L h 0 0 1 4 : ; ~ AJSociate EditorJ FORUM ITALICUM M. RICCIARDELLI, Editor State University of New York, Buffalo Editorial Staff 1978-1980 G.-P. BIAsIN, University of Texas, Austin G. CAMBON, University of Connecticut G. CECCHETII, University of California, I.os Angeles A. N. MANCINI, Ohio State University S. RAMAT, University of Florence Board 0/ Adtors A. ALTAMURA, University of Salerno C. B. BEALL, University of Oregon J. G. FUCILLA, Northwestern University G. IANNACE, CentraI Connecticut State College U. LIMENTANI, University of Cambridge, England O. MACR, University of Florence M. MASI, Florence L. ORSINI, Naples M. PRISCO, Naples B. L. O. RICHTER, State University of New York, Buffalo R ]. RODINI, University of Wisconsin, Madison R RUSSELL, Queens College, CUNY G. SINGH, The Queen's University of Belfast, Northern Ireland Constdting Editors A. S. BERNARDO, State University of New York, Bingharnton P. CHERCHI, University of Chicago G. P. CUVIO, University of Toronto G. CONTINI, Scuola Normale Superiore, Pisa F. FIDO, Stanford University E. HATZANTONIS, University of Oregon R C. MELZI, Widener College N. PERELLA, University of California, Berkeley M. L. PoPs, State University of New York, Buffalo L. REBAY, Columbia University L. ROMEO, University of Colorado ]. TUSIANI, Herbert H. Lehman College, CUNY Asstant Editors E. LICASTRO, State University of New York, Buffalo L. MONGA, Vanderbilt University forum italicum VoI. 14, No.1, Spring 1980 ISSN 0014-5858 CONTENTS ARTICLES L. Rebay: Ungaretti: Gli scritti egiziani 1909-1912 3 G. Guglielmi: Una novella non esemplare del Decameron 32 F. Masciandaro: Folly in the Orlando Furioso: a Reading of the Gabrina Episode 56 W. C. Foreman: Fellini's Cinematic City: Roma and Myths of Foundation 78 POETRY C. Betocchi: La croce della stanchezza 99 M. Luzi: Due Frammenti 100 A. Parronchi: Due Poesie 102 PROSE P. Bigongiari: Taccuino veneziano 104 REVIEW-ARTICLE A. Illiano: In margine al Centenario settembriniano 107 THE WORLD OF BOOKS Reviews A. Verna: F. De Sanctis, Un viaggio elettorale 115 E. Licastro: G. Brberi Squarotti, Le sorti del "tragico." Il Novecento italiano: romanzo e teatro 116 ]. H. Potter: E. Vittorini, Conversazione in Sicilia 119 D. Bini: C. C. Russell, Italo Svevo. The Writer from Trieste 121 C. Ascari: Il Porta tascabile: poesie scelte. Commenti e note di L. Monga 123 A. Pallotta: E. N. Girardi e G. Spada, Manzoni e il Seicento lombardo 124 ]. Vizmuller: V. R. Giustiniani, Il testo della "Nencia" e della "Beca" secondo le pi antiche stampe 126 D. Heilbronn: F. Forti, Magnanimitade: studi su un tema dantesco R. H. Lansing, From Image to Idea: A study of the Simile in Dante's "Commedia" 128 G. P. Clivio: G. Rohlfs, N uovo dizionario dialettale della Calabria 131 Ultime novit in lingua italiana 135 Ultime novit in lingua inglese 1 39 NOTIZIE 140 Copyright 1980 by Illuminati FORUM /TAL/CUM is a journal of Italian studies published by Illuminati three times a year, in Spring, Fall, and Winter. Founded by M. Ricciardelli, the tri-quarterly is intended as a meeting pIace where scholars, critics, and teachers can present their views on the literature, language, and culture of ltaly and other countries in relation to ltaly. In addition to criticaI and scholarly articles and Review-Articles, FOR UM /TAL/CUM features Poetry, Fiction by established writers, and Translations from Italian into English. The section of The World of Books includes Review-Articles, Book Reviews, Bibliographies and News. AlI contributions are read by the Editor, one of the Associate Editors, and by two members of the Editorial Board. The MLA Style Sheet is to be followed in matters of formo Manu- scripts must be typewritten and double-spaced throughout. Footnotes must be numbered consecutively and grouped on pages separate from the text. Articles should not exceed 25 typed pages. AH contributions should generally be in Italian or English and be submitted in duplicate. Forum /talicum cannot return manuscripts unaccompanied by a self- addressed envelope and without sufficient unattached return postage. Address all manuscripts, editorial correspondence, subscription inquir- ies, and orders to: Professor M. Ricciardelli 2022 Parker Boulevard Tonawanda, New York 14150 V.S.A Books for review should be sent to: Professor Albert N. Mancini The Ohio State Vniversity Department of Romance Languages 1841 Millikin Road Columbus, Ohio 43210 V.S.A. Subscription rates (V.S.A.) for one year: Individuals, $12.00; students, $9.00; institutions, $20.00. Other countries add $2.00 for each year subscription. Back issues, $4.50. Special issues, $5.50. Please pay in V.S. currency. UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912* Sui ventriquattro anni che Giuseppe Ungaretti trascorse in Egitto dal giorno della sua nascita nel febbraio del 1888 fino a quello della sua partenza per Parigi sul finire del 1912 non si posseggono che scarse notizie oggettivamente documentabili. Nonostante amasse raccontare gustosi e a volte piccanti aned- doti della sua giovent - cominci con un elzeviro del 1929 nel Tevere spiritosamente intitolato "Del pudore" - l essenzial- mente egli mantenne sul periodo della sua formazione, e parti- colarmente sui suoi esordi di scrittore, un velo di 'riserbo e addirittura di segretezza. A poco a poco e forse inevitabilmente la realt vissuta del suo passato africano fin per apparirgli con contorni trasfigurati in cui anche i meri dati cronologici risul- tavano sfumati e fluttuanti. Lui stesso sembr ammetterlo men- tre nel 19 31 iniziava per la Gazzetta del popolo di Torino un ciclo di corrispondenze dalla sua terra natale, lasciando oltre a tutto intendere con caratteristica imprecisione di esservi rimasto un numero d'anni considerevolmente inferiore a quello effettivo: "Ho vissuto in Egitto i primi vent'anni, e mi sono diventati; in pi di vent' anni lontano, una bolla di sapone, una nuvoletta iridescente con l'interna vaghezza di luoghi e di persone ridotti a un giuoco di fumo. Carit finale della memoria!"2 I suoi articoli giovanili nel Messaggero egiziano di Alessandria che stata mia ventura di ritrovare ci offrono ora uno strumento di studio che consentir di esaminare su basi concrete almeno gli aspetti culminanti della fase iniziale della sua carriera. Devo dire che fu proprio Ungaretti a darmi l'idea di intraprendere la ricerca di questi scritti quando venne in America per l'ultima volta nel marzo del 1970,3 tre mesi prima della sua morte. Mi *11 testo che segue basato sulla relazione presentata al "Convegno Internazionale di Studi su Giuseppe Ungaretti," Universit di Urbino, 3-6 ottobre 1979. Desidero espri- mere la mia gratitudine all'American Philosophical Society di Philadelphia; al Commen- dator Paolo Bianchi-Milella, Presidente del Comitato della Societ Nazionale Dante Alighieri di Alessandria d'Egitto; al Professor Manrico Fiore, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura del Cairo e alla Dottoressa Wanda Pezzuto Bilbesi dello stesso Istituto; al Dottor Mahmud AI-Sheniti, per gli Affari Culturali del Governo egiziano; e ai dirigenti e al personale della Nazi<;>nale ?el e d'Alessandria, per la loro prezIOsa asslstenza m vane fasl delle mle ncerche. Degh scnttl egiziani d'Ungaretti qui discussi prevista l'edizione in volume presso Mondadori, Milano. 3 4 LUCIANO REBA Y aveva fatto leggere le trascrizioni dattilografiche delle sue vec- chie interviste francesi conJean Amrouche di cui si era appena servito per redigere la splendida "Nota introduttiva" all'appara- to critico di Tutte le poesie, 4 ora portate con s oltreoceano con l'intenzione di utilizzarle in conferenze che poi invece il rapido declinare delle sue condizioni di salute gli imped di tenere. In quelle interviste, postumamente pubblicate in volume da Gallimard,5 ricorrevano riferimenti a tre pubblicazioni di Ales- sandria: un quotidiano, Il messaggero egiziano, e due periodici, L'unione della democrazia e Risorgete. Conversando con lui mi colp la facilit con la quale sembrava ricordare particolari anche minuti: il nome, per esempio, risultato poi esatto, del proprie- tario del Messaggero: un maltese, Emilio Arus; quello del diret- tore del Rorgete: Alietti; quello del fondatore dell' Unione: Ugo Farfara. Ma alla richiesta di informazioni specifiche sulle sue collaborazioni, pi specifiche cio di quelle molto generiche e approssimative registrate da Amrouche,6 Ungaretti disse che era impossibile rispondere dopo tanto tempo; sarebbe stato indi- spensabile andare in Egitto, dove, a voler frugare, sarebbero forse saltate fuori delle cose "curiose."7 Non si sbagliava, anche se due delle tre pubblicazioni da lui indicate sono sfuggite ad ogni mia ricerca. Di Risorgete e dell' Unione della democrazia non vi sono tracce in Egitto n nelle pubbliche emeroteche, n negli archivi consolari o dell' Ambasciata d'Italia, n in quelli dell'Isti- tuto di Cultura, o della Dante Alighieri. Nessuno, neppure fra i residenti pi anziani da me avvicinati, ne aveva mai sentito parlare. Del Messaggero egiziano esistono invece due collezioni, una alla Nazionale del Cairo e una seconda alla Comunale di Alessandria. Sono entrambe lacunose, ma, insieme, fortunata- mente costituiscono una raccolta completa, almeno per gli anni 1906-1912. Da esse ho potuto rilevare diciassette scritti: il primo e sicuramente il pi antico (l'autore, che si firma "giunga ... ," dichiara esplicitamente che quella la sua prima collabora- zione al giornale) datato 27 novembre 1909; l'ultimo, 14 gennaio 1912. 8 Prima tuttavia di tentarne una sommaria descrizione mette conto di considerare gli apparenti effetti deformanti, se cos lecito dire, di quella "bolla di sapone" entro la quale a detta di Ungaretti erano in qualche modo evaporati i suoi ricordi degli anni egiziani, "bolla," o "nuvoletta," o "giuoco di fumo" che egli denunciava, come si visto, nel 1931, ma che sembravano UNGARETTI: GU SCRI1TI EGIZIANI 1909-1912 5 gi attivi almeno fin dal 1920, a giudicare dal cappello biografico che precedeva, in quell'anno, quattro sue liriche accolte nei Poeti d'oggi di Papini e Pancrazi. 9 Vi si legge: GIUSEPPE UNGARETTI - nato ad Alessandria d'Egitto 1'8 febbraio 1888 da famiglia lucchese. Fece gli studi classici in Egitto. And a Parigi nel 1909 - ove ottenne il Diplme d'tudes suprieures 10 - e vi rimase fino al 1914. Soldato italiano dal '15 combatte in Italia e in Francia fino al 1918. Segue l'elenco delle collaborazioni con in testa il Messaggero egiziano e l'Unione della democrazia ( omesso Risorgete) e in coda Littrature, la rivista di Aragon, Breton e Soupault fondata l'anno prima (marzo 1919). Quello delle opere enumera Ilporto sepolto, La guerre, e Allegria di naufragi. subito evidente che il periodo egiziano risulta accorciato di tre anni ( fatto terminare nel 1909 anzich nel 1912), mentre d'altra parte la durata della residenza prebellica a Parigi viene estesa da due (1912-1914) a cinque (1909-1914). In altre parole, Ungaretti si presenta come un autore le cui radici poggiano anche su una decisiva esperienza in terra di Francia, un autore che scrive e pubblica anche nella lingua di quel paese. Tutto questo, a parte le date, natural- mente esatto, ma va osservato che il background culturale e il tirocinio francese vengono posti in speciale risalto, persino a costo di un forzamento sul piano della cronologia. II Quando si pubblicher l'epistolario completo di Ungaretti sar agevole vedere che nel primo dopoguerra egli era indotto a promuovere un'immagine particolare di s dall'ambizione allo- ra molto forte in lui di affermarsi e di essere riconosciuto come poeta di lingua francese oltre che italiana. I dati gi disponibili sono del resto abbastanza espliciti. 12 Nel gennaio 1919 stampa- va a Parigi La guerre - in parte versioni francesi di poesie italiane e in parte poesie composte direttamente in francese - e alla fine dell' anno Allegria di naufragi presso Vallecchi. Come noto, il volume vallecchiano include la ristampa di quello parigino; pi una lirica che in esso non figurava,I3 ma soprattutto l'aggiunta di una sezione nuova di zecca, "PLM 1914-1919," costituita da tre composizioni francesi tutte di massimo impegno sul piano stili- stico e tecnico. 14 La seconda di esse, intitolata "Roman Cin- ma" e dedicata a Blaise Cendrars, era datata - per errore, mi 6 LUCIANO REBA Y assicur Ungaretti: ma l'errore non fu mai pubblicamente retti- ficato - "Paris le Il mars 1914,"15 vera data rompicapo perch fra l'altro riprende e mette in risalto il terminus a quo del titolo della triade, invece di quello ad quem che sarebbe stato il giusto. 16 Non molto dopo 1'11 marzo 1919, e precisamente il31 agosto, in una lettera inviata ad Ardengo Soffici da Parigi, Ungaretti orgogliosamente affermava di avere avuto familiarit con Bau- delaire, Nietzsche, Mallarm, Rimbaud e Laforgue fin dall' et di 15-16 anni, e che ben poco gli avevano insegnato gl'italiani che non si fossero chiamati Leopardi. 17 Ma intanto lasciava nell' om- bra, ove rimase per tutto il resto della sua vita, il fatto che tra il 1909 e il 1912, quando si trovava ancora ad Alessandria, e non a Parigi, citava con rispetto Gozzano,18 con ammirazione Cavac- chioli e Ceccardi,19 e soprattutto tesseva fervidi, e sarebbe pi esatto dire infuocati elogi di Gian Pietro Lucini e Gabriele D'Annunzio, componendo per le Revo/verate del primo (di cui sembrava ignorare le polemiche posizioni antidannunziane) e il Martyre de Saint Sbastien del secondo, forse le pi entusiastiche recensioni che quelle opere abbiano mai ricevuto. Nel contesto di quella che si potrebbe chiamare, prendendo lo spunto da Coleridge, la sua "Biographia literaria," Ungaretti predilesse uno scenario secondo il quale il ragazzo d'Alessandria che giovanissimo aveva gi scoperto i due autori guida della sua vita, Leopardi e Mallarm, intorno ai diciott' anni si legava d'a- micizia con Enrico Pea, e di l a poco s'imbarcava per Parigi. La data della partenza, 1909 in Poeti d'qggi, venne infatti in resoconti successivi ulterormente retrogradata fino al 1906, quando ap- punto l'interessato aveva diciotto anni, come risulta per esem- pio da una lettera de121 dicembre 1947 a Giuseppe De Robertis che questi us in un suo saggio. 20 Parimenti, sul piano dell'auto- biografia tout court, Ungaretti ci ha lasciato, fin dal ricordato scritto del 1929 sul Tevere, il ritratto, per gli anni africani, di un impetuoso ribelle un po' scavezzacollo, "un homme qui n'ac- ceptait aucune sorte d'autorit [ ... ], un rvolt au sens le plus net du mot," come disse ad Amrouche, un "insurg," un "r- fractaire"21 che faceva propaganda antireligiosa sulla porta delle chiese,22 o che appiccava il fuoco alla barba di un frate cappuc- cino il quale avrebbe voluto riordinargli le idee. 23 Dell' autenti- UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 7 cit di tali e altre simili imprese non si dubita, ma occorre tener presente, e Ungaretti non ci ha sempre aiutato a mantenere la distinzione, che esse vanno ascritte unicamente a una fase molto giovanile e con ogni probabilit relativamente breve: intorno, questa volta" s, ai suoi "diciott'anni. 24 Pi tardi, d u r a n t ~ cio il periodo delle collaborazioni al Mssaggero - un giornale, si osservi, di cui Ungaretti ebbe a dire che era diretto "da una persona colta che non scoraggiava nessuna audacia" _25 anar- chismo, ateismo e giovent bruciata sono tutte esperienze che per lui debbono considerarsi in buona parte superate, se non completamente concluse. L'Ungaretti di quegli anni un gio- vane che in un necrologio per l"'ateo" Mario Rapisardi pro- clama apertamente la propria fede religiosa (14 gennaio 1912: "lo credo, ed professione di fede umile, che dichiaro"); o che in uno dei primi articoli ----, "Il caso Pardo," 16 gennaio 1910 - si schiera con ardore di tribuno a difesa dell'istituzione della fami- glia di stampo antico e tradizioni severe. Il titolo di quest'ul- timo articolo direttamente rapportato a un fatto di cronaca giudiziaria che aveva scosso la comunit italiana di Alessandria: i tre fratelli Pardo e il padre loro erano stati accusati di "appro- priazione indebita, furto continuato e falso" a danno della ditta presso la quale lavoravano. L'imminente processo a loro carico fornisce ad Ungaretti l'opportunit di criticare acerbamente una societ a suo avviso minacciata dal dilagare della corruzione dei costumi. Bastino questi stralci: il fatto del giorno. [ ... ] Invano tentiam di scherzare: non allegria di sorrisi s'abbozza, ma nausea ci assale, ed alto, clamiam: "Disinfezione." Basta! Quest' error di educazione che ha impastato i giovini nostri di vanit e di capricci insani, [ ... ] quest'error d'educa- zione cessi per il bene di tutti. [ ... ] Non dimentichiamo [ ... ]: sopratutto l'ambiente morboso che corrompe, inducendo ai mali passi. [ ... ] A voi, padri, a voi, uomini coscienti, che della vostra dignit avete rispetto, a voi, il sacro dovere incombe, di epura- zione, per non piangere poi, a lacrime di sangue, la vilt irrespon- sabile dei figli colpevoli. Contro il pervertimento che dilaga, opponete la vostra saggezza: la Figliolanza un tesoro che da Natura v' stato confidato: sarebbe delitto di lesa umanit trascinarla alla condanna del vilipendio, per sciocchezza d'incu- ria. 8 LUCL\NO REBAY L'articolo, questa volta firmato "Un giovine: 26 Giuseppe Ungaret- ti. (giunga ... )," dedicato "A mia Mamma, a cui devo il mio poco valore. "27 Se dunque l'Ungaretti del Messaggero egiziano assunse pubbii- camente atteggiamenti contestatori, fu contro la cattiva educa- zione e il cattivo esempio impartiti ai figli; fu inoltre, da una parte, contro le attivit proprio dei suoi presunti ex compagni anarchico-atei, oggetto di una sarcastica caricatura in una novel- letta amenamente intitolata "Fifinaa Titina" (15 gennaio 1910);28 e, dall'altra, contro la necessit di dover assoggettarsi, per vivere, anche ad occupazioni detestate. Quest'ultimo motivo, genuinamente e dolorosamente autobiografico, risuoner fre- quentemente anche pi tardi, anche dopo la partenza dall'Egit- to. Ad esempio, in una lettera inedita a Soffici dell'Il maggio 1918, si legge: "Sar mai possibile d'uscire, nella societ com' fatta, da quella specie di orribile avvilimento che richiede gua- dagnarsi il pane?" Qui, sul Messaggero, il tema gi acquisito a livello narrativo nella prima prosa d'invenzione, "Halil" (9 gen- naio 1910), dedicata al fratello Costantino e alla di lui sposa,29 e raccontata in prima persona da un locutore che alla fine si firma "giunga . .. " e ricorda quando, "Non molti anni fa," per il dovere di "partecipare ... alla lotta per il pane" (sottolineato nell' origina- le) aveva accettato un lavoro d'impiegato, anzi di "copialettere,"3o soltanto per accorgersi ben presto di aver "sbagliato mestiere: ero nato per altro: per affligger, forse, i miei rari lettori di .... bizzarrie . .. stampate."3\ Ma il tema dell'impiego affiora subito fin dal primo contributo al giornale (27 novembre 1909). Lo spunto offerto da un oscuro romanzo, Un'anima, di un altret- tanto oscuro autore, Mario Urso, con ogni probabilit lui stesso figlio d'immigrati d'Alessandria. 32 Il protagonista del romanzo si chiama Giorgio Precorre - e cedo la parola al recensore: sono le prime parole a stampa documentabili d'Ungaretti: Giorgio Precorre un' idealista; ha mirato lontano, e negli occhi splende la bramata visione di bellezza verso cui tendono le sue fibre attratte. [ ... ] Ma, gli muore il padre; la mamma lo rivuole presso di s a consolarne la vedovanza, ed egli compie il sacrifizio: abbandona il pellegrinaggio di viandante di fede, di assertore di bene, e costringe la sua intelligenza ad un odiato lavoro. l UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 Le necessit dell'esistenza, fan di questo giovine, nato per procla- mare la bont e la giustizia, libero da gioghi, illuminato dal sole, un povero impiegato. Immenso sacrifizio di tutte le proprie aspirazioni, rinunzia sublime a tutte le proprie attitudini per un pensiero gentile e fulgente che gli altri pensieri sovrasta: Mam- ma, mamma! [ ... ] Mario vrso ha voluto dimostrare la perdi- zione d'un'anima sviata dalla sua vocazione, per i convenziona- lismi falsi della nostra societ che al miglior lavoro nega il pane, e si avventato con ferocia contro la legge che gli sembra errata. 9 Se non proprio con ferocia, certo con violenta indignazione un anno e mezzo pi tardi (3 maggio 1911) U ngaretti si scaglier contro coloro che sfruttano il lavoro degli artisti. Gliene d occasione il suicidio di Salgari, che, oppresso dai debiti, si era squarciato il ventre con un rasoio. "Editori avidi" lo avevano ridotto in miseria non lasciandogli che "briciole," commenta Ungaretti; e lancia un appello ai ragazzi italiani d'Alessandria perch contribuiscano a una colletta a beneficio dei bimbi dello scrittore scomparso (l'articolo intitolato "Per i bimbi di Emi- lio Salgari"): "in contraccambio alla bellezza, che ha profuso sacrificandosi, il Poeta, alla festa gentile dei vostri sogni." E qui giova notare che la commossa rievocazione della figura di Salga- ri ("Non seppe ricerche preziose; ma [ ... ] un ardore di vittoria ha infuso Egli, il Capitano, alle sue frasi") introdotta da quella di un interessante ricordo dell'infanzia dello scrivente: Mi ritrovo ragazzo in un lungo e stretto e basso refettorio ad arcate, in un convitto di preti, ed odo il giovinetto che leggeva ad intrattenere i desinanti silenziosi [ ... ], odo la voce del lettore giovinetto, che a turno intratteneva i condiscepoli, seguendo le avventure fermate dall'Audace nel libro a dorso e a spigoli dorati e ad accese illustrazioni: e la fiamma degli ardimenti penetrava in noi attenti, e ci commuoveva una strana irrequietezza, una spe- ranza strana: era la buona luce che infrangeva la melanconia lugubre dello stanzone nero. Insomma, si pu osservare, fondamentalmente la medesi- ma esperienza destinata pi tardi a ripetersi, secondo il ben noto racconto che Ungaretti am lasciarcene, quando avr luogo la scoperta rivelatrice di Mallarm tramite quel professore di liceo, Mi Kohler, che in classe leggeva ai suoi allievi dell' "cole Suisse Jacot" il Mercure de France. 33 * * * lO LUCIANO REBAY Dei diciassette scnttl nel Messaggero egiziano, cinque sono recensioni. Gli autori presi in esame, oltre i ricordati Urso, Lucini e D'Annunzio, sono Marguerite Audoux e ]ean-Lon Thuile, e si tratta di cinque casi significativi, per motivi diversi. Per Lucini e D'Annunzio vi il fatto dell'adesione entusiastica, totale. A Lucini torner pi avanti. A proposito di D'Annunzio mi limiter a sottolineare che nell'accesa esaltazione dell'autore del Martyre (Ungaretti al tempo stesso se la prende, acramente, con Emilio Cecchi, che aveva osato parlarne male nella Tribuna) palese l'ammirazione per il poeta italiano che scrive anche in francese e si fa applaudire oltr'alpe; e che "in terra di Francia non dunque mollezza che acqueti raccolse ma fior di energia, periI miglior combattimento." Il paragrafo conclusivo tutto di piglio dannunziano: "Varrebbe devozione [invece, cio, delle frecciate irrispettose di Cecchi]: ad uno ad uno, granelli d'in- censo prezioso tolto nel mucchio rubesto dell'italianit, egli porse al braciere di Francia: sia eternamente nudrita la fi 4 mma: e illumini illumini!"34 Nel caso di Urso e di Thuile si segnala la volont di mante- nere un'imparzialit di giudizio tanto pi lodevole in quanto si trattava di autori "locali." Mario Urso era in un certo senso anche un "collega" in quanto collaborava pure lui al Messaggero. 35 Quanto a]ean-Lon Thuile, che aveva pubblicato presso Gras- set un lungo romanzo intitolato Le Trio des Damns,36 abitava in una casa sul mare fuori d'Alessandria, al Mex, prospicente il "porto sepolto," e forse Ungaretti lo aveva conosciuto da poco. La sua recensione (23 giugno 1911), a tratti severa, non lascia supporre che fra i due esistesse gi uno stretto rapporto d'amici- zia.' Sia per U rso che per Thuile U ngaretti ha parole di misura- to elogio e incitamento; ma al primo osserva che dovrebbe "accurare un po' pi lo stile incerto" e che gli manca "una dote di massimo valore: l'autocritica";38 al secondo dichiara franca- mente che, se ne apprezza "le ansiet," "in estetica per non andiamo d'accordo," e gli rimprovera "lungagnate" e di salire "in pulpito a snocciolare con solennit un farragginoso sermo- ne pedagogico." un giudizio che suona certo ben pi equilibra- to di quelli stravagantemente elogiativi in scritti posteriori. 39 UNGARETTI: GU SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 Il Riguardo a Marguerite Audoux, il suo romanzo autobiogra- fico di stampo verista, Marie- Claire , aveva dall' oggi all' indomani trasformato una donna del popolo semianalfabeta in un'accla- mata scrittrice, segno fra l'altro, per Ungaretti, che "chi posseg- ga la forza vera, avesse sopra il mondo, e contro, si innalzer, fosse l'ultimo ... "40 Significativo inoltre che egli affermasse di essere stato attirato al romanzo da qualit analoghe a quelle delle Fole di Pea: "[Vi] ho ritrovato i tuoi segni reali, mio Poeta delle 'Fole,' e due volte perci mi caro." Ma fra tutte le recensioni emerge con forte rilievo quella intitolata non semplicemente con il titolo del volume in ogget- to, come le altre quattro, ma con la premessa di un termine qualificante: "Elogio di Revolverate." un elogio senza riserve, come accennato. 41 Il fatto che il libro appaia presso le edizioni marinettiane di Poesia induce Ungaretti ad ammettere di non sapere bene se Lucini appartenga o no alla "congrega" del futurismo,42 definito sprezzantemente "un programma di stram- berie" (della sua avversione alle teorie futuriste vi lampante evidenza anche nello scritto per Marguerite Audoux); ma, futurista o no, "l giovini ebber ragione accostumandosi a chia- mare [Lucini] Maestro; in vero, Maestro egli di giovinezza." Tale tributo di stima termina con una valutazione dell' arte luciniana che non di piccola importanza se rapportata alle ricerche d'Ungaretti di qualche anno pi tardi nel campo del valore fonico delle parole,43 e a certe sue riflessioni in materia, in testi, per esempio, come "Punto di mira," rimontante al 1924: "Sento che le parole non contano pi nulla, sento una musica che supera il significato troppo facile, di qualsiasi Ma gi qui, 24 aprile 1910, con felice intuizione: "Il merito maggio- re dell'artefice di aver compreso il valor d'ogni rappresenta- zione, nel proprio suono, cos che il ritmo commenti, dimostri il pensiero, e il tutto sia retto da perfetta espressione Ci che distingue questo scritto dagli altri non tuttavia soltanto l"'elogio" in s, bens anche il fatto che esso inquadra- to entro una cornice che gli conferisce un carattere di "messag- gio" personale ed intimo sorprendente. La recensione infatti romanticamente dedicata e indirizzata all' amico per noi quasi 12 LUCIANO REBA Y mitico dell'infanzia d'Ungaretti, quell' Alcide Barrire per il qua- le ebbe a ricordare di aver composto il primo suo sonetto, e del quale dir poi, prima ad Amrouche,46 e da ultimo, traducendo letteralmente dal francese, nella "Nota introduttiva" a Tutte le poesie: "Era una specie di re. C' stata per me quell'idolatria, un'idolatria, ed forse il pi forte affetto, la pi grapde amicizia che io abbia avuto nella vita. Nulla so di paragonabile a quell'at- taccamento. "47 All'inizio di "Elogio di Revolverate" si legge: per Alcide Barrire. Rammento, amico antico, l'antica nenia dell' anima mia: Quanto ho pianto, mamma? Tu hai contato le lagrime; le lacrime non ho contato: dagli occhi scaturito un fiume, e inonda le citt; ... danzano sirene nel fiume, mamma!! E tutto ho riveduto, e tutto ho rivissuto: le cose consuetudinarie di mia prima esistenza monotona, rifurono, monotonamente . . . Ricordi il vecchio bambino, dodicenne poeta, assorto in visione: il bambino silente fra il giuoco romoroso? E i versi, lenti di Giacomo Leopardi, il poeta noto al vecchio bambino, ricordi? E non sono passati molti anni, e rincorro ancora i sogni, con anima stanca: e l'altra notte ho aperto il libro che voglio laudare, mentre fantasimi lugubri accrescevano cordoglio all' anima stanca. A questo punto ha principio, senza alcuna transizione, la recensione vera e propria di Revolverate, che verr conclusa con un'ultima apostrofe all'amico: "E leggi il libro, tu, tornando in Inghilterra gelida, amico antico, e t'invader calor di primavera, quando bruma." I sei ingenui segmenti ritmici nei quali Ungaretti fissa la "nenia dell'anima" consentono se non erro di identificare un raccordo concreto fra il periodo egiziano di misteriosa incuba- zione della sua poesia e il primo pubblico manifestarsi di essa in Italia cinque anni dopo in Lacerba: la distanza nel tempo indica fra l'altro quanto quella gestazione fu lenta e laboriosa. Mi riferisco soprattutto ai sei versi che compongono "Diluvio" (Lacerba, 28 febbraio 1915): UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 Mamma mia! quanto hai pianto! C' la nebbia che ci cancella. Nasce forse un fiume quass. N on distinguo pi. Ascolto il canto delle sirene del lago dov' era la citt. 13 A questo punto possono soccorrere due separate dichiara- zioni di Ungaretti. Una, la pi recente, la nota, in Tutte le poesie, a "Nasce forse," versione ultima di "Diluvio": "La nebbia aveva mutato in quell'ora Milano in un lago che come un miraggio mi richiamava alla mente il lago Mareotis, nel deserto vicino ad Alessandria. "48 La seconda la risposta a una domanda di Amrouche che questa volta alla radio italiana ne11955, due anni dopo le interviste francesi, ritornava bravamente alla carica per cercare di carpire al vecchio poeta qualche indiscrezione sugli albori della sua poesia. UNGARETTI- ... S, abitavo ad Alessandria d'Egitto, e allora c'era questa specie di ... nenia di ciechi che si tenevano per mano che cantavano tutte quelle cose ... vede ho fatto anche dei versi cos, e forse quello uno dei primi motivi. Non era una gran cosa, erano ... cos ... dei motivi molto malinconici. 49 Non voglio insistere, qui, sul rapporto che mi pare si possa stabilire, a livello fra l'altro delle matrici tematico-lessicali, fra la nenia "rammentata" ad Alcide nel1910 e "Diluvio" di Lacerba. Giover forse appena menzionare che da piccolo Ungaretti fu ammalato di tracoma e dovette trascorrere mesi interi al buio. 50 La cornice "privata" di "Elogio di Revolverate" insolita, ma non unica. Un analogo montaggio a incastro viene effettuato nuovamente di l a poco (5 giugno 1910) nell'importante scritto dal titolo forse luciniano "Dell'arte e di alcuni poeti giovini."51 Si tratta pi esattamente della trascrizione integrale, come av- verte un cappello prefatorio, di un lungo discorso che Ungaretti aveva appena tenuto presso un non meglio identificato "Circolo di Liberi Studi." Il discorso, su due colonne, risulta diviso in due parti: la seconda, considerevolmente pi breve, una presenta- zione in veloci paragrafi - cui era stata intercalata la lettura di testi illustrativi imprecisati - di cinque "giovini poeti di oppo- 14 LUCIANO REBA Y sta tendenza," testimoni della vitalit di un modo d'intendere e affrontare ratto artistico che il presentatore ovviamente sotto- scrive: L'arte la speranza pi angosciosa, perch l'arte priva d'idealit preconcette: l'arte solo affermazione della propria interior potenza: inutile prefiggersi scopi: bisogna possedere l'insita sapienza che di diversa sostanza ad ognuno, costituisce il turbine individuale, travolgente. I cinque sono, nell' ordine, Enrico Cavacchioli, Gian Pietro Lucini, Guido Gozzano, Mario Simonatti e Ceccardo Roccata- gliata CeccardU 2 La sorpresa di questo scritto risiede per ancora una volta nella prima e in questo caso maggior porzione di esso, consistente in una vera e propria fiaba, la storia di "Amerigo" e di come egli conquisti e anzi "possegga" "la bella: Marghera" dopo aver superato ogni sorta di soprannaturali ostacoli. Con questo "exemplum" il conferenziere sembra porre spiritosamente se stesso alla testa dei "poeti" successiva- mente elencati, almeno come uno dei pi "giovini" (a parte Simonatti, nato anch'egli nel 1888, Cavacchioli, il meno anzia- no dei restanti, aveva tre anni pi di Ungaretti, Lucini ventuno!), occupando quel posto di diritto, come si deduce dal paragrafo che funge da cerniera fra le due sezioni, perch ha individuato e saputo cogliere in un "sogno" la "Bellezza perenne." Ma non tutto: la fiaba a sua volta racchiusa entro una sua propria cornice. Nel paragrafo iniziale essa infatti presentata al lettore come narrata ad un "bimbetto" dai riccioli biondi da una "vec- chierella" che per lui "abbozz le forme, perch pi tardi fosse rintracciata la via di Bellezza." Sembra lecito congetturare, visti anche gli altri richiami all'infanzia rinvenibili in questi scritti, che il "bimbetto" altri non sia se non 1'ora adulto favolista del Messaggero, e la "vecchierella" la pi antica incarnazione nel- l'opera ungarettiana della "vecchietta delle Bocche di Cattaro," la "cara Dalmata [cui] devo molte idee favolose" che ritrovere- mo per esempio in "Chiaro di luna"53 e poi nell'ultimissima prosa, "Croazia segreta": "la mia tenerissima, espertissima fata. [ ... ] Lo stupore che ci raggiunge dai sogni, m'insegn lei a indovinarlo," con quel che segue. 54 UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 15 La fiaba di Amerigo e della bella Marghera ci conduce naturalmente e obbligatoriamente ad Enrico Pea, le cui Fole, ricopiate a mano da Ungaretti, furono pubblicate, come si gi ricordato,55 in quello stesso 1910. Nel "Ricordo" dettato dopo la morte dell'amico, ora in Saggi e Interventi, Ungaretti implicita- mente riconobbe che Pea "gli apr[] l'avvenire."56 Indubbia- mente Pea dovette essere, se non proprio l'unico modello, almeno il principale catalizzatore delle prime prose ungarettia- ne d'invenzione: le due "bizzarrie" intitolate "Halil" e "Fifina a Titina" - un genere ironico-umoristico-satirico che Ungaretti per sua stessa testimonianza coltiv anche durante la guerra nei due perduti "romanzi d'ironia" Le avventure di Turlur e La Tellinaia;57 e, ovviamente, la fiaba cui si accennato, che sotto certi aspetti (lessico, ritmo narrativo e taglio dei personaggi) si sarebbe tentati proprio di "restituire" a Pea, come avrebbe detto Giuseppe De Robertis. Pea e la visione estatica e primiti- va del favoloso e dell' orrido che anima Le fole influirono forse anche sulla scelta che Ungaretti fece (11-12 luglio 1910) di un singolo racconto di Edgar Allan Poe da lui superbamente tradot- to nel Messaggero, anche se dovette prestar l'orecchio (, credo, dimostrabile) alla versione che ne aveva gi dato Baudelaire. Si tratta del "Finale" delle Romances of Death della raccolta Tales of the Grotesque and Arabesque, intitolato nell' originale "Silence - A Fable" e nella traduzione ungarettiana semplicemente "Silen- zio": ma una "fola," dunque, con protagonista il Demonio, e per giunta ambientata proprio in Africa, in Libia. 58 Ma se Pea "decise del destino in arte" di Ungaretti, come questi anche disse,59 la medesima osservazione pu ripetersi in senso inverso. Ad Ungaretti va infatti attribuito il non piccolo merito di aver subito riconosciuto il raro talento di Pea e di esserne divenuto uno dei principali fautori. cosa risaputa, ma ancora si ignorava che Ungaretti, poche settimane dopo il pro- prio debutto nel Messaggero, vi pubblic in anteprima (24 dicem- bre 1909) quella che divenne poi la dodicesima delle Fole. 60 Il racconto, sicuramente uno dei primissimi scritti stampati di Pea, contenente numerose varianti rispetto al volume pescarese del 'lO, e intitolato con stilema estrapolato dal contesto, "Feli- 16 LUCIANO REBA Y cit eterna," era accompagnato da una calorosa presentazione di "giunga . .. "61 Il presentatore inoltre annunciava, scusandosi pubblicamente con l'amico di rivelare il "suo inutile mistero," l'imminente pubblicazione di "una raccolta di Sonetti, nostalgi- ci come l'anima del popolo arabo, in degna edizione della Socie- t Editrice Abruzzese." Si tratta indubbiamente di quei Sonetti del Harem 62 di cui si salvato credo un unico esemplare, rimasto "disperso" sulla prima pagina del Messaggero del 20 marzo 1910, dove l'ho rinvenuto. Intitolato "Hadiga" (nome proprio di donna) e pubblicato forse anch'esso a cura di Vngaretti,63 accompagnato dalla seguente postilla: "Dai 'Sonetti del Haarem' di prossima pubblicazione." Ci che invita una volta di pi a riflettere sull' opportunit di rivedere almeno la cronologia - e per certi aspetti non la cronologia soltanto - degli anni egiziani di Ungaretti. Il quale cos raccont nel citato "Ricordo diPea" la storia della "distruzione" di quei sonetti dell'amico: "Fu a quel tavolino [di caff d'Alessandria] che mi mostr un gruppo di sonetti stecchettiani che aveva intitolati I sonetti del harem. Avr avuto allora diciotto anni [ ... ]. Gli dissi che erano una porcheria, che li buttasse al diavolo. Batt il marmo, e dopo qualche giorno seppi che mi aveva dato retta."64 Ma i sonetti erano annunciati "di prossima pubblicazione" il 20 marzo 1910 e tre mesi prima Vngaretti, lungi dal ritenerli una "porcheria," dichiarava senza nascondere il suo compiacimento che avrebbe- ro visto "prossimamente la luce. "65 Il consiglio di distruggerli non pot essere dato se non dopo la pubblicazione di "Hadiga" il 20 marzo: e Vngaretti aveva allora non diciotto, ma ventidue anni compiuti. Rimangono quattro scritti di cui bisogna rendere conto per completare il quadro che si tentato di delineare: "Nelle nostre scuole. L'insegnamento dell'agricoltura" (28 maggio 1910), sulla necessit di introdurre nelle scuole secondarie italiane in Egitto lo studio dell'arabo e dell'agricoltura indigena (l'interes- sante intervento, firmato "V.," malgrado l'incertezza della sigla a mio avviso da attribuire ad Vngaretti per varie ragioni che sarebbe peraltro troppo lungo esporre in questa sede); "Nuovi libri" (30 agosto 1911), un articoletto su Pea gi ripubblicato da UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 G. Palermo, al CUi menzionato contnDuto Si nnvla; e due altn. Di questi, "Abbozzi e sgorbi?" (1-2 agosto 1910), una difesa della mostra di dipinti di Lorenzo Viani che Pea e Ungaretti avevano allestito nella sede del Messaggero: 66 difesa perch Viani era stato attaccato da un certo "Fiorentino" (ovviamente uno pseudonimo), "flabellifero del sembenellismo" e "becchino del dannunzianismo," lo chiama sdegnosamente Ungaretti, che un anno prima aveva dichiarato "sgorbi pretenziosi" i fregi di Adolfo De Carolis per la Fedro' di D'Annunzio e che ora simil- mente, sull' Unione della democrazia, infieriva contro gli "sgor- bi" dell"'aquila apuana." L'intervento fortemente polemico di Ungretti, mentre da un lato sembra indicare che quali che fossero stati i suoi rapporti con l'Unione, erano ormai finiti, e che per di pi fra s e quel settimanale non doveva correre buon sangue, dall' altro ci fa assistere a una sua palinodia nei confronti <lel futurismo (era solo di pochi mesi prima l'unilaterale defini- zione del movimento marinettiano quale "programma di stram- berie"). Schernendo "Il Fiorentino" perch le sue idee mostra- vano di essere sempre quelle stantie dell'anno precedente (sem- pre ligio a Sem Benelli mentre ora, gli veniva fatto ironicamente osservare, "l'esercizio prescritto di sotterrare L'amore dei tre re"), Ungaretti gli oppone il proprio coraggio di cambiare opi- nione, e di non farne mistero: E, per esempio, ho mutato parere a proposito dei futuristi, e malgrado l'etichetta che non mi garber mai, apprezzo versi di ritmo immacolato, come ne cesella Cavacchioli, e apprezzo il sarcasmo libero, severo, angoscioso di Lucini, e un po' anche apprezzo le strabilianti e bolse creature di Marinetti. Venendo infine allo scritto rimanente, non si pu attribuir- lo con piena certezza ad Ungaretti, anche se appare improbabile che egli non ne sia l'autore: si tratta del resoconto non firmato - ma lo stile il suo - di una conferenza da lui tenuta il2 aprile 1910 per la Dante Alighieri,67 "Verso il Rifugio," titolo forse derivato dalla Via del rifugio di Gozzano, cara a Pea. Il discorso, anche se ricostruibile solo attraverso la traccia che ne d il giornale, ha comunque un suo speciale rilievo perch documen- ta l'ascendente che anche su Ungaretti dovette esercitare a quel 18 LUCIANO REBAY tempo Nietzsche,68 la cui opera come sappiamo "aveva addirit- tura soggiogato" Mohammed Sceab. 