sola città di Parigi i domestici in undici anni sono raddoppiati. E la qualità ha avuto naturalmente un'evoluzione inversa alla quantità. Mentre una volta avere una persona di servizio significava una discreta agiatezza, e averne due quasi la ricchezza, adesso non c'è modesta famiglia che non voglia avere la cuoca e la cameriera.... pagate e trattate dio sa come! Colpa, infine, di quella corrente egalitaria che ormai domina i sentimenti e i pensieri di tutte le classi inferiori. E la classe dei domestici, più di ogni altra, è in caso di far confronti che suscitano legittima invidia, perché non solo essa è necessaria spettatrice delle maggiori ingiustizie sociali, del danaro che si profonde spensieratamente da alcuni mentre troppi ne mancano, ma anche perché essa è giudice del valore morale dei suoi padroni, e conoscendone i vizî trova doppiamente ingiusta la loro superiorità economica. Per tutte queste ragioni, c'è fra le persone di servizio e chi le paga un antagonismo latente ma forse più acuto che fra le altre classi di sfruttati e di sfruttatori; e questo antagonismo che non può o non sa ancora manifestarsi in forme violente ma almeno leali, si sfoga in modi subdoli e vili, quasi una lotta nell'ombra, che ha per unico risultato di peggiorare sempre più i rapporti fra le due classi, e di far degenerare sempre più la classe delle persone di servizio che combattono la loro battaglia con armi immorali e delittuose. * Schwift, il celebre umorista inglese, ha scritto un piccolo libro interessantissimo: L'arte di rubare ai padroni. - Consigli ai domestici dei due sessi. Certamente nessuna persona di servizio lo ha letto, eppure moltissime ne appliccano ogni giorno gli insegnamenti. Io non so se sia vero, come pretende Mercier, che su dieci domestiche quattro son ladre: so che il 40 per cento delle donne condannate per furto in Francia appartengono alla classe delle persone di servizio, e che in Italia la proporzione è presso a poco la stessa. Aggiungete a queste constatazioni statistiche i mille modi in cui una cameriera e sopratutto una cuoca può rubare ai padroni senza che questi se ne accorgano, e forse si converrà che il Mercier non aveva tutti i torti. Diceva Balzac: "un cuoco o una cuoca non sono altro che dei ladri domestici che noi abbiamo l'ingenuità di ricompensare con un salario. Fra la tavola da pranzo e il mercato, essi hanno stabilito un'imposta; e nessun municipio di nessuna città è così abile a far valere i suoi diritti di dazio, come essi lo sono su tutto ciò che dalle botteghe dei fornitori entra nella casa del padrone". Codesta è una forma di criminalità specifica cui non si può negare che la professione stessa invita e quasi provoca, e che, appunto per la sua universalità, merita le attenuanti. I padroni la conoscono, la sopportano e chiudono un occhio. Un'altra forma, assai più grave e pericolosa, di criminalità specifica ancillare è quella delle associazioni di ladri che hanno per loro affigliate le cuoche e le cameriere. Queste, che potrebbero definirsi le commesse viaggiatrici dell'associazione, hanno l'incarico di entrare a servizio nelle famiglie per poter descrivere ai.... colleghi la topografia degli appartamenti, indicare le stanze e i mobili ove son racchiusi i danari e l'argenteria, facilitare insomma il furto con scasso. A Parigi pochi anni or sono era famosa la banda dei grembiuli bianchi diretta da Giuseppina Varille, una deliziosa soubrette che riuscì per molto tempo a tenere in iscacco la polizia. Dopo aver molto guadagnato, indisturbata, fu finalmente scoperta e arrestata nel 1905. Sul suo esempio si son formate altre associazioni, e ormai le bandes de bonnes danno molto filo da torcere a Lépine, l'irrequieto e astutissimo prefetto di polizia di Parigi. Prevedo che qualche lettrice sorriderà a questo racconto, pensando con tranquilla sicurezza che son cose che accadono a Parigi e di cui non c'è ancora pericolo nelle nostre quiete città di provincia. Si disilluda. Una signora mi raccontava or son pochi mesi a Firenze questo fatto. Ella aveva preso al suo servizio una cameriera che si era presentata a lei con ottime informazioni. La cameriera il giorno dopo entrata in casa ammalò, e gravemente. La signora non ebbe cuore di mandarla all'ospedale e la curò con affetto quasi materno per circa un mese. Quando la ragazza guarì disse alla padrona che voleva immediatamente lasciar la sua casa. - Ma come - rispose la signora - dopo tutte le cure che ti ho prodigato, mi vuoi ricompensare con un atto di ingratitudine? - La cameriera scoppiò in pianto, le confessò che era affigliata a una banda di ladri, e che non volendo tradire la sua benefattrice