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Grotte e Briganti - Antonio La Rocca - Storia e Leggenda Di Terra Calabra e Lucana
Grotte e Briganti - Antonio La Rocca - Storia e Leggenda Di Terra Calabra e Lucana
Grotte e Briganti - Antonio La Rocca - Storia e Leggenda Di Terra Calabra e Lucana
1996
ANTONIO LA ROCCA
GROTTE E BRIGANTI
STORIA E LEGGENDA DI TERRA CALABRA E LUCANA
curato dal
Gruppo Speleologico "Sparviere"
di Alessandria del Carretto (Cs)
Responsabile
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RINGRAZIAMENTI
A me piace dire che un'opera non è frutto solo dell'autore ma anche di tante altre
persone e non c'è cosa peggi�re quando queste ultime vengono appositamente dimenticate.
I
Voglio, perciò, innanzitutto ringraziare quei signori che con cordiale disposizione han
no dato retta alle mie, a volte assidue, domande su grotte, briganti e tesori. È soprattutto
grazie> a loro, anziani contadini e pastori o artigiani, che h� potuto scrivere questo lavoro.
Un ringraziamento va anche ai vari autori e case editrici dei testi e articoli, inerenti le
grotte e i briganti, da cui ho estrapolato vari spezzoni, permettendomi così di arricchire
ulteriormente l'opera.
Un riconoscimento anche ai responsabili dei Catasti regionali delle grotte (Basilicata e
Calabria), Carmine Marotta e Felice Larocca; agli Archivi di Stato di Potenza e Cosenza; ai
soci e simpatizzanti del Gruppo Speleologico Sparviere per la disponibilità datami durante
le varie escursioni e per i loro suggerimenti (Armando Tedesco, Maria Vena, Rita Tedesco,
Giuseppe Elia, Michele Florio, Benito Patitucci, Mario Larocca , Giuseppe Larocca , Lorenzo
Larocca , Ettore Angiò, Paolo Napoli, Maria Carmela Bloise, Pino Ferraro.
Alla Drygos s.n.c. di Alessandria del Carretto (<E::s) per avere appoggiato, anche econo
micamente, il mio progetto.
Grazie anche a Peppino Rizzo che con molta pazienza mi ha permesso di evitare vari
errori storici, fornendomi a riguardo numerosi consigli.
Agli autori dei rilievi topografici delle cavità che, oltre ad un grazie per avermi fornito
i disegni, va anche (soprattutto) un riconoscimento per aver mantenuto i vecchi nomi delle
cavità in oggetto senza così alterare la storia locale.
Ad Enrico Gleria per avermi stimolato a presentare questo lavoro al "III Convegno
nazionale sul Folklore delle grotte".
� LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1
1/1996 1--- ------ ------- [TI--
PRESENTAZIONE
di GIUSEPPE RIZZO
Qualche anno dopo, cresciuto un po';' incominciai ad andare nei vicini terri
tori carsici, primi fra tutti quelli di San Lorenzo Bellizzi (Cs) e Terranova di
Pollino (Pz), fra i quali svetta, imponente, la timpa d�lla Falconara, mitico blocco
roccioso che faceva da primadonna nei racconti uditi da ragazzino. Anche in
questi paesi venivo affascinato dalle storie degli anziani, alcuni dei quali parla
vano di grotte, briganti e... mal�fici. Qui i briganti avevano anche un nome:
« ...1 cape brigande da zzòne jerene Ndonije "Franghe, Giuanne a Banghe,
Sceppe a Moneche e u Clisendine ... ».
(trad.: ...I capi briganti erano Antonio Franco; Giovanni La Banca, Giusep-
I
pe Lo Monaco e il Cosentino).
Ovviamente i rifugi di questi "fuorilegge" erano_le numerose gròtte che in
" questi territori si aprivano: la Grotta della Falconara, la Grotta di Marsilia, la
Grotta dei briganti, la Grotta di Antonio Franco, la Grotta dei Vitelli, la Grotta
di Serra di Crispo, ecc., poste tutte nell'alta valle del Raganello e Sarmento in
luoghi molti impervi. Tutte custodiscono un inestimabile tesoro frutto delle raz
zie. Ma il problema è come impossessarsene: malefici, spiriti maligni, trabocchet
ti sono a loro custodia!
Tutto ciò non è un caso; infatti, in Calabria e in Lucania quando si va in
giro a cercar grotte ci si rende subito conto che gli abit�nti di molti paesi cono
scono almeno una grotta nel loro comune che porta il nome di "Grotta dei Bri
ganti" e che in essa vi sia custodito, protetto da, malefici, un "grosso" tesoro.