69 A giudicare dal denso riassunto, stilato con una citazione da Cos parl Zaratustra in epigrafe, la conferenza consisteva essenzialmente in una perso- nalissima e pittoresca rassegna di certi grandi personaggi della storia dell'umanit aventi in comune un "desiderio di sovruma- no," l'aspirazione al supremo "Rifugio": Cristo, San France- sco, Goethe, Schopenhauer, Leopardi, Wagner, e, appunto, Nietzsche, dopo il quale il cerchio per il momento si chiude con l'avvento di Pea. "Ma che importa morire: eterno il Ritorno ... Il Ritorno, in una di sue multiformi manifestazioni, percosse la fantasia d'ignoto fratello, ed Enrico Pea di Nietzsche rintraccia lo spirito e l'esistenza in una fola, violenta, inconsapevolmen- te." Ci si potrebbe forse aspettare che fra gli esponenti di tale eterogenea brigata avesse un posto suo, accanto a Leopardi, anche Mallarm: ma - ed significativo - il suo nome assente. * * * Che dire, in conclusione, di questi scritti egiziani? Che messi a confronto dei risultati di solo cinque o sei anni posterio- ri appaiano nel complesso tutti "minori," considerazione talmente ovvia da parere superflua, anche perch dovrebbe trattarsi di un fatto largamente scontato: le prime prove di un autore sono ben raramente annoverabili fra le sue "maggiori." palese che assistiamo agli esordi di uno scrittore il quale non ha ancora trovato un linguaggio suo proprio, bens in fase di esperimenti e procede un po' a tentoni ricalcando pi o meno consapevolmente vari modelli. Lo riconobbe d'altronde lui stesso nel menzionato Ricordo di Pea, ammettendo implicita- mente che a quel tempo "tentenn[ava] ancora su come espri- mersi. "70 D'altra parte, ai fini di una ricostruzione oggettiva dei suoi primi passi nella letteratura del Novecento, questi scritti nel Messaggero di Alessandria mi paiono preziosi e di considere- vole interesse. Si avverte oltre a tutto, leggendoli, che Ungaret- ti possedeva fin dall'inizio, fortissima, la fede nella sua vocazio- ne di scrittore, come reso manifesto, per esempio, dalla recen- UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 19 sione al romanzo di Marguerite Audoux. Ma se ne pu forse inoltre cogliere un segno nel fatto stesso di aver adottato quello pseudonimo: "giunga ... ," sempre seguito da tre puntini di sospensione e sempre con la "g" minuscola. Non soltanto la contrazione del suo nome e cognome, anche un congiuntivo ottativo, e quasi un impegno con se stesso e con il mondo. Nella prima novelletta, "Halil," terminata la storia del vecchio servo nubiano dalle molte e giovani consorti, il narratore prende confidenzialmente congedo dal lettore con queste parole: Da quel tempo - calmo, ultimo periodo di mia adolescenza - son passati non molti anni: e Halil vive, oggi, l'esistenza di pace e di gaudio, nel bosco incantato fra le leggiadrissime mogli. lo ... ho camminato: cammino ... giunga . .. Che Unga retti giunse, e cos lontano, muovendo dalla "sta- gione" ancora acerba di quegli anni, fatto che non pu non lasciare ammirati. Mi si consenta di terminare citando un piccolo inedito post-egiziano che si trova nella sua corrispon- denza con Papini. Il 12 luglio 1916, in una cartolina in fran- chigia dalla "Zona di guerra," Ungaretti lo pregava di apportare una modifica alla seconda strofa di una sua recentissima lirica, "Silenzio," che gli aveva spedito pochi giorni prima. 7 ) una variante che non compare in alcuna versione a stampa e che non stata mai registrata: Come prima di nascere come dopo la morte ho vissuto il mio tempo africano come sottoterra un seme. Se l'opera la pianta, quale pianta usc da quel seme lo sappiamo bene noi che oggi possiamo assaporare, a distanza di decenni, i frutti maturi della sua segreta germinazione. LUCIANO REBAY Columbia University 20 LUCIANO REBA Y 'Cfr. Il Tevere, 29- 30 gennaio 1929. Questo e altri scritti di carattere prevalentemente autobiografico o politico dovettero essere esclusi dalla raccol- ta postuma degli scritti letterari e di varia cultura d'Ungaretti: Vita di un uomo. Saggi e intertlenti, a cura di M. Diacono e L. Rebay (Milano: Mondadori, 1974), d'ora in avanti indicata con la sigla SI. !"Viaggio in Egitto. Per mare interno," La gazzetta del popolo, 9 luglio 1931. Ristampando questo testo nel volume delle sue prose di viaggio Il deserto e dopo (Milano: Mondadori, 1961), p. 13, Unga retti sostitu lo stilema "ridotti a un giuoco di fumo" con "nel trattenuto dissolversi d'un giuoco." 3Ungaretti intraprese quell'ultimo viaggio fuori d'Italia per recarsi all'Uni- versit dell'Oklahoma, ove il 14 marzo 1970 gli fu conferito il "Premio Interna- zionale di Letteratura" assegnatogli da una giuria di scrittori e critici di vari paesi. 4Cfr. G. Ungaretti, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni (Milano: Mondadori, 1969), pp. 497-515, d'ora in avanti indicato con la sigla TLP. 'G. Ungaretti - J. Amrouche, Propos improviss, Texte mis au point par Ph. ]accottet (Paris: Gallimard, 1972). Le interviste con Amrouche furono registra- te nel 1953. hlbid., pp. 31, 40. 7Ungaretti, parlando, usava frequentemente questo aggettivo per indicare cosa, persona o fatto, "interessante." x Questo e il penultimo (30 agosto 1911), fra i pi brevi, sono gi stati ripubblicati con ricco corredo di note da Giuseppe Palermo, che li rinvenne in un fondo non schedato della Biblioteca Nazionale di Roma. Cfr. G. Palermo, "Due articoli egiziani di Ungaretti e una poesia dispersa di Pea," Italianistica, II (1973) - 3, pp. 557-68, e in particolare la Nota N. 12, p. 560. Riguardo lo pseudonimo "giunga . .. ," va osservato che Ungaretti lo riesum molti anni pi tardi (1923) iniziando le collaborazioni al quotidiano romano Il nuovo paese. qCfr. Poeti d'oggi (1900-1920), Antologia compilata da G. Papini e P. Pancrazi (Firenze: Vallecchi, 1920), pp. 528-34. Le quattro liriche sono: "Peso," "Sono una creatura," "l fiumi" e "Nostalgia." Itll n realt "Diplme d'tudes universitaires." Il documento originale, ritrovato fra le carte del poeta, fu esposto nella mostra di "Ungarettiana" allestita all'Universit di Urbino in occasione del menzionato Convegno inter- nazionale dell'ottobre 1979: "Universit de Paris. Facult des Lettres. Giuseppe Ungaretti [ ... l a subi avec succs les preuves de D/plome d'tude.r llflil'ersitaire.r (composition et discussion d'un mmoire d' ordre philologique, interrogation sur un des cours suivis la Facult, explicationen franais d'un passage tir d'un ouvrage agr par un des membres de la Facult). Fait en Sorbonne le 28 Mai 1914." l'Ancora nel 19'53, al tempo delle interviste con Amrouche, Ungaretti avallava implicitamente ci che si legge in Pocti d'oggi: "G. u.: [ ... l.Je suis arriv Paris la fin de septembre [ " .l. J.A.: Ctait encore l'poque o 1'0n pouvait voyager partout en Europe sans passeport, c'tait vers 1909? G. U.: Le passe- port, c'est le moins important, [ ... ) lA.: l ... J Et maintenant, revenons au rcit de votre long sjour Pari s, puisque de 1910 1914 vous y resterez peu prs UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 21 quatre annes qui ont t, je crois, trs importantes dans votre carrire." Cfr. Propos improl'iss, op. cit., pp. 41-42, 44. cui si accennato fu a sua volta probabilmente rinfocolata da una punta di risentimento per la scarsa attenzione accordata al Porto sepolto. Fra i critici pi qualificati ben pochi mostrarono infatti di accorgersene per tempo, con 1'eccezione di Papini che ne parl entro qualche settimana sul Resto del Carlino (4 febbraio 1917). Gli fecero seguito Gherardo Marone e la di lui amica Fiorina Centi ("Paolo Argira") sulla Diana del marzo 1917 [Cfr. G. Ungaretti, Lettere dal fronte a Gherardo Marone, a cura di A. Marone, introduzione di L. Piccioni (Milano: Mondadori, 1978), pp. 66-67, 170]; e Giuseppe Prezzolini, ma oltre un anno dopo, sul Popolo d'Italia (21 maggio 1918). Le altre recensioni si fecero attendere parecchio, fino alla fine del 1919, cio dopo la pubblicazione di Allegria di naufragi. Sta di fatto che a cominciare dal 1917-1918 si pu dire che Ungaretti non tralasci occasione, nelle numerose lettere che indirizza agli amici italiani da Marone a Papini a Carr a Soffici a Prezzo lini, per sottolineare tutto ci che lo lega e attira alla Francia e alla tradizione di poesia e cultura di quel paese. Nel 1917 a Gherardo Marone che gli ptopone di ripubblicare Il porto sepolto presso Ricciardi risponde che la cosa gli per il momento "quasi indiffe- rente (Cfr. la lettera, senza data, ma di quell' anno, in Lettere dal fronte, op. cit., p. 74). Quello che invece lo interessa, anzi lo fa esultare, come si apprende dalla lettera datata 27-6-17, che Apollinaire gli ha scritto annunciandogli che "tradurr in 'Nord-Sud' alcune cose del mio Porto." Commenta: " un alto onore, e una raffinata commozione; questa prova di amore per me del pi grande scri ttore di Francia" (p. 81). E quando 1'anno seguente viene a sapere che il suo reggimento in procinto di essere trasferito oltr'alpe, non nasconde la sua gioia al pensiero di poter ritornare nella sua "patria d'elezione," come scrive a Prezzo lini: "Sono sul punto di ritornare nel paese dove ho vissuto diversi anni [in realt solo due] [ ... ]. Sono contento. Dopo quattr'anni rivedr la mia patria d'elezione e mi parr pi necessario il sacrifizio" [Cartolina datata 19 aprile 1918. Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti (Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1962, p. 36]. Scrive anche a Papini (lettera inedita, senza data ma dello stesso periodo): "Ora che manca poco per andare verso la patria della mia educazione [ ... ] voglio andarmene con amore, come s'addice a un figliolo di Villon, di Baudelaire, di Mallarm e anche tuo." Qualche tempo dopo, su suolo francese, scrive a Soffici: "Dove sei? Sai dove sono io. Vicino alla nostra citt' .... Son contento di avvicinarmi al pericolo su questa terra che rrti per tanti versi creditrice. Forse presto andr alla citt" (Cartolina datata 8-5- 1918, inedita). L'anno seguente, 1919, in un'altra lettera inedita, non datata ma anteriore al mese di giugno come si desume dal contesto, scrive a Papini per annunciargli che "nella mia vita di poeta, oggi posso contare una delle pi grandi consolazioni che potessi sperare." Andr Salmon, il poeta di Le calumet [e Ungaretti gli dedicher il suo "Calumet" in segno di amicizia: Cfr. G. Ungaretti, Allegria di naufragi (Firenze: Vallecchi, 1919), pp. 237-38, ora TLP, op. cit., p. 363], lo ha avvicinato a un vernissage per esprimergli "la profonda commozione che aveva provato alla lettura della mia poesia," evidentemente la raccolta intitolata La gl,lerre, uscita a Parigi nel gennaio 1919. "Mi disse che avrebbe scritto una nota nella N.R.F. che riapparir in giugno diretta da Rivire. Mi chiese se non avessi nulla d'inedito per la N.R.F. Era commosso; era d'una sincerit commovente. 22 LUCIANO REBAY Ho letto, mi disse anche, ad altri i vostri canti; sono d'un effetto immediato; sorprendente, sorprendente. Conosco chi lavora da anni e anni per arrivare dove siete arrivato; e ci siete arrivato con tanta semplicit." (Non risulta che poi Salmon scrivesse il promesso trafiletto). Il 2 dicembre del medesimo anno, lettera, inedita, a Soffici, per dichiarargli che i francesi hanno salutato il suo libro (e sar, questo, Allegria di naufragi) "come uno dei pi rari della nostra generazio- ne. Nous n'avions rien de semblable en France; c'est une nouvelle voie. In Italia, le carogne, zitte." Ripete in sostanza le medesime osservazioni in lettere, inedite, a Papini e Prezzolini, non datate ma sicuramente dello stesso periodo: "Mio caro Papini, anche qui il mio libro ha suscitato entusiasmi. [ ... ] Littrature (questi ultimi sono quelli che sanno meglio quel che vogliono) mi giudica unanimamente come un poeta sorprendente. Non seulement c'est trs trs bien. Mais aussi nous n'avions rien de semblable en France. Sono contento; ci tenevo a sapere che anche in Francia portavo qualche cosa di nuovo." "Mio caro Prezzolini, avrai avuto il mio libro uscito in Italia tra la disattenzione generale. Non me ne lamento [ ... ]. Qui in 4, o 5, stanno per stampare che neanche in Francia si sapeva una poesia come quella mia povera figliola [ ... l. Mi tocca, come ogni adesione - e mi sono sempre ben guardato dal sollecitarne - pu toccare un uomo, il quale, dopo tutto, non ha parlato che per trovare qualche eco, spontanea, in qualche uomo." E si potrebbe continuare. Ma basti concludere per ora osservando che se l'ambizione di Ungaretti di essere riconosciuto anche come poeta "francese" fu particolarmente viva fra il 1918 e il 1919, quello era altres il tempo in cui il suo venerato amico, Apollinaire, nelle cui vene scorreva sangue italiano, terroristicamente proclamava dalle pagine del Mercure de France che lo "spirito nuovo" destinato a dominare il mondo in poesia non aveva ormai pi che una sola lingua - la francese - nella quale manifestarsi [Cfr. "L'esprit nouveau et les potes", Mercure de France, (1 er Dcembre 1918), pp. 385-96]. Si veda anche ci che Ungaretti ebbe a confidare a Glauco Cambon, che ne d notizia in La poesia di Unga retti (Torino: Einaudi, 1976), p.16. ULa lirica nuova "Nocturne," ora in TLP, op. cit., p. 332. Cfr. C. Maggi, "Ungaretti tra Francia e Italia in La guerre," Studi di Pi%gia italiana, XXXII (1974), pp. 339-57, e particolarmente p. 351. 14La si confronti con la smilza prima raccoltina di Breton, Mont de Pit, anch'essa del '19, alla quale Ungaretti rende omaggio (la prima composizione di PLM, "Perfections du noir," dedicata "Andr Breton pour le Mont de Pit") , e si vedr come Ungaretti per il livello formale di quei suoi contributi si inserisca con pieno diritto nei primi ranghi della giovane poesia francese del momento. mi scrisse due lettere in risposta a una serie di quesiti concer- nenti le tre poesie di "PLM 1914-1919" e in particolare la datazione di "Roman Cinma." La prima, due fogli, senza data, del settembre 1957. Comincia: "Certamente, caro amico, la data Il mars 1914 errore che mi sfuggito dalla penna, o che mi sfuggito correggendo le bozze: si legga: Il mars 1919; e tutte quelle poesie, scritte a Parigi, sono della prima parte del1919." La seconda lettera, questa volta datata Roma, Piazza Remuria 3, il 18-9-1957, faceva seguito alla precedente nel timore, spiegava Ungaretti, che quella si fosse perduta, e ripete le medesime rettifiche. La datazione "Il mars 1914" figura ancora nella ristampa delle poesie francesi curata da Enrico Falqui: G. Ungaretti, Derniers]ours.1919 (Milano: Garzanti, 1947), e ultimamente in TLP, op. cito (p. 362). UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 23 16Questa data errata e depistante ha tratto in inganno pi di uno studioso. Cfr. A. Rossi, "Riconoscimento e rimescolamento nel torbido della Senna," L'approdo letterario, 57, XVIII, marzo 1972, pp. 86-113, e particolarmente p. 98; P. Bigongiari, "La congiuntura Ungaretti-Breton-Reverdy," L'approdo letterario, 59-60, XVIII, dicembre 1972, pp. 31-43, e parto p. 32; C. Maggi, "Roman Cinma: Ungaretti 1914," Paragone, N. 276, febbraio 1973, pp. 70-87, e parto pp. 70 e 85; C. Maggi, "Ungaretti tra Francia e Italia in La guerre," cit., p. 339; C. Maggi, "Giuseppe Ungarettiin Derniers]ours," Paragone, N. 312, febbraio 1976, pp. 80-112, e parto p. 80. l7Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 36. 18Si veda quello che disse a proposito di Gozzano nel corso di un'intervista radiofonica del 18 giugno 1961, citata in G. Ungaretti, Poesie (ColloquiPer un ritratto), a cura di E. F. Accrocca (Milano: N uova Accademia, 1964), p. 30: "Devo dire di aver letto Gozzano quando ero ancora in Egitto e di averlo letto perch lo aveva Pea. Pea, tornando dall'Italia, era tornato con i Colloqui." Secondo invece la testimonianza di Ernesto Travi [Cfr. Umanit di Enrico Pea (Milano: Editrice Vita e Pensiero, 1965), pp. 13-14], che dichiara di valersi di informazioni fornitegli per lettera da Ungaretti, Pea aveva portato dall'Italia La via del rifugio, particolare non irrilevante in vista del fatto che Ungaretti, come si vedr, diede lo stesso titolo a una conferenza da lui tenuta in Alessandria il 2 aprile 1910. 19 Anche a Ceccardi Ungaretti dovette essere introdotto col tramite di Pea, che lo aveva conosciuto in Italia (Cfr. E. Travi, ibitl., p. 13). In una cartolina, inedita, indirizzata da Parigi a Prezzolini (timbro di partenza illeggibile; timbro d'arrivo "Firenze 5-3-14"), si legge fra l'altro: "Diserto un po' l'''aere'' come dice [ ... ] Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, il quale mantrugiando anfanata- mente i suoi booolsi carmi un chicco di poesia ce l'infila spesso." 2De Robertis cit la lettera quale fonte delle notizie biografiche su Un- garetti da lui riportate nel suo saggio "Il cammino di Ungaretti" (Trivium, VI, 3, 1948, pp. 169-178). Cfr. lanotaap. 171: "Queste notizie sono tutte fedelmente tolte da una lettera di Ungaretti all'autore, del21 dicembre 1947." Nella prima pagina del saggio si legge fra l'altro: "L'essere nato in Egitto ed avervi trascorso ininterrottamente circa diciotto anni [mia sottolineatura] ebbe naturalmente una certa influenza sulla sua poesia." Ma la tendenza di Ungaretti a distanziare il pi possibile la sua stagione egiziana, a farla cio apparire quale esperienza remota e estremamente giovanile, e al medesimo tempo a far coincidere "miticamente" sia i suoi inizi di scrittore e l'amicizia con Pea, sia la data della sua partenza per Parigi, con il suo diciottesimo anno d'et, quella tendenza affiora prestissimo, come attesta una lettera del 29 giugno 1916 a Gherardo Marone: "Caro Marone, [ ... ] Non ho nulla di pubblicato; qualche poesiola su "Lacerba," una sulla "Voce," una sulla "Diana"; qualche noterella di critica di dieci anni fa [mia sottolineatura: ovverossia, 1906, quando lo scrivente aveva per l'appunto 18 anni] su un quotidiano di Alessandria d'Egitto e due o tre prosette liriche: come v'accorgerete roba minuscola, nulla; ma l'animo forse non era e non vile" (Cfr. G. Ungaretti, Lettere dal fronte, op. cit., p. 45). Cfr. inoltre G. Ungaretti - J. Amrouche, Propos improviss, op. cit., p. 34: "J.A.: [ ... ] c'est vers votre dix- huitime anne que vous allez quitter l'Egypte pour l'Italie. G.U.: Oui"; e G. 24 LUCIANO REBA Y Ungaretti, Poesie (ColtoquiPer un ritratto), op. cit., p. 12: "Sono stato in Egitto, nella stessa casa per diciotto anni, poi sono andato a Parigi." Quanto alla data dell'incontro con Pea, per non dare che un esempio, cfr. "Ricordo di Pea" (1959, ora in SI, op. cit., pp. 681-84) in cui U ngaretti rievoc il nascere del loro sodalizio, precisando: "Avr avuto allora diciotto anni" (p. 682). In realt ne aveva, come vedremo, almeno tre di pi. 21Cfr. Propos improviss, op. cit." pp. 49-50. nCfr. "Ricordo di Pea." SI, op. cit., p. 681; e L. Piccioni, Vita di un poeta. Giuseppe Unga retti (Milano: Rizzoli, 1970), p. 29. 23Cfr. "Del pudore," Il Tevere, cit.. L'aneddoto del frate cappuccino fu ripetuto da Ungaretti in vari scritti successivi. 24Cfr.la"Notaintroduttiva' in TLP,op.-t.,p. 507: "Devo riconoscerlo, c' uno stimolo eruttivo, non so quali ingiunzioni alla rivolta, all' anarchia sempre, in me. Ne ebbi coscienza e spavento, pure aderendovi, verso i miei diciott'anni." 25Cfr. G. Ungaretti, Lorenzo Viani, Catalogo della mostra tenutasi a Viareg- gio alla GalleriaLaNuovaNavicella, 21 giugno - 5 luglio 1970, pp. 5-7: "Pea ed io avevamo allestito [una mostra di Viani] nella sede del 'Messaggero egiziano,' un quotidiano che vedeva la luce ad Alessandria d'Egitto e dirigeva Enrico di Pompeo, una persona colta che non scoraggiava nessuna audacia." Devo la citazione a G. Palermo, art. cito (Cfr. la nota N. 8 della presente relazione), p. 558. 26Ungaretti scriveva "giovine," con l'''i,'' ancora nel 1918. Cfr. la lettera testamento indirizzata a Prezzolini dal fronte francese il 10-7-1918 (L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 205); e "Primavera," una delle "Poesie ritrovate," dello stesso anno 00 del successivo (TLP, op. cit., p. 400). 27Il tono sentenzioso e moraleggiante dell'articolo, e fors'anche la stessa dedica alla "Mamma," dovettero sembrare eccessivi ad Enrico Pea, che non esit ad esprimere le sue riserve. Da un breve carteggio di Ungaretti con Pea recentemente rintracciato da Leone Piccioni, che me ne ha cortesemente trasmesso copia, risulta che al tempo della pubblicazione di questo scritto sul Messaggero, Ungaretti risiedeva al Cairo, dove era impiegato presso un certo Giuseppe Minafra. Il carteggio copre poco meno di due mesi, dal 30 novembre 1909 al gennaio successivo. Dall'ultima lettera, non datata ma palesemente posteriore alla pubblicazione del "Caso Pardo" il 16 gennaio 1910, si deduce facilmente che l'articolo non aveva incontrato l'approvazione di Pea. La lettera stesa a penna su carta intestata "Giuseppe Minafra, GeneraI Contractor, Cairo, P.O. Box No. 317." Ne trascrivo i primi due paragrafi: Mio carissimo, Grazie. La tua franca opinione mi va. "Il caso Pardo" m' nato COSI, varie ragioni m'hanno indotto a colorirlo COSI. E sar riuscito a dar vita ad un aborto. Perdonami! Ho ancor le titubanze del novellino - Ma difendo quella mia creatura sgraziata. So, so .... ad un uomo che prenda, non eroicammtl', come Corrado Brando - indulga Dio al confronto - per trar gioie di sensi e d'intelletto; ma che prenda per avvilirsi scioccamente, che avresti detto, t u ~ lo, che conosco quei giovini, che ho seguito il loro lento imputridire morale, ho scritto, ho dedicato, ho firmato, ho inviato, d'un fiato. non rileggendo, per antico sdegno. UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 E pi sotto: Continua tu, mio carissimo, a criticarmi spietatamente: rivela i miei difetti, fammeli risaltare; sii il mio maestro esperto - E grazie anticipate - 25 28 Anche questo scritto spiacque a Pea, per ragioni deducibili dal terzo paragrafo della lettera di Ungaretti citata nella nota precedente, nel quale si legge: C' poi l'altra colpa: il sette: comprendo il tuo risentimento ... Fui ladro, con ottime intenzioni! In verit io ho detto sette a preferenza di otto, venti, cento, non per il significato fatale che ha nelle tue cose, ma perch quel numero mi tormentava, irresistibilmente. Concedimi, almeno, le attenuanti - La novelletta "Fifina a Titina" tutta in chiave ironico-satirica, come S1 e accennato. L'intenzione burlesca traspare fin dal nome dei protagonisti. In una lettera angosciata Fifina spiega all'amica Titina che il marito, l'adorato Rodo- monte, travolto dalla passione politica e persa la fede religiosa, diventato, da affettuoso e sollecito che era, "screanzato, burbero, insolente: [ ... ] muto, arcigno, vile." Per giunta, la bastona. Disperata, Fifina si rivolge a uno stregone che le prescrive, fra l'altro, di tracciare" sette volte, in sette file, sette figure circolari" e di ripetere certe formule magiche "sette volte ... bevendo sette sorsi ... per sette settimane." Per intendere il "risentimento" di Pea bisogna tener presente che nelle Fole il "sette" numero magico e, come appunto osservava Ungaretti, "fatale" per eccellenza. Ungaretti conosceva benissimo quei testi, che dovevano uscire entro l'anno presso le Industrie Grafiche di Pescara e che lui stesso aveva messo in bella copia aggiustando l'ortografia e la punteggiatura (Cfr. "Ricordo di Pea," SI, op. cit., p. 682). Uno di essi, il dodicesimo nell'edi- zione pescarese, l'aveva appena fatto pubblicare sul Messaggero con il titolo "Felicit eterna" (24 dicembre 1909). Pea evidentemente non vide di buon occhio che Ungaretti si appropriasse il "sette," degradandolo per di pi in burletta, e dovette dichiararglielo senza sottintesi. 29La dedica dice: HA Amelia e Costantino Ungaretti, fraternamente." L'omaggio affettuoso al fratello e alla cognata precede cosi di giustO una settimana la dedica, piena di rispettosa devozione per la madre, dell' articolo sul "Caso Pardo." Costantino e Amelia Vittoria Griffin, detta Amy, suddita britan- nica ma nata ad Alessandria, si erano sposati da poco, precisamente il2 dicembre 1909, come risulta da documenti conservati negli archivi del Consolato italiano. 30Sulla base di questa e altre indicazioni (il narratore precisa inoltre che aveva" appena smesso i pantaloncini corti, da bimbo, per i pantaloni lunghi, ila uomo"), si pu inferire che U ngaretti, posto di fronte alla necessit di con tribui- re finanziariamente al bilancio familiare, fu costretto a cercarsi un impiego molto presto, verosimilmente non appena finiti gli studi liceali. 31"Bizzarrie" l'occhiello che nel giornale precede il titolo sia di questa prosa che della successiva, "Fifina a Titina." Sulla scelta di questo particolare lessema fornisce di nuovo interessanti chiarificazioni la lettera a Pea sopra citata (Note 27 e 28). Dopo aver pregato l'amico di concedergli "almeno le attenuan- ti" per il furto del "sette," Ungaretti prosegue: Ti dir, a rendere chiare le cose, il quadro che vorrebbero segnare quelle mie bizzarrie. Ho una visione di ansiosi, e forman vari gruppi. Ogni gruppo formato di tre bizzarrie, e dipinge un'ansiet. Ogni bizzarria anima un atteggiamento dell'an- siet. 26 LUClAL'lO REBAY Se avr forza. il lavoro complessivo avr un significato ... ma la mia debolezza, avr forza? ..... n progettato "quadro" fu presumibilmente abbandonato. 32Urso il nome di numerose famiglie italiane emigrate in Egitto, come appare dagli archivi del Consolato d'Alessandria. Purtroppo per nessun docu- mento consente di identificare positivamente l'autore di Un'anima. Il giorno doo la recensione ungarettiana il Messaggero stampava un trafiletto del suo corrispondente milanese, Michele Malerba, nel quale si annunciava fra l'altro che "la Casa del De-Moohr [sic] ha pubblicato un romanzo di Mario Urso, Un'anima, del quale vi parler un'altra volta ed a lungo." (Ma un asterisco rimandava alla seguente "N. d. R.": "Ne abbiamo pubblicato ieri appena la recensione di un nostro nuovo collaboratore"). La "Casa del De-Moohr" non pu essere che la "Arnaldo de Mohr e c." di Milano, la qllale erano uscite nel 1905 le Elegie romane di D'Annunzio. Il giornale della libreria, nell' elenco settima- nale delle "Recentissime pubblicazioni," non d per notizia di Un'anima nel corso dell'annata 1909, o in quella 1910, tanto da far sorgere il sospetto che il libro non venne mai distribuito commercialmente. Non l'ho trovato infatti in nessuna n in Egitto nakrove. Sia aHaNazionale di Firenze che a quella di Roma invece reperibile il romanzo precedente dell'Urso, Per il diritto d'amarel (Catania: Cav. Niccol Giannotta Editore, 1908), cui Ungaretti fa allusione pur non precisando se ne avesse o no conoscenza diretta: "Questo secondo libro [Le. Un'anima], ch' il secondo capitolo d'una vasta concezione, ci presenta gl'impiegati di commercio." Tale "vasta concezione" doveva com- prendere almeno tre volumi, come indicato sul retro della copertina di Per il diritto d'amarel, primo della trilogia. Il secondo, "in preparazione," sarebbe stato intitolato Giorgio Precorre (cio con il nome del protagonista: divenne invece poi Un'anima); il terzo, La citt del fango, non risulta sia stato mai stampato. Se fosse ammissibile azzardare un giudizio di Un'anima esclusivamente sulla base del valore letterario di Per il diritto d'amarel - rozzo racconto "verista" d'appendice - sarebbe giocoforza concludere che doveva trattarsi di un romanzo ben mediocre. "Conclusione" d'altronde rafforzata dalla recensione ungarettiana, nella quale accenni cortesi al "fascino di stralci ottimamente pensati e ottima- mente scritti" e alla "costanza di volont e energia" dell'autore, si accompagna- no ad esplicite riserve riguardo, per esempio, la mancanza di "serenit [artistica] in pagine inutili che ripetono annoiando dettagli inutili." Ma se Ungaretti, recensendo quel libro, pot seriamente pensare - ed lecito dubitarne - che tutto sommato l'Urso possedesse doti sufficienti per produrre in futuro "il lavoro che da lui attendiamo," sembr cambiare parere meno di due settimane pi tardi dopo aver letto sul Messaggero del 9 dicembre un'altra sua prosa, intitolata "Ricordi e impressioni di viaggio," goffa e ampollosa narrazione in seconda persona plurale di una romantica crociera fra Napoli e Vico Equense. La reazione di Unga retti vivacemente espressa in una lettera a Pea datata 11-12- 09, essa pure facente parte / del carteggio cairino sopra menzionato: "Hai digerito il purgante [prima aveva scritto, poi cancellato: "Hai letto lo scirop- po"] di M. Urso? Ma quell'uomo ha proprio la faccia tosta di affliggere l'umanit - in tutti i modi -." Una notazione nel margine a sinistra, manifestamente aggiunta in un secondo tempo, "Nel Messaggero?," non lascia dubbi, a mio avviso, sul fatto che Unga retti intendesse precisare che si riferiva espressamente all'articolo di due giorni prima. UNGARETli: GU SCRITI1 EGIZIANI 1909-1912 27 33Cfr. Propos improviss, op. cit., pp. 26-27; e "Intervista diJeanAmrouche con Giuseppe Ungaretti" in L'approJo letterario, 57, XVIII, marzo 1972, p. 141, dove il nome scritto "Coller" e viene precisato che era svizzero. 34"Le Martyre de Saint Sbastien," 7 giugno 1911. 35 Cfr. la nota N. 32. 36"Trecentotr pagine assai rigonfie", secondo le parole stesse del recenso- re. Il nome dell'editore informazione fornita da Pea, il quale raccont che Thuile, finito il romanzo, lo aveva portato "a stampare a Parigi, all'editore Grasset" [Cfr. E. Pea, Vita in Egitto (Milano: Mondadori, 1949), p. 39]. Come UiI'anima di Mario Urso, anche questo romanzo diJean-Leon Thuile introvabile. TI nome stesso dell'autore non figura in alcun dizionario enciclopedico, storia della narrativa francese del Novecento, o biblioteca che io abbia potuto consul- tare. Si veda la poco complimentosa descrizione che di lui e del suo romanzo, affettando di ricordarne solo la copertina, diede Pea: "Non che [ ... ] avesse tutta l'anima prava filistea dei borghesi, ma alcuni caratteri dei borghesi li aveva: la spregiudicatezza razionalistica, il sovvertivismo intellettuale, la morale del libero pensato re falsamente rivoluzionaria, conservatrice ed atea [ ... ] s che nel mondo non c'era per chi pensava cos, nessun bene che il bene per s: il comfort dei borghesi. Il romanzo che aveva finito di scrivere [ ... ] non so se avesse questa od altra morale. Ma la copertina era tinta di turbati colori: figurazione paurosa e raccapricciante: un gatto inferocito dalla fame che divorava il volto di un cadavere. E non soltanto il soggetto era orrido, ma i colori mostruosi: zolfo e sangue aggrumato. La copertina del Trio dei dannati l'ho sempre avuta negli occhi ogni volta che si suicidato un amico." (Ibitl., pp. 38-40). Nella sua recensione Ungaretti defin il romanzo "un'autobiografia a tetri sfondi simbolici," osser- vando che "nel titolo diabolico si condensa [ ... ] l'affastellio dei pensieri diversi che).-L. Thuile raccolse a soddisfare il suo bisogno eccessivo di espressione, e si condensa una sequela d'atti feroci che intontiscono, affogati." 37Anche a proposito di tale rapporto andr ridimensionato l'assetto crono- logico fissato nelle memorie ungarettiane: "A un certain moment de ma vie, vers seize, dix-sept ans, peut-tre plus tard, j'ai rencontr deux jeunes ing- nieurs franais, les frres Thuile, )ean et Renri Thuile."Cos nel 195 3 nel corso delle interviste con Amrouche (Cfr. Propos improviss, op. cit., p. 19); e cos di nuovo circa quindici anni dopo trasferendo pressoch letteralmente in italiano quel brano in una lunga nota al Porto Sepolto (Cfr. TLP, op. cit., p. 519). In realt il primo incontro con i due fratelli non dovette avvenire prima del 1908-1909, quando Ungaretti aveva 20-21 anni; fatto, questo, che sembrerebbe corrobora- to dallo stesso )ean-Lon nella sua testimonianza per i settant'anni di Ungaretti [Cfr. G. Ungaretti, Il taccuino del vecchio (Milano: Mondadori, 1960), pp. 128-132]. )ean-Lon aveva circa tre anni meno di Ungaretti, stando a un'indicazione da questi fornita nel testo della sua recensione ("Le Trio des Damns: un libro che un giovane, di soli vent'anni, ha composto": era dunque nato intorno al 1891); il che significa fra l'altro che quando si conobbero difficilmente)ean-Lon poteva gi essere "ingnieur." .18Cfr. anche la precedente nota N. 32. 39Cfr. per esempio Lettere dal fronte ti Gherardo Marone, op. cit.: "la prosa [francese] pi spasimante, con grandi sfoghi di Eschilo rinato, e grandi morsi rabelaisiani, la compone il nostro Thuile (p. 73); "Thuile davvero il pi grande prosatore francese di oggi" (p. 78; entrambe le lettere sono senza data, ma LUCIANO REBAY 1917); e "Viaggio in Egitto. Chiaro di luna," La Gazzetta del popolo, 14 agosto 1931: "[Jean-Lon Thuile ha pubblicato] due romanzi, l'Eudmonte e il Trio des Damns che oggi metterei tra i dodici pi belli degli ultimi quaran t'anni." Il passo ripreso in Il deserto e dopo, op. cit., p. 72, omettendo "dodici": "che oggi metterei tra i pi belli," ecc. 40" Marie-Claire di Marguerite Audoux," 2 febbraio 1911. Pubblicato l'anno prima a Parigi presso l'editore Fasquelle con prefazione di Octave Mirbeau, il libro dell'ignota sarta francese aveva riportato un unanime successo di critica ed era subito diventato popolarissimo. 41"Elogio di Revolverate," 24 aprile 1910. Il caloroso, incondizionato con- senso di Ungaretti risulta ancora pi notevole se si considera che faceva seguito all'intervento di un altro collaboratore del Messaggero, G. Mundula, il quale in un elzeviro del 19 marzo, "Versi liberi," aveva trattato il libro da un punto di vista "etico," avanzando forti obiezioni: "[Lucini ] un ingegno dal quale la mia anima [ ... ] ripugna [ ... ]. E per soltanto una preoccupazione etica quella che mi muove. Preoccupazione etica la quale origina da ci che la letteratura italiana odierna brulica ormai di esteti del patologico." 42Revolverate fu pubblicato dalle Edizioni di Poesia sul finire del 1909 (Il giornale della libreria lo annuncia nel numero del12 dicembre), preceduto da una "Prefazione futurista" di Marinetti. Ovviamente Ungaretti non era al corrente dei movimentati retroscena di tale prefazione - il fatto per esempio che Marinetti l'aveva sostituita alla prefazione, o "Diffida," di Lucini, non ritenendola suf- ficientemente "rispettosa" [Cfr. G. P. Lucini, Revolverate e Nuove Revolverate, a cura di E. Sanguineti (Torino: Einaudi, 1975), pp vii, 361-63]. 43Cfr. per esempio poesie come "Le suppliche" (Lacerba, 13 marzo 1915) e "Sbadiglio" (Ibid., 8 maggio 1915). 44Cfr. SI, op. cit., p. 287. 45 difficile stabilire con sicurezza se quando recens Revolverate Ungaretti conoscesse gi Il verso libero, uscito nel 1908 sempre per le Edizioni di Poesia. forse pi probabile che lo lesse solo dopo. Vi una sua lettera a Prezzolini, senza data ma stilata su carta di tipo e formato identici a un'altra lettera allo stesso datata Alessandria d'Egitto 30 novembre 1911, in cui dice: "Mi farebbe anche gran piacere procurando mi, magari usato, il 'Verso libero' di Lucini" (Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 37). Per l'influsso che il luciniano Verso libero pot avere su Ungaretti, cfr. C. assola, Giuseppe Unga retti (Milano: Mursia, 1975), pp. 178-80. 46Cfr. Propos Improvs, op cit., pp. 11-12, 14-16. 47Cfr. TLP, op. cit., pp. 498-502. Il passo riportato a p. 499. 48Ibtd, p. 518. 49Cfr. "Intervista di Jean Amrouche con Giuseppe Ungaretti," L'approdo letterario, cit., p. 138. 50Cfr. L. Piccioni, Vita di un poeta, op. cit., p. 33. "L'antica nenia dell' anima" inoltre probabilmente ancora presente in liriche posteriori a "Diluvio," nelle quali ritorna il motivo di occhi che non vedono, del lago, dei ciechi. Si veda per esempio "Fase d'oriente," sia nella versione pi antica ("Si chiudono gli occhi/- per guardare nuotare in un lago/le dolcezze del tempo svanito": TLP, op. cit., p. 610), che nella definitiva ("Chiudiamo gli occhi/per vedere nuotare in un lago/infinite promesse": TLP, p. 27.); e anche "Nostalgia," poi con mutato UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 29 titolo, "Lontano": "Lontano lontano/come un cieco/m'hanno portato per mano" (TLP, pp. 68 e 639). Diversa invece l'origine dell'oscena "nenia noiosa delizia" che costituisce la parte conclusiva della prima lirica ungarettiana stam.l pata in Italia, "Il paesaggio d'Alessandria d'Egitto" (Lacerba, 7 febbraio 1915). Ungaretti stesso spiegava a Papini, in una lettera di poco precedente la pubbli- cazione del componimento sulla rivista fiorentina, che si trattava della "tradu- zione, autentica, d'un brano d'un solito invito dei miei arabi d'Egitto (taalili, ia batta. Uananiali, hi, ecc.)" (Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti, op. cit., p. 40). 51Titlo forse luciniano perch Lucini aveva pubblicato l'anno prima nella Ragione di Roma (7 e 8 novembre 1909) ben due articoli intitolati "Poeti giovani" [Cfr. C. P. Lucini, Prose e canzoni amare, a cura di 1. Ghidetti (Firenze: Vallecchi, 1971), p. 536]. 52Trascrivo alcuni stralci di ciascuna presentazione: "Enrico Cavacchioli ironista a fior di pelle: [ ... ] preoccupato d'esteriorit, specialmente sonoro e colorito: ci siamo divertiti un mondo a seguire la processione delle Ranocchie in piviale turchino." "Lucini invece il cantore leale: produce con vigore l'opera robusta che abbia rispondenza intera alla commozione semplice delle cose." "In raffronto ai Futuristi citati, Guido Gozzano fa effetto di fanciullo malizioso e ritroso." "Mario Simonatti, autore dei 'Canti di Narciso' che nomino a dar prova degli imitatori, assai s'avvicina a Gozzano, senza riuscir tuttavia a pretenderne la disciplina ardua di cantilena, la compostezza nobile d'espressione." "Un fiero e isolato, di volutt severamente classica a cui infonde la scintilla conchiusiva, in largo respiro: Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: [ ... ] A [lui] noto il verso imperioso che nudrito di limpidit antica suona come il canto degli antichi maestri: tuono che gronda!" Dei cinque, quattro soltanto sono dunque citati come esempi di artisti aventi una loro originalit e marcata forza espressiva: il rimanente, Simonatti, menzionato come fra parentesi per "dar prova degli imitatori." Di questo giustamente oggi dimenticato versificatore, autore di sonetti stecchettiani e di canzoni carducciane, non mi stato possibile rintrac- ciare i "Canti di Narciso" di cui parla Ungaretti, forse perch usciti solo in rivista e mai schedati. Nel Chi ? Dizionario degli Italiani d'oggi, edizione 1928, Mario Simonatti descritto come "pubblicista, n. a Firenze il 28-IV-1888" e residente a Parigi. Fra le sue opere anteriori allo scritto d'Ungaretti in cui vien fatto il suo nome sono reperibili treplaquettes dai titoli eloquentemente indicativi: In morte di Giosu Carducci. Canzone (Bologna: Edizione della Rivista Letteraria "Rina- scimento," 1907; La morte. Arcane fantasie (Bologna: Libreria Internazionale Fratelli Treves di Luigi Beltrami, 1907) [25 componimenti in versi]; L'ode alla Regina di G. Carducci. Studio storico-estetico seguito da un saggio di biibliografia carduc- ciana (Bologna: Zanichelli, 1908). 53Cfr. "Viaggio in Egitto. Chiaro di luna," loc. cit.; poi 'in Il deserto e dopo, op. cit., p. 66. "Cfr. TLP, op. cit., p. 324. "Cfr. la nota N. 28. 5 h Cfr. "Ricordo di Pea," SI, op. cit., p. 681. >7Cfc L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., pp. 45-46. ;X A proposito del suo interesse per Poe, cfr. Propos improviss, op. cit., p. 40: "Au Mes.raggero et l'Unione, j'avais donn des critiques littraires, j'avais donn des proses lyriques, et quelques traductions des Histoires extraordinaires de Poe. LUCIANO REBA Y Un diteur italien qui avait lu une de ces traductions m'avait demand de traduire toute l'oeuvre. C'est un projet que fai caress quelque temps et qui n'a pas t men chef." ~ 9 C f r . "Ricordo di Pea," SI, loc. cito 6Cfr. la nota N. 28. 61 In una cartolina del carteggio cairino, senza data ma ovviamente di poco anteriore al 24 dicembre, Ungaretti informa Pea di aver spedito il suo scritto al direttore del Messaggero: "Carissimo, Ho inviato solo stamani a di Pompeo la tua novella perch era lunghetta, e a ricopiarla non ho potuto dedicarvi che squarci di tempo, di tanto in tanto: ho avuto tanto da fare in questi giorni - Il tuo concetto un po' quello svolto dal Carducci in "Davanti San Guido" ma hai fatto ottimamente. Bravo!" 62 A quei sonetti U ngaretti fa riferimento anche nel carteggio dal Cairo, in una cartolina datata 20-12-09: "Lavora, lavora, lavora. Ti consegner i Sonetti annotati quando verrai in Cairo." Da una lettera precedente, la gi menzionata dell'11-12-09 (cfr. la nota N. 32), possibile ricostruire un divertente particolare a proposito della copertina. Sembra che Pea e Nomellini non fossero sicuri se si dovesse scrivere "Sonetti del Harem," o "dell'Harem" con la doppia "1," e bench propendessero per la seconda forma avevano deciso di rivolgersi per consiglio ad Ungaretti. Questi rispose amabilmente redarguendoli e con una dotta lezioncina di ortografia italiana: "Mio ottimo, Bravo, bravissimo: fai il grammatico. Oh! posa, posa, l'inonorato libro .... Sbagli te, e sbaglia Nomelli- ni: non ci vuoI la doppia 1, perch l'h .... aspiratissima - Per tua norma, e come regola infallibile, ritieni che si raddoppia sempre 1 (non ti dico l'articolo per non creare confusioni nel tuo cervello digiuno di queste porcherie) dinnanzi a vocale - e cio dinnanzi ad o, e, t; o, u; ed anche, naturalmente, dinnanzi ad h muta, l'h cio che non ha suono e ch' rimasta nell'ortografia, come una reminiscenza etimologica, a ricordarci che in latino avere si scriveva habere, e via discorrendo ... " 63Nella sua testimonianza "Ungaretti in Egitto" per il numero speciale della Fiera letteraria del 1 novembre 1953, Pea raccont fra l'altro che Ungaretti lo aveva "svergina[to] sul giornale" pubblicando senza che lui lo sapesse una sua poesia, e adirandosi poi perch era uscita con un errore tipografico. Non vi sono refusi nel sonetto da me ritrovato, e si deve pertanto supporre che la poesia cui alludeva Pea nel 1953 fosse un'altra, forse data da Ungaretti all'Unione della democrazia, anzich al Messaggero. Segnalo comunque per chiarezza che fra le pagine del quotidiano d'Alessandria mi sono imbattuto in quattro testi peani: i menzionati "Felicit eterna" e "Hadiga"; "La giovinezza di un vegliar do" (29 maggio 1910), elzeviro firmato in cui viene trascritta e commentata con ammi- razione una "lettera di adesione al Futurismo" di Luigi Capuana; e infine un'ode, "Per Rodolfo Garros" (15 settembre 1911), per la quale rimando al citato contributo di Giuseppe Palermo (Cfr. la nota N. 8). 