né correre il rischio delle rappresaglie dei suoi compagni se non avesse dato loro le indicazioni richieste, credeva compiere il suo dovere allontanandosi. * Scrive Célestine nel suo Giornale: "Quana je pense qu'une femme de chambre ou une cuisinière tient chaque jour dans ses mains la vie des maîtres.... une pincée d'arsenic à la place du sel.... un petit filet de strychnine au lieu du vinaigre.... et C6a y est! Eh bien, non.. tant-il est vrai que nous avons tout de même la servitude dans le sang!". Celestina si sbaglia e regala alla classe cui appartiene un elogio ironico ch'essa non merita. Le persone di servizio non hanno tutte nel sangue quell'istinto servile che le fa rifuggire dall'avvelenamento. Se è vero che questo reato è in grande diminuzione dopo i progressi della chimica moderna la quale ne scopre facilmente le traccie, è anche vero che la diminuzione è dovuta alla criminalità maschile e non alla criminalità femminile. La donna, più debole dell'uomo, deve necessariamente servirsi nel delitto di mezzi subdoli e vili. Come normalmente essa adopera più la furberia che l'ingegno, più la finzione che la lealtà, così anormalmente essa adopera piuttosto il veleno che il coltello. E fra le donne, quelle addette ai servizii domestici danno all'avvelenamento una percentuale fortissima perché la scarsezza della loro coltura le lascia inconscie dei pericoli d'un delitto ch'esse s'illudono non possa venire scoperto, e perché la facilità quotidiana che hanno di commetterlo, è una suggestione cui non sempre sanno resistere. Da Eufrasia Mercier che avvelenò la sua padrona da cui s'era fatta nominare erede, fino a Clementina Tosetti che avvelenò la povera Lardera De Medici per sposarne il marito, la lista delle cameriere avvelenatrici è lunghissima. Avvelenano per interesse, avvelenano per amore, avvelenano sopratutto per vendetta. Forse di tutte le passioni femminili la più profonda e la più lunga è la vendetta. Bisogna essere donna, ha detto Madame de Rieux, per sapere qual voluttà sia vendicarsi. Le persone di servizio, che vivono in una condizione e in un ambiente dove tutto le offende le irrita le inasprisce, hanno più di ogni altro l'occasione di dare sfogo al loro rancore, e si vendicano infatti dei loro padroni nella maniera più crudele e più atroce. Si vendicano per il motivo più futile, spesso per un semplice rimprovero. Questa sproporzione fra il movente e l'atto, fra il sentimento e i mezzi adoperati per soddisfarlo, può far credere in certi casi si tratti di un'intelligenza ammalata o degenerata: non è invece generalmente che l'effetto dell'impulsività femminile.... Una cameriera di 18 anni, rimproverata dalla padrona perché aveva rotto un piatto, mette del veleno nella minestra. La padrona e il marito muoiono fra atroci spasimi. La cameriera confessa piangendo il suo delitto orribile e vorrebbe uccidersi per espiarlo. Qual prova migliore che talvolta nella donna il delitto non è che la conseguenza della fulminea impulsività con cui l'idea si traduce in azione? Ma questi sono evidentemente dei casi eccezionali, per quanto, ripeto, la statistica ne segni piuttosto l'aumento che la diminuzione. Uccidere i padroni è forse del resto un atto di ingenuità da parte dei domestici. Ucciderli, e perché? Forse che si uccide la mucca che dà il latte o il montone che dà la lana? Si munge la mucca e si tosa il montone, abilmente, con molta delicatezza.... Ecco il furbo consiglio di Celestina. E spunta allora quell'altra forma specifica di criminalità ancillare che ha la sua base e la sua origine nell'immoralità sessuale. Quando una domestica ha ceduto al padrone o al figlio del padrone, non è soltanto il suo onore di vergine che si è infranto, è tutta la sua moralità che ha subìto una diminuzione. In lei il rispetto della proprietà altrui, dato che esistesse assai vivo, si fa assai debole, ed ella non distingue più nettamente la differenza fra il ricevere un dono dal suo amante e il prendere da sé ciò a cui crede d'aver diritto. Dice molto bene il Joly: "les femmes ont le vague sentiment que tout leur est permis dans leurs rapports avec l'homme, car elles peuvent en quelque sorte tout payer par leur complaisance". E una volta acquistata questa sicurezza d'avere nel loro corpo nella loro gioventù il facile e pronto mezzo per pagare qualunque debito e per essere assolte da qualunque furto, chi può dire dove e quando si arresteranno sulla china dell'immoralità? La prostituzione ancillare ha varie forme: la più antica certo, la più semplice e forse anche la più comune è la prostituzione domestica: quella che l'occasione, più che il vizio, determina quasi fatalmente. È il