Persino paesi con nemmeno un grammo, di calcare come Albidona, Alessandria
del Carretto, Plataci, Spezzano, in provincia di Cosenza; Falerna in provincia di
Catanzaro o anche N oepol1, Pisticci, Rotondella in provincia di Matera e Poten
za, hanno nei loro territori la "Grotta dei Briganti". Non parliamo poi di quei
comuni con terreni calcarei come S. Lorenzo Bellizzi, Cerchiara di Calabria, Fal
conara Albanese, Grisolia ecc. (Cs). Qui le "Grotte dei Briganti" o grotte che
hanno avuto a che fare con essi, sono davvero numerose. Il motivo ,di tutto cio è
legato alla storia d'Italia, principalmente a quella recente che va dall'unità ai
nostri giorni. Soprattutto però immediatamente dopo il 1860. Infatti nel decen
nio 1860-1870 nel meridione d'Italia ed in" particolar modo in Basilicata e nelle
province ad essa confinanti, il fenomeno del brigantaggio fu di notevole portata,
molto, ma molto maggiore, di quello che si studia a scuola.ì
(1) CARMINE DONATELLI CRoceo,Come divenni brigante, edito da Ares, Gruppo WalKover, 1987.
(2) In proposito, nel volume di BASILIDE DEL ZIO, Il briganteCrocco (fatti e misfatti del brigante
più famòso e sanguinario del Meridione d'Italia), Adelmo Polla editore, 1991, si legge: «Questo
stato di convulsioni e turbolenze durò sino al 1865, epoca in cui cessò la legge Pica ed anche il
brigàntaggio. E dalle statistiche risulta che, dal 1861 sino al mese di agosto 1863, in B asilicata
furono fucilati 1.038 briganti, ne morirono in conflitto 2.413, e ne furono arrestati 2.768» (PANI
ROSSI, La Basilicata). lo aggiungo solamente che il brigantaggo di massa non terminò affatto nel
1865, ma agli albori del 1870, quindi fate voi il calcolo dei successivi morti!
LEGGENDA �
Questa prima parte è dedicata ai racconti ("ì pahmidije", come sono chiama
ti dalle mie parti - dal latino psalmus-diae, "salmo del giorno") che negli anni
passati gli anziani e i merio anziani (in prevalenza pastori e contadini) 'mi hanno
raccontato a proposito di grotte e briganti. Ho usato intenzionalmente il termine
"racconto" poiché di questo si tratta più che di leggende, che come si sa, di solito,
non hanno un fondamento storico. Queste storie�' invece, per la maggior parte
sono nate, come vedremo, da fatti realmente accaduti, tramandati fino ai giorni
nostri per via orale. Dopo 150 anni (mediamente) non sono di molto cambiati,
arricchiti- più che altro da aneddoti leggendari di origine più antica.
Ad ogni leggenda ho voluto dare una radice storica. Si tratta naturalmente
di mie supposizioni a volte però avvalorate da precisi documenti trovati nèi vari
archivi.
Buona parte di questi "racconti leggendari" li ho già pubblicati negli anni
passati, tn� anche sul presente lavoro sono stati, per così dire, riveduti e corretti
dato ch� molte cose nuove sono emerse. Comunque il racconto in sé non è stato
per niente modificato (non sarebbe stato gJusto). L'aggiunta e la correzione va
ricercata nelle "spiegazioni conclusive" e nelle "note descrittive". Infatti grazie
alle ultime ricerche molti "misteri" sono stati svelati.
I racconti sono principalmente riferiti all'area dei monti del Pollino, al con
. fine fra la Calabria e la Basilicata, e risalgono al periodo 1861-'65. Del restcr11
personaggio che ricorre spesso nelle stàrie. è appunto un brigante (i suoi uomini �
le sue gesta) di no'
Nella parte conclusiva del capitolo ho' voluto anche inserire qualche rac
conto raccolto da qualche altro autore,e pubblicato su periodici. Ho creduto giu-
, �
una grossa pietra piatta con sopra impressa un'impronta di cavallo, vuoI dire che
si è stati molto fortunati, basta quindi seguire la direzione dell'orma dello zoccolo
e lì davanti, prima o poi, qualcosa di interessante salterà fuori... (1)
... Ho anche sentito parlare di qualche grotta e di alcuni briganti che lì
abitavano e di un tesoro che...».