6 4 Cfr. "Ricordo di Pea," op. cit., p. 682. 6'Trascrivo per chiarezza l'intero brano in questione: "lo - che di [Pea] seguo, ammirando, l'ancor segreta opera primitiva e raffinata - son lieto d'annunziare ai lettori che una sua raccolta di Sonetti, nostalgici come l'anima del popolo arabo, vedr prossimamente la luce, in degna edizione della Societ UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 Editrice Abruzzese. Plinio Nomellini, - il vigoroso pittore del pensiero - ne ha disegnato di cuore, la copertina. [ ... ] Mi perdoni 1'amico, la rivelazione del suo inutile mistero: quando si ha voce d'arte, suoni alto, per tutti, la voce ... " 66Anche a questo proposito cfr. G. Palermo, art. cit., p. 558, nota N. 5. 67Forse, ma non necessariamente, pu essere di mano altrui illaudativo paragrafetto di chiusura: "E con una visione augurale [ ... ] si conchiude la breve, ma succosa conferenza di Ungaretti." Il resoconto, intitolato "La confe- renza Ungaretti," fu pubblicato nel numero del 4-5 aprile 1910, in prima pagina. Che la conferenza stessa fosse intitolata "Verso il rifugio" lo si apprende da un corto trafiletto pubblicato il 2 aprile: "Dante Alighieri. Sotto gli auspici della nostra Dante stasera alle 9),i il signor Ungaretti terr nella sala dell'Universit popolare una conferenza dal titolo: Verso il rifugio." 68 All' inizio dell' anno, e precisamente il 20 gennaio sulla Voce, Papini aveva recensito il libro di Daniel Halvy, La vie de F. Nietzsche (Paris: Calman-Lvy, 1909), esprimendo la sua alta ammirazione per il pensatore tedesco. Ungaretti conosceva certamente lo scritto papiniano, e credo lo ebbe presente preparando la conferenza. Vi si incontra per esempio un'osservazione -"E Nietzsche, Anticristo, ultimo discepolo di Cristo, muore martire come il Predecessore Nemico, e dieci anni dura l'agonia" - che forse riecheggia quest'altra, di Papini: "Nietzsche si compiacque di esser l'Anticristo e in quanto Anticristo fu, per forza, anche un po' Cristo." 69Cfr. TLP, op. eit., p. 507. 70Cfr. SI,loe. cit., p. 681. Si visto anche che scrivendo a Pea nel 1910 dal Cairo non nascondeva di avere ancora "le titubanze del novellino" (cfr. la nota N.27). 71 La versione definitiva ora in TLP, op. cit., p. 5 ~ UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON Che la fabula sia pi fondamentale del personaggio o del carattere, la posizione aristotelica e (diciamo) classica. Aristo- tele tracciava il modello di ogni azione mitica, non importa se in forma drammatica o narrativa. L'eroe aristotelico - cos come definito nella Poetica - sempre quale deve essere; non ha alternative davanti a s; il corso oggettivo degli eventi (la fabula) che ne determina la felicit o l'infelicit. Per Henry ]ames, al contrario, il fuoco centrale dell' opera il personaggio; la fabula non nient'altro che il contesto nel quale il perso- naggio messo alla prova; il luogo della sua manifestazione. In The Art 01 Fiction, ]ames sembra prendere atto, a processo com- piuto, di una trasformazione moderna della narrazione. Nel caratterizzare e negativo lo statuto formale del Decameron, Tzve- tan Todorov si richiama appunto a ]ames. 1 Todorov assegna interamente il Decameron alla linea classica della narrativa apsico- logica e di azione. Nella sua narratologia l'eroe della novella del Boccaccio pu essere solo denominato. L'eroe (l'agente) un nome proprio; e gi la sua descrizione - cio il nome comune - appartiene al predicato. Il sostantivo infatti un complesso di propriet e quindi pu essere considerato un aggettivo o un attributo. L'aggettivo, a sua volta, non si oppone al verbocome la qualit all'azione, ma sarebbe anch'esso un verbo. Aggettivi e verbi non si distinguerebbero che per il loro aspetto: itera- tivo/non iterativo oppure durativo/puntuale. Tra aggettivo e verbo ci sarebbe perci transizione; la loro distanza appare minima. Cos in X,2 Ghino di Tacco non compie un'azione generosa perch di animo grande, ma di animo grande perch compie un' azione generosa. 2 Ci che in apparenza una moti- vazione, in realt un risultato. Sono le azioni che determinano attributi e descrizioni. La narrazione non mai sostantiva. Todorov compie un notevole sforzo teorico per giustificare il .32 UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 33 suo modello narratologico. D'altra parte la variet degli agenti, la loro determinatezza sociologica, la precisione dei luoghi, in una parola il materiale empirico e mimetico dell' arte del Boccac- cio, finiscono per renderlo inadeguato. Nel Decameron, come al limite non ci sono nomi di luoghi,3 cos da credere che non ci siano nomi puri di agenti. stato del resto lo stesso Todorov ad osservare che nel Decameron l'ordine preesistente (convenziona- le e mitico) di regola contestato. La novit ideologica del mondo del Boccaccio ha portato a cambiare lo statuto della novella. L'azione modificante, 1'azione centrale della novella (il cosiddetto verbo a) "est - scrive Todorov - obligatoirement rebelle tout systme; elle est toujours originale et ne peut se constituer que par une diffrence par rapport aux autres. Pour bien servir le systme du rcit, elle doit etre individuelle; mais tant individuelle, elle dtruit le systme du rcit. L'action modifiante est aussi destructive pour le monde extrieur que pour le rcit lui-meme."4 Il che sarebbe probabilmente impossi- bile senza un'iniziativa di tipo soggettivo. L'osservazione di Todorov non pu non evocare il concetto di parodia e, in senso largo, di realismo che una tecnica di distruzione o di relativiz- zazione degli schemi. 5 Si pu pi convenientemente dire che lo spettro narrativo del Decameron si estende dalla novella apsicolo- gica alla novella psicologica, anche se occorre avvertire che il non detto del personaggio (i suoi pensieri) assume sempre nel Boccaccio la forma o la compiutezza, e dunque 1'oggettivit, del detto e che la psicologia di norma filtrata attraverso il discorso retorico. N manca la novella-romanzo che qui interessa parti- colarmente. 6 Laddove il personaggio si fa complesso, tra quello che Todorov chiama senso (il valore sintattico e posizionale della proposizione) e quello che invece chiama referenza (il significato della proposizione) al limite si apre uno iato. Ogni carattere in senso forte resta trascendente rispetto all'azione: questa non lo esaurisce interamente. La novella chiusa ha una sua compatta unit estetica. Si veda per modo di esempio il finale della novella V, 3: Pietro lietissimo, e l'Agnolella pi, quivi si sposarono; e come in montagna si pot, la gentil donna f loro onorevoli nozze, e qui vi i primi frutti del loro amore dolcissimamente sentirono. 34 GUIDO GUGLIELMI Poi, ivi a parecchi di, la donna insieme con loro, montati a cavallo e bene accompagnati se ne tornarono a Roma: dove, trovati forte turbati i parenti di Pietro di ci che fatto aveva, con loro in buona pace il ritorn; e esso con molto riposo e piacere con la sua Agno1ella infino alla 10r vecchiezza si visse. 7 Il mondo fittizio della novella si chiude qui in una tempora- lit epica e favolosa; la demarcazione rispetto alla temporalit aperta dell'esperienza non potrebbe essere pi netta. Nella novella-romanzo la quete del personaggio finisce, ma per rin- cominciare. Il desiderio che ottiene adempimento comporta anche una delusione, un persistere della mancanza. L'esempio pi significativo di novella-romanzo nel Deca- meron, almeno nel senso che vorremmo proporre, la VIII, 7. Nella beffa dello scolare, il termine forte non la beffa, ma lo scolare. Il fatto che vi sia una beffa, meno decisivo del fatto che a subirla o a metterla in atto sia uno scolare. La novit della novella sta in una diversa dinamica tra caratterizzazione e fabu- la. L'aggettivo-sostantivo non si risolve affatto nel verbo. La fabula tende ad essere sovradeterminata dalla caratterizzazione. A una prima lettura la novella sembra essere governata da un perfetto equilibrio estetico. C' una beffa, e c' una controbeffa la quale, secondo la grammatica di Todorov,8 solo di grado comparativamente pi intenso. Ai tormenti del gelo di un per- sonaggio si contrappongono i tormenti del caldo dell'altro per- sonaggio. Resta per inspiegato "perch sia stata data tanta importanza alla caratterizzazione, perch i tormenti di caldo e gelo e le altre pene fisiche e mentali sofferti da questi due personaggi abbiano richiesto una presentazione cos particola- reggiata; e, specialmente, perch la tradizionale riconciliazione dei due protagonisti - una caratteristica comune alla maggior parte delle storie considerate come analogie o probabili fonti del racconto del Boccaccio e che sarebbe stata perfettamente intonata all' orientamento fantastico dei racconti del Decameron in genere - non abbia avuto luogo."9 Un'analisi pi attenta, e pi attenta ai momenti dinamici o di squilibrio della narrazione, riveler come Boccaccio forzi i limiti strutturali della novella e la sviluppi in direzione del romanzo. La semplicit estetica delle linee apparir essere soltanto una componente di una costru- zione complessa e, in realt, tesissima. UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 35 La beffa di Elena allo scolare, nella prima parte della novel- la, in verit si propone principalmente un profitto erotico. Volendo piuttosto dedicarsi agli amanti, non per caso la donna, restata vedova, "mai pi maritar non si volle." La sua etica un' etica edonistica. E la beffa s volta, sulla falsariga di una lunga tradizione medievale, a mortificare uno scolare, ad abbas- sare il privilegio dell'intelletto e della cultura e ad affermare il primato dell'arbitrio e dell'appetito sensibile, ma soprattutto uno strumento di godimento. C' meno un piacere puro della beffa, una volont di mistificazione, che una beffa in funzione del piacere. La donna conduce un gioco di adescamenti e di ripulse secondo un topos del tutto convenzionale (non meno convenzionale del suo nome): "La giovane donna, la quale non teneva gli occhi fitti in inferno ma, quello e pi tenendosi che ella era, movendogli si guardava dintorno e prestamente conosceva chi con diletto la riguardava .... " L'idea di servirsi dello scolare, come di qualunque altro, solo che per lei fosse gratificante, oltre la soddisfazione (esibizionistica) di essere guardata, gliene reca un' altra: quella di alzare il valore della propria persona, di renderla pi cara e pi preziosa al desiderio del giovane e amante - che il terzo personaggio della fabula. Sentendosi guardata dallo scolare, la donna gli restituisce lo sguardo: E cominciatolo con la coda dell' occhio alcuna volta a guardare, in quanto ella poteva s'ingegnava di dimostrargli che di lui gli calesse, d'altra parte pensandosi che quanti pi n'adescasse e prendesse col suo piacere, tanto di maggior pregio fosse la sua bellezza e massimamente a colui al quale ella insieme col suo amore l'aveva data. L'intenzione della beffa ("lo non ci sar oggi venuta invano, ch, se io non erro, io avr preso un paolin per lo naso") si inquadra in un rituale erotico. Siamo nell' economia del deside- rio, in un gioco che impegna i due personaggi e che ha per posta un appagamento dell' ordine del piacere. Un piacere di essere oggetto di desiderio, o di cogliere e gustare gli effetti della proria bellezza, di godere di rimbalzo di s, da parte della donna; e il piacere di realizzare il desiderio (,'lei potere ignuda nelle GUIDO GUGLIELMI braccia tenere"), da parte dell'uomo. Il motore dell'azione naturalmente lo squilibrio della situazione, che in questo caso l'asimmetria dei desideri. Il desiderio dell'uno via e, a un certo punto, ostacolo al desiderio dell'altro. Nella prima parte della novella lo scolare collabora alla beffa ai propri d a n n i ~ agisce secondo il desiderio della donna, ne subisce l'iniziativa. Il suo desiderio viene provocato, alimentato, continuamente differi- to; la sua intenzione soggiace a un'altra e contraria intenzione; la sua azione governata da un' altra azione che egli comica- mente ignora. Obbedendo all'impulso del gioco, la donna porta avanti la sua mistificazione e lo scolare la asseconda docilmente. La prima stazione del racconto sar perci il dichiararsi della situazione ingannevole e lo scioglimento dell' equivoco. E qui importante il rilievo della mancanza di piano o di disegno da parte della donna. Tutto si sviluppa per proprio conto, auto- maticamente, sul filo degli avvenimenti. A produrre la svolta- la modificazione - il racconto che la donna fa della sua beffa all'amante, e la gelosia - non si potrebbe dire immotivata - dimostrata da quest'ultimo. Ogni passo avanti dell'azione avvie- ne sulla base di soluzioni momentanee, secondo una logica dell' improvvisazione. La trovata della donna consiste ora nel trasformare quello che divenuto un ostacolo al proprio desi- derio, evidentemente nei rapporti con l'amante, in una nuova fonte di fruizione, questa volta di tipo sadico. Il malinteso che la comunicazione della beffa aveva prodotto nell'amante, verr tolto offrendo all' amante lo spettacolo della beffa. Al racconto, imprudente e malizioso, di un intrigo si sostituisce cos una messinscena teatrale che dovr dissipare ogni sospetto. La novella evolve decisamente verso la forma della commedia. In una notte freddissima lo scolare viene attirato e chiuso nella corte della casa della donna, in attesa di una chiamata che gli stata promessa e che naturalmente non verr. E viene dapprima anche confortata la sua illusione comica. Mentre da una "fine- stretta" i due amanti stanno ad osservare ed ascoltare, una fante mandata a dirgli, da un' altra finestretta, che la donna aveva avuto la visita imprevista di un fratello e che perci gli conve- niva aspettare. Interno (caldo) ed esterno (freddo), in alto e in basso, sono i luoghi in cui si distribuisce l'azione. Al diverso UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 37 ruolo dei personaggi sono funzionali luoghi diversi. La diffe- renza semantica beffatore/beffato si lascia rappresentare e tra- durre figurativamente in una differenza spaziale. Perch l'op- posizione venga mantenuta necessario, infatti, che non ci sia transizione tra freddo e caldo, basso e alto, fuori e dentro. Di mod che acquista funzionalmente una particolare importanza la frontiera tra spazio interno e spazio esterno. l il punto di articolazione della doppia possibilit che si offre all' ottica illu- soria dello scolare (l'alternativa essere dentro/essere fuori, esse- re al di qua o al di l dell'uscio). Di fatto la donna spinger il suo gioco fino .a scendere con l'amico all'uscio e a parlare diret- tamente allo scolare, naturalmente "senza aprir punto." La beffa si sviluppa e giunge a compimento passando attraverso due gradi. Dapprima viene fatto dire allo scolare di attendere (la fante che assolve questo compito gli parla da una finestretta, e dunque gi si colloca al limite tra i due spazi). Le due scene sono qui in alto e in basso. Quindi la donna scende all'uscio. L'azione si sposta dall'alto al basso: le due scene sono da un lato e dall'altro dell'uscio. Gli elementi comico-drammatici si esaspe- rano; solo una porta separa la donna e lo scolare. Si tratta in verit di un movimento che simula un altro movimento, un movimento comicamente doppio e ingannevole. Quello che appare come un segnale di fine dell'attesa ("Lo scolare, uden- dosi chiamare, lod Idio credendosi troppo bene entrar dentro, e accostatosi all'uscio disse: "Eccomi qui, madonna: aprite per Dio, ch io muoio di freddo") in realt un momento di violenta risoluzione della beffa. La riduzione massima della distanza serve a istituire una distanza definitiva; il movimento che dovrebbe annullarla proprio quello che la conferma. La promessa si smaschera nel momento che per lo scolare sta per essere mantenuta; l'inganno si dichiara mentre portato al limite. Ma razione non si esaurisce in un' intenzione, in qualche modo pura, di mistificazione. La comicit non fondata sem- plicemente sul gioco degli equivoci. La beffa fa parte di un contesto pi ampio. C' un asse decettivo della comunicazione di cui sono protagonisti in primo luogo la donna, in figura di destinato re, e lo scolare in figura di destinatario; e ce n' un GUIDO GUGLIELMI altro che istituisce la complicit dei due amanti. La comunica- zione ingannevole ha luogo dentro una comunicazione non ingannevole, un messaggio dentro un altro messaggio di segno opposto che intende rimuovere un malinteso ed, anzi, rove- sciarlo in piacere della mistificazione. Ma non tutto. In quanto spettacolo, la beffa l'offerta di una vittima e una pratica sadica. Lo scambio comunicativo interno a uno scambio erotico. La donna si presenta all'amante come oggetto (attuale e instante) del desiderio di un altro, e non solo gli sacrifica l'altro ma, con una specie di voyeurismo alla rovescia, gli offre lo spettacolo di questo sacrificio. Due scene si svolgeranno simultaneamente. L'interno (l'alto) il luogo del piacere; l'esterno (il basso) il luogo della privazione o della frustrazione. E la beffa in funzione di un accrescimento del piacere. Il sadismo la componente negativa dell' eros. Da una parte sta lo scolare che cerca di ripararsi dal freddo ("n aveva dove porsi a sedere n dove fuggire il sereno") e sar anche sorpreso dalla neve; dal- l'altra, stanno gli amanti, passati dal lieto cenare al letto, che godono a protrarre la beffa e, anzi, si alzano per potere spiare la vittima: E levati, alla finestretta usata n'andarono; e nella corte guar- dando, videro lo scolare far su per la neve una carola trita, al suono d'un batter di denti che egli faceva per troppo freddo, s spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano. Allora disse la donna: "Che dirai, speranza mia dolce? parti che io sappia far gli uomini carolare senza suono di trombe o di cornamusa? E quanto pi intollerabile diventa l'attesa per lo scolare, tanto maggiore l'appagamento della coppia. La simultaneit delle due scene, mentre rende pi sanguinosa la beffa e pi comico l'accecamento dello scolare, rende anche pi gioioso l'adempi- mento del desiderio (che per il giovane amante un poco anche desiderio di un altro desiderio). Non solo l'amante deve depor- re ogni gelosia e ci che era materia di malinteso diventa materia di intima gratificazione, ma la beffa introduce quel gusto del- l'eccesso e della crudelt che costitutivo del piacere. Una situazione in parte simile si pu trovare nella VII, 7 dove Beatrice non si limita alla soddisfazione del desiderio, ma si UNA NQYELLA NON ESEMPLARE JJJIL_12liCAMEl{ON___ ---------J9--- prende una vendetta intellettuale sul marito Egano. Mentre ha deciso di accondiscendere ai desideri di Anichino, Beatrice li denuncia al marito. Poich Egano non dubita n della lealt della moglie, n della fedelt di Anichino nel quale aveva posto "tanto amore, che senza lui niuna cosa sapeva fare," la donna per mentire dice addirittura la verit. Essa mette alla prova l'insipienza del marito; si prende gioco della sua cecit, del suo dogmatismo, dei suoi modi di rappresentazione della realt. Ed una finissima beffa che davvero riassume (restituisce specular- mente) lo stravolgimento parodico lO di una novella di cui la prima parte pone i topoi del romanzo cortese (l'amor de lohn, la festa, la partita a scacchi) e la seconda il loro rovesciamento comico. Nella beffa la verit immediatamente il suo contrario; il modo di rivelarsi della verit un modo di nascondersi. La struttura della novella che ci che detto venga disdetto. Ma poi da dire che l'interesse della beffa non ha semplicemente per oggetto una mistificazione attraverso la verit; la sua intenzione non si esaurisce in un' intenzione di smascheramento. Certo Beatrice compie una sottile vendetta e seguitando a lungo a riderne non solo con Anichino ma anche con il marito (che ogni volta viene ad essere ingannato) torna continuamente a rinno- varia. Non si tratta per soltanto di un divertimento intellet- tualmente eccitante, dello straniamento di una cecit. Beatrice induce il marito ad assumere un ruolo femminile (lo costringe a travestirsi da donna); lo fa apostrofare con nomi femminili e, infine, bastonare da Anichino. Anche qui c' un gioco di sadis- mo e erotismo. La donna vuole s sbeffeggiare la saviezza di Egano, ma anche offrire lo spettacolo della sua insipienza e farne un dono all' amante. Le omologie pi evidenti si trovano nella VII, 9, una novella che vale la pena richiamare proprio per le verifiche che pu fornire. Oltre a soddisfare le tre bizzarre prove che Pirro le impone se vuole diventare sua amante, nella VII, 9 Lidia si impegna in aggiunta a soddisfarne un' altra scelta liberamente. Pirro sospetta una insidia da parte della donna, un modo di tentare la sua lealt, giacch giudica Nicostrato, marito di Lidia e suo signore, uomo "molto savio e molto avveduto," tale, cio, da non poter essere impunemente tradito. E la donna "per ci 4 GUIDO GUGLIELMI che egli cos savio reputava Nicostrato, disse che in presenzia di lui con Pirro si sollazzerebbe e a Nicostrato farebbe credere che ci non fosse vero." Tutt'e tre le dramatis personae conven- gono dunque sotto un pero: Pirro, secondo una parte prestabi- lita, sale sul pero e finge di vedere marito e moglie in atteggia- mento amoroso, con stupore del marito che salir a sua volta sul pero e vedr nello stesso atteggiamento la moglie e Pirro.Si dar a credere a Nicostrato che il pero incantato. Dopo avergli fatto vedere una scena falsa facendogliela passare per vera, gli si far vedere una scena vera facendogliela passare per falsa. Il Anichino temeva che Beatrice respingesse la sua richiesta d'a- more e lo denunciasse presso il marito ("Madonna, io temo forte che egli non vi sia noia se io il vi dico; e appresso dubito che voi a altra persona non ridiciate"); e Beatrice non solo d un pronto assenso ("O singular dolcezza del sangue bolognese! quanto se' tu sempre stata da commendare in cos fatti casi!"), ma mantiene il segreto proprio rivelandolo. Pirro teme soprat- tutto Nicostrato. Le prove che impone a Lidia (uccidere lo sparviero di Nicostrato, stra:ppargli una ciocchetta della barba e estirpargli un dente) sono anche un po' dei modi arguti per schermirsi dalle sollecitazioni che riceve. E Lidia si assegna una prova ancor pi temeraria, che deve per mostrare in tutta la suaestensione 1'insipienza di Nicostrato. Le donne si vendicano di una colpa implicita o esplicita dei mariti (Nicostrato un vecchio che non ha esitato a sposare una giovane e bella mo- glie), di una colpa comunque che attiene al misconoscimento dei diritti della natura e dei sensi. Nel dar corso ai loro appetiti, esse tacciano indirettamente - mediante una beffa - di imbe- cillit i loro mariti (si pu mostrar loro la verit senza che la vedano) e godono di questa trasgressione. Ci che accomuna le tre novelle il fatto che, in tutt' e tre i casi, l'eros si alimenta di una aggressivit verso una vittima, che in sostanza eros e sadismo sono fusi, anche se nel caso della VIII, 7 il sadismo si presenta come immotivato o, comunque, sfornito di razionalizzazione. Non si tratta quiinfatti di una vendetta, in termini impliciti o espliciti; e soprattutto manca l'elemento intellettuale. La beffa della vedova contrassegnata dalla casua- UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 4 1 lit e gratuit pi festosa. Non solo. Ma dalla beffa si passa allo sbeffeggiamento aperto. Allo scolare che le dice di aver perduto la sensibilit e la prega di preparare un buon fuoco, la donna, a un certo punto, non ha neppure pi bisogno di celare la propria derisione: "Questo non dee potere essere, se quello vero che tu m'hai pi volte scritto, cio che tu per l'amor di me ardi tutto; ma io san certa che tu mi beffi. Ora io va: aspettati e sie di buon cuore." A partire da questo momento, del resto, la beffa ha un seguito che una pura sequenza di danneggiamento. Anche quando ormai interamente disingannato, quando passato dall'accecamento al riconoscimento della verit, lo scolare deve infatti restare ancora lungo tempo chiuso nella corte (inutil- mente tentando vie d'uscita), finch all'alba non scende final- mente la fante ad aprirgli e, scusando la donna, a congedarlo. La sequenza di danneggiamento in verit una funzione cerniera perch salda le due parti della novella: ne chiude la prima e ne apre la seconda. qui che l'amore dello scolare si converte in odio ed qui che egli comincia, mentre tutto distrutto nel corpo, ad assumere un ruolo attivo e dominante. Gi rispon- dendo alla fante che maliziosamente e perfidamente finge di confortarlo ("Portatelo in pace, ch quello che stanotte non potuto essere sar un'altra volta"), egli comincia, a sua volta, a simulare, sapendo "niuna altra cosa le minacce essere che arme del minacciato" e mostra di accettare le scuse che la fante mandata a porgergli per conto della donna. Cos serra "dentro al petto suo ci che la non temperata volont s'ingegnava di mandar fuori." Ma sedal ruolo del mistifica to egli passa al ruolo del mistificatore, qui si ferma l'analogia tra la beffa e la contro- beffa. Non c' affatto un semplice scambio di ruoli. La beffa si definisce nel corso del suo sviluppo, utilizza le occasioni, resta aperta e disponibile in pi direzioni. Essa il frutto della vitalit della donna e il medium della manifestazione di tale vitalit. All'inizio c' solo un'intenzione di fomentare illusivamente una passione, di porsi al centro di un gioco e di autorimunerarsi. Il fortuito, gli accadimenti imprevisti e istantanei, forniscono ma- teria al gioco, ne segnano il corso, e decidono delle sue svolte e del suo punto di risoluzione. La donna agisce facendosi portare 42 GUIDO GUGLIELMI dalla situazione. C' un "epico" accordo tra caso e mondo. Se una contrariet si presenta, essa non ha bisogno di essere neutra lizzata, ma diventa subito un elemento del gioco. Gli impedi- menti (sollecitazioni dello scolare e gelosia dell'amante) fanno progredire la beffa; i contrattempi si trasformano in oppor.tuni- t, in fonti, per cos dire, insospettate di eccitamento. Le cose succedono felicemente nei modi di un' affettivit elementare. Manca uno spessore psicologico; la riflessione e l'autoriflessio- ne non hanno bisogno di nascere. Anche parlare di perversione non avrebbe senso. Il mondo fornisce la trama in cui il piacere si rivela a se stesso e si realizza. La controbeffa ha invece una struttura completamente di versa. Lo s ~ o l a r e una figura della nascita della soggettivit, cio di un io capace di rendersi autonomo dagli impulsi e dagli interessi dell'affettivit. La donna non esita a rivolgersi a lui, su suggerimento della fante, perch le riconduca l'amante, che intanto l'ha abbandonata, "per alcuna nigromantica operazio- ne." E Boccaccio non manca di sottolinearne la corrivit e l'immediatezza con cui risponde agli stimoli del momento, la mancanza di prudenza e di saviezza (e sar rilievo che pi volte torner nella novella): "La donna poco savia, senza pensare che se lo scolare saputa avesse nigromantia per s adoperata l'av- rebbe, ... " Lo scolare al contrario diventa protagonista della novella grazie alla saviezza, alla capacit di preordinare gli scopi, calcolare gli effetti, saper attendere. Se 1'irriflessione un attributo della naturalit, la riflessione (e 1'autoriflessione) l'attributo della negazione della naturalit. Questa la novit semantica che presenta la controbeffa. A servire alla ritorsione e alla vendetta, saranno proprio gli attributi intellettuali che alla donna mancano e che essa vilipende. Il senno dello scolare subito argomento di riso, gi nelle parole della donna rivolte alla fante ("Hai veduto dove costui venuto a perdere il senno che egli ci ha da Parigi recato?"); e l'intelligenza (pi pr.ecisamente il sapere e la cultura) svalutata sar non solo lo strumento ma soprattutto il fine della controbeffa. Ci che interessa allo scolare infatti essere riconosciuto come tale, in quanto scolare UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 43 (e vorremmo dire intellettuale). Il suo scopo imporre il riconoscimento e la stima dell'intelligenza. L'io della donna un io del piacere; le realizzazioni del desiderio sono presso di lei di natura immediatamente istintuale. L'io dello scolare un io costruito e razionale. La beffa sembra aver colpito non tanto la sua natura istintuale, quanto principalmente la sua identit intellettuale. In lui opera una tendenza alla sublimazione. L'op- posizione tra i due personaggi sar perci opposizione tra ele- mento affettivo e elemento intellettuale. La donna vive in un mondo magico-naturale; per essa - come per la fante - il sapere potr essere solo un sapere da negromante, un sapere pratico che agisce sul mondo al di l delle normali operazioni, un'arte di ordine naturale, bench di grado superiore, che del resto continua ad avere la sua parte nel Decameron. Ancora alla fine della novella attribuir a operazioni di demoni ("indozza- menti di demoni") la sua disavventura, per giustificarsi davanti "a' suoi fratelli e alle sirocchie." E il primo inganno dello scolare consister nel farsi credere depositario di un tale sapere. La trama della controbeffa potr cos essere accuratamente predisposta. Per riavere l'amante, alla donna converr eseguire un rituale magico. Dovr, tra l'altro, sette volte immergersi nuda in un fiume, durante una\particolare fase della luna; quindi dovr raggiungere un luogo elevato e pronunciare le parole magiche: subito sarebbero apparse due bellissime damigelle che, udito il voto, lo avrebbero esaudito. E nella notte stabilita lo scolare si apposta per godere dello spettacolo. La donna compare puntualmente: .. e passandogli ella quasi allato cos ignuda e egli veggendo lei con la bianchezza del suo corpo vincere le tenebre della notte e appresso riguardandole il petto e l'altre parti del corpo e veden- dole belle e seco pensando quali infra piccol termine dovean divenire: sent di lei alcuna compassione; e d'altra parte lo stimolo della carne l'assal subitamente e fece tale in pi levare che si giaceva e confortavalo che egli da guato uscisse e lei andasse a prendere e il suo piacer ne facesse: e vicin fu a essere tra dall'uno e dall'altro vinto. Ma nella memoria tornandosi chi egli era e qual fosse la 'ngiuria ricevuta e perch e da cui, e per ci nello sdegno raccesosi e la compassione e il carnale appetito cacciati, stette nel suo proponimento fermo e lasciolla andare. 44 GUIDO GUGLIELMI Ecco dunque che l'opposizione elemento affettivo! elemento intellettuale che definiva i due personaggi diviene tensione all'interno dello scolare. Per portare avanti la sua vendetta, egli deve emanciparsi dalla compassione e dal sensibile. "Carnale appetito," da una parte, e "proponimento fermo," dall'altra, saranno le due polarit di un dramma psicologico. L'affermazio- ne del contrario della natura (l'intelletto) passer attraverso la negazione della natura stessa. Si in verit compiuta una trasformazione nella storia dello scolare. Nella prima parte della novella egli presentato come un nobile uomo ("chiamato Rinieri") che ha studiato a Parigi lungamente e "non per vender poi la sua scienza a minuto"; ma "come spesso avviene coloro ne' quali pi 1'avvedimento delle cose profonde pi tosto da amore essere incapestrati," anche come persona inesperta del mondo e facile preda di amore. Tra avvedimento (modalit intellettuale) e passione (modalit sen- sibile) non si ancora data conflittualit. Non ancora giunta la verifica dell' esperienza. La conflittualit si delinea gi nella notte della beffa ("io mi conosco, n tanto di me stesso apparai mentre dimorai a Parigi, quanto tu in una sola notte delle tue mi facesti conoscere"), quando l'amore si muta in odio, un odio gi astuto, capace perfettamente di dissimularsi, i cui effetti appun- to non si producono immediatamente, ma vengono avveduta- mente differiti. La lunga malattia, che mette a repentaglio la vita dello scolare, assume, d'altra parte, un po' una funzione di iniziazione. Il rapporto con il mondo altro della morte e del basso ("la infermit del mio freddo col caldo del letame puzzo- lente si convenne curare"), segna l'acquisizione dell'interiorit della coscienza e del passaggio all' esperienza. L'attraversa'- mento della malattia porta a un rinnovamento-trasformazione dell'io. Nasce cio un diverso tipo di temporalit della coscien- za. La controbeffa - si visto - portata avanti con de- terminazione e preparata di lunga mano. La ricerca e l'attesa paziente dell' occasione propizia, l'anticipazione mentale di ogni dettaglio dell' azione, comportano appunto una temporalit che si orienta sul passato e sul futuro e subordina a s il presente. La temporalit della donna era invece il presente: n il passato (la UNA NOVELLA -NON ESEMPI ARE DEI DECAMERON memoria), n il futuro (il progetto) la interessavano. Ogni ora, ogni momento, era portatore di un dono (di una fruizione). Il- tempo si rinnovava, ma non era mai tempo. come perdita, n tempo come rinvio, ulteriorit, sospensione della immediatezza. Che cosa deve fare la negromanzia se non richiamare magica- mente l'amante perduto, evocarne immediatamente la presen- za? Immanenza dunque versus trascendenza delle strutture tem;.. porali. E non si tratta di una semplice variazione di schema, di un mutamento gerarchico dei tempi, ma di una diversa imposta- zione della temporalit che comporta una distanza rispetto al mondo e che si conviene piuttosto al romanzo che alla novella. Ma vediamo come si articola narrativamente la vendetta propriamente detta dello scolare. La donna stata dunque attirata nuda, con inganno, in un luogo solitario, su una torre dalla quale non potr discendere. Rester l esposta al calore diurno dell' estate, come lo scolare era stato esposto al freddo notturno dell'inverno. Fin qui la corrispondenza rovesciata tra beffa e controbeffa. Le determinazioni spaziali sono anche qui in evidenza. Non c' circolazione dall'alto (la torre) al basso. attenerla diventa la posta del contrasto donna/scolare che subi- to segue. Ma ora non si gioca pi alcuna commedia degli equivoci. Il dialogo non si sviluppa pi all'interno della beffa, ma d luogo a un'autonoma ed estesa sequenza funzionale. L'azione non si distribuisce pi su due piani, quello della mistifi- cazione e quello dello spettacolo, ma su un unico piano dia:.logico. L'inganno si smaschera subito. La controbeffa servita solo come cornice di una vendetta. L'elemento dialogico ora domina e assorbe l'elemento spettacolare. Alla azione-spettacolo suc- cede un diretto scontro di voci, una scena psicologica. La donna vuole ricondurre la sua avventura a una situazione codificata; ha bisogno di stabilire un patto (o un contratto). Comincia perci a confessare la propria debolezza e sciocchezza e a riconoscere il valore dello scolare _ La sua tecnica dapprima quella della svalutazione di s e dell'appello alla magnanimit dell'altro. L'argomento della debolezza un'arma per sollecitare la respon- sabilit di chi si ormai imposto come signore. Facendo atto di sottomissione la donna pu chiedere allo scolare di prendersi GUIDO GUGLIELMI cura del suo onore e di salvarla dallo scandalo. Ma il dialogo non si sviluppa secondo la meccanica delle reazio'ni previste, nei limiti di un gioco erotico e galante. La parola dello scolare non una parola che ribatte a un'altra parola, ma una parola che cancella un'altra parola, la disarticola, la spinge progressiva- mente al silenzio. La sua risposta la risposta dello scherno e del sarcasmo, dal consiglio, rivolto alla donna, di chiamare in soccorso l'amante, a quello, pi aspramente provocatorio, di gettarsi dalla torre: "Ma se tu n'hai cos gran voglia di scendere, ch non te ne gitti tu in terra? E a un'ora con l'aiuto di Dio, fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare e me farai il pi lieto uom del mondo." Il discorso inteso a perfezionare una rottura, a mettere fuori gioco ogni possibilit di intesa. La sottomissione della donna e l'appello alla magnani- mit sono entrambi respinti. Il linguaggio pu ricuperare con- notazioni bibliche. La donna non "colomba" (come si era detta), ma "velenosa serpe," "antichissimo nemico." Alla bel- lezza fragile, insidiata dalle rughe della vecchiaia (" E da che diavol, togliendo via cotesto tuo pochetto di viso, il quale pochi anni guasteranno riempendolo di crespe, se' tu pi che qualun- que altra dolorosetta fante?"), viene contrapposto il merito del "valente uomo," la sua inalterabile natura. Per ingrandire l'immagine di s, lo scolare ha bisogno di mortificare quella della donna ("Insegnerotti adunque ... che cosa sia lo schernir gli uomini che hanno alcun sentimento e che cosa sia lo schernir gli scolari"), ha bisogno di svuotare di ogni valore il piano del sensibile, dell'immediato, del vitale. (E converrebbe richiamare la X, lO, la novella di Gdselda, dove si ha un'analoga combina- zione di sublimazione e sadismo). La risposta dello scolare obbliga la domanda (l'appello della donna) a attestarsi su un registro pi basso, a farsi pi umile. L'ambito degli argomenti si riduce progressivamente. Lascian- do da parte l'argomento della "giovane bellezza," delle "amare lagrime" e degli "umili prieghi," che pure nel suo discorso non manca accortamente di evocare e di lasciare sullo sfondo, la donna si appella ora alla propria buonafede, che sola avrebbe dato modo e via al castigo e alla vendetta, nel tentativo, irrime- UNA NOVELLA NON_ESEMPLARE DEL DECAMERO!{. diabilmente comico, anche se affannoso e disperato, di fissare un debito dello scolare, di stabilire un rapporto e una complici- t. Siamo ihdubbiamente qui a un livello di realismo serio, bench il contesto sia comico. Se mai altra, questa la novella in cui l'interpretazione di Auerbach del Decameron appare pi riduttiva. La donna finisce per mostrarsi disposta non solo a cambiare amante, ma anche a offrirsi come semplice oggetto di "trastullo" e di "diletto": Deh, lascia l'ira tua e perdonami ornai! io sono, quando tu perdonar mi vogli e di quinci farmi discendere, acconcia d'aban- donare del tutto il disleal giovane e te solo avere per amadore e per signore, quantunque tu molto la mia bellezza biasimi brieve e poco cara mostrandola; la quale, chente che ella, insieme con quella dell'altre, si sia, pur so che, se per altro non fosse da aver cara, si per ci che vaghezza e trastullo e diletto della giova- nezza degli uomini: e tu non se' vecchio. Essa giunge a porsi secondo 1'ottica dello scolare, a volersi nella propria nullit, a sancire la propria mortificazione. La sua condizione diventa inevitabilmente comica e creaturale insie- me. Il linguaggio dello scolare assume invece sempre pi -la forma di un ragionato delirio. Rifiutando debiti e dipendenze, egli innalza il potere delle lettere al di sopra delle opportunit e delle variazioni del caso e proclama la sua autosufficienza: E dove tutti [i lacciuoli] mancati mi fossero, non mi f u ~ g i v a la penna, con la quale tante e s fatte cose di te scritte avrei e in s fatta maniera, che avendole tu risapute, ch l'avresti, avresti il d mille volte desiderato di mai non essere nata. Le forze della penna sono troppo maggiori che coloro non estimano che quelle con conoscimento provate non hanno. Bersaglio della sua retorica diviene coerentemente il tema della vitalit e della affermazione, cio il tema della giovinezza, che, mentre vista come pi vigorosa, poi accusata sprezzante- mente di essere mutevole, vanagloriosa, incapace di un' arte del piacere: Voi v'andate innamorando e disiderate l'amor de' giovani, per ci che alquanto con le carni pi vive e con le barbe pi nere gli vedete e sopra s andare e carola re e giostrare: le quali cose tutte