padrone o un servitore o un frequentatore della famiglia che, approfittando di circostanze favorevoli, prendono la fanciulla.... la cui resistenza non è mai molto energica. V'è la prostituzione larvata dei caffè delle trattorie degli alberghi (la cui forma più tipica è offerta dalle kellerinnentedesche), ove l'avventore sa di trovare soddisfazione per tutti i suoi appetiti. E v'è infine la prostituzione vera e propria ma clandestina esercitata da certe agenzie che, mediante avvisi sui giornali o agenti speciali, ingannano le fanciulle e col pretesto di trovar loro un posto di cameriera o di cuoca le fanno invece servire come stromenti di un turpe guadagno. Ove si arriva scendendo più o meno volontariamente queste scale del vizio? Si arriva al delitto, all'infanticidio, all'aborto, con tutto il corteo delle megere che per professione favoriscono questi reati; si arriva a quell'ultimo gradino della prostituzione, il caput mortuum della società, ove spuntano coloro che speculano su questa miseria umana, e la donna che si vende è alla mercé dell'uomo che ruba ed uccide e ne diventa la complice. Che cosa fa la società per impedire, o almeno per diminuire, questa demoralizzazione crescente della classe delle persone di servizio? Che cosa fanno i governi di fronte alle rivelazioni statistiche che ci avvertono ogni anno della aumentata percentuale di aborti, di infanticidii, di furti, di reati d'ogni genere, dovuti alle domestiche? Si crede forse che i Goncourt abbiano mentito quando nella prima pagina di Germinie Lacerteux scrissero che è una storia vera? O si suppone che Ottavio Mirbeau abbia tolto unicamente dalla sua fantasia tutti i fatti ch'egli descrive? Non sentiamo noi invece che è vicino a noi, intorno a noi, nelle nostre case, una folla di persone che sordamente mina la tranquillità della nostra esistenza, e che questo lavoro sotterraneo esige da noi un pronto rimedio appunto perché noi ne abbiamo la maggior responsabilità? Quali metodi profilattici e terapeutici abbiamo noi adoperato per diminuire la paurosa delinquenza ancillare? * Bisogna constatare anzitutto, e con dolore, che in nessun paese del mondo il Governo ha creduto di intervenire in favore della disgraziatissima classe delle persone di servizio. Ovunque, sotto la pressione delle idee moderne, è sorta una legislazione nuova, la legislazione del lavoro. C'è un minimo d'età per gli operai addetti alle industrie, ci sono disposizioni concernenti l'igiene dei locali ove essi lavorano, ci sono delle limitazioni alle ore di lavoro, in una parola c'è un insieme di leggi protettrici della salute dell'operaio, e ci sono degli ispettori incaricati della sorveglianza di queste leggi. La classe ancillare invece è rimasta estranea a questa protezione legale. Una fanciulla, da cui i parenti vogliono trarre precoci guadagni, può essere messa a servire in età giovanissima. Chi sorveglia quanto ella lavora? Chi si preoccupa se essa è mal nutrita e peggio alloggiata? Come i suoi genitori senza scrupoli, così i suoi padroni senza pietà, possono liberalmente sfruttarla, con quali dolorose conseguenze per la sua salute fisica e morale è facile immaginare. La burocrazia dei Governi non ha saputo far altro che estendere alla classe delle persone di servizio il dono.... un po' troppo platonico delle decorazioni. In Inghilterra la regina Vittoria aveva istituito fin dal 1872 una decorazione speciale per i domestici che fossero rimasti venticinque anni nella stessa famiglia. Nel Granducato di Assia-Darmstadt, l'identica decorazione (una croce d'oro che porta nel centro a smalto il monogramma della granduchessa) fu istituita nel 1895. E nel Belgio, un decreto del ministro dell'Industria e del Lavoro ha esteso nel 1906 anche ai domestici che dimostrino d'aver servito lealmente per venticinque anni uno stesso padrone, la medaglia speciale del Lavoro. Ora, nessuno nega che ciò sia ingenuamente giusto ed utile, ma nessuno vorrà sostenere che ciò sia l'unico o il miglior mezzo per contribuire all'elevazione morale delle persone di servizio. * Più pratica è senza dubbio la via per cui s'è messa l'iniziativa privata. Tutte le associazioni o le opere filantropiche che, sotto un titolo o sotto un altro, imitando l'Oeuvre des servantes liberées di Parigi, o l'Arachne Club di Londra, o la Borsa del lavoro di Bruxelles, tentano di trovar lavoro alle domestiche disoccupate o di salvarle dai pericoli che le circondano quando sono sole e senza risorse, fanno innegabilmente del bene. Soltanto lo fanno, per necessità, in una sfera troppo ristretta, e non rimediano che a una parte del grave problema. Il quale rimarrà fatalmente insoluto finché rimarrà