Anche in Sila, quindi, e non poteva essere altrimenti, la gente (ed anche
giovane) conosce, credendoci, dei racconti legati ai tesori, ai briganti e anche alle
grotte, anche se qui la natura- granitica delle rocce non potrebbe permettere la
creazione di caverne, almeno di una certa profondità. Ma come ormai è stato
detto, le grotte, almeno dal punto di vista storico, anche se piccolissime (magari
dei semplici ripari) possono essere int�ressanti. Noi lo aiuteremo a trovare -il
tesoro!
Questi brevi racconti sono poi molto indicativi dato che mettono in risalto
molte affinità con altri racconti di altri luoghi della Calabria e della Basilicata.
(Vedere leggende: "Il tesoro della grotta della. Falconara" - "Il tesoro della grotta
cji S. Rosalia" - "Il tesoro della grotta di Pietra Commata", di seguito).
(1) L'impronta di cavallo ricade spesso nei racconti legati ai tesori e ai "colpi di fortuna". Anche
in Basilicata, a S. Severino Lucano e Francavilla sul Sinni (Pz), è conosciuta una storia simile:
tra il timpone Palla d'oro e il monte Caramolo, in località "Timbone u trisore" (Timpone del
tesoro), nei pressi della fontana "u stecche", vi era fino a pochissimi anni fa un masso su cui era
scolpita un'impronta di cavallo, una falce e un martello. Nei pressi vi era seppellito un tesoro
(notare i nomi delle varie località); un locale, sicuro di trovarlo, si avvicinò con un escavatore per
spostare quel masso e vedere cosa c'era sotto. Non trovando il tesoro si portò a casa il masso con
inciso lo zoccolo!
(1) Il "delegato" (termine dialettale che ricorre spesso nelle leggende brigantesche dell'area del
Pollino) raffigura varie personalità. Sta ad indicare in questo caso la figura di vertice e anonima,
tipo "gran- sacerdote" di quelle cerimonie sataniche malavitose. Ecco perché la leggenda termina
con il rinnovo del battesimo. Il termine delegato deriva senz'altro dal nome con cui erano indicati i
commissari del tempo, il "Delegato di pubblica sicurezza", quello che, paradossalmente, era il
responsabile locale della perseèuzione dei briganti. In ogni caso un personaggio al vertice dei poteri..
Il motivo reale per il quale era stato portato in quella grotta, forse di Timpa di San
Lorenzo o di Serra di Crispo, non era di farlo diventare ricco o di aumentare il numero della
banda (forse in altri casi) ma per motivi ben diversi. Sempre secondo la leggenda in quella grotta
i briganti volevano sotterrare il loro tesoro (quello appunto visto dal giovane). Per evitare che
qualcuno lo trovasse bisognava sacrificare proprio· sopra la buca la vita di un giovane in modo
'
Nel circondario di Terranova di Pollino (pz) circolava un "capitano" (1) della
vicina Francavilla sul Sinni (pz). Era molto cattivo verso la gente popolana che
veniva maltrattata in continuazione. Fatta l'ultima malignità alcuni contadini, non
riuscendo più.' a sopportare quelle persecuzioni, si rivolsero al capobrigante Antonio
Franco per trovare un rimedio. Volevano, con le buone o con le cattive, far terminare
le sue prepotenze. Accettato volentieri l'incarico (forse perché anche alla sua banda
aveva dato fastidio) bisognava stabilire in che modo si doveva procedere. Riunì così
nella sua grotta-rifugio, sita in località "timpa di Pollino", i suoi uomini per imposta
re il piano. Dopo una lunga e animata discussione il capobanda decise che la soluzio
ne migliore per avvicinare il capitano senza essere scoperti (abitava in una casa
fortezza) era di avvicinare la sua serva in modo da costringerla a collaborare. Così
fecero e la donna accettò le loro proposte. Una mattina, durante le quotidiane puli
zie nel recinto dei maiali (2), lasciò volutamente il cancello del porcile aperto. I
suini, finita "a messàte e llù viviròne " (3); approfittando dell'occasione, scapparono
fuori ed essendo molti si sparpagliarono per tutto il giardino ("a ville") della casa lì
adiacente. In quattro e quattr'otto distrussero tutti quei bei fiori e piante presenti
creando un'incredibile confusione. La serva, seguendo ancora il piano dettatole da
Antonio Franco, si mise a gridare disperatamente invocando l'aiuto dei vicini. Il caos
a questo punto era al massimo. Aperti i, portoni della Masseria entrarono, oltre ai
vicini, anche i briganti travestiti da gente comune per far credere di dare una mano.