GUIDO GUGLIELMI ebber coloro che pi alquanto attempati sono e quel sanno che coloro hanno a imparare. Dove (e pi ancora nella netta contrapposizione di natura e arte che segue) non possibile non leggere il segno di un'insuffici- enza, un cruccio dissimulato o un'invidia non ammessa per l'et pi vitale. La dura negativit viene alla fine ribadita ed enfatica- mente rafforzata: E acci che tu del desidero degli occhi miei possi maggior certez- za nell'altro mondo portare che non mostra che tu in questo prenda dalle mie parole, gittati gi pur tosto, e l'anima tua, s come io credo gi ricevuta nelle braccia del diavolo, potr vedere se gli occhi miei d'averti veduta strabocchevolmente cadere si saranno turbati o no. Ma per ci che io credo che di tanto non mi vorrai far lieto .... Il contratto (che nel caso di Gualtieri e Griselda nella X, lO pone fine al contrasto) non si realizza e il linguaggio si esaspera. La dialettica del riconoscimento non ha luogo. Anche per la donna intanto venuto il momento del passaggio dall'immedia- tezza alla mediatezza, dall'affermazione alla negazione. L'ingan- no in cui caduta ha avuto l'effetto di destarla alla coscienza. Lo scolare l'ha strappata alla sua naturalit e violentemente con- dotta alla cognizione di s (" sieti assai l' esserti potuto vendicare e l'averlomi fatto conoscere"; "ho dato via al tuo disidero in potermi fare del mio peccato conoscente"): l'evento non pi per lei occasione di godimento, ma l'obbliga a un tempo d'arre- sto della vitalit, all'amarezza dell'autoriflessione, a sacrificare l'oggetto d'amore. Al danneggiamento simbolico (attraverso il linguaggio) segue il danneggiamento fisico (carni cotte, punture di insetti, stimoli della sete) e la donna impara a maledire non solo lo scolare e l'amante, ma proprio se stessa. La natura non pi fonte vitale, si fatta estranea, non soccorre pi. Al corpo radioso (che attraversava la notte) si contrappone il corpo pia- gato, l'anatomia del corpo: Il sol di sopra e il fervor del battuto di sotto e le trafitture delle mosche e de' tafani da lato s per tutto l'avean concia, che ella, dove la notte passata con la sua bianchezza vinceva le tenebre, UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 49 allora rossa divenuta come rabbia e tutta di sangue chiazzata, sarebbe paruta a chi veduta l'avesse la pi brutta cosa del mondo. E c' certamente una ragione struttutale, in senso dantesco, in questa metamorfosi. Il castigo colpisce lo strumento degli inganni e dei piaceri, cio il corpo. Colpa e pena sono funzional- mente connesse: Il corpo piagato la verit (si vorrebbe dire il compimento) del corpo radioso. rappresentazione oggettiva e, insieme, visualizzazione di un significato. La bellezza vista come fenomeno naturale e sotto l'aspetto intellettuale e simbo- lico. corpo radioso, ma in quanto rifiutato e negato, assunto nella prospettiva della sua degradazione. Anche il giorno e la notte, l'estate e l'inverno, caldo e gelo, si caricano di una marca negativa. La natura si associa al tema della distruzione; la sua connotazione " infernale" (e si capisce la frequenza dei rimandi danteschi). 12 Il rovesciamento di situazione nella seconda parte della novella non si limita dunque a un'inversione di ruoli tra i due protagonisti - a un gioco di permutazioni nell'ambito di una combinatoria - ma comporta sviluppo, diacronia, modifica- zione di contesto. Dove nella beffa elemento affermativo- erotico e elemento negativo-sadico sono collaboranti in un presente assoluto, nella controbeffa l'elemento negativo-sadico resta dominante. Nel contempo l'azione assume uno spessore temporale. Si veda come nella situazione di discorso dello scolare interferisca ossessivamente il ricordo dell'ingiuria su- bita: Madonna Elena, se i miei prieghi .... m'avessero impetr.ato, la notte che io nella tua corte di neve piena moriva di freddo, di potere essere stato messo da te pure un poco sotto il coperto, leggier cosa mi sarebbe al presente i tuoi esaudire .... . . . ricordati del freddo che tu a me facesti patire .... Malvagia donna, delle mie mani non morrai tu gi, tu morrai pur delle tue, se voglia te ne verr, e tanta acqua avrai da me a solleva- mento del tuo caldo, quanto fuoco io ebbi da te a alleggiamento del mio freddo. la memoria (la ripetizione del passato) che alimenta la nega- zione. L'elemento erotico, d'altra parte, sempre presente 5 GUIDO GUGLIELM- nello scolare, ma - e lo si gi notato - in forma rimossa. Esso si manifesta lungo tutto il contrasto che unisce e oppone i due protagonisti. Ed ancora, da ultimo, sia sotto forma di compas- sione, la compassione che si accompagna al rifiuto opposto alla richiesta di un bicchier d'acqua da parte della donna, e che per prontamente respinta: "Ben conobbe lo scolare alla voce . la sua debolezza e ancor vide in parte il corpo suo tutto riarso dal sole, per le quali cose e per gli umili suoi prieghi un poco di compassione gli venne di lei; ma non per tanto . . ." Sia, secondo i modi di una forma indiretta che rivela un interesse niente affatto spento, nella deprecazione (e indignazione) che la bellezza offuscata sarebbe presto tornata al suo naturale colore e splendore: "Di tanto mi dolgo forte, che ... tu da questo caldo scorticata non altramenti rimarrai bella che faccia la serpe las- ciando il vecchio cuoio." Lo scolare mette in atto una retorica della degradazione che cos non pu che riproporsi continuamente. L'enfasi surroga un rapporto con la realt che si perduto o divenuto problema- tico. La parola si fa intransitiva. Lo scolare si diverte a mante- nere il flusso comunicativo con la donna (" ... lo scolare, che a diletto la teneva a parole"). Ma rimuovendo (anche se non sopprimendo) l'interesse erotico, egli sostituisce il piacere della parola - della negazione appunto - al piacere dell' oggetto. Il presente della donna (e del suo amante) era una situazione di piacere; il presente dello scolare una situazione di discorso. Non si esce dalla sfera del linguaggio. La parola dilazionatrice sta per l'atto risolutore e lo sospende indefinitamente. La mediazione del simbolo porta a processi di sublimazione: l'og- getto disinvestito ed investita la parola: c' trasposizione dal concreto all'astratto. Lo stesso scolare non pi un'individuali- t singola, determinata dal proprio nome, non Rinieri (sarebbe difficile ricordare il suo nome), ma un' essenza, un tipo, il rap- presentante di una classe, uno scolare appunto. Ed allo stesso modo, l'odio in cui si convertito il suo amore, ha bisogno di giustificazioni ideologiche, di trarre autorizzamento dalla tradi- 'Zione misogina (classica e cristiana), di tradursi in formulazione e argomento. L'azione propriamente detta acquista un rilievo UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON SI secondario. L'autoriflessione implica differimento e storicit, superamento del" questo" della sensazione e della percezione. E la quete narrativa si risolve in un allontanamento dell' oggetto, o, magari, in un rinvio da un oggetto a un altro, dalla vedova all'altra donna, pi savia e pi degna, che lo scolare dice di aver trovato. Tutta la novella pu essere letta come un processo di perdita dell'immediatezza sensibile e di acquisizione del simbo- lico. Il processo della quete in definitiva un processo di rinun- cia. Gli ostacoli non sono impedimenti narrativi destinati ad essere tolti, o a portare ad esiti tragici - secondo la struttura chiusa della novella - ma determina un mutamento di rapporti con l'oggetto. Al principio e alla fine i personaggi appaiono qualitativamente trasformati. La vedova stessa guarir dalle piaghe, ma "dimenticato il suo amante, da indi innanzi e di beffare e d'amare si guard saviamente." Beffa e controbeffa con ogni evidenza non si pareggiano. Le due parti non sono omologhe. Una figura di scolare (lo stesso scrittore e autore) che viene beffato e straziato da una vedova si trova in un altro e pi tardo testo di Boccaccio. Si tratta ovviamente del Corbaccio. L'opera per la sua diversa costruzione, che di tipo (apparizione in sogno di uno spirito purgatoriale che viene in soccor.so di una mente smarrita), permette di delimitare per un altro verso il luogo strutturale della novella. noto che le corrispondenze tra i due testi sono estremamente puntuali. Le richiamo brevemente. Anche nell' "umile trattato" c' il pia- cere di beffarsi di qualcuno e di farne argomento di gioco tra amanti: la vedova e il suo giovane amico ("il secondo Absalo- ne") leggono insieme le lettere del maturo corteggiatore; e insieme combinano la risposta. E vi ritroviamo la delusione e soprattutto l'indignazione che proprio l'intelligenza e il sapere, "quando il bisogno viene," si dimostrino di nessun uso: Due cose erano quelle che quasi ad estrema disperazione m'avea- no condotto: l'una fu il ravvedermi che, dove io alcun sentimen- to credeva avere, quasi una bestia senza intelletto m'avvidi che io era; e certo questo non da turbarsene poco, avendo riguardo che io la maggior parte della mia vita abbia speso in dovere qualche cosa sapere, e poi, quando il bisogno viene, trovar mi non 52 GillDO GUGLIELMI sapere nulla; l'altra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altrui che io di lei fossi innamorato; e in questo pi volte crudele e pessima femmina la chiamai. 13 l'identit dell'uomo d'intelletto che ancora una volta si sente presa ?i mira e colpita. Qui la vendetta vorr "con parole castigare" e "parvificare" la donna, renderne pubblici i segreti e le brutture. Ma si tratter di una modalit gi adombrata nella novella. La potenza della letteratura viene ancora riaffermata, anche come bella menzogna, per bocca addirittura dell'inter- locutore (la guida spirituale): Se io ho il vero gi molte volte inteso, ciascuno che in quello s' dilettato di studiare o si diletta che tu fai, ottimamente, eziandio mentendo, sa cui gli piace tanto famoso e s glorioso rendere negli orecchi degli uomini, che chiunque di quel cotale niuna cosa ascolta, lui e per virt e per meriti sopra i cieli estiman tenere le piante de' piedi; e cos in contrario, quantunque virtuoso, quantunque valoroso, quantunque da bene stato sia uno che nella vostra ira caggia, con parole che degne paiono di fede nel profondo di ninferno il tuffate e nascondete. 14 Ripreso infine il topos dell'indegnit della donna ("questo esecrabile sesso femineo"15) per rispetto all'uomo (" ... ottima- mente si comprender il pi vile, il pi menomo uomo del mondo, il quale del bene dello 'ntelletto privato non sia, preva- lere a quella femmina, in quanto femmina, che temporalmente tenuta pi che alcuna dell'altre eccellente"J6); nonch il topos della metamorfosi della colomba in serpente (" ... discoprire, che ella di colomba subitamente divenne un serpente"17). Si pu perfino osservare l'uso dello stesso verbo ("incapestrare") per indicare l'indegna servit amorosa. Il tema della creaturalit, per, si rinforza e d luogo ad un tipo di satira grandiosa e, per cos dire, definitiva ("La femmina animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli, e abominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionarne. Il che se gli uomini raguardassero come dovessero, non altrimenti an- drebbono a loro, n con altro diletto o appetito, che all'altre naturali e inevitabili opportunit vadano; i luoghi delle quali, posto gi il superfluo peso, come con istudioso passo fuggono, UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 53 cos loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che la deficiente umana prole si ristora, siccome ancora tutti gli altri animali, in ci molto pi degli uomini savi, fanno. Niuno altro animale meno netto di lei; non il porco, qualora pi nel loto convolto, aggiugne alla bruttezza di loro"18); a un tipo di satira, cio, che toglie per sempre all'oggetto ogni possibilit di riscatto. L'ana- lisi poi del corpo parte per parte - prima il viso ("verde, giallo, mal tinto, d'un color di fumo di pantano"19) e successivamente il seno ("vescica sgonfiata"20), la ventraia ("di larghi e spessi solchi vergata"21), il sesso ("bocca," "golfo" e "voragine") e l'ano ("borgo di Malpertugio"22) non potrebbe trovar luogo nel De- cameron. Il gusto della dissezione e dell'anatomia tradisce un odio del sensibile in generale. qui la differenza rispetto alla novella, dove la negazione della sciocca natura lascia sempre aperta una prospettiva che pu essere solo mondana. La Bellez- za mortificata della novella non affatto annichilata. Essa , per esempio, presente nella figura dell'altra donna, di ben altro valore, che ha ora e ricambia l'amore dello scolare. N importa che nella novella la rappresentazione riguardi la donna sciocca e che la donna savia non sia pi che una simulazione retorica, un argomento nel contrasto scolare/vedova. Importa piuttosto che non sia trasceso l'orizzonte dell' immanenza. Sono invece solo le Ninfe Castalide, le muse classiche e cristiane, che nel Corbaccio possono essere promesse come non ingannevoli, se- condo le parole del mediatore spirituale apparso nel sogno: Mentre tu sarai ne' boschi e ne' rimoti luoghi, le Ninfe Castalide, alle quali queste malvage femmine si vogliono assimigliare, non t'abandoneranno gi mai; la bellezza delle quali, s come io ho inteso, celestiale; dalle quali, cos belle, tu non se' n ischifato n schernito, ma loro a grado il potere stare, andare e usare teco. 23 Il tempo qui quello dantesco; tempo giudicato, tempo senza divenire. Ed appunto la cornice simbolico-allegorica il pre- supposto artistico che rende possibile l'estremit della satira. Al contrario, nella novella, non questione della netta contrappo- sizione tra due mondi alternativi, uno degradato e uno "celestia- le," bens di una dialettica tra natura e arte, physis e esperienza. 54 GUIDO GUGLIELMI Proprio per questo, d'altra parte, la novella non pu pi essere letta come restituzione di un equilibrio, uguaglianza di beffa e controbeffa. La modificazione narrativa stabilisce una tempora- lit problematica, pone una mancanza che ora non pu pi venire rimossa. Gli eventi non si lasciano pi sottomettere alla legge di una sincronia o di un ordine - come pi spesso accade nel Decameron - ma si ordinano dinamicamente. Il soggetto non appare pi immediatamente interessato alla propria felicit o infelicit (felicit e infelicit che aristotelicamente conseguono alle azioni), ma alla definizione di s, alla verifica del proprio statuto di carattere, alla ricerca della propria verit psicologica. E come il romanzo (borghese) la novella resta aperta. La sua stessa carica allucinatoria appena razionalizzata 24 - si veda l'episodio della fante che alla fine cade rompendosi una coscia - ancora la spia di un orientamento romanzesco. Il personag- gio raggiunge il possesso di s, si gratifica di se stesso, ma perde la pienezza dell'oggetto. E l'insoddisfazione che conclusiva- men te si genera l'effetto della storici t dell' esperienza, il riflesso psicologico di una tensione che continua a vigere, di una dialettica che non pu pi trovare compiuta risoluzione. GUIDO GUGLIELMI Universit di Bologna IT. Todorov, Grammaire du Dcamron (The Hague - Mouton, 1969), pp. 85 sgg. p. 42. 'Cfr. E. Auerbach, Mimesis, trad. it. (Torino: Einaudi, 1956), p. 221. 4Todorov, p. 82. V. Sklovskij, Lettura del Decameron, trad. it. (Bologna: Il Mulino, 1969), pp. 189 sgg; e V. Branca, "Giovanni Boccaccio rinnovatore dei generiletterari," in Atti del Convegno di Nimega sul Boccaccio (28-29-30 ottobre 1975),(Bologna: Ptron Editore, 1976), pp. 24- 3 5. bCfr. M. Baratto, Realt e stile nel Decameron (Vicenza: Neri Pozza Editore, 1970), pp. 125 sgg. 7Tutte le citazioni dal Decameron sono tratte dall' edizione a cura di V. Branca, in Tutte le opere di G. Boccaccio, voI. IV (Milano: Mondadori, 1976). UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DELDgCAMERON 55 8Todorov, p. 46. 9Cfr. R. Scholes e R. Kellogg, La natura della narrativa, trad. it. (Bologna: Il Mulino, 1970), p.239. IOCfr. V. Branca, Boccaccio medievale (Firenze: Sansoni, 1975), pp. 127-33; e Baratto, pp. 164-67. II Cfr. Baratto, pp. 271-74. I2Cfr. G. Almansi, "Alcune osservazioni sulla novella dello scolare e della vedova," in Studi sul Boccaccio, VIII, 1974, pp. 141-43. DG. Boccaccio, Il Corbaccio, Introduzione, testo critico e note di Tauno Nurmela (Helsinki: Suonalainen Tiedeakatemia, 1968), p.65. 14/btd., pp. 136-37. 15 Ibtd., p. 76. 16Ibtd., p. 86. 17/btd., p. 89. 18/btd., p. 7I. 19Ibtd., p. llI. lO/btd., p. 113. 21/bM., p. 113. 22/btd., p. 114. 23Ibid., p. 87. 24Cfr. A. Moravia, "Boccaccio," in L'uomo come fine (Milano: Bompiani, 1964), p. 147. FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO: A READING OF TRE GABRINA EPISODE Altri in amar lo perde, altri in onori, altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze; altri ne le speranze de' signori; altri dietro alle magiche sciocchezze; altri in gemme, altri in opre di pittori, et altri in altro che pi d'altro apprezze. (XXXIV, 85)1 In Le fonti dell'Orlando Furioso Pio Rajna wrote of the Gabrina episode: "Non c' forse in tutto il Furioso un episodio che offra migliore opportunit di indagare i criteri, le tendenze, l'arte dell'Ariosto."2 We may add to this statement - which reflects the positivist's preoccupation with the poet's ability to mani- pulate and transform his sources - that the story of Gabrina occupies a special pIace in Ariosto' s poem for its thematic ties with the centraI episode of Orlando's madness. The failure of critics to perceive these ties may be explained by the still current tendency to interpret the Furioso only in the light of the poetics of variation. This tendency is perhaps best illustrated in these observations by Attilio Momigliano: "L'episodio di Gab- rina , in certo modo, il rovescio di quelli che occupano le pi lunghe e le pi grandi pagine del poema: per esempio, del- l'episodio di Angelica, la splendida donzella a cui tanti farebbero cos volentieri da cavaliere; e appunto perch ne il rovescio, conferma l'ideale dell' Ariosto. Il riso di scherno con cui egli copre quella vecchia bertuccia scortata cavallerescamente, pre- suppone lo sguardo ammirato che egli posa sopra 'la verginella simile alla rosa.' La guardia che le fa Zerbino l'affermazione, strana ma seria, di un dovere proclamato e venerato per tutto il poema."J Leaving a s ~ d e Momigliano's inaccurate evaluation of Ariosto's view of Angelica, a view that is at best ambivalent (we alI recall the lighthearted irony with which the poet treats this FOLLY IN TRE -'!r.LR]O _____ SO=--___ ____ _ 5] "verginella," and her almost ignominious dismissal from the poem), I finn untenable his interpretation of Gabrina as a figure whose main function is to create a contrast between evil and good, in order that the latter be enhanced. Significantly, Mo- migliano himself is somewhat perplexed by what he terms Ario- sto's bizarre representation of the chivalric ideals: "Ma questa volta l'attuazione di quell'ideale , in gran parte, bizzarra."4 But then he remarks: "Il caso, che nel Furioso signore non meno che l'ideale, vuole che questa volta il dovere cavalleresco sia, pi che duro, brutto. Il caso non poi altro che la fantasia cangiante dell' Ariosto, la quale trasporta la sua anima nelle pi diverse contrade e la veste degli abiti pi diversi; ma in fondo questa rimane sempre una nobile creatura, innamorata della forza, della lealt, della bellezza e dell'amore."5 Here the critic fails to see that Ariosto, with the absolute control of the omnipresent poet, is consciously contrasting Gabrina with Zerbino in order to create a tension betweenher ever-changing schemes and the knight' s obstinate adherence to his code. In the exordium of Canto XXII (3) Ariosto clearly states that he has dared sing of Gabrina because "l'ordinata istoria cos vuole." The episode of Gabrina is therefore part of an order of which the poet is the prime mover. We cannot then speak, as Momigliano does, of a contrast between Ariosto's fantasy and his soul's most intimate ideals, duly projected into his poetic creation as chance and chivalric ideals; nor can we conclude with him that in this episode Ariosto ultimately focus- es his attention on these ideals because he firmly believes in them. What is significant here is that the obstinacy, the single- mindedness with which the knights live out their ideals, and which the poet:persona 6 declares to share, is tested for its validity, for its sanity, by being measured against attitudes and values like those of the wicked Gabrina. I t has been aptly observed that "Ariostois constantly examining experience with experience; he is constantly turning attitudes, statements, codes, visions - in short, appearances, words - back upon themselves. "7 58 FRANCO M A S ~ A R O As we now turn to the Gabrina episode, our task is to closely follow the play of circumstances, the juxtaposition of events, and to bring to light the fine, vital threads that connect this episode to the poem's center. We shall pay particular attention to those crucial signals by means of which Ariosto, using a variety of expressive devices, suggests that we refocus our lens and look through the eyes of the code-bound knights (and those of the poet-persona), as well as through the eyes of the omnipresent poeto 1 After her brief appearance at the end of Canto XII, where we find her in a grotto guarding Isabella for a band of robbers, Gabrina comes into full view in Canto XX, when she encounters Marfisa. From this point until her death at the hands ofOdorico (XXIV, 45), we follow her through a series of adventures during which she manages to escape punishment for her crimes, partly because of her cunning, but mainly because of the rigid norms governing the chivalric world in which she moves. Rer survival, we gradually discover, is directly dependent on the knights' failure to go beyond conventions and appearances. To them, in spite of her ugliness and her crimes, she remains a lady to protect. Marfisa first sees Gabrina as a helpless old woman: Quivi lungo un torrente, in negra gonna vide venire una femina antica, che stanca e lasa era di lunga via, ma via pi aflitta di malenconia. (XX, 106) The sympathetic nature of this representation acquires greater relief against the dry commentary of the poet: Questa la vecchia che solea servire ai malandrin nel cavernoso monte, l dove alta giustizia fe' venire e dar lor morte il paladino conte. La vecchia, che timore ha di morire per le cagion che poi vi saran conte, FOLty-m----mEu ORl:ANJXr-PUIUOSO gi molti d va per via oscura e fosca, fuggendo ritrovar chi la conosca. 59 (XX, 107) The narrator has suddenly shifted from the past to the present, and has sharply contrasted theexpressions: la vecchia and una femina antica; via oscura e fosca and lunga via; va ... fuggendo and (vide) venire. Furthermore, he has contrasted the landscapes against which Marfisa and Gabrina are respectively delineated: Marfisa is represented against the luminous background of a sunny mountain ("e venne a pi d'una montagna aprica," 106); while Gabrina is placed against the background of a dark road (a via oscura e fosca"). This process of differentiation reaches a subtler degree of effectiveneses when the two figures are brought into the same landscape: we see a torrent when the focus is on Gabrina ("Quivi lungo un torrente ... " 106; "si ferm al guado ... al guado del torrente ... " 108), and a little river when out attention turns to Marfisa ("di l dal fiumicel seco la trasse," 109). A further transformation occurs at the approach 'ofPina- bello, when the narrator speaks of a river ("verso il fiume venia . . . " 110).8 All this clearly suggests the dual viewpoint from which Gabrina is seen:' one is that of the chivalrous Marfisa (" che gentil fu da che nacque," 1 09); the other, that of the poet, who knows the real Gabrina and her dark crimes, and represents in the landscape a reflection of her interior world. As fiumicel corresponds to Marfisa' s kind nature, torrente constitutes a pro- jection of Gabrina's wickedness. We can thus perceive, but with an immediacy that permits a kind of double vision of the same object, what happe'ns in Marfisa and to Marfisa. 9 The contrasting views of Gabrina provide the creative plat- form for the scene of Marfisa and Gabrina's encounter with Pinabello and his lady. When Pinabello's beautiful but haughty companion ("tutta d'orgoglio e di fastidio piena," 110) cannot refrain from mocking Gabrina, Marfisa retorts that the old woman is more beautiful than she, and offers to prove it by due!. Pinabello is easily defeated by the valiant Marfisa, and, as agreed, his lady surrenders her gown and her horse to Gabrina. The poet's final comment is that the old woman, now that she is 60
ornately dressed, is uglier than ever (" che quant' era pi ornata era pi brutta," 116). This conclusive note might suggest that the essentially comie scene is built around Gabrina. The centrality of this figure, however, is passive, being important for the reactions it causes in those who come in contact with it. The enti re scene is also finely veined by an irony that touches Pinabello and his lady, as well as Marfisa, to different degrees. In their relation to Gabrina, none of them is aware of her true character. Each, for different reasons, acts in a way that is discordant with the vie w of the poet and the reader. Both know that Gabrina is escaping a death that is deemed a just one - as just, at least, as the death Orlando (sent by "alta giustizia," 107) brought upon the robbers Gabrina has served. Pinabello's companion, following her impulse ("non si pot tenere a bocca chiusa," 113), reacts to the mere appearance of Gabrina and, misjudging Marfisa' s ability to retaliate, suffers an unexpected humiliation. Pinabello, fixed in his role of the knight who unconditionally defends his lady, does not question her arrogance and miscalculations, and unhesitatingly engages in the duel proposed by Marfisa. Finally, theproud Marfisa, who cannot let any form of outrage go unchallenged ("Marfisa altier, appresso a cui non s'usa/sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa," 113), is also under the attack of Ariosto's light but inexorable irony. Adhering to the chivalrie conventions, she unknowingly defends one who deserves a much greater punishment than mere ridicule. We cannot faH to note, however, that Marfisa, unlike Pina- bello and his lady, escapes Ariosto's irony, and in fact interprets it, when she introduces an element of play in a situation that would otherwise run the risk of becoming too serious. She accomplishes this by establishing the rules and setting the stakes for the game into whieh Pinabello and his companion are so easily drawn and entrapped. It is through this element, which is closely dependent on chance, that she infliets upon them a just and appropriate punishment; and - with another fine twist of Ariosto's ever-changing and unpredictable irony - it is with the same playfulness that, after having protected Gabrina from FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO 61 ridieule, she exposes her to an even greater one when she makes her wear the ornate gown that Pinabello' s lady has had to surrender (115-116). In the scene of Marfisa and Gabrina's encounter with Zer- bino, Ariosto concentrates his irony on-the latter, while Marfisa, who is now clearly portrayed as being in full controI of circum- stances and taking conscious pleasure in her pIayfulness (cf. XX, 121: "Mostr turbarse l'inclita donzella,/per prenderne piacer, come si prese ... "), becomes the very vehicle of that irony. Zerbino, before meeting Marfisa and Gabrina, has unsuc- cessfully chased the man who, by wounding the fair Medoro, has prevented him from performing a great act of chivalry (cf. XIX, 13-14). While still angered for having failed to attain a just vengeance, he cannot control his laughter at the sight of Gabri- na: Non pot, ancor che Zerbin fosse irato, tener, vedendo quella vecchia, il riso; che gli parea dal giovanile ornato troppo diverso il brutto antiquo viso; et a Marfisa, che le venia a lato, disse: - Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso, che damigella di tal sorte guidi, che non temi trovar chi te la invidi. (XX, 119) The incongruent figure of Gabrina momentarily intersects and dissolves Zerbino's world of chivaIrous deeds. Ris laughter, as the expression of the uncontrollable, irrational side of life, constitutes an eloquent ironie comment to his recent failure to be chivalrous and avenge what he believes to be the death of Medoro. Unaware that Marfisa is as skilfuI with words as with arms, Zerbino begins to banter her, and in the end loses at his own game. Through a careful manipuIation of words Marfisa suc- ceeds in convincing him to accept her challenge to joust and agree toher terms. Re is dismounted, and as agreed Gabrina is FRANCO entrusted to him (121-127). From point until he forces Odorico to accompany her, Zerbino will be torn between his desire to be rid of Gabrina and his unswerving adherence to the chivalric code which demands that he unconditional1y keep the promise made to Marfisa. It is in Canto XXI that Ariosto dramatizes Zerbino's dilem- ma, and the underlying theme of folly. Let us first direct our attention to the exordium, for it is here that we find that dilemma c1early enunciated: N fune intorto creder che stringa soma cos, n cos legno chiodo, come la f ch'una bella alma cinga del suo tenace indissolubil nodo. N dagli antiqui par che si dipinga la santa F vestita in altro modo, che d'un vel bianco che la cuopra tutta: ch'un sol punto, un sol neo la pu far brutta. La fede unqua non debbe esser corrotta, o data a un solo, o data insieme a mille; e cos in una selva, in una grotta, lontan da le cittadi e da le ville, come dinanzi a tribunali, in frotta di testimon, di scritti e di postille, senza giurare o segno altro pi espresso, basti una volta che s'abbia promesso. Quella serv, come servar si debbe in ogni impresa, il cavallier Zerbino: e quivi dimostr che conto n'ebbe, quando si tolse dal proprio camino per andar con costei, la qual gl'increbbe, come s'avesse il morbo s vicino, o pur la morte istessa; ma potea, pi che 'l disio, quel che promesso avea. (XXI, 1-3)- There is no doubt that this exordium is serious, as Momigliano has observed;lo however, we must note that the one whose ideals are here identified with those of Zerbino is the poet- persona, the narrator-actor, who enters the world of the charac- ters and shares the well-established attitudes and norms that the FOLLY IN THE QRLANDOEllR10SQu-- -63-- poet is constantly contrasting to the irrational, unpredictable forces of life. . By emphasizing the distinction between the poet and the poet-persona, I do not wish to suggest that there is a great, unbridgeable distance between the two, and that the former altogether denies the ideals upheld by the latter. What the poet rejects is not so much the substance of those ideals, but rather the categorical, axiomatic manner in which they are stated and prescribed. His irony is directed at the often obsessive inflexi- bility with which the man of single vision ll clings to his ideals, deluding himself that they will always apply, no matter what the circumstances ("in ogni impresa," as the poet-persona states in the exordium). As has been correctly pointed out, "Ariosto has definite moral norms by which he measures beliavior ... But he does not preseht these norms asdogmas, as Imperatives; in fact, he does notpresent them at alI. Like everything in Ariosto, they appear oblique1y, as implicit yardsticks to measure our vanity and delusions."12We may add that what is truly definite about these norms, and what determines their validity, is that they are open to revision, as often as is required by the ever-changing play of life. As the last of the lines we have chosen for our preface clearly suggests ("et altri in altro che pi d'altro apprez- ze"), for Ariosto the 10ss of reason, of sanity, occurs not because the pursuit of a given object may be inherently destructive, but because it excludes the consideration of other objects, of other va1ues. Folly is thus identified with the failure to perceive reality as a fluid, constantly changingsystem ofrelationships, and to measure one value against another, one possible choice against another. As we turn once again to our text to follow Zerbino's misadventures, we discover more striking evidence ofhis inabil- ity to re-examine his norms, despite their disastrous conse- quences. When he and Gabrina meet Ermonide ofHolland, the old woman, with a sudden change of mood, humbly asks Zerbi- no to protect her from the knight, who, she says, is her enemy and has killed her father and her brother. Zerbino, indifferent to her story and to the question of its veracity, takes on his fixed ~ C O M A S ~ A R O role of the protecting knight with this reply: Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti, ... non vo' che tu paventi. Meanwhile Ermonide has drawn nearer: Come pi appresso il cavallier si specchia in quella faccia che s in odio gli era: - O di combatter meco t'apparecchia, - grid con voce minacciosa e fiera - o lascia la difesa de la vecchia, che di mia man secondo il merto pra. Se combatti per lei, rimarrai morto: che cos avviene a chi s'appiglia al torto. (XXI, 6) (XXI, 7) Zerbino, without questioning the knight's claim that Gabrina deserves to be put to death, remains firm in his conventional role of the knight who must defend a lady (he speaks in fact of una donna, unlike Ermonide, who refers to Gabrina with the pejorative la vecchia), and answers with an appeal to the chivalric code: Zerbin cortesemente a lui risponde che gli desir di bassa e mala sorte, et a cavalleria non corrisponde che cerchi a dare ad una donna morte ... (XXI,8) This appeal proves to be fruitless; and with the necessity dictated only by convention the two knights are forced into battI e: "e fu bisogno al fin venire a' fatti" (9). Ermonide is wounded, and when Zerbino go es near to comfort him, he begins to narrate the story of Gabrina and of her crimes. Before we examine the salient aspects of this story, a few observations about Ermonide are in order. As we attempt to reach the vantage point from which the poet views his charac- ters and theit particular folly, and as we strive to perceive the fine irony that is closely dependent on that view, we must not faH to note that Ariosto's irony is directed not only at Zerbino, FOLL Y IN THE ORLANDO FURIOSO but at Ermonide as well, and essentially for the same reasons. To be sure, Zerbino is the primary target; but Ermonide is not spared a substantial measure of that irony. While he is clearly depicted as the victim, he is also portrayed as one who, much like Zerbino, is the cause of his own misfortunes. As he de- mands that Zerbino either surrender Gabrina to him or be ready to duel, Ermonide is confident that he will overcome his adver- sary simply because he has faith in the old axiom of the chivalric world, according to which whoever fights for an unjust cause is always defeated ("Se combatti per lei, rimarrai morto:/che cos avviene a chi s'appiglia al torto" (7. As we witness his defeat, we can once again measure the distance that separates the knights' idealistic view of life from life as it really is - that is to say, in Ariostean terms, life as ever-changing, unpredictable flux. 2 The story that Ermonide narrates constitutes the core of the episode we are studying. It is here that the theme of folly is represented, however obliquely, in its most intense, dramatic formo As Ermonide sets out to describe Gabrina's wickedness, he emphasizes the firmness ofhis brother Filandro in his loyalty to Argeo (Gabrina' s husband): Ma n s saldo all'impeto marino l'Acrocerauno d'infamato nome, n sta s duro incontra borea il pino che rinovato ha pi di cento chiome, che quanto appar fuor de lo scoglio alpino, tanto sotterra ha le radici; come il mio fratello a' prieghi di costei, nido de tutti i vizii infandi e rei. (XXI, 16) This is undoubtedly a powerful representation of Filandro's character and of his noble resistance to the lustful Gabrina. What contributes to its elevated style is of course the presence of classical reminiscences - Horace (Corm. I, iii, 20) for ~ h e 66 FRANCO M A S ~ A R O image of the Acroceraunus rock; and Virgil (Aen. IV, 445-46)for that of the tre e (an oak in the Latin poem). This allusion to the Aeneid is' especially effective, for it brings to mind a situation somewhat similar to the one Ermonide is describing. Virgil's image of the oak tree serves to represent Aeneas' firm resolve to embark on 'his fateful journey to Latium, despite Dido's entrea- ties that he remain. ButAeneas, unlike Filandro, is unmoved by the pleas that come not from a woman he despises but from one he loves; and, most importantly, his firmness is a response to a divine injunction and involves not merely his personal destiny, but also the destiny ofRome. By comparison, Filandro's drama must appear obviously overstated. By suggesting this flattering similarity Ariosto has of course interpreted Ermonide's high esteem of his brother's steadfastness. Re knows too well that this firmness, so eloquent1y praised by Ermonide, is the very cause of much of the evil that Ermonide simplistically attributes to Gabrina alone. The very image of the rock, with which Ermonide gives shape to Filandro's constancy, may reveai the negative facet of this noble quality, as soon as we recall that it is with a similar image that Ariosto represents the first manifestation of Orlan- do' s madness: Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto quello infelice, e pur cercando invano che non vi fosse quel che v'era scritto; e sempre lo vedea pi chiaro e piano: et ogni volta in mezzo il petto afflitto stringersi il cor sentia con fredda mano. Rimase al fin con gli occhi e con la mente fissi nel sasso, al sasso indifferente. (XXIII, 111) In this metamorphosis (the expression "al sasso indifferente" means "non differente dal sasso")!3 Orlando is literally repre- sented as the "supreme exponent of single vision."14 The paladin's obsessive lo ve for Angelica, and his inability to accept the unconventional in life - Angelica's falling in love not with a noble knight but with a humble soldier - are emphasized not only by the obvious analogical correspondence between his FOLLY IN THE ORbANOOFlJRI()s() ... -. ---------4--- inability to change and theinertness of the stone, but also by the mirror-like repetition of the word sasso. The drcularity of the subject-object relationship prec1udes the possibility of change, and results instead in the identity of the subject and the object, and therefore in the obliteration of the self. The word sasso (and its synonyms) - which is distinctly present in Petrarch (cf. Canzo 243, 13: "Tu paradiso, i' senza cor un sasso"; and espedally 366,111: "Medusa e l'errar mio m'n fatto un sasso") - appears in the Furioso as a mot-cl in contexts of temporary, partial madness. An example that immediately comes to mind is that ofOlimpia, who, having been abandoned by Bireno, stands on a rock with her eyes fixed on the sea: Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare n: men d'un vero "asso, un sasso pare. (X, 34) Another example is in Canto I, 39. Sacripante, fearing that another lover has possessed the elusive Angelica, seems to be transformed into astone: e in un suo gran pensier tanto pentra, che par cangiato in insensibil pietra. More striking still, since she is usually the cause of others' folly, is the temporary insania of Angelic that we find in Canto VIII (38- 39): fermossi in atto ch' avria fatto incerto chiunque avesse vista sua figura, s'ella era donna sensitiva e vera, o sasso colorito in tal maniera. Stupida e fissa nella incerta sabbia, coi capelli disciolti e rabuffati ... l' As we return to the story of Filandro, we observe that the crudal test ofhis inflexibility comes at the moment he discovers 68 FRANCO MASOANDARO that, deceived by Gabrina, he has killed his friend Argeo and not Morando: Pien di paura e di dolor rimase Filandro, poi che del suo error s'accorse. Quasi il primo furor gli persuase d'uccider questa, e stette un pezzo in forse: e se non che ne le nimiche case si ritrov (che la ragion soccorse), non si trovando avere altr'arme in mano, coi denti la stracciava a brano a brano. (XXI, 52) It is at this point, when it is obviously too late, that he becomes aware of his error and impulsive1y wants to kill the treacherous- Gabrina. However, he seems to regain his reason ('la ragion soccorse"), here identified with the recognition of a necessity dictated by the situation itself and not by his code of honor. This necessity receives special emphasis in stanzas 49-51. In the first Filandro's evaluation of the present circumstance is com- pared to a vessel that, tossed about by two contrasting winds, is finally driven by the strongest. The second stanza states that reason showed Filandro how by killing Gabrina he would be exposing himself to great danger and to an infamous end; and, finally, that his firm resolve to punish Gabrina was overcome by his fear: Pur finalmente ne l'afflitto cor pi de l' ostinazion pot il timore. (XXI, 50) The third stanza opens with Ermonide's observation that the fear of an unseemly death made Filandro promise Gabrina that he would comply with all her wishes; and it c10ses with this remark: Cos per forza colse l'empia il frutto del suo disire, e poi lasciar quei muri. Cos Filandro a noi fece ritorno, di