nei nostri costumi quella specie di schiavitù addolcita e larvata che è la condizione della persona di servizio che affitta a noi per uno stipendio meschino, non solo l'opera sua, ma la sua libertà di tutti i giorni e di tutte le ore. Non v'è nessuna altra forma di lavoro umano che tolga così completamente l'indipendenza. Il domestico o la domestica debbono fare sempre ciò che è loro comandato; la loro volontà è abolita: la loro libertà non esiste che per eccezione in alcune ore della domenica. Ed è in questo stato di servilismo che risiede la causa maggiore dell'immoralità e della criminalità ancillare. Già, a priori, coloro che entrano a far parte della classe delle persone di servizio rivelano, per il solo fatto della scelta della loro professione, uno scarso sentimento di dignità personale. I caratteri forti, in cui è sviluppato il rispetto della propria personalità e in cui parla alto la fierezza umana, cercano in altro modo di guadagnarsi la vita. Ciò che oggi noi domandiamo e vogliamo è l'indipendenza. Per questo, molte ragazze preferiscono a un posto di cameriera, il lavoro della fabbrica, più faticoso e spesso meno rimunerato, ma che lascia loro, alla fine della giornata, tutta la loro libertà. Quelle invece che si rassegnano a diventare persone di servizio dimostrano - come ho detto - una fiacca coscienza della loro dignità, la quale non solo le predispone ai compromessi colla morale, ma aumenta nell'ambiente in cui sono costrette a vivere, e non può che offrirle, facili vittime, a tutte le tentazioni. Se dunque un rimedio è possibile alla cosiddetta crisi delle persone di servizio, questo non si troverà altro che trasformando radicalmente il servizio domestico, riducendolo cioè ai minimi termini, ed elevandolo in dignità là dove non potrà essere soppresso. Ma non è forse questa un'utopia? * Per ora è senza dubbio un'utopia, e un'utopia che si presta al ridicolo. Sono quasi dieci anni che le persone di servizio imitano la tattica delle altre classi proletarie protestando collettivamente contro la loro condizione. A Brooklyn, a Chicago, a Filadelfia, si ebbero nel 1899 i primi scioperi delle cuoche e cameriere che chiedevano maggiori salarii e sopratutto un numero maggiore di ore di libertà. Poi si formarono i sindacati che esigevano addirittura dai padroni un mese di vacanza all'anno.... come le amministrazioni pubbliche lo accordano ai loro impiegati. E l'agitazione s'estese dal nuovo continente al vecchio. In Olanda nel 1902 l'associazione delle domestiche aveva il suo giornale settimanale che combatteva.. per i diritti ancillari. E in Inghilterra, in Russia, in Ungheria, in Germania, pullularono a poco a poco sotto forme legali e illegali le dimostrazioni della classe dei domestici, che con meetingso con memoriali, con scioperi o con Società, levavano alta la loro voce di protesta. Il pubblico però, che guarda sempre con interesse, spesso con paura, alle agitazioni operaie, non concedeva alle agitazioni ancillari che il suo sorriso e la sua ironia. E a Berlino fece furore la frase di un impiegato di polizia, il quale, a una cuoca che si era andata a lagnare perché i suoi padroni la facevano lavorare 19 ore su 24, aveva bruscamente e causticamente risposto: "Anche il gran Federico non si concedeva che 5 ore di riposo al giorno". * Nondimeno, malgrado il ridicolo, l'idea di una trasformazione nel servizio domestico si fa strada, nei giornali e nei libri. Uno dei più eleganti chroniqueurs parigini scriveva or non è molto: "Tutto si industrializza oggi: e perché le prestazioni del servizio domestico non seguiranno anch'esse la corrente generale? La domesticità, salvo quella di gran lusso, è destinata a sparire. I diversi servizî della casa saranno intrapresi à forfaitda compagnie industriali". E Charles Gide preconizzava anch'esso a breve scadenza l'avvento di una êra di liberazione per i domestici. Non solo - egli diceva - la maggior parte di questi scomparirà, ma quelli che resteranno non daranno più in affitto la loro persona, bensì, come ogni altro operaio, soltanto alcune ore del loro tempo. Io non so se queste previsioni ottimiste potranno realizzarsi tanto presto. So che nel fondo della coscienza umana dorme un istinto di giustizia che di tratto in tratto si sveglia e produce in noi un vago indefinibile malessere davanti ai fatti in cui si mostra troppo brutalmente l'ineguaglianza sociale e lo spirito di casta. È questo istinto che a poco a poco nella storia ha abolito tutte le differenze politiche fra gli uomini. Perché non dovrebbe esso col tempo arrivare anche ad abolire, o per lo meno ad attenuare, la differenza sociale fra padroni e servitori?