Così poterono entrare indisturbati nell'appartamento del capitano e rapirlo. Nell'oc
casione prelevarono anche la serva.
La seconda parte del piano prevedeva il trasferimento di tutta la comitiva
(ostaggio e serva compresi) in una ben stabilita località del Pollino� Il posto era
chiamato "a pite i Gallinote" (l'abete di loc. Gallinoti), a monte della "timbe i Vitiel
le" (timpa-roccia dei Vitelli). Quest'abete aveva la caratteristica di essere stato spez
zato a dieci metri dal suolo dal vento e con ben 18 "figliule" (polloni). Era così grosso
da non far passare nemmeno l'acqua durante un forte temporale.
(1) Per capitano si intende una persona benestante cqn un carattere altero.
(2) Chi mi raccontò la suddetta storia a questo puntò aggiunse anche "parlando con rispetto"
poiché nominare i maiali (ovvero i porci) è qualcosa di offen"Sivo nei confronti della persona cui ci '
si rivolge.
!
(3) "Messate e viviròne" è il modo di chiamare alcune "pietanze" che si danno ancora oggi ai
maiali per farli ingrassare. La prima potrebbe essere tradotta in inipasto ed è fatta con crusca di
cereali e acqua calda; la seconda si traduce in beverorie (da abbeverare), cioè una specie di
minestra liquida fatta con gli scarti del pasto umano (lavatura dei piatti, acqua di bollitura della
pasta, ecc.) o della lavorazione di prodotti agricoli (siero, salsa, ecc.).
(4) Questa leggenda mi è stata raccontata da due anziani signori abitanti nei pressi della località
"Casa del Conte" in agro di Terranova di Pollino (pz).
Da Vena (frazione interna di Vibo Valentia) nei tempi passati partiva una
mulattiera che conduceva nel vicino centro marino di Cessaniti (VV). Era trafficata
da semplici viandanti ma anche da carovane di muli che scendevano e salivano da e
per la marina trasportando varie merci. Si racconta che in un periodo non ben
precisato alcuni mulattieri arrivati nei pressi della Grotta Pezza Piccola, posta nel
vallone "Fiumara Giardinello", furono assaliti e derubati di tuttè le merci da al
cuni briganti, usciti tut-
to d'un tratto da un'al
,
tra grotta sottostante il
sentiero: "a Grutta
Ndujia" (1). Si dice an
che che la grotta colle Y(/ i,lftl0/,�&
1/!
gava -con un'altra vicina l'\:/
,�
��
;./
re dei primi dell'800, Duret De Tavel, venuto, come ufficiale, insieme alle truppe
francesi ad occupare la Calabria nell'ormai famosa guerra franco-napoletana dell'ini
zio del passato seeolo. In una delle Lettere spedite al padre, e ra-ccolte
libro "Lettere dalla Calabria" di Duret De Tavel con introduzione e traduzione di
Carlo Carlino ed edito da Rubettino srl (Soveria Mannelli, 1996), datata "Monteleone,
17 aprile 1808", nella parte conclusiva, e riferendosI grosso modo all'attuale provincia
di Vibo Valentia, dice: Questa parte della Calabria, non essendo funestata dal
« •••
brigantaggio, non ha coi francesi quelle penose relazioni che altrove sono dettate dal
terrore e dalla soggezione ed impediscono ogni sentimento di benevolenza...».
Sicuramente qui il brigantaggio no,n era· realmente attecchito e si spiega quindi·
la scarsità di racconti briganteschi.
. Altro fattore che emerge dal racconto è il modo in cui si è sviluppata la rapi
na: «usciti tutto d'un tratto da un'altra grotta sottostante il sentiero». Era classico
dei briganti, come emerge da alcuni racconti di altri posti, nascondersi vicinissimi
alle strade, in una grotta, dietro a dei massi o sotto ad un ponte, attuando poi
l'imboscata.
(1) La "Ndujia" è un insaccato tipico e molto rinomato della provincia di Vino Valentia. In altre
parti della Calabria è chiamato diversamente ("nnuglie", ecc.) ma grosso modo si tratta della
stessa cosa.
Ringrazio il signor Nicola Baldo di Vena che mi ha gentilmente raccontato il presente racconto ed
altri ancora. Inoltre 1)n ringraziamento va anche a Anna Murmura di Vibo, a çarlo Manduca e
sua sorella Roberta di Briatico che mi hanno accompagnato nei posti del racconto.