s lasciando in Grecia infamia e scorno. (XXI, 51) FOLL Y IN THE ORLANDO FURIOSO We can easily note here that Filandro could have avoided killing his friend, if only he had discovered that this force, this necessity, by which he later justifies his yielding to Gabrina, was also at work when he first faced her demands. Ermonide' s conclusion "pi de l' ostinazion pot il timore" could have applied equally to that early problematic circumstance. The very word ostinazion acquires special significance as soon as we recall that it was used (in its adjectival form) by Gabrina to characterize Filandro's loyalty to Argeo: Di questo s ostinato tuo rigore la gran merc che tu guadagni, or tolli: in prigion sei, n crederne uscir fuore, se la durezza tua prima non molli. (XXI, 31) When he rejected Gabrina's demands, obstinate in his loyalty to his friend, Filandro had shown no concern for dishonor and an infamous death - the very things that later constitute what he values most, and that force him to overcome his obstinacy to kill Gabrina and to give in to her demands. After his capitulation to Gabrina, Filandro appears some- what less than noble. His initial defiance of dishonor and death was due less to a firm belief in absolute justice than to his preoccupation with a theatrical self-immolation, which he be- lieved would prove his loyalty to Argeo (cf. stanzas 32 and 33). In fact, after he unintentionalIy kilIs his beloved friend, and thereby loses his "audience," the dishonor and death that earli- er he was prepared to suffer stoicalIy, is viewed by Filandro as something more unbearable than surrendering to Gabrina's lust. In both cases -and this also applies to his melodramatic defiance of infamy and of a dishonorable death - he is driven by a preoccupation with appearances: first with Argeo's honor, and then his own. The greater his efforts to escape dishonor, the more he brings it upon himself; for notwithstanding his repeated attempts to preserve appearances, he is alI the more deeply involved in quite substantial acts. In the light of these observations, what we have earlier interpreted as Filandro's recovery of reason is revealed instead FRANCO MASOANDARO as something accidental. Filandro remains essentially unchanged, true to his self-image, "quale/sempre fui, di sempre essere ho proposto" (XXI, 45). As a man ruled by conventions, he cannot break the promise made to Gabrina, thus adopting for a just end the very standard that she has adopted to accomplish her evil deeds. She had in fact proclaimed such a standard to Filandro himself: Promesso gli ho, non gi per osservargli (che fatto per timor, nullo il contratto). (XXI, 43) The wicked unlike the noble Filandro, obviously has a good grasp of the distinction between appearance and reality. Filandro's inability to break away from a formalistic observance of rules makes him vulnerable to Gabrina' s schemes, and finally costs him his life (XXI, 58-66). With Ermonide's narration coming to a dose (XXI, 67), once again the attention focuses on Zerbino. As we study his reaction to the story, we observe that he has learned little from its facts: unable to correlate the dark crimes of Gabrina with the unshakable loyalties ofFilandro, he has acquired no perspective which could bring him into the center of the picture and enable him to evaluate his own noble but disastrous ideals. Because of his steadfast resolve to accompany Gabrina, Zerbino is impri- soned and condemned to death (XXIII, 39-51); but he is saved by the providential intervention of Orlando, who happens by in the company of Isabella (53 ff.). Gabrina's last appearance in Canto XXIV (35-45) marks the end of her episode. Zerbino, undecided as to what punishmeht to inflict upon Odorico, for having betrayed him by attempting to seduce Isabella, sees Gabrina approach on a bridleless horse. He views the encounter as providential, and decides to entrust Gabrina to Odorico for a year (with the agreement that if he should abandon her before the year expires he would be put to death). This decision is an unmistakable sign of a recovery of prudence, for he overcomes his obstinacy to his promise by yielding to chance - that is, to the reasons dictated by a FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO 1---------- 7_ 1 ------ confluence of events. In the game in which Odorico and Gab- rina are to be the players he shows the same playful freedom we have detectecl. in Marfisa. The outcme of this game proves the validity of Zerbino's choice of punishment 'and of his breaking the promise made to Marfisa: Scrive l'autore, il cui nome mi taccio, che non furo lontani una giornata, che per torsi Odorico quello impaccio, contra ogni patto et ogni fede data, al collo di Gabrina gitt un laccio, e che ad un olmo la lasci impiccata; e ch'indi a un anno (ma non dice illoco) Almonio a lui fece il medesmo giuoco. (XXIV, 45) Justice is done by virtue of a negation of the chivalric ideals upheld by Zerbino and categorically described in the exordium to Canto XXI. 16 Gabrina is punished for her crimes by one who has acted contra ogni patto et ognifede data, and has refused to play the game imposed on him by Zerbino: a telling comment on the Gabrina episode and its underlying theme of folly. The justice that Odorico unwittingly carri es out cannot be identified with the "alta giustizia" of which Orlando is the champion, for it is attained by rejecting a code and by opposing to Zerbino' s game another giuoco. This word most appropriately characterizes the just punishment inflicted by Odorico upon Gabrina and theone that he in turn receives from Almonio. Justice is not achieved in a conventional manner, but through the free play of unpredict- able forces that now, if we glance back, we can easily recognize in the image of Gabrina carried by a bridleless horse. l7 Equally significant is Ariosto's owngiuoco of introducing an imaginary author to reveal the conclusion of the story of Gab- rina: "Non si legge in Turpin che n'a vvenisse;/ ma vidi gi un autor che pi ne scrisse ... " (XXIV, 44). This suggests that a conventional author - such as Turpino, or the equally conven- tional poet-persona - would have found such a conclusion incoherent in a story whose ostensible aim was to demonstrate the wisdom of keeping faith, no matter what the circumstances ("in ogni impresa," XXI, 3). 7 2 FRANCO M A S C ~ A R O 3 The signifieance of the theme of folly in the Gabrina epi- sode is underlined by the presence of the same theme in adja- cent episdoes. 18 In the episode of the women of Crete (XX, 1- 97) the women's cruel laws are perpetuated as long as the knights who have fallen into their hands, and have been saved by their valor "ne l'amoroso giuoco,' do not break the sworn promise (31). The confliet between convention and reality is resolved by the intervention of the unpredietable, the irration- al, expressed here by the terrifying sound of Astolfo's horn (87 ff.). In the episode that intersects the story of Gabrina in Canto XXII, Pinabello and his lady, to avenge themselves for the humiliation suffered as a result of Iosing Marfisa's game (XX, 120 ff.), impose a similar game on Aquilante, Grifone, Sansonet- to and Guidon Selvaggio (XXII, 53-54). Chance and magie dissolve this artificial situation, as the lance of Grifone acciden- tally uncovers Ruggiero' s magie shield: Chi di qua, chi di l cade per terra: lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia, ma fa che ogn'altro senso attonito erra. (XXII, 86) Ruggiero, ashamed of this inglorious victory, do es not realize that the magie effect of his shield has proved providential, for it has enabled him to save Bradamante's brother Rieciardetto in time. Overcome by shame, he buries the shield in a deep well (91-2). Retrospectively, we find a signifieant comment to this scene, and to the Gabrina episode, in the little episode of Astolfo that immediately precedes it: Astolfo succeeds in destroying Atlan- te's palace by ensnaring the magician in his own web of deceit and illusion (XX, 16-23). Astolfo's prudence and sanity are revealed by his adaptability to circumstances and his willingness to play the game into whieh chance thrusts him. Of all the knights of the Furioso he is in fact the most versatile and the one who undergoes the most drastic changes: he alone experiences FOLLY--IN TIiE ORLANDO FURIOSO 73 both the fixity of a tree (into which he is transformed by Al cina) and the mobility and the lightness of flight (in his journey to the moon on the hippogryph). The last, and most important, of the episodes we are to discuss is of course the episode of Orlando' s folly The correla- tion between this episode and the episode of Gabrina is especi- aUy evident in this stanza: Non son, non sono io quel che paio in viso: quel ch'era Orlando morto et sotterra; la sua donna ingratissima l'ha ucciso: s, mancando di f, gli ha'fatto guerra. lo son lo spirito suo da lui diviso, ch'in questo inferno tormentandosi erra, acci con l'ombra sia, che sola avanza, esempio a chi in Amor pone speranza. (XXIII, 128) At the moment of madnesss, of the dissociation of the self, Orlando sees himself as a victim of a broken promise. It seems that it is the very idea of Angelica's breaking faith, more perhaps than the idea of the loss of her love, that causes his foUy. Orlando's folly, like the foUy of Filandro and Zerbino, is defined by Ariosto essentially as an obsessive, sterile adherence to the chivalric code, which prevents him from accepting the unpredictable but sane world of chance. The wisdom and prudence characteristic of Astolfo are identified with a moment- to-moment adaptability to Fortune's whims and with a willing- ness to play out the comedy of life. 19 It is of this 'prudence that Erasmus speaks in his Praise 0/ Folly: As nothing is more foolish than wisdom out of pIace, so nothing is more imprudent than unseasonable prudence. And he is unseasonable who do es not accomodate himself to things as they are, who is "unwilling to follow the market," who does not keep in mind at least that rule of conviviality, "Either drink or get out"; who demands, in short, that the play should no longer be a play. The part of a truly prudent man, on the contrary, is (since we are mortaI) not to aspire to wisdom beyond his station, and either, along with the rest of the crowd, pretend not to notice anything, or affably and companionably be deceived. 20 74 FRANCO M A S ~ A R O The fol1y of Orlando is alI the more serious in that the deception he is unable to accept is more a product of his delusion than of Angelica's treachery. For the promise of fidelity he feels she has broken was in reality never given. Angelica, in fact, is more evasive than truly deceptive - her evasiveness being, in the final analysis, the projection and the embodiment of Orlando's own unwillingness to possess her. l By failing to see Angelica as a real woman, it is he who makes her evasive and unattainable, as this octave clearly reveals: Dove. speranza mia, dove ora sei! vai tu soletta forse ancor errando? o pur t'hanno trovata i lupi rei senza la guardia del tuo fido Orlando? e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dei, il fior ch'intatto io mi venia serbando per non turbarti, ohim! l'animo casto, ohim! per forza avranno colto e guasto. (VIII, 77) Ariosto dramatizes Orlando's self-deception by introducing Gabrina in the large picture of which the paladin' s folly is the center. When we hear Orlando speak of Angelica's cruelty and deception (,'la sua donna ingratissima l'ha ucciso," "s, mancan- do di f, gli ha fatto guerra"), we see her suddenly transformed from a "verginella simile alla rosa" into a perverse woman. We see Angelica and immediately think ofGabrina, the deceiver par excellence. This juxtaposition helps us fathom the depth of Orlando's despair, but it also draws us, if only momentarily, into the self-deception and the distortions of his imania. It is Ariosto's intention that we, his readers, identify with Orlando and react as the poet-persona do es when, for example, he comments on Orlando's last encounter with Angelica and on her narrow escape from his blind furor: Avrebbe cos fatto, o poco manco, alla sua donna, se non s'ascondea; perch non diseernea il nero dal bianco, e di giovar noeendo si eredea. Deh maladetto sia l'anello et aneo il cavalier che dato le l'avea! FaI I Y IN THE OR l A NDO __ _ _ ___ -----'-75 che se non era, avrebbe Orlando fatto di s vendetta e di mill'altri a un tratto. N questa sola, ma fosser pur state in man d'Orlando quante oggi ne sono; ch'ad ogni modo tutte sono ingrate, n si trova tra loro oncia di buono. (XXIX, 73-74) But it is just as much Ariosto's intention that we share the poet- persona' s recovery of reason, of prudence, and the new perspec- tive that accompanies this recovery. We are thus invited to say with him: Quando vincer da l'impeto e da l'ira si lascia la ragion, n si difende, e che '1 cieco furor s inanzi tira o mano o lingua, che gli amici offende; se ben dipoi si piange e si sospira, non per questo che l'errar s'emende. Lasso! io mi doglio e affligo invan di quanto dissi per ira al fin de l'altro canto. (XXX, 1) In this perspective we can no longer see Angelica, or anyone like her, as cruel and perverse, as a Gabrina; nor can we dee m it just that she meet death at the hands of the furious Orlando. It is the wise Ariosto who devises what is a truly just end for Angelica: her unexpected, unconventionallove for Medoro. A "punishment" that is as just, and as unpredictable, as the giuoco that Odorico plays out to put an end to Gabrina. FRANCO MASCIANDARO oJ California, Los Angeles 'Ludovico Ariosto, Or/ane/o FlIrio,w, a cura di Lanfranco Ca retti (Milan- Naples: Ricciardi. 19')4), Ali subsequent references are from this edition. 'Pio Rajna. Le/onti c/cII'Or/ando Furioso (Florence: Sansoni. 2nd ed .. 19(0). p. :'3l). 'Attilio Momigliano, Saggio .l'ti l' "Orlando FuriOJo" (Bari; Laterza, 4th ed" 19'\2), pp. ;\ similar interpretation has been recently offered by Renzo Negri in a brief chapter ofhis Interpretazione del!' "Orlando Ftm'oJo" (Milan: Marzo- rati.1(71), pp. 7'\-79. Here. as in Momigliano's Saggio, no attempt is made to FRANCO M A S ~ A R O study the thematic links between the episode of Gabrina and the episode of Orlando's foUy. 4Momigliano, p. 217. 5 IMI. 6Cf. I, 2; XXIV, 3; XXXV, 1-2. F or a detailed examination of the role of the poet-persona in the Furioso see Robert Durling, The Figure 0/ the Poet in Renaissance Epic (Cambridge, Mass.: Harvard Univo Press, 1965), pp. 112-81passim. Later in this paper I shall touch upon the crucial distinction between the poet-persona and the poeto 7 A. Bartlett Giamatti, The Earthly Paradise and the Renaissance Epic (Princeton, New Jersey: Princeton Univo Press, 1966), p. 138. 8This special function of the landscape has been previously pointed out, in connection with other epsiodes of the Furioso, in Franco Betti's perceptive "Annotazioni sul paesaggio nell'Orlando Furioso," ltalica, 45,3 (1968), 329-44. 9 Ariosto's preoccupation with what happens in a character has received special attention in Fredi Chiappelli's "Sul linguaggio dell' Ariosto," Atti dei Cont!egni Lincei (Rome: Accademia Nazionale dei Lincei, 1975), 33-48. IOMomigliano, p. 217: "Certo, il proemio che ho ricordato serio ... " On Ariosto's systematic use of exordia Edoardo Saccone has rightly observed: "Qual infatti la funzione specifica degli esordi? Non certo e non tanto - come pure assai semplicisticamente potrebbe essere, ed stato infatti a volte supposto - quella di fornire la morale della favola, o, per dir meglio, il significato della lettera. In realt, al contrario, ci che importa altrove." E. Saccone, Il soggetto del "Furioso" (Naples: Liguori, 1974), p. 225. III am borrowing this expression from D. S. Carne-Ross, who, in his "The One and the Many: a Reading of Orlando Furioso, Cantos 1 and 8," Arion, 5 (Summer 1966), 232, accurately applies itto Orlando: "Orlando gives his name to the poem because he is the supreme exponent of single vision in a universe where only multiple vision will serve." 12Giamatti, The Earthly Paradise, p. 139. LlSee Lanfranco Caretti's note in L. Ariosto, Opere Minori, ed. Cesare Segre (Milan-Naples: Ricciardi, 1954), p. 998. 14See above, n. 11. Cf. A. Bartlett Giamatti's "Sfrenatura: Release and Restraint in o. F. ," in Ariosto 1974 in America: Atti del Congresso per il Centenario Ariostesco alla Columbia University. Ed. Aldo Scaglione (Ravenna: Longo, 1976). 15Cf. also "che statue immote in lito al mar pareano," said of the women from Crete after they have been abandoned by their men (XX, 22). 16For Ariosto's concern with sin and its just retribution seeJulius A. Molina- ro's "Sin and Punishment in the Orlando Furioso," MLN, 89 (1974), 35-46. Equally valuable are the pages that Ulrich Leo has written on Ariosto's "punish- ment" of Angelica, in "Angelica ed i miglior plettri." Appunti allo stile della Controri- forma, Schriften and Vortriige des Petrarca-Institutes, Kln, 4 (Krefeld: Scherpe- Verlag, 1953), pp. 5-10. I70n the unbridled horse as an image of release see A. Bartlett Giamatti's "Headlong Horses, Headless Horsemen: An Essay on the Chivalric Epics of fJKbti\lDO FURIOSO 77 Pulci, Boiardo, and Ariosto," in Italian Literature, Roots and Branches. E.r.rays in H(Jtlor 01 T!)()mas Goddard Bcrgin, eds. Giose Rimanelli and KennethJohn Atchity (New Haven and London: Yale Univo Press, 1976), pp. 265-307. IX Another episode that is thematically related to the story of Gabrina is found as far as Canto XLV (100 ff.), where we read ofBradamante's decision to break her wordto marry the knight who wins her in duel, and also to break her faith to her family (who wants her to marry Leone), rather than renounce her love for Ruggiero. interpretation of folly substantially concurs with the one offered by Aldo D. Scaglione in his Nature and Lo/!e in thc Late Mtddle Ager (Berkeley and Los Angeles: Univo of California Press, 1963), p. 1 :'>3, as well as with the one we find in Rocco Montano's "La follia di Orlando" in his Saggi di cultura limanirtim (Naples: Edizioni Quaderni di Delta. 1962), pp. 163-92. For a discussion of the linguistic problems related to Orlando's madness, see Paolo Valesio's "The Language of Madness in the Renaissance," Yearbook of Ita!iall Stlidies (1971), 199-234. Valuable observations on the theme of folly in the Flirioso can also be found in Alfredo Bonadeo's "Note sulla pazzia di Orlando." Forum Italiu,m, 4 (1970), 39-57. and in Andrea Di Tommaso's "Insania and Film/': a Diagnostic Note on Orlando's Malady," Romana Note.r, 14 (1973), 583-8H. Praire 01 transI. from the Latin with an Essay and Commentary by Hoyt Hopewell (Princeton: Princeton Univo Press, 1941), p. 38. On the subject of prudence see Mario Santoro's Fortlma. ragione e pmdenza nella cll!/'!t letteraria dci Cinquecento (Naples: Ltguori: 1966). On play see John Huizinga's Homo L"JcllJ (Boston: Beacon Press, 1955). especially pp. 1-27 and 180-182. C. P. Brand, Ludol'ico ArioJto. A to thc "Orlando Flil'ioJo, "Writers of Italy Series. 1 (Edinburgh: Edinburgh Univo Press, 1974), p. 64: "Angelica perhaps is hardly areaI perso n: she is the sort of woman no man can resist, so beautiful and desirable that no one ever finds out her real nature: she exists in her lovers' imagina tions ... " FELLINI'S CINEMATIC CITY: ROMA AND MYTHS OF FOUNDATION 1 Although Fellini beguilingly imitates in Roma a "documen- tary" mode of filmmaking, the movement of the eye in this film is no less "mythic" than the movement of the eye in Satyricon, whose landscapes and narrative mode more clearly invite us to find ourselves in a world where one can walk as we pretend the gods did, free of inherited rituals and historical structures, with powers of continually fresh creation intact. Roma (1972) testi- fies to Fellini's faith that, even in the 1970's, that world is still aroun<i uso The particular form that the movement of the eye takes in Roma is related to a basic mythic process: the foundation of a city, of a city which is a "Center," a center of society, of culture, of religion, but also a psychic center, a center of human whole- ness, and on all these levels a center of creation. Thus in being "the story of a city" Roma is a story of a creative processo The movie is a "founding ofRome" in which the building material is not stones but images. And because the images are continually changing, this "Rome" is less an EternaI City to which alI roads lead than it is a kind of experience through which alIlives, after their own fashion, should move. 2 I am going to propose two models with which to compare FelIini's Roma, namely the "archaic" foundation myth described by Mircea Eliade in Cosmos and History and Virgil's account in the Aeneid of the founding of Rome. l In Cosmos and History Eliade describes the conditions of existence in what he calls "archaic," or "traditional," societies. For archaic man, he says, the reality of any object or act depends FELLINI'S GNEW .. 11G---GITI --------- ---------- --------/9 on its precise repetition of an archetype. Thus the creation of anything whatsoever repeats the originaI creative act of the god, the originaI transformation of chaos into cosmos. Specifically, in the founding of a city, the originaI creative act is repeated and the pIan of the archetypai city is repeated as well. Moreover, the founding of a sacred or royal city takes pIace at a Center. The Center is the pIace where heaven, earth, and hell meet. It isthe pIace where creation originates, not onIy the creation of the world, but aiso the creation of ma n, and thus the Center is aiso the originaI whoIeness of the seIf: The road leading to the center is a "difficult road" ... , and this is verified at every level of reality: difficult convolutions of a tempIe ... ; pilgrimage to sacred places ... ; danger-ridden voyages ofthe heroic expeditions in search of the Golden Fleece, the Golden Apples, the Herb of Life; wanderings in labyrinths; difficulties of the seeker for the road to the self, to the "center" of his being, and so ono The road is arduous, fraught with perils, because it is, in fact, a rite of the passage from the profane to the sacred, from the ephemeral and illusory to reality and eternity, from death to life, from man to the divinity. Attaining the center is equivalent to a consecration, an initiation; yesterday's profane and illusory existence gives pIace to a new, to a life that is real, enduring, and effective. 2 Rome is clearly such a Center, the city to which alI roads Iead, the hub of the Empire, the throne of the Pope, and so forth. Fellini himself presents Rome as a center, and for most of the film the basic movement of the camera eye is movement toward thecenter, movement to discover and explore the rich- ness gathered at the center. Rome, in this movie, is the center of authority and hierarchy, whether secuIar, religious, or artistic (some of the centraI authority figures are Julius Caesar; Benito Mussolini, the Pope, and Federico Fellini). It is the center of sexuality, or of sexual union, and Rome, of course, is femaIe, whether one considers its circuiar shape (especially with the Grande Raccordo Anulare, or great ring road, and the Colosseum), its mythic associations, or, most importantly, its many specific images of women (the schooIroom slide, the hugemother with the swollen ovaries, the great prostitute of the first night in 80 W ALTER C. FOREMAN Rome or the one at the center of the luxury brothel, the Princess Domitilla, Anna Magnani, etc.). Rome is the center of the arts, especially architecture, sculpture, variety shows, and movies. Fellini's Rome is the center of food, the center of community, the center of the military, the center ofhistory (and thus of the ultimate past, back beyond the personal past of Fellini). This Rome is the center ofboth uniformity and diversi- ty, of both dissoluton and creative fermento It is the center of motion and also the center of permanence, which in its worst form is the motionless traffic jam around the Colosseum at the end of the Anulare sequence and in its best form the splendid fountains and statues that populate Rome' s streets. That Fellini's Rome is the pIace whereheaven, earth, and hell meet is perhaps clearest in the section of the movie that includes the air-raid scene and the subway sequence. The air- raid is clearly a threat from above, but we never see the planes (though we hear them) and the scene ends strangely, as if "incomplete." Then we descend into the underworld in the subway. But in the middle of the trip down and in, we cut to a room in which an elderly couple look up at the destruction being visited on their room by ... the subway, presumably, but it also the visual fulfillment of the threat of destruction offered by the hum of planes a couple of minutes (or thirty years) earlier. And thus it is not only all space that meets in the center in these scenes but also aall time. The pre-human past of the mammoth tusk that begins the subway sequence, the past of the old Roman house, the past of the catacombs, the past of the documents ofRoman bureaucracy stretching back to 1872, the past of W orld War II Rome, the present of the documentary camera crew in 1972, and the "future" of the subway crew with its science fiction machinery. 3 The second analogue which I want to consider for the structure of Fellini' s Roma is the Aenei, Virgil' s great epic about the founding of Rome, the nature of Rome, the destiny of FELLINI 5 CINEMATIC CITI Rome. The movement of the Aeneid, despite all its various interruptions, is movement to found a center, ultimately, in fact, a center of the whole civilized world. This founding of Rome will be in the archaic mode to the extent that it is a repetition, most specifically a repetition of the founding of Troy. But at the same time, the founding of Rome is an advance on the archaic mode ofcreation, an advance characteristic of what Eliade calls "historical" mano It is an advance first of all because it is not an exact repetition of the old form, as required by the archaic or traditional use of rituals. In fact, Aeneas at one point stops in to visit Buthrotum, a city that Priam's priestly son Helenus has founded in the form of a mere copy, a scale model, as it were, of old Troy, with the result that Buthrotum is dry and barren, essentiallly as dead as its originaI. Buthrotum, in other words, is not a genuine re-creation that has the possibility of growth. The city to be founded by Aeneas, on the contrary, was to have unprecedented (and to this day unparalleIed) possibility for growth. More important1y, the founding ofRome as Virgil presents it is an advance on the archaic mode of creation because the city Aeneas is going to found will, saysJupiter in Book I, Iast forever, a permanent creation, a Rome without end.:I Foundation once for all is something historicaI man often wants to believe in because it frees him from the fear of the periodic return of chaos, a return that for archaic man is far from disturbing sin ce it is the constant1y recurring preIude to periodic re-creation, a periodic return to reallife. 4 Virgil, through his story of Aeneas, expresses pretty c1early a weariness of the cyles of chaos and a desire to make Rome the well-founded EternaI City. 4 Superficially, Fellini's Roma repeats the archetypal form of the foundation myth, the myth of the establishment of a center, as it appears in the Aeneid. Fellini "founds Rome" by making a complete portrait of the city. That is, a moviemaker creates Rome W ALTER C. FOREMAN when he assemb1es a who1e picture of the city in movie images. Roma is a series of sequences in which Fellini moves in to 100k at the center of Rome. This series of movements is equiva1ent to Aeneas's strugg1es to get to the point where he can set up his walls and re st. Aeneas does not sail directly from the wreck of Troy to the banks of the Tiber, from the 10ss of Creusa to the gaining of Lavinia. Instead he spends a good dea1 of time mucking about the Mediterranean world, getting organized, seeking and hear- ing prophecies, founding sample cities, visiting leftover Tro- jans, making love to widowed queens, judging athletic contests, descending into the underworld, and so forth. Even when he gets to the Tiber at the beginning ofBook VII he must still fight a complicated war to get to the center, the point of foundation. But through all these various activities, there is a strong sense of Aeneas's divinely ordained destiny. We are never unaware for long of the Force pushing him to that, center. In Roma, Fellini, like Aeneas, seems to keep getting side- tracked. In fact, one frequent response to the movie is that he never really has a track to begin with, that he has simply put together, in a fairly random order, a group of scenes that have littie to do with each other or with "Rome as it realIy is" beyond happening to be in the same strip of celluloid called Roma. Nevertheless there is in Roma the same fundamental movement toward the center, unceasing despite apparent digressions, that we find in the Aenetd. The Force in Roma that corresponds to the sense of destiny in the Aeneld is simply the impulse of the camera eye to see, to experience Rome, which means to experience those things of which Rome is a center, which means that the camera lllust move into the center. Unlike theAeneid, where the sense of destiny is continually made explicit in the words of the poem, the "purpose" of the movement in Roma is declared implicitIy by the movement itself. Thus "destiny" in Roma is not imposed from without, as in the Aeneld, but generated from within. The shape of "destiny" in Roma, then, for almost its entire length, is like the shape of destiny in the Aennd in being move- ment toward the center. The movie begins with the boy Fellini, ----- - - - - - - - - - - ~ - - FELLINI'S ONEMA TIC CITY in the provinces, gathering images towards a vision of Rome, culminating in the provincial train station, where the boy climbs agate to look at the 'train that is going to the center. In the next scene, the young man Fellini arrives in Rome by train and moves through the station and into the city, then through the Palletta apartment to the bedroom of the huge mother and her sunburnt son (a kind of parallel to the immense sow with its litter that Helenus tells Aeneas he will find at the site of Rome). The movie's characteristic movement is established. There follow, for instance, the movement of the first eating scene toward the supreme example of the art ofItalian cooking, the movement of the first night in Rome toward the great whore in the fields, the movement in the Anulare sequence toward the Colosseum (a center of pagan Rome), the movement in the subway sequence down and in to the Roman house, the movement in the brothel sequence to the most beautiful prostitute, the movement in the Ecclesiastical Fashion Show to the Pope, the movement in the Festa de Noantr! to Anna Magnani, the movement in the motorcy- de sequence to the Colosseum once more. The movement in the Anulare sequence is particularly interesting. We are told we are going to cirde Rome on the Anulare. By the end of the sequence we realize we have been drawn to the center, the Colosseum, where for the moment motion ceases in the traffic jam. The camera moves toward the center despite the dedared intentions of the narrator. There are other ways, besides this impulse toward the cen- ter, in which Roma seems to repeat the Actu:zd as if the Aenezd were its archetype. There is, for instance, the use of the past as a key to the way to live in the presento As Aeneas must review the events of the fall ofTroy in order to understand fully his role as a re-creator, so Fellini re-creates his past experience of Rome in order to be a moviemaker in the fullest sense (which involves going beyond "documentary"). Both Aeneas and Fellini visit an underworld, Aeneas in the company of the Sibyl in Book VI, Fellini in the subway sequence. It is interesting that while Aeneas in the underworld encounters people from his past who reveal to him the future of the city he is going to found in stone, Fellini in the underworld uses futuristic machines as means of WALTER C. FOREMAN revealing the old Roman house, the past of the city he is founding in images. The Roman future shown to Aeneas by Anchises has in three thousand years become the Roman past seen by Fellini's camera. Another similarity in the structures of the two works is the use of parallel feasts to mark a change in the situation of the '"founding" forces. The attempted feast in Book III of theAeneid is interrupted by the Harpy Celaeno who tells Aeneas that before he founds his city his men will be eating their tables, a it seems, of near starvation; but in Book VII, when the Trojans have reached the Tiber, they eat amid plenty the bread they were using as trenchers, thus fulfilling the prophecy and happily realizing the end of the travelling phase of their story. In Roma the first eating scene, on young Fellini's first night in Rome, shows a unified community which despite some genial squabbling over this and that, including the food, enjoys the food and even appreciates its art. The community here is fully Roman, but it can easily and openly incorporate the young stranger from the provinces. The second ., eating" scene is the FeJta de NOfmtri at the end of the movie. By this time, thirty years later, Rome has incorporated so many strangers that ironically the Romans' feast of themselves seems almost to be a feast of everybody else. The emphasis here is on diversity instead of homogeneity. The situation is potentially richer, but instead of a feisty community among the people involved, we now find a scene marked by physical and spiritual separation of people into social classes of various sorts, including (in marked contrast to the earlier scene) a separation of older and younger generations. And though people are eating, they aren't paying any real attention to the food and they aren't enjoying it; instead they are either eating absent-mindedly or getting sick or passing out. The parallel of the two eating scenes thus shows Li change in the nature or the city that Fellini is founding. Finally, both Virgil and Fellini identify the city with female powers. This identification is of course traditional ("mythic," we may say), and it is hardly surprising that both artists use it. It is the nature of founders to be male and of cities to be female. Thus, though he is occasionally sympathetic, Virgil distrusts FELLINI'S CINEMA TIC CITY 85 Dido and is even rather scornful of her (to the point of being misogynistic), perhaps not only because she keeps Aeneas from founding his city but also because she has presumed to found her own. (Of course a female-founded city is inherently weak and was ultimateIy to be destroyed by Rome in the Punic W ars.) Aeneas must replace his first wife Creusa, who dies in the flight from burning Troy, with Lavinia. It is the spirit of Creusa that first tells Aeneas to go to the Tiber, and Helenus later tells him that when he gets to the right pIace he will find a huge white sow with a litter of thirty - an image of female productivity marking the pIace for a fertile city. Widow Dido, meanwhile, is the whore who distracts Aeneas from his proper love. In discussing the ways in which Rome is a center, I have already indicated some of the ways in which Fellini's Rome is fmale. It is the slide of the naked woman in the schoolroom show of Rome's monuments and the sexuality of the dentist's wife (who was said to be "worse than Messalina") that most excite the boy Fellini's interest in Rome. Indeed the boy's fascination with the dentist's wife, at the end of the movie theater sequence, leads to a vision of the wife making love in a car while a long line of men wait their turn and then to a further vision of the wife dressedin "historical" costume, dancing in the now-open convertible while menin old Roman clothes sit at her feet. The image of the dentist's wife, seen by the boy Fellini after an evening of movies about old and new Rome, awakens the future director's cinematic imagination. Fellini thus associ- ates Rome and the woman and movies and the birth of the imagination. In many ways the camera' s movement to the center of Rome is a kind of phallic penetration of the city. This is clearest in the Anulare sequence, with its camera crane, docu- mentary camera, and tank, in the subway sequence, with the camera, the mole and the miller, and the light that finally breaks through the wall into the Roman house, and in the long brothel sequence where the phallic intent is ironically and significantly transferred to the eyes - the eyes of the men and the eye of the camera, panting back and forth from whore to whore. The camera's movement to the center of female Rome "repeats" 86 WALTER C. FOREMAN Aeneas's movement to that point of female potency where he can set up his walls. For Fellini the movement to Rome is movement to that point of creation where eventually he can make movies, including (through the union of his imagination and the city) his "Rome." 5 Finally, however, Fellini's creation of Rome is only super- ficiallya repetition of an archetypal founding of the city, whe- ther by "repetition" we mean an "archaic" repetition of the foundation myth or an "historical" repetition of the structure of the Aeneid or even simply "the imitation of an action" (in this case, "foundation of a city"). Continually, and most strongly at the end, Roma breaks free from the myths it flirts with, moving beyond them to show its uniqueness and spontaneity as a crea- tion. Iwant to look at two important ways thatRoma goes beyond the foundation myth: first, the movie is intensely personal in a way absolutely contrary to the spirit of archetypal gestures, and secondly, Roma does not end with the "foundation" (that is, with a nominaI "completiton" of the portrait of the city). Roma, clearly, is a highly personal "foundation." Fellini emphasizes the personal past, not just the public, shared pasto Re also emphasizes the personal present by making his movie not simply about Rome, but also about the making ofhis movie about Rome. We often see more than what his documentary camera sees (the "documentary " camera being the one that exists as an image within the frame along with its film crew); we also see his documentary camera seeing what it sees as it negotiates the Anulare and gets stuck in the Colosseum traffic jam, rises up in the Villa Borghese, descends into the subway and the old Roman house, or wanders about TrastelJere in the Festa de Noantri. Th us, since Fellini' s city" Rome" is the movie Roma, the process of making the movie about Rome is part of what Fellini's city is. < There is a section of the movie which is explicitly about this personal quality, the section in the Villa Borghese, between the ------hFEH-lLe-+L-fNfS- CINEMATIC CITY traffic jam and the variety theater. Here, while his cameraman and production secretary are up in the cherry-picker scanning Rome from great height and distance, Fellini, on the ground, communicating with his camera by voice instead of eye, also talks with several people who have ideas both about what he is likely to do in his movie and about what he should do. Among them is an old Roman (Conocchia) who expresses a Chamber- of-Commerce view - that Fellini should show the glories of Rome instead of"a bunch ofhomosexuals or [his] usual enormous whores." A group of students also criticizes Fellini's project, on the grounds that he should deal with the problems of workers and students. Fellini has some sympathy with this group, but objects on two grounds, first, that he can't hope to solve socie- ty's problems if he can't solve his own and, more importantly, that everyone does what he can. At this point we see the cherry- picker return to earth with the documentary camera, the split or separation between "Fellini" and "camera" suggested by the Villa Borghese section is healed, and with a re-unified vision we cut to a Roman variety theater at the beginning of the war, a kind of scene important in Fellini's past (for instance, his first film, Variety Lights, co-directed with Lattuada, dealt with a simi- lar milieu). In this re-creation, as elsewhere in Roma, Fellini is "doing what he can." Fellini's claim here is that the most personal is finally the most social, and in Roma it is the "personal" eye of Fellini, not (as in the Aeneid) the "public" perspective of the gods that in- forms and drives the movement to the center. A personal vision of the center arrived at in our own way, a personal sense of wholeness, is what we all need by virtue of being human. The Aenetd, like any great work of art, has the shape of a personal movement, but, being an epic, it does not have the lee!. The Aenetd is an archetypal pattern for human experience; Roma is noto It is an example, not an archetype. Aeneas is an archetypal founder; Fellini is noto He is not an archetype but a mano Hence the famous Fellini self-indulgence: "I am not yet humble enough," he says, "to make myself an abstraction in my films. I try in them to throw light on what I don't understandin myself, 88 WALTER C. FOREMAN but as I am a man, other mencan no doubt see themselves in the same mirror toO."6 At the beginning of the Villa Borghese sequence, as the documentary camera scans the city, we see a brief cut of a little girl in a white dress chasing a ball down a hili. People who have seen La dolce vita (1959), 8}5 (1963),julietofthe Spirits (1965), and especially Toby Dammit (1968) will recognize her as a "typical Fellini image," a figure, one might say, froma personal mytho- logy. The image of the girl introduces the theme of this section of the movie. With the whole panorama of monumental Rome now spread out before the camera (we have just risen above the trees to see St. Peter' s), we are given an image that is not monumental but personaL It is also significant that Fellini is not obsessed with this image - one shot, that's alI. Just as Toby freed himself from his obsession with the girl in white, his devil, so Fellini refuses to be trapped even by a mythology of his own creation. 