IL RAPIMENTO DI UN ALBIDONESE
(1) Il Chidichimo ''bastardo'' come si è detto non è stato mai riconosciuto legalmente dal suo
padre naturale e per questo sotto sotto ce Paveva quasi a morte con lui e la sua famiglia. Per
questo diede le informazioni ai briganti riguardanti l'acquisto dei gioielli e che i Chidichimo
avrebbero sborsato molto pur di avere vivo il loro legittimo erede! Questa ipotesi è inoltre avvalo
rata dal fatto che gli anziani di Albidona raccontano un altro aneddoto legato al ''bastardo'' e ai
briganti. Su "La Zanzara" (Albidona, Cs) n. 8/1986, in una parte di un articolo intitolato "1 due
Pasquale" si legge: «... Don Pasquale di Donna Concetta era intelligente e ingegnoso; usò la sua
astuzia e la sua intelligenza per vendicarsi dell'offesa dei suoi parenti Chidichimo, facendo l'in
formatore dei briganti e si dice che sia stato l'artefice del sequestro di suo nipote e omonimo Don
Pasquale, menzionato nel n. 7 de "La Zanzara". Inoltre ingegnoso com'era costruÌ delle chiavi per
aprire e derubare insieme ad altri tutti i ricchi magazzini dei Chidichimo.
La "canzone del Rizzo"... appartiene, appunto, a Pasquale Chidichimo "secondo"...».
Di seguito la si potrà gustare poiché è davvero originale.
(2) La grotta della Falconara infatti ricade in più racconti legati al brigantaggio e quindi potreb
be essere realmente stata usata (almeno nel periodo estivo) per nasconderci Pasquale Chidichi
mo. Una brevissima leggenda raccontatami da alcuni anziani abitanti della contrad� Destra
delle Donne (sottostante la grotta) narra di una banda di briganti che rapirono e tennero prigio
niero per un lungo periodo in qtiesta grotta un facoltoso uomo di un paese vicino (!) (vedere anche
"il tesoro della grotta della Falconara", di seguito).
Questa tesi, poi, viene anche avvalorata da un altro breve racconto fattomi da poco da un
anziano signore di San Paolo Albanese (Pz), ma originario di Alessandria del Carretto (Cs), di
nome Antonio Rago, alias Pandàne, di anni 84. Mi ha riferito che ... «il Chidichimo rapito dai
Questa breve canzonetta canticchiata ancora oggi (ma per fortuna non per gli stes
si fini del tempo) da qualche anziano di Albidona (Cs) non era altro che un collo
quio, camuffato ovviamente, fra chi andava a rubare a casa di qualcuno e quello, o
quelli, che facevano il palo. Si racçonta anche che nella maggior parte dei casi
veniva accompagnata con della allegra musica.
Se il riccio ha il piede può muoversi, può 'raccogliere i frutti; cioè ·la via è libera,
problemi non ce ne sono, continua a rubare ("rruòtiga I pede"). Se il riccio, invece,
piède non ne ha non può camminare; vi è qualche problema per continuare a
rovistare, o nasconditi o scappa ("on I rrituguà").
(Vedere anche leggenda "Una' chioccia d'oro con 12 pulcini per i 13 briganti di Antonio Franco"
di Giovanni Restieri, a pago 33).
del brigante che l'ha- abitata. Questa grotta c'è ma nessuno la trova e, natural
mente, nasconde un tesoro. Ogni pastore sogna di trovarla e con il tesoro di
abbandonare il duro lavoro di montagna. Un giovane [. .. ? .. ] l'avrebbe vista, la
grotta misteriosa il cui ingresso è adorno di un cespo di rose, ma avido di denaro
non l'avrebbe rivelato a nessuno e sceso in paese avrebbe di nascosto comprato
corde e luci. Ma al suo ritorno la grotta era svanita".
Ma noi non l'abbiamo cercata: se. non c'era a che pro? e se c'era perché
distruggere una leggenda? ..
(Vedere anche le leggende "Grotta rifugio del brigante Antonio Franco e la donna sparita" e "La
grotta sparita" di seguito descritte).
(1) In effetti proprio nella parte centrale della piccola valle (o quella che noi crediamo sia), che
non si vede dai due pianori citati, è ubicata una piccola gTotta verticale, profonda poco più di lO
rot.: la Buca del Pollino.
Questa breve leggenda, ma secondo il narratore una storia vera, mi è stata raccontata dal signor
Labanca di Terranova di Pollino (Pz), incontrato con i suoi armenti al Piano Cardone.
La banda Franco
(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo -
Repressione, Gateano Macchiaroli editore,
Roma 1984)
LA GROTTA SPARITA
«Mio padre, Muscolino Giuseppe, ancora vivo, prima della guerra del 1940-45, quando
aveva 5-6 anni, stava guardando le mucche vicino al Casino Toscano. Ad un certo punto, mentre
camminava, venne attirato da una pietra larga e piatta che, per gioco, cercò di rotolare giù per il
vicino pendìo. Riuscitoci si accorse, con sua grande meraviglia, che sotto quella pietra c'era
l'ingresso di una grotta. Incuriosito vi scese dentro - c'erano dei gradini - e giunto al fondo vide
delle armi e un tesoro. Ripresosi dall'�mozione si gettò a capofitto su tutta quella roba preziosa e
si riempì le tasche con tutto ciò che poteva afferrare. Quando cercò di andar via però si rese conto
che !'ingresso non c'era più. Impaurito svuotò immediatamente le tasche, immaginando che esi
stesse una qualche maledizione che proteggesse il tesoro. Ed infatti, appena si fu liberato di
_
tutto, rlcomparve, come per un prodigio, l'ingresso dal quale era entrato. Uscì subito fuori e di
corsa si recò a 'casa. Raccontato per filo e per segno l'accaduto ai suoi parenti, ritornò subito con
-
essi sul luogo. Ma, caso strano, non riuscì a trovare né !'imbocco della grotta né l'albero di fico
che vi cresceva a fianco. Era un caso veramente strano, soprattutto perché quella zona la cono
sceva come le sue tasche. Ancora oggi, ripensandoci, non riesce a credere cosa possa essere
accaduto quel giorno».
Da altre versioni della leggenda e da alcuni passi della presente si capisce chiaramente che
la grotta in questione è la mitica grotta del brigante Antonio Franco. Infatti la grossa quantità di
racconti inerenti la grotta-rifugio di questo capobrigante, realmente vissuto nella metà del 1800,
hanno varie cose in comune:
- la particolare ubicazione (impossibile da trovare) sia per la buona mimetizzazione artifi
ciale (fatta con lastra rocciosa o muratura) che per gli impervi e isolati luoghi, il cuore del Pollino
cioè Serra di Crispo o Serra delle Ciavole che realmente sono stati utilizzati dalla banda per
ripararsi dopo le varie scorrerie;
- l'albero di fico selvatico (o altro albero o cespuglio) che cresce di fianco l'ingresso. Bisogna
però ricordare che questa pianta (il fico) era ed è diffusissima: quasi ogni grotta del Pollino ne
presenta una al suo ingresso!
(1) Questo tipo di racconti fa parte del filone "Grotte brigantesche nell'immaginario popolare",
cioè (e così ci allacciamo al discorso fatto nell'Introduzione) che in molti paesi meridionali vi sia
nel proprio territorio, almeno in teoria, una grotta dei briganti. In molti casi, però, la grotta' in
realtà non esiste ed è solo frutto dell'eredità lasciataci da quella terribile storia meridionale che è
il brigantaggio prima e dopo l'unità . d'Italia e che ha ancora molte ripercussioni, basti pensare
alla questione meridionale.
Vedi anche nota 3 "Il monachiello, i briganti e la grotta di Santa Marina", leggenda di seguito
trattata (pag. 20) e l'Introduzione alla parte IV "Le grotte" (pag. 43).
(1) Vi sono due versioni su chi era il capo dei briganti. Un signore di Oriolo Calabro mi raccontò che si
chiamava "Giuanne a Banghe" (Giovanni Labanca di Terranova del Pollino, Pz). Un altro pastore di S.
Giorgio Lucanp invece mi raccontò "... Che il capo brigante locale era un certo Ggiddiòne (Egidione) e che
era molto potente. Anche se era di S. Giorgio aveva la sua dimora nelle grotte di Santa Marina in territorio
di Oriolo Calabro. Costui ha "mbizzendùte" (impoverito) molte persone ma ha anche arricchito tante altre
poiché ai suoi amici regalava fortune, come ad esempio ad un suo compaesano a cui diede, all'insaputa dei
suoi uomini, una grossa fetta di un riscatto. Una volta gli ha anche insegnato persino una strada per
allontanarsi tranquillamente, in modo da non essere più raggiunto dagli altri briganti se per caso si fossero
accorti della grossa elargizione. ...".