6 Not only does Roma separate itself from the spirit of the foundation myth by being very personal where archetypal ges- tures are precisely impersonaI, but also it moves beyond the structure of the myth by moving beyond the moment of founda- tion that is its nominaI goaL The city is "founded" only to be immediately left behind. (I t must be remembered that for the moviemaker "founding a city" means creating it in images.) In its archaic, or traditional, form, the act of foundation is a repetition of the originaI divine creative act, bringing form out of chaos, establishing a center, a pIace of superior reality. The "profane" life that surrounds the moment of foundation is unimportant; in fact, strictly speaking it does not exist. The goal itself is the only thing that really matters. Virgil, as I have said earlier, has in some ways moved away from both the form and the spirit of the archaic mode. He is still very inuch interested in the goal, in having the comfort of one's walls around one. "Happy the men," says Aeneas, "whose walls FELLINI'S CINEMA TIC CI-PI already rise.'" Virgil is very conscious of the pain of"profane" life, but he is far from denying its reality. The Aeneid stops when Rome can finally be founded. Aene- as has just killed Turnus, the last of many obstades to the marriage with Lavinia and the setting up of the walls of the new Troy. Aeneas can now cease his travelling and his fighting and do what he has longed to do for twelve books: build his city and put his past to resto But as far as Virgil's narrative structure is concerned, the death of Turnus is ironically the end of Aeneas - he do es nothing beyond the killing: [Aeneas] struck Before he finished speaking: the bIade went deep And Turnus' limbs were cold in death; the spirit Went with a moan indignant to the shadows. 8 By stopping short Virgil emphasizes the human cost of the foundation, the blood and sorrow as well as the stone of which Rome is built. But it is nevertheless dear from the various prophecies, especially ]upiter's in Book I, that the killing of Turnus opens the way to the determined foundation that is to be urbs aeterna. Instead of stopPing at tbe moment of creation, as the archaic form essentially does, or stopPing just sbort, as Virgil does, Fellini fades out just beyond the center. In fact, he never really bothers to go to the center at alI. In order to appreciate the ending of Roma we need to distinguish several versions of the "founder" of thiscity, that is, several "Fellini's." There are five. The first two, the boy and the young man, function in comparatively simple ways and we needn' t consider them further here. The third Fellini is the image we see on the screen of the famous director doing his documentary on Rome. The fourth Fellini is our friendly voiceover narrator, the director introducing us to his film and explaining what he's doing and what we are seeing. Finally, the fifth Fellini is the imagination we sense behind the movie as a whole. We must be especially careful to distinguish between the narrator (the voice of the founder) and the imagination that WALTER C. FQREMAN informs the whole. For one thing, the voiceover narrator is a Har about his "city" - the founder as Har. Traditionally the founder is a hero, a leader, a warrior, a law-giver, an architect, a father, a creator, and by extension into the world of movies he is a director. A founder gives structure, and when he gives too much he becomes a fascist, a reduction of the creative godo The third Fellini, the image of the director, can be one such fascist reduction, and the narrator can be another. 9 As the movie approaches its end, the voiceover narrator becomes increasingly untrustworthy as a guide to what is hap- pening. In other words, he begins trying to impose his verbal structure on the flow of images. F or example, as we watch the second eating scene (in the Festa de Noantr!) , the voice describes what we see: "Of course people eat and drink, what else? Not much different from a thousand years ago, or the beginning of this picture, for ever andever." But as we saw earHer, the eating and drinking in the Festa sequence are significant1y different from the eating and drinking earlier in the picture. The image as a whole thus denies the false structure, the idea of repetition- without-change, that the narrator tries to impose on it. Because this voice, at the beginning of the movie, immediately identifies itself as the cinema tic founder, we ne ed to examine c10sely its role in giving shape to the movie, especially in the final scenes. The opinions of the voice are not necessarily those of the movie as a whole. lO At the beginning of Roma, over the opening credits, the voice describes the movie we are going to see: "This picture tells ... the story of a city. Here, I have attempted a portrait of Rome." This is misleading to the extent of suggesting that we are going to see a "straight" documentary. But the voice immediately goes on to speak of what Rome was to him as a small boy, so we should quickly understand that the "Rome" he is talking about is a personal experience rather than a public object. Much later, at the beginning of the Festa de Noantri sequence, the voice says that he and his crew "have come [to Trastevere] to complete our portrait of the city." This notion of completeness becomes very important in the rest of the movie. Like an Aeneas who got into moviemaking, the voice wants to FELLINI'S CINEMA nc OTY complete the foundation, but it turns out that in order to com- plete Roma Fellini - the fifth Fellini, the imagination behind the whole - must leave Trastevere, and finally Rome itself. And even then the film isn't "complete." The movement is just beginning. As the documentary crew wanders around Trastevere, it comes upon "Gore Vidal, the American writer," and asks for an interview. Vidal assumes he knows the question, and proceeds to answer it: WelI, I suppose you're going to ask me that inevitable question, why do I live in Rome? You could say I live here because it's so central- centrale. But most of alI I like the Romans. They don't care if you live or die - they' re like cats. And of course this is the city of illusions, the city, after all, of the church, of government, of movies. They' re all makers of illusion. l' m 9ne too. So are you. And now, as the world dies through over-population, the last illusion is at hand, and what better pIace than this city which has died so many times and was resurrected so many times to watch the real end from pollution, overpopulation. It seems to me the perfect pIace to watch, if we end or noto Like some other "intellectuals" in Fellini (such as Daumier in 8}1 and Lynx-eyes inJuliet), Vidal is not so much wrong in his analysis of a situation as he is limited in his own ability to integrate that analysis into an organic life, a life capable of growth. Vidal understands c1ear1y the mythic importance of Rome, the archaic form of repeated creation, and the archaic notion of a city, especially Rome, as a Center. Re appreciates the Roman willingness to allow people to find their own free- dom, and he values the various Roman arts of illusion, inc1uding the movies. But unlike (as we shall see) the cinematic F e l l i ~ i , the literary man settles smugly down at the center to watch for the end. Like Aeneas, he takes comfort from the walls, even if he is at the other end of the process Aeneas started. In his sense of a final ending, he is not a model for the movie as a whole, but he is a model for the narrator, another man who lives in words. After the Vidal interview, the Festa scenes become more disordered (in the police bust, the boxing match, and the street fight, for instance), the camera is "stolen," and finally almost alI 9 2 WALTER C. FOREMAN the energy has gone out of the celebrants. In the last shot of the Festa de Noantri itself, the only figure to move with any vitality is a talI black girl who strides across the scene with purpose (a new source of energy for an exhausted Europe?), and we hear the end of a song whose opening bars we heard near the beginning of the sequence: "Arrivederci, Roma."11 But instead of saying "Arrivederci" to Roma, the narrator's voice stays in the city looking for a completion, and in the scene that follows the end of the song, it thinks it has found what it wants, a way of completing the portrait, a way of summing up the city and the movie - a mythic figure, a symbol: Fellini (v.o.): Magnani: Fellini (v. o.): Magnani: Fellini (v.o.): Magnani: This lady, going home, walking along the wall of a patrician palazzo, is a Roman actress, Anna Magnani. She might well be the living symbol of this city. Y ou think so? Rome seen as vestal Vl!gm and she-wolf, an aristocrat and a tramp, a somber buffoon. Ah, Federi' ... l'm far too sleepy now. May I ask you a question? No, l'm sorry, I don't trust you. Ciao. Go to sleep. [Exit into house.] Magnani's lack of trust in what the voice of "Federi' " is up to may serve as a warning to uso Rer refusal to take him seriously leaves him without an ending, without the symbolic figure he thought he had found who could embody everything that had gone before. Unlike Vidal, Magnani, who has been a movie image rather than a writer, finds verbal summation not worth bothering about. Unlike Vidal she doesn't try to commit Fellini to a verbal structure and in effect she discourages him from committing himself to one. On the other hand, like the foreign- er Vidal, the Roman Magnani is not going anywhere. Like the last Festa shot she lacks energy. The scene is darkand dull, Magnani is dressed in black, and she is withdrawing into her walls to go to sleep. ---rELLINI'S ONEMATICQTYun- 93 In the anti-climax of the Magnani interview, the voice, like Aeneas, is stopped just short in his search for a completion ofhis portrait of Rome. Now, unexpectedly free, he doesn't know what to do, though he suspects that sleep isn't the answer: "And now, what should one do? Go to bed, as Magnani suggested? But walking around Rome at this hour is so wonderful. There is nobody around. A great silence. Only the water of the foun- tains." Even as he speaks, the image shows his words to be a lie, for in the distance, with headlights ablaze and motors roaring, a group of motorcyclists approaches the camera, getting louder and drowning out any sounds of water. The attempted inter- view with Magnani had been the narrator's first attempt to speak directly with the movie's images, and it was a failure. Now, with the disappearance ofMagnani and the appearance of the motorcycles, the narrator is left in doubt, thinking of the romantic Rome of the fountains, out of touch with the world- the city - he lives in, out of touch with the overall creative movement we have been watching. The narrator never does get to say "There, that's my portrait of the city," for at this point, like the documentary director and the documentary camera a few minutes earlier,12 the voiceover narrator is absorbed by the image; the fifth Fellini, the imagination behind the whole, takes over complete- ly; and we begin a motorcycle ride through Rome, a movement of the eye that recapitulates and extends the process of founda- tion as we have seen it thus far. 7 The motorcycle ride, which like the art of the movies depends on a fruitful union of man and machine, brings back into the movie both the energy and the community that had been lost in the chaos and decay of the end of the Festa sequence. The "community" of the cyclists appears in their movement through the streets and around statues, a movement which is so well coordinated as to appear almost choreographed. And yet this community also seems to be spontaneous; there is no 94 WALTER C. FOREMAN leader, no "fascist," no founder to tell them where to go. The group brings male and female together, in that most (but not all) of the cycles have one rider of each sex. The clothes and helmets the cyclists wear are in one sense the last of the many uniforms we have seen in the movie; but at the same time, the uniforms are all different, preserving the individuality of the riders. The motorcycles themselves, as the last of the many methods of transportation tried in the movie, seem to be an ultimate reconciliation of the ne ed for power, speed, and mobil- ity with the ne ed for vision and freedom from entrapment. Recapitulating a number of the movie's prominent visual themes in this way, and discovering an answer to some of its problems, the motorcycle ride is also a review of monumental Rome, historical Rome, the Rome of the Caesars and the Rome of the Popes, eternaI Rome, founded Rome. The ride is like a non-destructive exit of the barbarian hordes from a city that still has great beauty of form but has exhausted its power to move, or frozen that power into statues. The juxtaposition of motion to permanence is especially apparent when the riders pass sta- tues that solidify a potential means of movement, such statues as the winged angel on top of the Castel Sant' Angelo, the centaurs in the Piazza Navona, the boat in the Piazza di Spagna, and above all the equestrian statue of Marcus Aurelius, where the circular motion around the statue is in such striking contrast to the gesture of the emperor, frozen into an archetype of commando But it's not just the motorcyclists who move. The camera moves too, and in fact it is the camera, not the motorcycle group, that circles Marcus Aurelius. Sometimes the camera is stationary and watches the riders' progress through Rome, some- times it moves with them as it watches, and sometimes, as at the statue of Marcus Aurelius and above all at the climax of the ride, it replaces them. At the climax it is the camera, the eye of Fellini's imagination, that is roaring through the Roman night. The climax of the ride, and the movie, is the approach to the Colosseum. The camera speeds down the center line, with no motorcycles or anything else in its way, nothing to stop it from reaching this circular symbolic center of Rome. The FELLINI'S CINEMATIC crn center can be achieved, "Roma" will be founded, and the movie can end. We may remember how different theAnulare sequence was, how that earlier roar of traffic toward the center, chaotic where this roar is harmonious, ended in a massive jam which put a stop to motion. That first arrivaI at this center was unsatisfactory, even painful, and the movie for the first time abandoned its chronological progression to find a more circuitous route to the center. But now, when there is no jam, no chaos, and the center can be freely reached, we are suddenly beyond the Colosseum, with the motorcycles, moving away. Why? First, we may note that this kind of discontinuous move- ment beyond the center, this quantum leap, as it were, has been established earlier as a mode of action in the movie. N ear the end of the brothel sequence, the young Fellini has returned to the luxury-class establishment to claim for himself, for awhile, the most beautiful prostitute in the pIace, the one who had earlier been the center of all eyes' attention. The two of them ride up in the elevator together, Iooking at each other, heading for a special center, one we have been anticipating since early in the movie as well as early in the sequence. Yet now, when there is no bar to reaching the center, it suddenly becomes no longer important for the imagination a c t u a l l ~ ! to go there. So we cut beyond the center to see the prostitute rising up from a kiss, leaving young Fellini lyingat his ease on the bed. Instead of occupying the center, the "founding" imagination (that which informs the movie as a whole) emphasizes what leads up to the center and what leads away. Now moving away, it emphasizes young Fellini's interest in the prostitute's life outside the broth- el and his interest in seeing her outside. Re does not ask for a few more minutes here; his desire now is to move away from the center, rather than to extend his stay there. In other words, young Fellini at this point and the camera altogether are inter- ested in precisely what, in mythic terms, is "profane" rather than "sacred" (or" real") life. The camera has left out the "sacred" moment, the moment of hitting the center, as being irrelevant to the story it is telling. WALTER C. FOREMAN It is thus the process of approaching the center, not the moment of achievement, which Fellini values. And this "pro- fane" process can be happy and joyful in itself, though some- times it may not be. In any case, it is not simply painful and exhausting, as for Aeneas, or irrelevant ("unreal") as for archaic mano The Rome founded by this process, the city of Fellini' s imagination, is thus not a stable center to sit in (which amounts to an end, whether one is consciously waiting for it or not). Rather, Fellini's Rome is an experience to move through - in fact, the kind of experience one needs to move through, though in one's own form, not Fellini's. Virgil celebrated Rome as being, under Augustus, a perma- nent city which by establishing laws would give structure to the world. Virgil's Rome is above all a city of structure. Fellini's Rome is above all a city of motion. It is not a permanent structure but a continuing movement. The camera has the wisdom lacked by the voiceover narrator, the wisdom to avoid completion, especially symbolic completion, as being irrelevant and deadening, just the opposite of what is wanted. The move- ment toward the center is a movement toward wholeness, but the achievement of wholeness should be a beginning, not an end. Thus, in Roma, Fellini continues his creation beyond the center, away from Rome. Fellini's "foundation" of Rome is appropriately cinematic in that a Rome founded by a movie- maker should be something that moves, and the "Roma" of Fellini's imagination is still going, as Fellini frees himself from the city he has created. The creative process that is Roma, the foundation of the cinematic city, frees itself from its own crea- tion as from a myth of its own making. Roma began, after the credits and the voiceover narrator's introduction, with the first of the "strange, contradictory im- ages" that eventually become the city: three dark figures, women, moving slowly in a murky scene, with bicycles, along a road in the provinces, past astone that says Rome is 340 km away. The first voice we hear says that someone "has written from America." N ow, after two hours of further movement, the camera is travelling through the night, in loose harmony with the motorcyclists (a group which will continue to grow even in FELLINI'S ONEMAnc-etrr-- the fade-out), through the arch of the Porta Ardeatina, out along the Via Cristofo"o Colombo, a road away from Rome named for that historical ltalian who went to see a new world. W ALTER C. FOREMAN University of Kentucky I Mircea Eliade, COJmOJ and HiJtory: The Myth 01 the Eternai Return (New York: Harper, 1959). For Virgil I use The Aeneid of Virgil, trans. Rolfe Humphries (New York: Scribner's, 1951). p. 18. lVirgil, p. 13. Literally, Aeneas founded Lavinium, which under his son would move and become Alba Longa, which eventually would move again to become the city founded by Romulus on the Palatine. But in discussing Virgil's mythmaking it is not seriously misleading to speak of Aeneas as the founder of Rome, for though strictly speaking the foundation would have to be repeated, Virgil sees Aeneas's foundation as the crucial one and makes it clear that Aeneas's acts lead directly to the rising of"the great walls of everlasting Rome" (p. 3 [Book I]), a city to whose people J upiter will "set no bounds in space or time;/They shall rule forever" (p. 13 [Book I]). -lSee Eliade. pp. 51-92. 'This use of the personal present is related to the self-awareness of the epic poet, his calls on his muse, etc. But in dealing with the process of creation the epic poet looks to a transcendent power outside himself which ideally controls him, while Fellini's imagination uses the documentary camera as something within the world of his creation and as something he controls. When the documentary camera is "stolen" near the end of Roma, it is the camera eye representing Fellini's imagination as a whole that steals a very limited version of its own powers. There is no image of a "human" theft. "Fe!linion Fellini, trans. Isabel Quigley (n.p.: Delacorte, 1976), p. 153. 7Virgil, p. 18 (Book I). KVirgil, p. 370. Since Virgil di ed still wanting to revise his poem, the ending we have may not represent his ultimate intentions. But (a) there is no specific evidence that it doesn't represent them, (b) Virgil begins with "arms and the man" and so the ending we have seems appropriate, (c) given the many prophe- cies and the sense of destiny, there was no structural need to end with Aeneas's foundation literally complete, and (d) in any case we have to go with what we have. image of the director, at the beginning of the Anulare sequence, orders his crew to hurry up. This concern for being on time is given as one of the two major accumplishments ofMussolini, who (besides "winning that battle against the flies") made the trains run on time. And Mussolini, in turn, is seen as a continuation of the "fascist" tradition going back tu Julius Caesar. Later in the An/dare sequence we see Fellini giving orders to the camera crew by radio from a separate car, and in the Villa BorgheJe sequence he talks to them by bullhorn. y8 W AL TER C. FOREMAN Significantly, and ironically, the director's relation to his documentary camera is exclusively verbal. The last time he appears, in theFestade Noantri, he is walking in the rear of the group, talking to his secretary, almost obliterated, and later in the scene he has vanished, without explanation, from the documentary group, suggesting both that the director has lost his interest in the documentary approach as a way of reaching the center and that the unifying imagination of Roma "removes" the documentary director from the image, just as it is about to "steal" the documentary camera, as explained in note 5, above. '''It is possible that the voiceover narration was expanded for the half- dubbed, half-subtitled English-Ianguage version of Roma distributed in this country by United Artists 16, the version upon which my account of the narration is based. Certainly changes were made in the "export" versions of the film (scenes at the Festa de Noantri involving Marcello Mastroianni and Alberto Sordi were cut, for instance). The Italian screenplay (Federico Fellini, Roma, ed. Bernardino Zapponi [Bologna: Cappelli, 1972]) gives a representation of a version of the film which was not a final print even for ltaly, a version which had been edited but not given its final soundtrack ("montato ma non ancora completamente missato" [p. 212]). A voiceover narration is one of the things most likely to be added late in the sound-mixing stage. (On p. 362 a statement by Fellini is specifically reported as being not yet dubbed.) While some of the narrator's statements in the English version could be explained as attempting to make the film more intelligible for a non-ltalian audience, not alI of his statements can be so explained. Moreover, thereare voiceover statements in the Cappelli screenplay. for example in introducing "the wife of the dentist" (though she is "la moglie del farmacista'" [p. 227]) and in introducing the Barafonda theater sequence (p. 272). And the conversation, discussed below, between the disembodied voice of Fellini and the image-and-voice of Anna Magnani appears in the book (p. 365) in roughly the form it takes in the English version of the film, showing the attempt by the voiceover Fellini to find a symbolic summation of Rome with which to end his movie. Thus I believe my discussion of the "fourth" Fellini is essentialy accurate even for the ltalian language version of the film. "This sense of chaos and decay (which in some ways visually suggests the decadence of classical Rome) could mark the approach of the end that Vidal is waiting for or it could be the chaos that precedes re-creation, like thefesta that precedes the ritual which structures a New Year (see Eliade, pp. 51-92), or like the battle with Turnus that precedes the founding of Rome. Fellini himself would probably see the dissolution near the end of Roma as a good sign; certainly within the structure of the movie it is, for it leads to the motorcycle ride at the end. Fellini has said that he "feel[s] that decadence is indispensible to rebirth ... I am happy to be living at a time when everything is capsizing. It's a marvellous time. for the very reason that a whole series of ideologies, concepts and conventions is being wrecked .... This process of dissolution is quite natural, I think. I don't see it as a sign of the death of civilisation but. on the contrary, as a sign of its life. It is the end of a certain phase of the hu'man race" (Fellini. p. 157). Roma may be seen as the end of one phase and the birth of the next. ' ~ S e e note 5 and note 9, above. POESIE LA CROCE DELLA STANCHEZZA \ Come, col pi sulla soglia, per troppa stanchezza guardo indeciso Il nuovo giorno, e chiedo mi s'offra un aiuto sincero, a rendermi eguale alla stessa semplicit dell'unico soffrire: allora l'alba riduce l'antica bellezza a pallide luci di triangoli sui quadrivt: e non siamo che distratta lentezza mentre la gazza vola di ramo in ramo e concentrata attenzione vibra nei boschr: tI passo, delicato strumento difibre tese tinge tI pensiero, e l'anima scioglie un lamento che sia genuino: cos la stanchezza verit, intimo aiuto. 99 CARLO BETOCCHI (inedito, 1947) 100 MARIO LUZI DUE FRAMMENTI I Appeso come una lanterna, i Pi: altri scolpito dall'interno. Cos portano il viso ossia quel nero grumo di rabbia e ottusit lo portano contro. Siamo dove? in che vicolo dell'inferno? Si pu perdere la vita per un caff non caldo per un colpo di tosse sospettato d'ironia. Gli assassini sono dovunque, il coltello pronto, Il colpo nella canna. Il loro tempo venuto. Cosi come doveva? - grida forte ben Pi antico di me il mio sgomento a non sa che ufficiali di che impenetrabile governo. Risposte non ne danno. Neppure le negano. II Prima una terra terrosa, poi un'altra, no, la stessa improvvisamente ultraterrena. Sono io in lei e la guardo nella sua gibbosit, la guardo perdutamente a Montepulciano o a Pienza o lei in me ferma, tutt'uno col ricordo e ben oltre di esso, tutt'uno con chi sa che indefettiblle sostanza? E poi quel suo profilo senza limite o riposo brucia, S l ~ ma cosa - la sua planetaria solitudine DUE FRAMMEN I I o lo mia consumata reminiscenza? o niente, annullati l'uno e l'altra, lei e io, equiparati a zero da una celestiale algebra. . . IO! MARIO LUZI 102 ALESSANDRO PARRONCHI DUE POESIE PREGHIERA DEL FARISEO Signore ti ringrazio che mi haifatto superbo di natura o almeno tale da sembrarlo quanto basta perch gli altri mi detestino. Non sono certo simile a colui che sa piegarsi (per meglio soprastare) e davanti ai suoi simili si annulla (per ridur/i a discrezione) ... Ma non ho fede salda e per cercarti non so far altro che guardare il cielo come l'uomo primitivo. Ma non provo desiderio di te n nostalgia. Solo un senso di vuoto, che mi colma questo cielo di Roma che sugli orti della Lungara imporpora traversato dai voli dei migratori fulmini bruni a sbalzi nella sera. Signore, chi ti cerca che altro pu fare che guardare il cielo? Un cielo ormai corrotto eppure ancora a tua immagine fatto lo si pensa, e il vederlo ci rasserena. Gli altri: il prossimo mio, si sospingono si urtano si ignorano o si cercano solo per ucczdersl: Da questo abisso facci risalire a poco a poco verso la sorpresa di scoprirsi fratelli: per uscire dall'io piccolo, ignoto, per svegliarsi nel caldo di un abbraccio. DIMENTICO IL TUO ANNIVERSARIO Guardo il calendario: lo data passata. Ma che senso ha, mi chiedo, ricordare il giorno della tua morte? Tu non esisti pi, l'immagine sbiadita sulla mia scrivania del tuo sorriso lo sola cosa che mi resta. La sola? Forse anche nel cervello balzano di una donna giovane e senza criterio il ricordo di te a volte si sveglia tempera un desiderio folle, annienta in una fantasia quanto c' di non serio. Cos di te rimane un leggero fermento che nutre i pensierz: riordina l'immaginazione disperde lo paura, il passo incerto spinge in direzione sicura, un lento incedere verso lo luce: come quando s'ode crescere e svegliare memorie di biondo polline sparso in una radura d'inverno nella tenebra il vento. ALESSANDRO PARRONCHI 13 PROSA TACCUINO VENEZIANO Passeggiare per Venezia, di questa stagione, come grandinare sul cristallo: il suono argentino della trasparenza quello che pervade i suoi angoli pi riposti e mai fermi, multipli d'una vita fermentante su dal verdastro ondeggiare della laguna sulle pietre e gli oggetti che si levano diffratti all'infinito dalla luce simili a gocce di cristalli muranesi: come la luce non sembrano mai riposare col giorno, e d'altronde mai smorire completamente. A Venezia anche il buio vibra occhiuto. Rimangono barlumi, strie, filamenti d'una felicit che non forse la tua ma che ti consola lo stesso, passando ti accanto, con la lieve vanit d'un incerto bagliore ma anche con la tensione di un filo che malgrado tutto continua a essere filato. E che se lo tiri, questo tramite, ti accorgi che ha un' origine, in una mano, Parca o Grazia che essa sia. Luce schioccante nel fondo impigrito della mente, a rilevarvi antiche abitudini, lievi abbandoni ma gi ricoperti dal muschio ondoso del tempo: cos sulle gradinate a forma di luna nel suo primo quarto del sagrato di San Giorgio, dove il limite tra la pietra e l'acqua messo in forse dalla perenne agitazione di una superficie che sembra pi calma di quanto in realt non sia, turbata vuoi dalle imbarcazioni, vuoi dalla sua innata e impensabile turbolenza, una vegetazione di alghe e licheni rende viscido il passo di chi vi si avventura per affrettarsi al vaporetto e rischia di cadere in laguna come nel torbo dei suoi pensieri ondeggianti all'apparire e sparire, dal fondo, di quello che non sa: peso o liberazione, un lampo di quella felicit o una gondola funebre, un grido che non si sa se sia caduto dal becco del gabbiano che si leva deluso, radente dall' ela- stica superficie, o dal labbro gi ammutolito del gondoliere che ha avvisato del suo passaggio di lemure per gli oscuri, e un po' loschi, canali dell'anima intorpidita da un'abitudine con se stessa sempre tentata e mai possibile. Ma tutto ci mentre il passo ti grandina intorno con l'elastica anche se un po' agra dolcezza degli ultimi tasti del pianoforte, dove 14 TACC! TINO ~ E N E Z I A N O 1 5 accordi smarriti ti ricordano che malgrado tutto sei vivo, malgrado tutto ogni lato dell' orizzonte ha il suo opposto, e ti ci puoi voltare come su un origliere insonne e febbrile. Suono e senso possono anche non coincidere, ma questo il fascino della felicit. O di questa illusoria citt, che illude prima se stessa che l'universo che la guarda, della sua morte per acqua, da cui risorge ogni giorno, immortale e cagionevole. Cos chi la visita non sa se essa, come capita a lui, sia nel pieno della propria salute o tocchi il fondo della propria malattia: forse egli, come la citt che lo ospita, ha deciso di fare a mezzo col tempo e con lo spazio, visto che sembrano cos vicini, familiari, da potersi toccare con mano, e inganna, come essa nei suoi perpetui riflessi, l'uno con l'altro, prolunga l'uno nell'altro, n pare riconoscerne gli ultimi sussulti sugli squeri pi lontani e abbandonati, dove scafi funebri di gondo- le e di barchini in riparazione o in disarmo emettono i luccichii preziosi di certi scarabei o di certe mosche d'oro. La luce ronza nel silenzio, come uno di questi nefasti animali che, rovesciato sul dorso, cerchi invano di raddrizzarsi per potersi di nuovo levare a volo o comunque per rimettersi in moto in cerca del disfacimento che sembra nutrirne quel colore smeraldino in difficolt tra luce e suono. Quante "morti a Venezia" questa citt non ha allevato, di chi magari ne uscito rinato e diverso per le vie della sua ricuperata terraferma. Perch, lo si voglia o no, ripercorrere il ponte che unisce quel frego azzurrino sull' orizzonte a Mestre, significa uscire da un' avventura. E perch, davvero, Venezia mette tra parentesi il tempo e lo spazio di chi vi si abbandona fiducioso come il baco da seta al suo bozzolo serico: anche quel tempo e quello spazio diventano un'isola o, al pi, un sistema di isole, un sistema di pi o meno amabili incertezze. Persino il piede, una volta uscitine, si fa meno cauto nell'appoggiarsi a terra. Il fatto che anche il luogo comune di questa citt finisce per essere rassicurante della sua dimensione avventurosa. N l'uomo teme di mostrarvisi un po' sciocco o, forse, un po' soprapensiero. Anzi uno vuoI rassomigliare, in essa, il pi possibile a un luogo comune, che non sembra mai p proprio. Deriva forse dal fatto che tutto vi ravvicinato, l'aspetto fisico delle persone come le loro 106 PIERO BIGONGIARl ~ intenzioni, i loro gesti, quasi chiusi entro una magica bolla iride- scente, e forse se ne perde 1'esatta proporzione. Anche la nostalgia deve forzatamente farsi miope quando si avvicina troppo all' oggetto del pt=Oprio desiderio o di ci che sembra passare nei suoi paraggi; e guardare troppo da vicino rende 1'oggetto che si contempla, quanto meno sorprendente se non irriconoscibile. insomma una citt laboratorio, anche per i propri sogni, che sotto il microscopio, questo strumento della miopia suprema dell'uomo, mostrano il loro tessuto microorgani- co e si confondono con un fatto di natura. Guai a passare una notte insonne a Venezia: i sogni a occhi aperti portano alla cecit. Per questo, nelle chiare mattine, meglio perdersi nella nebulosit in cui il filo dell' orizzonte stagna e ondeg- gia in se stesso, sfacendo e rifacendo le mille volte il proprio stame, quasi a riacquistarvi, chi vi guarda, un acume perduto per le distanze. Ma certo per questa connaturata incontrollabilit che nei porteghi minacciati dall' odore del salnitro dei palazzi patrizi, quel grande spazio in cui i riflessi della gran luce paiono consegnar- si senza intervallo alla tenebra pi profonda, una disperazione: meglio le piccole stanze in cui pi facilmente uno riesce a tenere le fila di se stesso e a tentoni indovinare i limiti entro cui muoversi, possibilmente con garbo. PIERO BIGONGIARI . RASSEGNA IN MARGINE AL CENTENARIO SETTEMBRINIANO* Nella storia della critica settembriniana si possono distinguere, a partire dai noti giudizi desanctisiani che sono stati variamente ripresi e rielaborati anche nella loro "ambiguit" di fondo, tre filoni che operano spesso simultaneamente influenzandosi a vicenda: quello della svalutazione unilaterale del Settembrini critico e pen- satore; quello improntato alla non svalutazione crociana, che prepone le convinzioni al pensiero; e la tendenza a una visione complessiva, storicamente attendibile e pertanto disposta a severi ridimensionamenti, della varia e intensa operosit che fa dello scrittore e patriota napoletano una delle pi complesse e distinte figure della storifl e della cultura italiana e meridionale dell' otto- cento. l Nell'ambito di quest'ultima tendenza, che si venuta affermando nel secondo dopoguerra, sono stati curati e riediti anche i testi principali. Da tempo si attendeva quindi un'adeguata opera di aggiorna- mento che contribuisse al superamento delle formule pi retrive del passato e al rinnovamento dei metodi e delle prospettive di ricerca. Col ricorrere del centenario della morte del Settembrini (1813-76), una decisiva spinta a tale opera viene dalla raccolta in * Per il centenario di L. Settembrini (1813-1876), fascicolo speciale di Erperienzc letterarie, II, n. 2-3 (aprile-settembre 1977), raccoglie quattro relazioni ("Settembrini cospiratore" di Alfonso Scirocco, "L'ultimo Settembrini"' di Mario Themelly, "Il memorialismo polemico di L. Settembrini" di Giuliano Innamorati, e "L'impegno meridionalistico e le Lezioni del Settembrini"' di Mario Santoro), sedici comunicazioni (Mario Battaglini. "Storia di un celebre opuscolo," Michele Cantaudella. "L'Ottocento nelle lezioni settembriniane." Francesco D'Episcopo, "L. Settembrini e Masuccio Salernitano: letteratura tra 'Iudus' ed exemplum'."Tonia Fiorino, "II concetto di lingua nelle Lezioni di L. Settembrini." Pompeo Giannantonio, "Affinitil storiografiche tra Settembrini e De Sanctis," Marcello Gigante. "II classicismo del Settembrini e gli italianisti." Mario Gabriele Giordano. "Gusto narrativo e pagine di 'ricordanze' nelle Lezillni di L. Settembrini," Pino Iorio, "Il Settembrini e il senso civile della letteratura," Pietro Mazzamut,). "Il sermone L{/ nlilJc!li'ra e la crisi settem- briniana del lH54." Michela Sacco Messineo. "Due documenti culturali di ispirazione 'ghibe llina': la Storia del/a letteratllra daliana. " di P. Emiliani Gi udici e le "LczlIJni di letteratllra i/allell/fl di L. Settembrini," Costantino Nikas, "I rapporti di L. Settcmbrini e alcuni letterati greci." Anna Pessina, "Religiositit e affetti familiari in L. Settembrini." Giorgio Santangelo, "II giudizio del Settembrini sul Meli." Giovanni Saverio Santangelo, "Settembrini e la cultura francese," Marco Santoro, "II concetto di 'rinnovamento' nel Settecento italian() nelle Lezillni del Settembrini). ed corredato da un utile indice dei nomi. 17 108 ANTONIO ILLIANO volume delle quattro relazioni e sedici comunicazioni presentate a un importante convegno di studi svoltosi a Napoli (febbraio 1976) per iniziativa della rivista Esperienze letterarie. Vi si trattano tutti gli aspetti maggiori della vita e dell' opera in un ampio mosaico di verifiche, approfondimenti e proposte che costituisce gi un punto di riferimento obbligato per la continuit del discorso critico e per il proseguimento delle indagini sull' opera settembriniana e sulla storia politica e letteraria della seconda met dell' ottocento. La pubblicazione rivela subito la seriet e l'impegno allivello storico e filologico anche quando, in sede critica, l'atteggiamento dei relatori sembrasse pi disponibile all' operazione demitizzante che alla concessione benevola. Alfonso Scirocco elabora una nuova e pi netta definizione del "Settembrini cospiratore": Fino all'ergastolo la sua attivit politica si svolge nell'ambito del- l'esperienza settaria, tutta circoscritta nella tradizione locale di stam- po carbonaro, chiusa alle nuove idee che circolano in Italia, n la partecipazione all'Unit Italiana significa l'apertura a pi ampi oriz- zonti politici. In questo ambito il professore napoletano, tradizional- mente considerato cospiratore maldestro, appare, per, ben fermo nelle idee, abile nel non lasciare tracce compromettenti .... Settem- brini scelse di essere cospiratore perch fu pi un idealista che un politico, nel senso che sent l'esigenza di migliorare la societ, ma non si pose il problema di comprendere i suoi tempi e di trovare gli strumenti adatti per realizzare l'auspicato mutamento. In questa esigenza schiettamente morale fu, per, la sua peculiarit, ch dalla fede in un avvenire migliore attinse la forza con cui super le vicissi- tudini delle persecuzioni, riprendendo costantemente la lotta con l'entusiasmo dei puri di cuore (pp. 25-26). Questi chiarimenti, in parte decisamente riduttivi, servono tra l'altro a un utile ridimensionamento dei primi giudizi desanctisiani sul Settembrini cospiratore "inabile" e "facilone."2 I Mario Themelly mette in risalto, nell' "ultimo Settembrini," il significativo giustapporsi di tensioni ed esigenze diverse: Anche la vecchia polemica anticattolica che si riaccende negli ultimi anni e prende corpo nei Dialoghi rivela l'aspirazione a trasportare sul piano ideologico la lotta contro il cattolicesimo ed a sostituire le fedi religiose con la religione del vero e della scienza. Accanto all'ispira- zione positivistica e razionalistica, mediata probabilmente dai circoli napoletani del libero pensiero (molto attivi in quegli anni), la sugge- stione del Kulturkampf bismarckiano dev'essere stata assia forte .... Vediamo cos scaturenti dalla stessa radice (o dallo stesso vuoto) due forze diverse e forse convergenti: la prospettiva autoritaria e i miti i (il) della "missione." Queste istanze, accanto alle altre note, segnano tutta la biografia politica del Settembrini, trasformano l'immagine che la tradizione ce ne ha consegnato, ne suggeriscono una diversa collocazione nella storia politica dell'Ottocento (pp. 347-48). Tali forze eterogenee e apparentemente contraddittorie si compo- nevano per nell'area dell'impegno meridionalistico e nella coerente opera dello scrittore e del polemista. Mario Santoro, in un ampio discorso che segue da vicino l'opera e la problematica dello storico della letteratura ("L'impegno meridionalistico e le Lezioni del Set- tembrini"), illustra la costante devozione che il Settembrini nutr per la patria meridionale e la conseguente dicotomia tra patria grande e patria piccola, enunciata con popolare semplicit e inge- nuit, che il Settembrini cercava di risolvere nella tesi della parteci- pazione di ciascuna regione alla vita e alla cultura nazionale: "La patria grande composta dalle patrie piccole; e siccome chi buono nella famiglia suole essere buono nella citt, cos chi serve al suo paese nativo serve a tutta la nazione."3 Ma la dicotomia rimane non solo come motivo sentimentale bens come "vero e proprio mqtivo ideologico" in quanto la funzione di privilegio che il critico assegna alla cultura napoletana nelle Lezioni rispondeva intenzio- nalmente "una scelta di chiaro segno meridionalistico" (p. 97). Giova a un'adeguata comprensione dei valori stilistici della scrittura settembriniana la polemica difesa che Giuliano Innamora- ti intraprende del "memorialismo polemico," considerato come "la linea privilegiata di una funzione scrittoria molteplice e non affatto ancora ben difinita" (p. 74), in un'analisi che, dopo varie precisa- zioni ed elucidazioni (Es.: "La schiettezza del Settembrini nobile artificio, calcolata verit di effetti, non mai spontaneistica effusione verbale" [p. 72]), si conclude con un caustico invito al superamento dei vecchi schemi: N on dunque che manchi il lavoro da svolgere e che non valga la pena di applicarvisi. Certo che non pare pi il tempo, di fronte al nostro piu importante autore di memorie della et risorgimentale, di conti- nuare a mantener Settembrini nel carcere ulteriore (e sia pure dorato) di me re definizioni estetizzanti, nel domicilio coatto della poesia ingenua e bozzettistica, insorgente da fanciullesca coscienza che si consola col" non pensare." Ci vuoI altro per chi scriveva nel 1851, con terribile semplicit, in quel carcere, in quella bolgia: "lo scrivo non per avere dal mondo una lode che non merito, o una piet che mi irrita e m'offende; ma perch resti ai nostri figlioli .... la memoria delle nostre sventure" (p. 77). 