Qp.esti due briganti sono realmente esistiti nella metà del 1800 e si conoscevano molto bene poiché
spesse volte compivano, insieme al più noto Antonio Franco, dei misfatti. "Egidione" ovvero Egidio Pugliese
era il più temibile ma anche il Labanca non scherzavà. Il primo fu ucciso in uno scontro a fuoco, e gli fu
tagliata poi la testa; il secondo si consegnò alla giustizia e gli vennero dati i lavori forzati a vita.
(2) "Chìippere" non è altro che la versione dialettale di un cognome ancora in uso nel comune di Oriolo
Calabro: Chipperi. I signori che mi hanno raccontato questa parte di storia hanno inoltre aggiunto: « ••• I
briganti fecero anche dei regali ai loro collaboratori (i Chipperi). Uno dei metodi usati per fargli avere dei
soldi senza far insospettire la forza pubblica e le altre persone fu un finto rapimento di un loro neonato. Il
piccolo era ancora in fasce (quelle usate un tempo) e prima di rilasciarlo inserirono fra le fasce vari valori.
Questo bimbo venne persino battezzato dai briganti o dal loro capo. Quando crebbe, ormai vecchio (era
intorno agli anni '20) i bambini di contrada Santa Marina che lo incontravano, con toni furbeschi e di sfottò,
gli domandavano se era vero che i briganti lo avevano battezzato. Lui indispettito rispondeva loro male e li
-
mandava via...».
(3) Di grotte dei Briganti ve ne sono tante. Molte immaginarie e profondissime, ma chi ce le indica è
certissimo della loro esistenza, almeno fino a quando non gli si chiede di accompagnarci! In questo caso però
aggiungono: «non me la ricordo più con precisione dove è ubicata e poi è crollata!». È il caso, ad esempio,
della Grotta dei Briganti di timpone della Foresta (Alessandria del Carretto, Cs), della Grotta dei Briganti
di timpa "a Chiangula" (Terranova di Pollino, Pz), della Grotta dei Briganti di loc. Muleo (Albidona, Cs) ed è
il caso anche della grotta in oggetto: la Grotta dei Briganti di loc. Santa Marina (Oriolo Cal., Cs)! Vedere
anche la leggenda "Una delle tante mitiche grotte brigantesche: a forchie u brigande", prima descritta.
(4) "U monachiello" è un personaggio che ricorre spesso nelle storie, lucane e calabresi, dei tesori. Non è un
essere malvagio anzi è molto gioioso e scherzoso (per ulteriori chiarimenti vedi: parte quinta "Bibliografia":
Un po' di storie di grotte e briganti riportate sul volume "Cristo si è fermato ad Eboli" di Carlo Levi -
edizione del 1972 della Oscar Mondadori).
(1) Fra la torre e la grotta vi è un pozzo di saggio di scavo minerario profondo attualmente 13
metri. Secondo alcuni era certo il collegamento con la sottostante grotta dei briganti (ciò è stato
visto con i propri occhi...) (rilievi topografici a pago 22).
(2) In un articolo apparso su "Il mio paese scomparso" (Albidona, settembre 1996, p� 2) a firma
di Paolo �apoli e dal titolo "Paolo i Mast-Pepp non trovò la chioccia d'oro di Manca di Noia e il
povero Ciambine arrivò in paese impastoiato sul mulo" si narra di' un episodio brigantesco capi
tato a due persone di Alessandria del Carretto, che imbattu�esi in una comitiva di briganti
capitanati da Giovanni Labanca, vengono, uno pestato poiché voleva fare la spia e l'altro, succes
sivamente, arrestato perché non aveva fatto da spia! A quest'ultimo, però, i briganti dopo la sua
liberazione, per ringraziarlo di non averli traditi, confidarono il nascondiglio dove erano nascosti
la mitica chioccia d'oro (sotto un masso di loc. Manca di Noia) e un cacéavo pieno d'oro. Quest'ul
timo si trovava appunto sepolto.nei pressi della fiumara Saraceno, sottostante Albidona, all'inter
no, forse, della grotta di timpa Muleo. Ma il povero Paolo "i Mast-Pepp" nonostante le numerose
ricerche non trovò mai niente!