110 ANTONIO ILLlANO A tale avviso fa riscontro l'analogo e puntuale richiamo con cui Marcello Gigante conclude la sua comunicazione sul" classicismo del Settembrini e gli italianisti": Il Settembrini dettava poi le Lezioni di letteratura italiana, che, a mio parere, oggi meritano una attenzione libera da pregiudizi piu o meno desanctisiani ed una piu adeguata valutazione, quale opera precorri- trice almeno di una tendenza non resistibile della storiografia lettera- ria che esce fuori dai recinti accademici e si slancia verso il popolo. Le Lezioni, d'altra parte, offrono il supporto necessario per intendere compiutamente il ruolo di Settembrini nella storia degli studi classici dell'800. N fu certamente un caso che nel giugno 1860 fu assegnata dal conte Terenzio Mamiani al Settembrini la cattedra di Letteratura latina e greca nell'Universit di Bologna, cui rinunzi, anticipando la diversa e analoga rinunzia del Carducci all'Universit napoletana. 4 A ttorno alla vita e all' opera del Settembrini s'in tesse cos una fitta rete di riferimenti biografici, storici e letterari che viene variamente approfondita dalla messe di contributi raccolta nel settore delle comunicazioni. Particolarmente notevoli le note di interesse filologico ed erudito. Mario Battaglini fa la storia politica ed editoriale della famigerata Protesta del Popolo delle Due Sicilie (1847), mentre Francesco d'Episcopo si sofferma sull'edizione set- tembriniana del Novellino di Masuccio che, insieme a quella delle Poesie di Remigio Dal Grosso, "si inserisce in una programmatica operazione di recupero e di divulgazione della tradizione narrativa e poetica meridionale" riscoperta nella sua distintiva e speciale em- blematicit e originalit da uno scrittore nel quale era vivo il senso delludus e della beffa. Pietro Mazzamuto traccia la storia interna della crisi umana e spirituale che condusse alla composizione del sermone La maschera. La matrice biografica, alla quale risalgono direttamente vari contributi, tra cui quelli del Nikas e della Pessina, opera con incisivit critica nella tesi di Ugo Piscopo, secondo cui il Settembrini, oltre ad assumere il popolano buono e innocente come eroe della lotta contro ogni potere dispotico e oscurantistico, attribuisce a lui anche la propria "fame" del negativo, la fondamen- tale vocazione settembriniana alla contestazione. In sede storico-critica l'interesse converge decisamente sulle Lezioni di letteratura italiana, senza peraltro superare la pregiudiziale della cultura "arretrata" che da anni perdura tra le qualifiche pi radicate della formazione dello scrittore napoletano. Secondo IN MARGINE AI CENTENARIO SETTEMBRINIANO J II Michele Cataudella, per esempio, il Settembrini che scrive tra il 1860 e il '75 "resta, obiettivamente, un attardato, le sue convinzioni si legavano coerentemente al fondo settecentesco della cultra napoletana, alla tradizione meridionale, e per quanto attardato, in certo senso, pi legato ai sostrati provin- ciali e meridionali rispetto alla cultura in evoluzione, tesa a con- quistare una dimensione italiana" (p. 133). D'altro canto Tonia Fiorino, illustrando la visione dinamica che il Settembrini ebbe della lingua e dell'osmosi tra lingua e dialetto, pu affermare che "delle due correnti che in quegli anni portano avanti il dibattito sulla lingua, dopo la proposta manzoniana, lo scrittore napoletano ade- risce a concetti linguistici tanto pi moderni e anticonformisti se si pensa in particolare alla sua formazione puristica" (p. 149). E mentre Giovanni Saverio Santangelo fa un'attenta rassegna delle letture francesi del Settembrini sottolineando tra l'altro l'influsso della Stael, alla quale riconosce il merito di aver salvato lo scrittore napoletano dalle "pastoie senza futuro della sua foncire 'cultura arretrata' " (p. 260), Marco Santoro, trattando della nozione di rinnovamento anche in rapporto all' esigenza storiografica ottocen- tesca del periodizzamento, colloca il Settembrini sulla linea del classicismo illuministico che dal secolo dei lumi giunge fino al Carducci. Dall'insieme di tutti questi contributi emerge quindi un ritrat- to dell'uomo e dello scrittore decisamente proiettato sui vasti riquadri della storiografia politica e della problematica letteraria dell' ottocento romantico e risorgimentale. da auspicarsi ora che l'acume e lo zelo di questa importante messa a punto valga a promuovere il riconoscimento e la fortuna del Settembrini anche all' estero dove, dai tempi remoti della calo- rosa accoglienze che l'Hillebrand riserv alle Ricordanze, l'opera del cospiratore-scrittore ha raramente avuto la risonanza che merita. < Solo 1'opera dello storico della letteratura italiana ha trovato pi recentemente una sistemazione, alquanto schematica e provvisoria, in una storia supernazionale della critica moderna: The whole of ltalian literature is seen as "a struggle of the Church against civil power, against art, against science, against liberty, against religion itself." Painting, music, architecture in ltalywere dependent on the Church, hence "Guelf," while literature, "as Ghibelline, drew many inspirations from Paganism, rose against the authority of the Church, wanting to obey no other but reason, and finally achieved skepticism." I talian literature is a continuation of Roman literature; 112 ANTONIO ILLIANO it is national and classical, it harmonizes form and contento In Settembrini's conception, Christianity is purely destructive. Even St. Francis' love for "brother dog, brother wolf, brother sun, and sister moon" is distorted to mean a lowering of man to the status of a beast. 6 Siamo ancora alla nozione dell' "idea fissa" (il conflitto tra chiesa e potere civile) in cui lo Zumbini riconosceva il momento negativo dell'impostazione settembriniana. 7 Ma accanto all'idea fissa operano, oltre al sentimento dell'arte a cui anche lo Zumbini riconosceva una certa validit, altri valori quali la lezione d'italiani- t, il senso civile della letteratura, la vocazione narrativa forte e profonda quanto la religione del vero ereditata dalla tradizione illuministica. E su queste componenti essenziali valgano i chiari- menti e gli aggiornamenti proposti dai contributi di Pompeo Gian- nantonio, Mario Gabriele Giordano, Pino Iorio, Michela Sacco Messineo e Giorgio Santangelo. D'altronde lo stesso Settembrini, mentre conferiva il primato europeo alla letteratura italiana in quanto rappresentazione del conflitto chiesa-stato, era pur consa- pevole della possibile equivocit della sua impostazione ideologica e si affrettava a precisare: "Non dico gi che la nostra letteratura sia tutta ghibellina, ma dico che essa pi che le altre arti ci rappresenta quel contrasto che era gi nella vita italiana, ci rappresenta lo sforzo della ragione che vuoI francarsi dell'autorit religiosa."R Inoltre, ai fini di una lettura attenta ed equa, non sembra si possa agevolmen te desumere dal testo delle Lezioni l'idea che nella visione storico-letteraria dello scrittore napoletano l'amore di San Francesco per le creature viene alterato o travisato a tal punto da significare l'abbassamento dell'uomo alI stato animale. In realt, lungi dal suggerire tale idea, il Settembrini impiega l'esempio francescano in un passo che tende a definire la genesi del" nuovo sentimento dell'amore" nella letteratura delle origini: la citazione viene cio ad inserirsi nel contesto della teoria secondo cui il momento dell'esaltazione della donna presuppone un processo di livellamento dell'uomo e della donna che nel medio evo tocc punte di estrema depressione morale c spirituale: depressione che si esemplificherebbe appunto nell'atto di "esagerata" umilt fran- cescana: Nel mondo antico la donna era serva dell'uomo e almeno inferiore: nel mondo nuovo il cristianesimo depresse l'uomo, lo fece servo, IN-MARGINE AL CENTEM'-\RIO SETIF.MERINLA ..... 1\JO -Hj l'agguagli alla donna, anzi abbass l'uno e l'altra alla condizione delle creature irragionevoli, per modo che il buon Francesco d'Assisi nell' esagerazione della sua umilt diceva: 'Frate cane, frate lupo, frate sole, e suor luna' .... Quando l'uomo cominci a risentirsi libero e lev il capo, con maraviglia si trov a fianco la donna sua conserva ed eguale .... che gli asciug le lagrime, gli fece sentire qualche gioia; ed egli che aveva imparato che la gioia non su la terra ma nel cielo, credette che nella donna fosse qualcosa di divino .... 9 E si noter infine come, anche nel microcosmo di tali inedite quanto improbabili nozioni, il dettato delle Lezioni risponda a una varia gamma di sollecitazioni umane e culturali che ne arricchiscono continuamente la fondamentale impostazione laica. ANTONIO ILLIANO The University of North Carolina I Per una rassegna della critica settembriniana si vedano: F. De Sanctis, "Settembrini e i suoi critici," in Nuovi saggi critici (Napoli: Morano, 1873) e ora in Saggi critici, a cura di L. Russo (Bari: Laterza, 1957), e Parole in Morte di L Settembrini (Napoli: Morano, 1876); B. Croce, "L. Settembrini," La Critica, 20 gennaio 1913, e poi nella Letteratura della nuova Italia (Bari: Laterza, 1914); L. Russo, F. De Sanctis e la cultura napoletana (Firenze: Sansoni, 1959); D. Bulferetti, L Settembrini (Torino: Paravia, 1925); A. Omodeo, "L. Settembrini," in Di/esa del risorgimento (Torino: Einaudi, 1951); R. Bertacchini, "L. Settembrini," in Letteratura italirma. I minori (Milano: Marzorati, 1962, Vol. IV); M. Themelly, L Settembrini nel centenario della morte.' Note e proposte per una biografia polttica (Napoli: Societ Nazionale cli Scienze, Lettere e Arti, 1977). lF. De Sanctis, Prefazione a L. Settembrini, Ricordanzedella mia vita (Napoli: Morano, 1879-80), xii e xv. 'L. Settembrini, Scritti vari di letteratura, politica ed arte (Napoli: Morano, 1889), p. 300. Per un approfondimento dell'importante contributo polemico del Gigante si veda anche il suo recente saggio su Settembrini e l'antico (Napoli: Guida, 1977). lKarl Hillebrand, "L. Settembrinis Denkwiirdigkeiten," inZezten, Volker und Menschen, voI. VI, Zeztgenossen und Zeztgenossisches, (Strasburgo: K.J. Triibner, 1907), pp. 167-209. Oltre a sottolineare la gioiosa vitalit dell' opera e l'inconfondibile schiettezza e semplici- t dellostile ("clie einfache und in ihrer Einfachheit unerreichte Schnheit"), il saggio del critico tedesco elaborava anche un efficace profilo biografico del Settembrini. OR. Wellek.A Hirtory o/ Modern Crlticism, 1750-1950.' Thc AKe o/Tramition (New Haven and London: Yale University Press, 1965), p. 84. -B. Zumbini, "Le lezioni di letteratura italiana di L. Settembrini e la critica italiana, " in Stlldi di letteratllra Italiana (Firenze: Le Monnier, 1884). Cf. G. A. Borgese. "Tentativi di storia letteraria: Emiliani Giudici e Settembrini," in Storia del/a critica romantica in Italia (Milano: Treves, 1920); G. Getto, Storia delle storie letterarie (Firenze: Sansoni, 1942). 'L. Settembrini, Lezioni di letteratllra lfa!irJnfl (Firenze: Sansoni, 1964). pp. 19-20. E si riveda anche l'esortazione dal De Sanctis allo Zumbini. tutta improntata a una visione che 114 ANTONIO ILLIANO insieme coerentemente storica e squisitamente umana e umanistica dell'opera settem- briniana: "Lascia dunque il sistema, e le tante contraddizioni e l'idea fissa e il difetto di coesione e la dissertazione sul contenuto, e vieni con me a ringraziare il Settembrini in nome della vecchia e della nuova generazione che abbia regalato all'Italia un cos bel libro, dove tutto ci che una parte degl'Italiani ha pensato e sentito per lungo tratto di tempo si trova rappresentato con l'anima dell'artista, col cuore del patriota" ("Settembrini e i suoi critici," cit., p. 278). 9Lezioni di letteratura italiana, p. 66-67. IL MONDO DEI LmRI RECENSIONI Francesco De Sanctis. Un viaggio elettorale. Racconto. Introdu- zione di Gilberto Finzi. Milano: Garzanti, 1977. Pp. 121. Le ristampa in edizione economica di questo piccolo capolavoro narrativo s'impone all'attenzione del lettore-recensore per due motivi fondamentali: l'uno perch serve a riba'dire, in sede extra-teorica, un lato essenzialmente politico del noto realismo desanctisiano, l'altro perch riesce ad illustrare, non meno de La giovinezza, la dimensione pi stretta- mente creativa del De Sanctis scrittore. Il testo, opportunamente presentato in questa duplice prospettiva, preceduto da un breve profilo storico-critico inteso a sunteggiare le tappe principali delle opere e del pensiero del De Sanctis. Il panorama traccia- tone necessariamente amplissimo, ma non per questo si scade nel super- ficiale o risaputo. Anzi, i cenni introduttivi del Finzi si distinguono, se non per la mole, almeno per la chiarezza e dimestichezza con cui egli si muove nella vasta produzione letteraria del Nostro. Le sue note, vuoi si parla della vita dell'autore, vuoi si discute delle sue idee letterarie, sono tutte mirabilmente convogliate ad illustrare il costante impegno morale ed artistico di un uomo che ambiva ad essere profondamente "moderato" sia in politica che in letteratura. Stabilito il contesto storico in cui si colloca il famoso Viaggio elettorale del De Sanctis, l'attenzione del Finzi si riversa quasi interamente sull' aspetto pi propriamente letterario dell' opera. Dopo alcuni rapidi ma incisivi appunti sulle vicende esterne che spinsero il De Sanctis alla faticosatourne elettorale del '75 nel suo collegio natale, il discorso del Finzi si fa pi denso e certamente pi stimolante per chi s'interessi ad una maggiore conoscenza del De Sanctis memorialista. In questo senso, l'apprezza- mento del "racconto" desanctisiano, comprensibilmente eclissato dalla fama della sua produzione critica, va pertanto valorizzato, essendo esso giustamente considerato un punto culminante della sua Carriera sia come teorico d'arte che come uomo d'azione. Scritto in prima persona, subito dopo la sua fortunosa elezione, il Viaggio elettorale, che da resoconto epistolare diventa cronaca politica rivis- suta giorno per giorno, resta indelebilmente impresso nella memoria non solo per certe figure reali, variopinte, della vita provinciale studiate, come 115 II6 RECENSIONI ama ripetere il De Sanctis, "dal vero e dal vivo," ma anche per quella rapida scrittura, scarna, quasi telegrafica in cui ogni parola trasporta il lettore attraverso ben quattordici capitoli, tutti variamente sfaccettati, ora pure divagazioni immaginarie come quello intitolato "Fantasmi not- turni," ora dure rampogne moraleggianti come quello indirizzato a Morra, suo paese nativo, ch tanto aveva osteggiato la sua candidatura al Parla- mento. Coglie pertanto nel segno il Finzi nel rilevare questo felice congiungimento del "fantastico" col "reale," del "romanzo" con la "storia," senza che il primo prevarichi sul secondo. Ecco un "Viaggio" insomma nel quale il pathos viene completamente armonizzato coll'ethos, per cui l'artista non pu intendersi al di l del moralista, almeno in senso lato, entrambi comunque mescolandosi al politico, alla figura dell'intellettuale post-unitario che vive, non immemore di qualche residuo idealistico, il suo sogno di una" moderata" democrazia nazionale, precisamente come andava auspicando la cosiddetta "sinistra giovane" capeggiata in realt dallo stesso De Sanctis. Compenetrazione dunque assoluta tra due piani narrativi, il fantastico-artistico e il politico-educativo, che solo in apparen- za si possono dire autonomi, laddove in profondit sono inscindibilmente legati, forse pi di quanto non si voglia avvertire nell'introduzione al testo. Con un' opera cos felicemente articolata mediante le pi svariate tecniche narrative, dalla descrizione al dialogo, dal discorso diretto a quello indiretto libero, non si pu allora non condividere l'entusiasmo del Finzi che vede in questo Viaggio elettorale uno dei risultati pi illuminanti del mondo artistico-morale del critico irpino. ANTHONY VERNA University of Toronto Giorgio Brberi Squarotti. Le sorti del "tragico." Il Novecento italiano: romanzo e teatro. Ravenna: Longo, 1978. Pp. 240. Lippis et tonsoribus notum est quanto vasto il dibattito su che cosa sia un genere letterario, sui suoi limiti, se la qualit di esso sia tanto cambiata da modificarne l'essenza, ecc. Anche se si volesse accettare una definizione, la pi ampia, la pi inclusiva, la pi neutra, come ad esempio quella di Claudio Guilln: "Un genere letterario un invito alla forma," ci non escluderebbe dissensi, polemiche, contrasti e diatribe perch la forma per s non verrebbe a definire, e spesso nemmeno a descrivere, l'essenza di un genere letterario. Essa si trasforma tanto con l'alterarsi e l'alternarsi dei valori e disvalori storici ( ed anche metastorici, con buona pace di umanisti ed idealisti), che solo per paucit semantica o per speditezza (e oscurit) stenografica Boccaccio, Moravia e Landolfi o Manzoni, Joyce e Volponi RECENSIONI ----LL'7-- possono essere designati con la stessa etichetta letteraria. Donde le questioni corollarie sulla morte della novella o del romanzo. (Per non parlare-ribaltando l'argomento dal binario della scrittura a quello della storia e della vita-dell'amaro richiamo alla morte o almeno alla legittimi- t della poesia da parte di T. W. Adorno: "Dopo i campi di concentra- mento non pi possibille scrivere poesia.") La tragedia il genere letterario privilegiato dalla pi lunga tradizione esegetica da Rarte di artisti, critici e filosofi di tutte le epoche. Perci esiste della tragedia una definizione meno imprecisa, o almeno un rigore di coordinate intellet- tuali e di lessico critico che permette di sviluppare un discorso come questo squarottiano in linee nette, sobrie e significative. Certo, si discussa gi la morte della tragedia; Nietzsche il caso pi cospicuo e pi seducente quando afferma che il razionalista Socrate fu il distruttore della tragedia. La razionalit lamentata dal filosofo tedesco sta alla base sia del positivismo che del marxismo, ideologie della borghesia che impediscono l'espressione del "tragico": questa la tesi del presente esame critico di Giorgio Brberi Squarotti. Come Nietzsche trattava la tragedia greca non solo da mero genere letterario ma come espressione di un' esistenza e di una aspirazione dionisiache, cos lo Squarotti non limita il suo interesse alla tragedia qua genere ma analizza il "tragico" come una possibile situazione esistenziale nella vita di un uomo. Anzi il primo capitolo, "Il testo teatrale," vuole dimostrare l'impossibilit del "tragico" nel testo della tragedia moderna (italiana). Infatti "L'inventivit carneva- lesca e dionisiaca e quella della festa e della vacanza, che sono dissoluzioni del tessuto e della struttura sociale, non possono mai essere definite e rinchiuse in un t e ~ t o " (p. 27), poich cos il testo si istituzionalizza ed acquista il carattere di ripetibilit la quale distrugge l'inventivit, essen- ziale al "tragico." Inoltre l'analisi di questo volume non ristretta ai testi teatrali ma include il romanzo, pi una novella e una poesia. "Il tragico-scrive l'Autore- (letterariamente) una protesta assolu- ta, che non ammette compromissioni ... [] rifiuto della realt storico- fenomenica ... ed antirealistico ... ; la scelta tragica si oppone al buon senso e al senso comune, un'uscita clamorosa e totale dalla (pretesa) razionalit della storia e del comportamento sociale e morale" (p. 29). Troviamo qui l'eco della intuizione hegeliana che afferma: "solo (cito a memoria) quando l'individuo dipende da se stesso e non dalle esteriorit delle circostanze, l'azione umana si afferma come azione nel senso supre- mo, cio, come esecuzione reale di intenzioni e di mire ideali con la realizzazione delle quali l'individuo agente si associa." Lo Squarotti indica questa azione, questa "assoluta lib"ert" (p. 27) nella "scelta della morte come forma suprema di rifiuto ... [dopo che] 1'eroe tragico si scioglie ... dalla storia" (p. 30). La morte, cos, diventa "dimostrazione d'incontami- natezza" (p. 31). questa scelta della morte che l'Autore cerca e analizza perseguendo le sorti del "tragico" nel Novecento italialllo sia nei roman- 118 RECENSIONI zi-Fogazzaro, D'Annunzio, Dossi, Oriani, Svevo, Tozzi, Deledda, Vittorini, D'Arzo, Pavese, Volponi, in pi una novella verghiana e una poesia di Sereni-sia nelle tragedie-Alvaro, Bontempelli, Testori, Savinio, Moravia e Pirandello al cui teatro sono dedicati gli ultimi quattro capitoli ed il quale l'unico che distruggendo il testo teatrale raggiunge il tragico. Con gli esempi scelti nella sua investigazione dell'atto tragico lo Squarotti suggerisce che l'ottimismo, la razionalit, la fede nelle sorti progressive delle ideologie borghesi hanno impedito la espressione del tragico appiattendo, topicizzando, degradando, viziando, dissacrando o rendendo banale, volgare, patetico, vergognoso o utile l'autodistruzione dell'individuo. L'opposizione fino alla morte viene concepita, giudicata, inquadrata nel contesto degli ideali borghesi stessi e, consequentemente, non si innalza al di sopra della norma basata sulle strutture e sovrastrut- ture del momento storico, essa non diventa assoluta, eroica (eccetto in rarissimi casi). Il critico rileva per quanto riguarda la letteratura del tragico, ci che il filosofo Marcuse scopriva nell'uomo a una dimensione: le condizioni ideologiche sono tanto invadenti, opprimenti, alienanti che annullano o vanificano ogni tentativo di contestazione. Accettata la realt e la societ borghese (anche come antivalori), impossibile evaderne, e tanto meno evaderne eroicamente. Certo, si pu lottare-perfino pren- dendo come motto l'ultima frase della tesi di laurea del pi famoso ideologo-economista: "Odio tutti gli dei"-ma si rimane al di qua dell' eroismo, il quale non pu far parte di un gruppo o di una classe: l'incontro o il confronto con gli dei si attua solo e sempre a tu per tu. Nelle parole dell'ideologo-critico letterario Gyorgy Lukacs (perfino lui!): "Alla fine non c' prossimo, ognuno solo alla presenza del destino." Dunque il presente volume non va inteso come la storia di alcuni casi di tragico mancato nel Novecento italiano ma piuttosto la lucida esposizione di una sofferta posizione, quasi impegno, personale. Sbaglie- rebbe il lettore se considerasse una mancanza che alcuni importanti romanzieri e drammaturghi non siano stati esaminati. Gli esempi portati sono sufficienti a dimostrare la tesi. Invero alcuni casi discussi sono suscettibili di altre interpretazioni: ad esempio, applicando un pensiero di W. H. Auden-il quale indica due tipi di tragedia, quella greca, la tragedia "della necessit" e quella cristiana, "della possibilit,"-si potrebbe sug- gerire che il tragico della protagonista de La Motlaca di Motlza di Testori non deve cercarsi in "una necessit di male superiore alle forze dei protagonisti" (p. 113) o nella '"nece,ssit della carne e della vita come male irrimediabile [che] finisce a essere l'unico senso di tutti i deliri che si ripetono lungo l'opera" (pp. 113-114), ma piuttosto nella possibilit esistenziale che "la sventurata" avrebbe potuto !lOti rispondere. Questo stesso significato del tragico potrebbe applicarsi alle figure infernali dantesche. RECENSIONI 119 In conclusione il libro rappresenta uno stimolante contributo al discorso sul tragico anche se non ne d una sistemazione definitiva. Una tale sistemazione dovrebbe assumere un assurdo carattere scientifico ed in tal caso-ricordiamo l'osservazione di D'Annunzio: "L'anatomia p ~ e suppone il cadavere" -la tragedia sarebbe davvero morta per sempre. Nessuno si sentirebbe legato "to a dying animaI" e bramerebbe slanciarsi "into the artifice of eternity" (per citare dei versi che pensiamo cari all'Autore). Comunque anche se convinti dell'inesistenza del tragico (ripetiamo, si parla di scrittura) rimane "il piacere della storia," cio il piacere di parlare attorno alla tragedia. Del resto fu quando in Grecia non c'era nessun autore capace di scrivere tragedie (e nemmeno c'era la borghesia) che Aristotele formul quella concezione del tragico ancora valida ai nostri giorni. EMANUELE LICASTRO State Uniwrsity 01 New York, Buffalo Elio Vittorini. Conversazione in Sicilia. Edited and Intro- duced with Notes and Vocabulary by Robert C. Powell. Manchester: Manchester University Press, 1978. Pp. 233. Conllersazione is a very welcome addition to the Manchester Univer- sity Press series, and it is to be hoped that this edition gains wide use in fourth and fifth semester courses. The thirteen page "Selective V ocab- ulary" seems short but proves to be adequate in view ofVittorini's style and lexicon. It is in any case supplemented by the "Notes" (pp. 197- 220), which translate and explicate many expressions. The text is accompanied by and "Introduction" (pp. 1-13) to Conversazione anda brief "Biographical Note" (pp. 14-18). The latter gives the pertinent facts of Vittorini's life and also serves as a bibliographical note, as it deals mainly with Vittorini's other novels. There is in addition a selective bibliography, including some thirty-three secondary sources. The "Introduction" is interesting. It places Conversazione in its European context as well as in its anti-Fascist matrix, showing both its universal and its more dated aspects. Mr. Powell has obviously read a good dea l of the criticism on Vittorini and makes intelligent use of it. ' No two critics will agree on interpretations of this author, but these pages have raised some interesting points, among them the similarity of Vittorini's ethics to Christian ones (p.lO); the contrast between Silvestro's universal humanity and the subjective limitations of Gli Indifferenti' s Michele (p.) and the lack of colors in Conversazione (p. Il). 120 RECENSIONI I do however object to the gloss on "eternaI womanhood" (repre- sented by Concezione): " ... all that woman represents from Eve, 'costola di uomo' to the epitome ofhumility in the epilogue where she washes the feet of the old man" (p. lO). Its author rightly goes immed- iately to remark the "quasi-religious atmosphere which pervades the book"; he should also have remarked the Biblical patriarchism which pervades his own attitude. One must hope that in reducing women to Adam's rib and due humility (an injustice to Vittorini, whose Conce- zione is far more than that), Mr. Powell is behind his times rather than ahead of them. The "Biographical Note" could have been amplified. The impor- tance Vittorini ascribed to his experience as a worker on a road gang, the eomie-opera episode of his expulsion from a Fascist Party to which he no longer belonged, the circumstances under which Uomini e no was written, an explanation of the Politica e Cultura polemic and of Vittor- ini's subsequent excursions into practical politics would all have been useful. The same extreme concision proves detrimental to the sum- marizing comments on Vittorini's other novels. The first version of Le Donne di Messina , for example, is reduced to" ... basically an attempt to insert the main themes of Il SemPione . .. even further into the historical eontext and to record more accurately the malaise of the Italians faced with the problems of reconstruction and resettlement in the chaos following war" (p. 17). Nevertheless, the "Biographical Note" does a good job of clearly presenting Vittorini's constant political and socio- logical preoccupations. Its brevity may be due to the editorial require- ments of the series. In preparing his edition, Mr. Powell has "borne in mind tlie re- quirements of several types of reader." The intention is praiseworthy, the results in the Notes are uneven. Where these deal with the history of Sicily, ancient as well as modern, they are admirably erudite and extremely illuminating, as in the originaI glosses on the importance of Amanta, Marata and Gioia Tauro, symbols of popular resistance because of their stands against the French in the nineteenth century (III, 2 p. 199) and on the hospitallaw of 1927 (XXIV, 6 p. 208). There are aiso many sensitive stylistic observations (see for example 1,3 p. 197 and V, 2 p. 200). At other times the effort to speak to allleveis of possible audience leads to comments like that on tre belle figliefemmine, COJ dine: "The word femmine is obviously superfluous here, but S. is particuIarly anxious to record with totai accuracy wht il G.L. has to say' (VII, 2 p. 201). In some cases the editor's erudition betrays him: the name Constantino is glossed in terms of the Donation of Constantine, a supposed parallel to the way in whieh "Silvestro's father ... hands over responsibility for the mother to the sons" (II, 5 p. 198). Why not simp!y a pIay on coJtflnte/incostante? In the same way Dante's undeniable - -------RECENSIONI 121 presence in Conversazione is not well served by some of the explicit comparisons (e.g. Vittorini's non . .. ma syntactic pattern, noted by Falaschi as a basically affirmative one, do es not need Inferno XIII as a commentary - III, 6 p. 199). Neither do I see the need to drag in Manzoni propos of the presence of goats in the poverty-stricken Sicilian hovels (XII, 3 p.20S). There are times when a goat is a goat and does not need to be rinsed in the waters of the Arno. Mr. Powell would have done better to explain the ubiquitous chicory and snails. Other allusions are illuminating, however, like that to Levi-Strauss in com- mentary on the lesso of Chapter XIII (1, p. 204). Two other features of the book are worth noting. The addition of a map of Sicily showing the places mentioned in the journey is of great interest, and an unusual 1916 photograph of the eight-year old Vit- torini with his mother adds a veritable "fourth dimension" to the book, introducing elements ofboth reality and "something more than reality." JOY HAMBUECHEN POTTER The University of Texas at Austin 'The quotations. both from Conversazione itself and from the cri- tics, are not translated. Instructors should beware of assuming that classes can skim through these pages and understand them. Charles C. Russell. Ita/o SvevO. The Writerfrom Trieste. Reflec- tions on His Background and His Work. Ravenna: Longo, 1978. Pp. 249. At a time when literary cnt1Clsm has become highly specialized, abstract and often hermetic it is a pleasure to read a criticaI work which is not only intelligent but accessible to the generaI reader. In fact, the main asset ofRussell's Italo Svevo. The Wrt'ter from Trieste is that it brings, with its clarity and simplicity of presentation, Svevo doser to the non-specialist. Although the author's statement that a book on Svevo can "make a reader take up a novei by Svevo" (p. 9) is debatable, his desire to make his readers like Svevo "a little more" (p. 9) is certainly praiseworthy. Russell's goal, as indicated in the "Foreword," is not a criticaI one but "a reflection on Svevo's shifting relationship with Trieste" (p. 9), the city that played a large role in Svevo's life. The book is organized in six chapters. The first is by far the best. "Trieste and the Early Years ofItalo Svevo" gives the reader a wealth of information on the city: historical, cultural, geographic, economic and sociologic. It could stand on its own, without reference to Svevo, as the portrai t of a city. We learn much about Trieste's contrasting political conflicts caused by the mixed population of 122 RECENSIONI Austrians, Slavs and Italians, and about the efforts of the Italian Irridentist movement. Russell clearly shows how literary taste in Trieste suffered as a result of this stifling nationalistic spirito In those days it was enough, as Russell tells us, to write something patrio tic "to get into print" (p. 38). A writer like Svevo, on the other hand, was bound to be little noted or appreciated in such an atmosphere. The Trieste which emerges from Russell' s study is culturally backward, money-oriented, provincial, narrow- rninded, and "often unkind to its artists" (p. 24). He puts Trieste on trial and finds it responsible for Svevo's unfortunate literary career and frustra- tions. The accusation is the leit-motif of this book, constantly yet subtly present up to the final page. To the visitor ofSvevo's tomb Russell says: "If you ask at the entranceway where you can find his tomb, don't ask for Italo Svevo. That name isn't very well know. He is listed under Veneziani" (p. 246). In the next five chapters ("The Years of Una vita," "The Years of Senilit," "The Years, of Apparent Silence," "The Years of La coscienza di Zeno," "The Final Years") Russell analyzes the relationship between Trieste and Svevo through his writings. His thesis is that Svevo's novels owe their success to Svevo' s relationship to Trieste. Where the city appears as a main character-whether hated as in Una vita or accepted with laughter as in La coscienza di Zeno, the greatness of the novels is assured. Where, conversely, the city disappears or remains in the back- ground, as in Senilit, the novel fails. Although he calls Senilit the most "ingenious" (p. 139) of the three novels (borrowing the term from Svevo), it still is for him the "least successful of the three" (p. 137). It is hard to agree with Russell on this point since between Alfonso Nitti and Zeno Cosini there is Emilio Brentani who reflects as much of Svevo's personali- ty as the other two characters. It would seem that Russell, unable to find Trieste in Semlit, or at least to give to Trieste the same important function it had in the other two novels (Svevo's "strange muse" as he calls it, p. 144) needs to dismiss the nove l altogether ("Semlit is the least interesting of Svevo's novels because it is the least Triestine," p. 157). Trieste, however, is not everything in Svevo's life and work, and Russell has, in my opinion, overemphasized its role. Svevo's growing up was also a growing out ofTrieste. This is why the city is, without doubt, as Russell points out, always conspicuously present in Una vita and only tangentially present in the successive works. If Russell is justified in his statement that Senilit "lacks the deep personal feelings of Una vita and the extravagant personal fantasy of La coscienza di Zeno" (p. 137), he should also have noticed that Senilit possesses a quality which develops from "the personal feelings of Una vita" and makes possible "the extravagant fantasy of La coscienza di Zeno." This quality is Svevo's, or Emilio's rigorous rationality, his cold logic and analytical power. It is an extremely important phase in RECENSIONI 12 3 Svevo's development, without which the self-mocking, ironical smile of Zeno could never have been possible. In short, Russell does not give enough recognition to a major aspect of Svevo's personality. It is perhaps his love for Zeno's irony and dislike for Emilio's cold logic ("la potente macchina da pensiero" as he calls himself)1 that makes Russell underestimate the art of Senilit. Yet this "thinking machine" is probably the most effective component ofSvevo's nature. It is already present in Una vita and still very much active in the self-irony ofZeno Cosini. As a result ofhis lack of appreciation of Senilit Russell fails to value many pages of the novel where, as Solmi pointed out: "il tono, sollevatosi dalle insistenze dell'analisi, si fa straordinariamente lirico e leggero, concludendo il romanzo in un'atmosfera di patetica e accorata sospensione."2 In conclusion, apart from Russell's questionable assessment of Senilit, his book is a useful and informative contribution to Svevian criticismo For those who are approaching Svevo for the first time Russell' s work is a first step .. Bis enthusiasm will stimulate the reader to take the successive ones. DANIELA BINI The University oj Texas at Austin IItalo Svevo, Opera Omnia, VoI. II, Romanzi (Milano: Dall'Oglio; 1969), p. 444. ~ S e r g i o Sol mi, "Grandezza di Semlit" in Luciano Nanni, Leggere Sliew. Antologia della critica slieviana (Bologna: Zanichelli, 1974), p. 158. Il Porta tascabtle: poesie scelte. Commenti e note di Luigi Monga. Milano: Pan Editrice, 1978. Pp. 182. Un libretto che ripropone, in agile formato, una scelta altamente rappresentativa della produzione del grande poeta dialettale milanese. Nella breve introduzione il Monga si sofferma sulla questione del carattere morale di questa poesia, e conclude che non si pu negare al Porta il titolo di scrittore "impegnato," secondo la definizione data da Sartre. L'apparente conformismo politico, l'ambiguit, il "girellismo," di cui di volta in volta stato accusato il Porta, lungi dall' offuscare la novit della sua posizione, vengono riqualificati dal curatore come importanti indizi dell' impegno umano del Porta, della sua onest concreta, solido fondamento della protesta verbale. Data la sua sostanziale sfiducia nella coesione politica degli italiani, il poeta non pu caldeggiare un ideale rivoluzionario, ma come pubblico funzionario pu coltivare la propria efficienza e dedizione, e come letterato denunciare i mali e le debolezze 12 4 RECENSIONI umane che sono gli stessi sotto qualsiasi bandiera. Strumento essenziale di tale denuncia la crudezza del linguaggio, che nella sincerit incorrotta contiene una sua forza catartica. Le note linguistiche al testo lo rendono pi agevole anche per coloro che non hanno molta familiarit con il milanese. CLA VIO ASCARI Mary Washington College Enzo No Girardi e Gabriella Spada. Manzoni e il Seicento lombardo. Milano: Vita e Pensiero, 1977. Pp. 118. I quattro studi raccolti in questo libro (di cui due sono opera del Girardi, due della Spada) hanno in comune il proposito di chiarire il rapporto tra il Manzoni e il Seicento mediante un riscontro a volte inedito e quasi sempre approfondito delle fonti storiche e letterarie dei Promessi sposi Rilevante, specie nel contributo del Girardi, il tentativo di ridimen- sionare l'immagine del Seicento manzoniano segnalata dalla critica, la quale, com' noto, si soffermata a lungo sullo spirito di contrapposi- zione tra il Manzoni illuminista, cattolico e la civilt barocca. Tipico il giudizio negativo di Luigi Russo secondo cui l'orgoglio e il puntiglio rappresentano "le pi vere divinit di quel secolo esteriore e farisaico." Nel romanzo, aggiunge il critico, l'attenzione del Manzoni rivolta maggiormente alla vita spirituale del Seicento, "la quale, perch svuotata del sentimento intimo di Dio, deve essere necessariamente vana, pompo- sa, barocca" (Personaggi dei "Promessi sposi" [Bari: Laterza, 1965], p.26). Nella prospettiva del Girardi, il rapporto Manzoni-Seicento si pone in termini di "attrazione e ripulsione insieme," quindi fattore "complesso," "stimolante," "positivo" che comporta anche una misura di "reale simpa- tia" verso determinati aspetti della cultura secentesca. Il Seicento pertan- to quale espressione di una materia molteplice e contrastante e, come tale, indice di una" tendenza centrifuga che caratterizza tutte le manife- stazioni della vita, della cultura e dell'arte secentesca" rispetto all'ideale di "regolarit e di equilibrio" proposto dal Rinascimento (p. 29). Nel romanzo l'atteggiamento del Manzoni si articola, secondo il Girardi, in due tempi diversi: severit morale e ideologica, propria dell'illuminista, nel Fermo e Lucia; approfondimento artistico nell' edizione definitiva ove si profila un tentativo di conciliazione del giudizio critico con la realt storica nel momento stesso che il Seicento, nelle espressioni pi vive del bene e del male, viene ad assumere la funzione di "luogo ideale di una storia eterna," simbolo della "condizione umana sulla terra" (p. 27). RECENSIONI 12 5 La relazione tra il Manzoni e i cronisti lombardi del Seicento, accen- nata nelle prime pagine, si concretizza nel secondo saggio, sempre del Girardi, in uno studio preciso e assai significativo delle fonti storiche del romanzo. "Non vero soltanto," afferma lo studioso, "che il Manzoni rifonde con un'arte e una sensibilit nuova i dati materiali offerti da quei cronisti; ma vero anche e prima di tutto il contrario, che cio quei cronisti nostrani hanno influito in maniera determinante sul suo stesso modo di vedere e di sentire, fornendogli l'esempio di un realismo cristiano che nessun altro secolo poteva offrirgli" (p. 26). Realismo cristiano improntato a un sentimento di pietas umana e religiosa i cui riflessi si avvertono nelle pagine migliori di scrittori quali il Borromeo e il Ripa- monti. Nell' opera di quest'ultimo vengono individuati caratteri essenziali che verranno ad incidere sulla "sensibilit e l'arte stessa" del Manzoni. In particolare, il Girardi segnala lo stile "misurato sul vero"; una certa coscienza critica, preilluministica di fronte al dato storico; il realismo, ossia la capacit di rappresentare con piena evidenza particolari significa- tivi; infine l'attenzione agli "aspetti interiori e sociali della storia" (p. 36). Nel confronto testuale tra I promessi sposi e le cronache ripamontiane, il Girardi p o n ~ in risalto l'elemento di comune partecipazione alle calamit (carestia, fame, peste) che si riversano sul popolo milanese; partecipazio- ne soprattutto morale nel Manzoni, emotiva nel Ripamonti, il quale, da cronista contemporaneo, risente da vicino il dramma della sua citt. Meno importanti, ma sempre validissimi come punti di sostegno per approfondire lo spessore storico del romanzo, risultano, nell' analisi del Girardi, le cronache del Tadino, del Ghirardelli, di Don Pio La Croce, del Lampugnani e il De pestilentia di Federigo Borromeo da cui, oltre all' episo- dio di Cecilia, Manzoni trasse vari spunti narrativi. appunto l'opera di Agostino Lampugnani, insigne accademico, cronista e autore di tre romanzi, che Gabriella Spada prende in esame nella seconda parte del libro. Degno di rilievo il primo studio specie per quanto riguarda documenti rari e inediti dai quali derivano preziose notizie sulla vita e sull'opera del secentista. Il saggio di maggior impegno critico, "A. Lampugnani nell'opera del Manzoni," si sofferma su La pesttlenza seguita in Milano l'anno 1630 (1634) di cui il Manzoni si serv, nella stesura del Fermo e Lucia, per la questione degli untori e delle unzioni. Ma il riscontro testuale risulta molto diverso da quello tracciato dal Girardi rispetto al Ripamonti in quanto "il valore d ~ l l e notizie e degli altri spunti offerti al Manzoni dalla Pestilenza resta nei confronti del romanzo manzo- niano complessivamente modesto" (p. 92). modesto anche perch il rapporto con la fonte, da parte del Manzoni, si svolge in termini di opposizione alla mentalit retriva del Lampugnani, portata a definire la guerra, la peste e la carestia "flagelli familiari della divina mano." Oltre alla Pesttlenza, come risulta da nota autografa, il Manzoni volle consultare tre opere in prose dello stesso Lampugnani. Notevole, anche 126 RECENSIONI per l'importanza che ebbe per il Manzoni, la Carrozza da nolo (1649), romanzo in chiave critica da cui traspare un quadro vivace e ben preciso del costume secentesco. La Carrozza di ritorno, pubblicato l'anno dopo e a quanto pare inspirato dal successo del primo romanzo, si ripropone "i medesimi argomenti e i medesimi giudizi sui costumi del Seicento" (p. 102). Le corrispondenze tra I promessi sposi e il terzo romanzo del Lampu- gnani, il Celtdoro (1642), risultano "di modesta entit ed evidentemente pi esteriori che sostanziali" (p. 114). Anche per questo ci sembra poco attendibile l'ipotesi che il Manzoni abbia voluto riprendere, nel romanzo, una storia d'amore simile a quella di Celidoro e Doristella. Difficile infine condividere una seconda indicazione della Spada, che cio il Celtdoro, . opera priva di "consistenza psicologica" e di "coerenza interiore," impo- stata sulla materia fantastica ed avventurosa tipica del romanzo barocco, possa appartenere "allo stesso genere letterario del capolavoro manzo- niano" (p. 103). Se si esclude l'interesse non indifferente del Manzoni nei confronti della Pesttlenza, il rapporto col Lampugnani risulta, tutto sommato, di ordine marginale e a volte puramente fortuito. In effetti il merito dei due saggi della Spada va considerato non tanto in relazione al Manzoni quanto come contributo rilevante allo studio del romanzo italiano del Seicento. AUGUSTUS PALLOTTA Syracuse University Vito R. Giustiniani. Il testo della uNencia" e della UBeca" secondo le Pi antiche stampe. Firenze: Leo S. Olschki, 1976. Pp. vii + 178. Il testo della Nencia e della Beca presenta vari problemi letterari e linguistici che vengono analizzati in 78 paragrafi esaurienti e fluidi, i quali precedono l'edizione critica vera e propria. Vito R. Giustiniani si prefigge due scopi principali: ripristinare integralmente il testo quattrocentesco delle prime stampe e corredarlo delle opportune illustrazioni filologiche e linguistiche; egli lascia da parte la questione della paternit della Nencia; considera la determinazione della data delle prime due stampe fondamen- tale ma provvisoria. . Lo studio inizia con un minuto raffronto delle quattro redazioni della Nena (ciascuna esemplificata da una tavola fuori testo); le differenze formali risultano notevoli, soprattutto nell'ordine e nel numero delle stanze. Dal punto di vista delle condizioni del testo, le variae lectiones vengono attribuite ai guasti prodotti dalla semplice disattenzione o smemoratezza, dall' approssimazione della trasmissione mnemonica o da RECENSIONI 12'7-- correzioni volute, apportate per migliorare la dizione. Il contrasto fra le stanze trasmesse per via scritta e le stanze trasmesse per via orale rispec- chia la composizione di un genere letterario popolare, intuibile attraverso tre strati o filoni: uno popolare, uno popolareggiante e uno "rusticale." L'analisi letteraria scopre il primo filone nelle numerose spie sia tema- tiche sia stilistiche dei canti popolari (le stanze destinate alla rappresenta- zione scenica; i topoi della vita contadina; i vari momenti nella vita del- l'amata; ecc.). Lo'strato popolareggiante nasce da una prima imitazione della tradizione letteraria in cui si risente specialmente l'eco di alcune novelle del Decameron. Infine, il filone "rusticale" rappresenta "la fase quattrocentesca della satira trecentesca del contadino e del semplicione in genere" (p. 44). Questi tre filoni si intersecano e sfumano l'uno nell'altro, ma sono distinguibili: la Nencia " divenuta la somma di parecchi spunti autonomi, sviluppatisi secondo diverse direttrici parallele" (p. 54). Nei paragrafi del repertorio grammaticale, tematico e metrico viene esaminata la lingua delle redazioni nella sua veste fonetica, morfologica, sintattica. Rilevante per lo studio della storia del toscano la mancanza del che pleonastico in certe costruzioni, perch "sorge il sospetto che si trattasse di un suono appena pronunziato, ... il che verrebbe a testimoni- are la gorgia toscana in un' epoca un po' precedente a quella in cui se ne collocano i primi indizi" (p. 61), cio verso il 1476, e non nel 1525 (cfr. H. J. Izzo: Tuscan & Etruscan, Toronto: University of Toronto Press, 1972, p.8). I testi abbondano di termini, costrutti, modi di dire popolari e campagnoli, ma anche di motti rusticani, di cui viene fornito un reper- torio, indispensabile per chi voglia capire a fondo il testo. Le consuetudini metriche dei testi vengono analizzate nei paragrafi che precedono la conclusione della prima parte del volume, consistente di una descrizione dei manoscritti, degli incunaboli e delle edizioni. L'edizione critica della Nenciozza da Barberino e la Beca stata fatta sul- l'incunabolo f3. Le note che la corredano testimoniano la complessit e la delicatezza di queste ottave "nenciali." Non solo vengono spiegati i relitti di una Umgangssprache "rusticana" ormai tramontata da un mezzo millen- nio (spesso paragonati con l'uso dello stesso concetto in altre lingue), ma il lettore viene anche introdotto alle ascendenze letterarie del testo (specialmente italiane, provenzali, latine), ai vari wellerismi e ai diversi costumi letterari e culturali del secolo xv. Le note filologiche rimandano utilmente il lettore ai paragrafi precedenti per ulteriori precisazioni. Un ampio glossario conclude il lavoro. In questa sede non si potuto che accennare sommariamente e in modo imperfetto ai molti pregi del volume, fondamentale per chiunque desideri approfondire la conoscenza non solo del genere "nenciale," ma anche della lingua e di certe usanze tradizionali del tardo Quattrocento fiorentino. Dell' opera, come limpido esempio di rigore filologico e come 128 RECENSIONI contributo specifico alla storia letteraria del secolo XV, non si pu che la lettura e lo studio. )ANA VIZMULLER University 01 Toronto Fiorenzo Forti. Magnanimitade: studi su un tema dantesco. Bologna: Ptron, 1977. Pp. 238. Richard H. Lansing. From Image to Idea: A Study 01 the Simile in Dante's "Commedia." Ravenna: Longo, 1977. Pp. 181. Although they differ considerably in method and approach, both authors contribute to an understanding ofDante's thought and its poetic expression in the Commedia as a whole, while focusing on clearly delimited topics. The resuIts of Forti's investigations are widely accepted, as his three articles in the Enciclopedia Dantesca ("Pusillanimi," "Superbi" - both included in appendix in the book - and "Filippo Argenti") attesto In addition, several of his essays are quoted as bibliographical sources under various headings in the Enciclopedia. Forti's volume comprises six studies compieted between 1961 and 1973. Despite the span of years, it has a pleasing structural coherence. The introductory study, "Il Limbo e i megalopsicoi della Nicomachea," establishes the definition ofDante's concept of magnanimity on the solid foundation of Aristotelian and scholastic tradition. It is Forti's merit to have shown that only one term, spiriti magni, correctly applies to each member of the morally, theologically, and historically heterogeneous group of characters in the nobile castello, and that this term defines a moral virtue which corresponds in an exact, technical sense to Aristotle' s megalopsychia. Like Brunetto Latini, Dante understood the virtue as "operazione di cose grandi, nel campo del pensiero come nel campo dell'azione" (p. 43). The moraI identification of Dante's magnanimi with Aristotle's megalopsychoi elucidates other passages of the poem. Thus the vili of Inferno III, when juxtaposed with the magnanimi ofLimbo, appear as pUSillanimi, exemplifying a deficiency of the virtue. The remaining studies are symmetrically arranged, as befits Dante. Studies II and III examine magnanimity in thought and action. Study IV is centraI in position and importance, as it deals with verbal magnanimity, "operazione di cose grandi" by the poet himself. Studies V and VI analyze examples of the virtue carried to excess. "Le Atene celestiali: i magnanimi del sapere" (II) unfolds at the leisurely pace of a lectura Dantis, revealing the author's aesthetic sensitivity. The sapienti of Paradise are heroes of thought who, like the great souls of Limbo, shaped the poet's morallife. Pursuers of the truths ofboth faith RECENSIONI 12 9 and reason, Thomas Aquinas and Siger are quite plausibly associated by virtue of their magnanimity. In "Il dramma sacro della 'mala striscia': grazia e magnanimit" (II!), thematic re1ationships between Purgatory VI-VIII and Dante's political writings are emphasized. Forti's essentially political interpretation of these cantos, while convincing in itself, nevertheless tends to obscure the mystical implications of this important transitional section of the poem. The events of the valletto, serving as prelude to the pilgrim's passage into Purgatory proper, have an anticipatory function in the narrative context of the poem as a whole which calls for greater recognition. The centraI study, "La magnanimit verbale: la transumptio" (V), is devoted to the metaphoric mode of the high tragic style, considered in the light of the rhetorical tradition of Bologna. With admirable skill and extensive documentation, the author demonstrates how Dante's poetry surpasses his own technical doctrines as well as those of contemporary rhetoricians, and illuminates Dante's concept of the poet's moral and artistic mission. Turning from the positive aspects of magnanimity, Forti studiestwo examples of its excesses. Filippo Argenti is shown to embody not just a sin, but a moral attitude which gives rise to sin ("Il magnate non magnani- mo: lapraesumptio," V). Aristotelian notions of wrath and pride provide a firm basis for this reading. However, the strong Biblical connotations of Inferno VIII are either overlooked or considered beyond the scope of this study. Perhaps because of its origin as a lectura Dantis, it does not suf- ficiently take into account the structural unity of the entire episode at the gate of Dis. Consequently, as in Study III, the rich polysemy of a crucial point of passage in the poem is largely ignored, and an overly narro w focus misses the full import of Dante'l) complex meaning. In the concluding study, " 'Curiositas' o 'fo1 hardement'?" (VI), Ulysses is construed as an admirable figure, condemned for fraud but motivated by moral nobility in his search for knowledge and virtue. His follia consists in exceeding the limits of misura while striving to accomplish an arduous task. Forti equates such an excess of magnanimity with what Brunetto latini calls fol hardement. lt is regrettable that Carmody's edition ofBrunetto Latini's Tresor was not available to the author. His reliance on Chabaille (1863) and Marchesi's research into the medieval tradition of Aristotle's Ethics (1903,1904) may have led to discrepancies in numbering the books of the Tresor, and evaluating Taddeo Alderotti's and Brunetto Latini's respective roles in vernacularizing Aristotle. N evertheless, the study of Ulysses exemplifies Forti' s painstaking scholarship. His investigations are meticulously docu- mented from literary, rhetorical, and philosophical sources, both classical and medieval; previous interpretations (mainly ltalian) are considered from the earliest commentators, as are Dante' s minor works. That these 13 RECENSIONI studies have been gathered into a single volume is to the benefit of alI dantisti. Readers will not turn to Lansing for such broad, historical documenta- tion, nor for a statistically complete record of the Dantean simile. The focus is essentially upon the internaI structuring of the Commedia, as revealed through an analysis of certain important, complex similes. While Forti asks: "in che consiste lafollia dell'ultimo viaggio di Ulisse?" (p. 194), Lansing is interested in the figure of Ulysses rather as it relates to the centraI allegory of the poem. The difference in approach inevitably brings divergent results. Through a careful anaIysis of the simile of the Shipwrecked Swimmer (In! n and of the Elijah simile which introduces the episode of Ulysses, Lansing discerns "a pattern of archetypai corre- spondence between two shipwrecked men, Dante and Ulysses, one of whom is saved 'com' altrui piacque' " (p. 111). Ulysses' shipwreck in search of natural philosophy, the kind ofknowledge that does not lead to redemption, is associated with Dante's crise de conscience over his earlier writings, which motivated the composition of the Commedia. After an introduction, Lansing's volume begins with a generaI over- view of the morphology of the Dantean simile in its variety (chapter n, followed by a discussion (chapter II) of the uses of the simile in hs narrative context (anticipatory and retrospective functions, extablish- ment of conceptual or thematic correspondences, etc.). This provides the basis for a dose examination in the remainder of the book of individuaI similes and their interrelationships (chapter III, "Patterns ofMeaning: the Shipwrecked Swimmer and Elijah's Ascent," and chapter IV, "Patterns of Meaning: Similes in Series"). The author is particular1y skillful in uncovering complex analogies evoked by the visual image. Thus the simile of the Sicilian Bull illuminates the relationship between Guido da Montefeltro and Pope Boniface VIII, pointing up, retrospectively, the ironic justice of Guido's fate. Statius, who is compared in a simile with the risen Christ, appears in a broad figuraI context with C ~ t o and Beatrice to evoke three important "arche- typai moments" in Christ's life: the Crucifixion, the Resurrection, and the Second Coming. One need not agree with Lansing's analyses in every detail. For instance, with regard to the morphology of the simile, must the com- parison that describes the failure ofDante's memory concerning the final vision ofParadise be dassified as a "pseudosimile"? The natural phenom- enon described in the vehide (the lingering effect of a dream) corre- sponds to aspiri tuai phenomenon in the tenor of the simile (the effect of a . vision). Consequently the comparison could be considered real, not on1y apparento For the same reason, is the simile of the Shipwrecked Swimmer a "pseudosimile"? Occasionally one might question the interpretation of the visual element of an image: does the shift from the firefly simile to the RECENSIONI Elijah simile (In! XXVI) literally imply a change in perspective (motion towards Ulysses) on the part of the pilgrim? As Lansing concedes, there could also be disagreements concerning the circular movements or con- figurations of souls in the sphere of Mercury and Venus. If there is room for discussion, this only underscores the unquestion- able value of Lansing's work. It is always thought-provoking and should stimulate readers to gain fresh insights into the Commedia. Holding firm to the dictum that "the part must mirror and contain the whole" (p. 69), Lansing consistently proceeds from a dose reading of the detail to a sweeping perspective on the poem in its breadth and depth. Although the aim is not aesthetic, his focus on darification of meanings does enhance the appreciation of the poet' s art. DENISE HEILBRONN Northern Illinois Universtfy Gerhard Rohlfs. Nuovo dizionario dialettale della Calabria. Ravenna: Longo, 1977. Pp. 945. Di quest' opera lessicografica importantissima per la dialettologia italiana era comparsa in Germania una prima edizione in tre tomi col titolo Dizionario dialettale delle Tre Calabrie negli anni 1932-1936, oggi per- altro irreperibile. Il presente volume ne costituisce una profonda rielabo- razione sulla scorta di copiosi materiali che il Rohlfs venuto raccoglien- do nel corso delle ripetute visite nella regione di cui egli oggi linguisti- camente il miglior conoscitore. La Calabria caratterizzata da un complesso dialettale assai vario e che pone agli studiosi una problematica complessa. Dal 1924 in poi il Rohlfs ha pi volte esposto le sue tesi sulla struttura linguistica della Calabria: la parte settentrionale, comprendente grosso modo la provincia di Cosenza, fu presto latinizzata e la lingua di Roma doveva dominarvi gi ai tempi di Augusto; nelle province meridionali, invece, il greco si resse a lungo come lingua dominante e la sua regressione non cominci che molto lentamente verso il sec. XI, accelerandosi poi in et recente fino alla situazione odierna in cui l'ellenofonia calabra ridotta ad alcuni piccoli paesi in posizione impervia nella zona di Bova sulle falde del- l'Aspromonte. Con quanto detto si spiega come i dialetti del Cosentino concordino per moltissimi versi con quelli del restante Meridione ed abbiano fisionomia, per dir cos, napoletana; le parlate delle province di Catanzaro e di Reggio denunciano invece un fortissimo sostrato greco e recano l'impronta di una latinit pi recente che le accomuna ai dialetti della Sicilia. Valgano come esempio, in ambito lessicale, i vocaboli seguenti, tolti dai moltissimi citabili: ago cieco l'altro ieri mela sarto testa uva, i quali nella Calabria settentrionale suonano acu cecatu nustierzu milu custfure RECENSIONI capu uva, mentre nel sud della Regione, e in Sicilia, aggghia orbu avanteripumu custureri testa racina. Spia eloquente dell'influsso greco sono poi, nei dialetti delle due province meridionali, l'assenza dell' infinito dopo i verbi che esprimono volont (es. vgghiu mu dormu "voglio dormire," cfr. greco di Bova f)lo na ciumif)), e l'uso costante del passato remoto (es.: sta malina chiuvu, m arrivar) in contesti temporali che nel resto dell'Italia meridiopae (esclusa ovviamente la Sicilia) richiedono invece il passato prossimo. Si aggiunga infine che nei dialetti della Calabria del sud le voci di origine greca si contano a centinaia e sono particolarmente comuni in ambiti semantici attinenti alla vita contadina, vale a dire ad un ambiente in cui il greco si mantenne pi a lungo come lingua parlata e in minima misura ancor oggi sopravvive. Nell' introduzione, utilissima, a questo suo dizionario, il Rohlfs dedica appunto alcune pagine (10-14) a riassumere la sua concezione della struttura linguistica della regione calabra, accennando appena a questio- ni dibattute, come quella assai discussa della continuit ininterrotta o meno del greco di Calabria dai tempi della Magna Grecia. Ad un rapido esame delle fonti del lessico calabrese sono rivolte le pagine 15-19. La componente principale ovviamente latina, ma gi per quanto accennato qui sopra riesce facile comprendere come gli elementi pi arcaici si riscontrino solo nella zona settentrionale (dove vivono, per es., crai'domani' < *cras,janua 'porta' < *janua,gliifa 'zolla' < *osco *glefa, lat. gleba, uscare 'bruciare' < *ustulare, veta 'bietola' < *beta, ecc.). In secondo piano si pone rapporto greco, vistosamente presente nel sud, ma riscontrabile anche nei dialetti settentrionali, soprattutto in termini rela- tivi all'agricoltura (es. cruopu 'letame' < X6rrpo, catuoju 'porcile' < XarwyELOV, jiersu 'terreno incolto' < XpCTOS, ecc.). Molto bene si poi mantenuto l'elemento lessicale greco nelle province meridionali nell'ambito della nomenclatura botanica e animale. Al greco dell'Italia meridionale, del resto, lo stesso Rohlfs ha gi dedicato due opere fondamentali, gli Scavi linguistici nella Maf(na Grecia (Roma, 1933; 2 a ed. Galatina 1974) e il Lexicon graecanicum Italiae Inferioris (Tiibingen, 19(4): Altri apporti lessicali sono venuti ai dialetti calabri, in misura assai pi modesta, dall'arabo, dal francese, dallo spagnolo, dalle lingue germaniche. Poche sono le voci prelatine sopravvissute e ascrivibili quasi tutte all' osco delle popolazioni lucane e bruzie che abitavano la parte settentrionale della Calabria prima della romanizzazione. Le pagine 20-26 offrono un succinto ma chiaro prospetto dell'evolu- zione fonetica dei dialetti calabresi, dal quale rilevabile la considerevole disparit degli esiti moderni. Degli sviluppi particolari il Rohlfs circo- scrive almeno approssimativamente l'area di diffusione e fornisce utili esempi. Il sistema di trascrizione adottato dal Rohlfs aderisce per quanto possibile alle consuetudini grafiche dell'italiano letterario, e l'impiego di RpCENSTONI _____________ _ 133 segni speciali limitato a quei suoni dialettali che non trovano corrispon- dente in lingua. N e deriva che la consultazione di questo dizionario non comporter intoppi eccessivi neanche per chi non abbia dimestichezza con i simboli fonetici. La soluzione grafica seguita dal Rohlfs ci pare ottima e c' da augurarsi che possa servire di base ad una normalizzazione ortografica presso gli autori dialettali calabresi che fino ad oggi hanno sovente escogitato grafie personali non sempre perspicue. Tra i pregi di questo dizionario spicca il fatto che di ciascun lemma viene indicata, tramite un preciso sistema di sigle, l'area di diffusione del lemma stesso e delle sue varianti, ognuna delle quali peraltro anche elen- cata separatamente con semplice rimando alla forma scelta per base. frequente la citazione di esempi, modi di dire, proverbi, sempre con localizzazione precisa. Nel caso dei verbi irregolari, vengono specificate anche le forme dei principali tempi con relative varianti locali. Ciascun articolo si chiude con l'indicazione dell'etimologia. Di particolare utilit per gli studiosi risulter il "Repertorio italiano- calabro" che occupa le pagine 837-918. Non si tratta di un vero vocabo- lario italiano-calabrese, ma di un comodo sussidio che permette di rintrac- ciare rapidamente nella parte principale del dizionario i termini dialettali che interessano. Nello scorrere questo repertorio ci si accorge ancora una volta del grande frazionamento linguistico che contraddistingue la Calabria, soprattutto negli ambiti lessicali relativi alla vita contadina, alla fauna e alla flora. Cos, ad esempio, per 'biancospino' troviamo 24 forme diverse (da calvarice a zinziferu) , per 'pipistrello' 60 (da acie(i(iu de notte a ta(i.darita) , per la 'lucciola' addirittura 83 (da alia-all'a a zambarina) , e via dicendo. Chiude il volume un "Indice degli etimi," nel quale ovviamente predominano forme latine e greche, seguite numericamente da quelle francesi ed arabe. Da quanto sopra si pu concludere osservando che questa imponente fatica del Rohlfs offre ai dialettologi tutti i sussidi necessari ad uno studio approfondito del patrimonio lessicale dei multiformi dialetti calabresi. Come dizionario delle parlate di un'intera regione, quest'opera un esempio quasi unico e che indubbiamente dovr essere preso a modello per lavori simili relativi ad altre regioni, di cui si auspica la realizzazione. Data la stretta parentela pi sopra ricordata tra i dialetti della Calabria meridionale e quelli della vicina Sicilia, non sar inopportuno segnalare agli studiosi, a chiusa di questa recensione, due altri lavori recenti del Rohlfs, di mole minore ma di indubbio interesse: l'uno, intitolato Histo- rische Sprachschichten im modernen Sizilien, (Bayerische Akademie der Wissen- schaften, Phil.-Hist. Klasse, Sitzungsbe richte, Heft 3, Miinchen 1975), costituisce un avvincente profilo di storia linguistica siciliana; il secondo, Supplemento ai vocabolari sictliani (Bayerische Akademie der Wissenschaften, Phil.-Hist. ~ l a s s e , Abhandlungen, Neue Folge, Heft 78, Miinchen 1977), 134 RECENSIONI un originale e prezioso contributo, basato su rilievi diretti, al grande vocabolario generale delle parlate siciliane che da molti anni (con sede a Catania) in corso di elaborazione e redazione. Dall'instancabile operosit del Rohlfs, che pure ha raggiunto ormai et quasi veneranda, non ci stupiremmo di avere presto ancora nuovi con- tributi che, con la chiarezza e il rigore estremo che lo contraddistinguono, gettino luce nuova sulle affascinanti vicende linguistiche dell'Italia dialettale. GIANRENZO P. CLIVIO University 01 Toronto ULTIME NOVIT IN LINGUA ITALIANA (a cura di R. Capozzt) Antologia della rivista "Corrente". A cura di Givanella Desideri. Napoli: Guida, 1979. Pp. 130. L. 5.200. Astaldi, Maria Luisa. Metastasio. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 358. L. 10.000. Baldissone, Giusi. Il mole di scrivere. L'inconscio e Montale. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 148. L. 3.500. . Banti, Arma. La camicia bruciata. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 255. L. 2.500. Il Baretti. A cura di M. C. Angelini. Roma: Ediz. Dell' Ateneo, 1979. Pp. 337. L. 10.500. Barilli, Renato. Retorico. Milano: I s ~ d i , 1979. Pp. 198. L. 7.000. Bernari, Carlo. Dall'Etna al Vesuvio. Roma: Gremese, 1979. Pp. 206. L. 2.800. Bigongiari, Piero. Moses. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 250. L. 8.000. Bonaviri, Giuseppe. Il dire celeste. Milano: Guanda, 1979. Pp. 153. L. 4.000. Borsellino, Nino. Immagini di Pirandello. Cosenza: Lerici, 1979. Pp. 153. L. 2.500. Brancati, Vitaliano. Il bell'Antonio. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 327. L. 2.800. Carducci, Giosu. Poesie. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 317. L. 4.000. Cassola, Carlo. I vecchi compagm: Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 232. L. 2.500. Castel1aneta, Carlo. Anni beatt: Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 292. L. 7.000. Cecchetti, G. Sulle "Operette morali." Premessa di R. Scrivano. Roma: Bulzoni, 1979. Pp. 128. Croce, Elena. La lunga guerra per l'ambiente. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 140. L. 3.500. Debord, Guy. La societ dello spettacolo. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 165. L. 5.000. De Roberto, Federico. Lococotte. Roma: Curcio, 1979. Pp. 327. L. 4.000. La Divina Commedia. A cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio. Inferno. Pp. xviii + 515; Purgatorio. Pp. xix + 571; Paradiso. Pp. xviii + 555. Firenze: Le Monnier, 1979. Ogni volume L. 4.000. Dolfi, Anna. Grazia Deledda. Milano: Mursia, 1979. Pp. 198. L. 7.000. 135 ULTIME NOVIT IN LINGUA ITALIANA Garin, Eugenio. La cultura filosofica del rinascimento italiano. Firenze: Sansoni, 1979. Pp. 509. L. 12.000. Guglielmi, Guido. L'udienza del poeta. Saggi su Palazzeschi e il Futurismo. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 130. L. 4.000. Guaraldo, Enrico. La scena della poesia. Torino: Edi Albra, 1979. Pp. 161. Isnenghi, Mario. Intellettuali militanti e intellettuali funzionari T orino: Einaudi, 1979. Pp. 290. L. 7.000. Jung, Cari G. Psicologia e poesia. Torino: Boringhieri, 1979. Pp. 81. L. 2.000. Lacan, Jacques. Il seminario. Libro XI. Torino, Einaudi, 1979. Pp. 286. L. 10.000. Lagorio, Gina. Fuori scena. Milano: Garzanti, 1979. Pp. 244. L. 5.800. Leeson, Richard. Il concetto di "fluenza" nell'insegnamento delle lingue. T orino: SEI, 1979. Pp. 317. L. 9:000. Letteratura e questione della lingua. A cura di Paolo Zolli. Bologna: Zanichelli, 1979. Pp. 152. L. 2.800. Levi, Primo. Storie naturali Torino: Einaudi, 1979. Pp. 251. L. 4.500. Lucini, Gian Pietro. La gnosi del melibeo. Roma: Espansione, 1979. Pp. 190. L. 5.000. Lunetta, Mario. La presa di Palermo. Poesie, 1972-1977. Manduria: Lacaita, 1979. Pp. 127. L. 3.000. Machiavelli, Niccol. Antologia di scrittipoltlici A cura di Giorgio Cadoni. Bologna: Il Mulino, 1979. Pp. 208. L. 3.500. Malerba, Luigi. Dopo ti pescecane. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 126. L. 5.000. Masini, Ferruccio. Il sale dell'avventura. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 78. L. 2.500. Miccinesi, Mario. Il custode della legge. Milano: Rusconi, 1979. Pp. 205. L. 6.000. Momigliano, Attilio. Introduzione aipoett: Firenze: Sansoni, 1979. Pp. 294. L. 5.000. Neirotti, Marco. Invito alla lettura di Tomizza. Milano: Mursia, 1979. Pp. 144. L. 2.500. Oliva, Gianni. I nobili sPirtli- Pascolt: D'Annunzio e le riviste dell' estetismo fioren- tino. Bergamo: Minerva Italica, 1979. Pp. 755. L. 15.000. Orengo, Nico. La misura del rtlratto. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 143. L. 5.000. Pasolini, Pier Paolo. Il caos. Roma: Editori Riuniti, 1979. Pp. 272. L. 4.500. Pestelli, Leo. Parlare tlalt'ano. Milano: Feltrinelli, 1979. Pp. 239. L. 6.500. l J T ~ T I M E NO VITA lN--L--INGUA ITALU ... NA- - ---------137 Petrarca, Francesco. Viaggio in Terra Santa. Napoli: SEN, 1979. Pp. 84. L. 3.000. Piana, Giovanni. Elementi di una dottrina dell'esperienza. Milano: Il Saggiato re, 1979. Pp. 230. L. 7.500. Piovene, Guido. Romanzo americano. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 129. Pirandello, Luigi. Donna Mimma. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 116. L. 2500. Pomilio, Mario. Scritticristiant: Milano: Rusconi, 1979. Pp. 157. L. 7.000. Prezzolini, Giuseppe. Dio un rischio. Milano: Rusconi, 1979. Pp. 250. L. 9.000. Ramat, Silvio. Invito alla lettura di Bigongiari Milano: Mursia, 1979. Pp. 173. L. 2.500. Ramat, Silvio. L'inverno delle teorie. Milano: Mondadori, 1980. Pp. 107. Rambelli, Loris. Storia del "giallo" tfaliano. Milano: Garzanti, 1979. Pp. 257. L. 3.000. Ravera, Lidia. Bambino mio. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 144. L. 5.000. Ricciardi, Mario. La rivinetfa della letteratura. Torino: Stampatori, 1979. Pp. 163. L. 7.000. Romano, Lalla. Una giovinezza inventata. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 238. L. 8.000. Saccone, Antonio. Massimo Bontempelli (Il mtfo del '900)' Napoli: Liguori, 1979. Pp. 171. L. 5.500. Santi, Vietar A. La "gloria" nel pensiero di Maehiavellt: Ravenna: Longo, 1979. Pp. 154. L. 6.500. Savona, Eugenio. Intellettuali e pubblico nell'et comunale. Messina-Firenze: D'Anna, 1979. Pp. 192. L. 2.600. Sbarbaro, Camillo. La trama delle lucciole: Lettere ad Angelo Barile. A cura di D'Astengo e F. Contorbia. Genova: San Marco Dei Giustiniani, 1979. Pp. 118. Sciascia, Leonardo. La Sicilia come metafora. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 133. L. 4.000. Sciascia, Leonardo. Dalle parti degli infedeli: Palermo: Sellerio, 1979. Pp. 87. L. 2.500. Sciascia, Leonardo. Nero su nero. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 247. L. 4.000. Segre, Cesare. Semioticaefilosrfia. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 189. L. 6.000. Serao, Matilde. Il delitto di Via Chiatamone. Firenze: Salani, 1979. Pp. 614. L. 2.300. Sinigaglia, Sandro. La camera Gurgantina. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 156. L. 4.000. ULTIME NOVIT 10J LINGUA ITALIANA Sobrero, Omena. La mutevole forma. Napoli: Societ Editrice Napoletana, 1979. Pp. 179. L. 5.000. Soffici, Ardengo. Fior Fiore, Firenze: Licosa Reprints, 1979. Pp. 441. L. 12.000. Soldati, Mario. L'amico Gesuita. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 186. L. 2.000. Spagnoletti, Giacinto. Il verso tutto. Carabba: Lanciano, 1979. Pp.205. L. 6.500. Spaziani, Maria Luisa. Poesie. A cura di L. Baldacci. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 171. Tasso, Torquato. Gerusalemme Liberata. A cura di Lanfranco Caretti. Mila- no: Mondadori, 1979. Pp. LU-808. L. 15.000. Tedesco, Natale. La coscienza letteraria del novecento. Palermo: Flaccovio, 1979. Pp. 200. L. 6.500. Terra, Stefano. La porta diferro. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 177. L. 6.500. Tozzi. Federigo. Adele. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 96. L. 5.000. Tozzi, Federigo. Bestie. Milano: Guanda, 1979. Pp. 122. L. 3.500. Vigevani, Alberto. L'invenzione. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 139. L. 2.000. ULTIME NOVIT IN LINGUA INGLESE (a cura di E. Licastro) Boccaccio, Giovanni. Boccaccio's Revenge: a Literary Transposition of the "Corbaccio" (The Old Crow). By Normand R. Cartier. The Hague: Nijhoff, 1977. Pp. x + 78. Cioffari, Vincenzo. Beginning Italian. 3d ed. Lexington, Mass.:Heath, 1979. Pp. xxiii + 327. Dante, Alighieri. Dante's Rime. Trans. by Patrick DiehL Princeton, N.].: Princeton University Press, 1979. Giovio, Paolo, Bp. of Nocera. Dialogo de/l'imprese. Simeoni, Gabriello. Imprese heroiche et moralt: Domenichi, Lodovico. Ragionamento. Daniel, SamueL The Worthy Tract of fOt'tus. Introductory notes by Stephen OrgeL New York: Garland Publishing, 1979. Hunt, Clay. Lyadas and the Italian Critics. Pref. by I. SamueL New Haven: Y aIe Universi ty Press, 1979. Masseron, Alexandre. Dante Alighiert: the Poet who Loved St. Francis So Much. Trans. by A. Armandez. Chicago: Franciscan Herald Press, 1979. Mazzotta, Giuseppe. Dante, Poet of the Desert: History and Allegory in the "Divine Comedy." Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1979. Montale, Eugenio. The Storm and Other Poems. Trans, by C. Wright; with introd. by V. Rossi. Oberlin, Ohio: Oberlin College, c. 1978. Pp. 141. (Translation of La Bufera e altro.) Montgomery, Robert L. The Reader's Eye: Studies in Dtdactic Theory from Dante to Tasso. Berkeley, CA.: University of California Press, 1979. Pp. 243. Perella, Nicolas]. Mtdday in Italian Literature. Princeton, N.].: Princeton University Press, 1979. 336. Potter,]oy H. Elio Vittorim: Boston: Twayne Publishers, 1979. Pp. 156. Rospigliosi, Guglielmo. Writers in the Italian Renaissance. London: Gordon &: Cremonesi, 1978. Pp. 242. Sciascia, Leonardo. Candido: or, A Dream Dreamed in Sialy. Trans. by A. Foulke. New York: Harcourt Brace ]ovanovich, 1979. Segre, Cesare. Structures and Time: Narratton, Poetry, Mode/s. Trans. by]. Meddermmen. Chicago: University of Chicago Press, 1979. Translation of Le strutture e il tempo. Verga, Giovanni. Mastro-Don Gesualdo. Trans. and Introd. by G. Cecchetti. CA.: University of California Press, 1979. Pp. xx + 329. 139 NOTIZIE BIBLIOTECA ITALIANA, una collana delle maggiori opere italiane che hanno influenzato altre culture, ideata e diretta dalla Professoressa Louise G. Clubb di Berkeley, stata iniziata dalla California University Presso Ogni volume, preceduto da un saggio critico-storico, recher un' edizione critica del testo, traduzione inglese a fronte, note esplicative e filologiche, bibliografia scelta. I primi volumi in programma e in corso di stampa sono i seguenti: Della Porta, Gli 'duoi rivali / The Two Rival Brothers, a C. di L. G. Clubb; Campanella, La citt del sole / The City oj the Sun, a c. di D. J. Donno; Leopardi, Le operette morali / Essays and Dialogues, a c. di G. Gecchetti; Collodi, Le avventure di Pinocchio / The Adventures of Pinocchio, a C. di N. J. Perella. Seguiranno opere di Dante, Tasso, Galileo, ecc. ]EAN-PAUL SARTRE e ROLAND BARTHES, i due scrittori che hanno rivoluzionato la cultura contemporanea e le cui opere sono state tradotte in molte lingue, sono morti in aprile 1980. LEONARDO SCIA SCIA stato onorato in Francia con un numero speciale de L'ARC (n. 77). Articoli sulle opere di Sciascia, sulla Sicilia, su Sciascia e il cinema; sulla letteratura e politica, danno un quadro esaurien- te dell'attivit di questo grande scrittore. Tra i notevoli contributi di autori francesi ed italiani, ci sono lettere inedite scritte da Calvino a Sciascia. AL VITTORIALE si svolta una tavola rotonda sula tema "Ipotesi per una biografia di Gabriele d'Annunzio." Tra i partecipanti ricordiamo Giuseppe Longo (Presidente della Fondazione), G. Brberi Squarotti, Giuseppe Petronio, Eurialo De Michelis, Mario Baratto. MARIO TOBINO, primario dell'ospedale psichiatrico di Maggiano, ha compiuto 70 anni ed ha deciso di andare in pensione. Il rinomato scrittore, nato a Viareggio, ha lavorato quasi quarant'anni a Maggiano. Da questa sua esperienza ha tratto motivi per le sue migliori opere, come Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale. Ricordiamo anche i suoi libri sulla guerra, come Il clandestino (Premio Strega 1962). UGO FOSCOLO Poet of Exile GLAUCO CAMBON Contemporary with the Romantic generation, peer of Keats, Hilderlin, and Goethe, and forerunner of Valry and Pound, Ugo Foscolo is nevertheless little known outside Italy. In an endeavor to "discover" this exemplary European poet for English-speaking readers, and to "rediscover" him for Italian readers, Glauco Cambon examines both textually and contextually Foscolo's major works and their inextric- able connection with his life, his philosophy, and his aesthetic principles. $21.50 PRINCETON UNIVERSITY PRESS Princeton, New Jersey 08540