��t -- "V
706 mt s.l.m.
cavità qui raffigurate sono lega
te a storie brigantesche. La tra
t
)
r-
dizione popolare dice però che
questa "grotta dei briganti" ini
\ zialmente era naturale,' una
} � specie di Spaccatura, e che poi
J
� \ razione: Associazione - "Progetto per Al
bidona - L'altra cultura" (Albidona - Cs).
l
}
Disegni: Antonio LaRocca
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GROTTA DEI BRIGANT.I , N
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TREBISACCE -CS- planimetria
(1) Il brigante Labanca (Giovanni) è realmente esistito ed era appunto di Terranova di Pollino
(pz) (loc. S. Migalio). Fra gli anni 1861-1864 era uno dei briganti più temuti. Infatti era spesso
aggregato alla forte e temuta banda di Antonio Franco di Francavilla in S. (pz) e anche a quella
'
dei fratelli Melidoro di Favale (oggi Valsinni, Mt). Ma spesso agiva con una sua piccola banda,
bazzicando nei monti dell'Alto Jonio cosentino a cavallo fra la Calabria e la Basilicata. Ecco
perché si spiega l'inserimento in questa leggenda e in molte altre del suo nome come capo di una
banda.
. In località ''jufilo", lungo il corso del torrente "fosso Torno", in agro di Viggianello
(Pz), è ubicata una caverna conosciuta col nome di "grotta del ponte Bufalìeddu" (1) che
nel secolo scorso era stata scelta da alcuni briganti della banda Franco come quartier
generale� I più terribili di loro si chiamavano Antonio Ardeio, Giulio De Bussio e Saverio
Bucato (o qualcosa di simile) ed erano tutti e tre siciliani. Per soggiornar� più comoda
mente i briganti costruirono davanti all'ingresso della grotta persino delle impalcature.
Facilitati dalla morfologia del torrente che aveva i due vèrsanti vicini e molto inclinati,
appoggiarono fra questi ultimi delle lunghe travi di legno che, ad una certa altezza dal
livello dell'acqua, sorreggevano altre impalcature. Qui sopra vi erano state costruite
'
delle comode abitazioni che collegavano con la grotta. Quest'ultima serviva per conser
vare l'abbondante cibo a roro disposizione e le costruzioni sopraelevate per trascorrere il
resto della giornata magari in compagnia di qualche giovane donna, forse rapita duran-
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te le scorrerie nella zona! Erano infatti famosi i loro séquestri che consistevano princi
palmente in donne di ogni genere e uomini facoltosi in modo che con le prime se la
spassavano e con, i secondi ricattavano le famiglie. Le richieste oltre che in danaro e
gioielli consistev&no principalmente in cibo e bevande per loro e per i loro animali. La
loro strafottenza era così 'spudorata che pretendevano che tutta la merce venisse loro
consegnata "a domicilio". Avevano la zona in pugno dato che mai nessuno li denunciava
per paura di rappresaglie, e 'per questo nemmeno la legge interveniva: "la legge erano
loro", raccontavanò.
" Alla fine, però, un ex rapito, a cui avevano tagliato un pezzo d'orecchio (2), sicilia
no anche lui, facendosi coraggio e superando l'omertà, denunciò la banda. I carabinieri
riuscirono però ad arrestarne solamente qualcuno e fra questi c'era proprio uno di quelli
più sanguinari: Saverio Bucato (colui che gli aveva tagliato l'orecchio).
Si organizzò così il processo e al confronto faccia a faccia (indizio probatorio princi
pale) l'ex' rapito inizialmente fu un po', titubante 'a causa delle continue minacce a cui
era sottoposto (fu persino "avvisato" davanti ai carabinieri di non fare errori che poteva
no nuocere alla sua salute). MIa fine però riconobbe il Saverio Bucato ricorrendo ad uno
s'tratagemma: «facìtiele mitte u cappìedde accussì u canòscu miegghiu» (fategli mettere
il cappello così lo riconosco meglio). Fattoglielo indossare aggiunse: «è ddiddru!» (è lui).
Da allora il covo fu abbandonato e i resti sono stati visibili fino a circa 50 anni fa.
È stata pe'rsino trovata una "cappa" (mantello nero) all'interno della grotta. Non fu però
mai trovato il fantomatico tesoro che i briganti nascosero prima di fuggire. Anche oggi vi
sono numerosi tentativi! (3)
CONCLUSIONI
( 1) "Bufalìedde" deriva dal soprannome di una persona che abitava nei pressi della grotta ed aveva dato il
nome anche ad un ponte-passerella che attraversava il torrente poche decine di metri a valle della grotta.
Attualmente non c'è più ma era utilizzato fino a pochi anni fa.
(2) Era usanza, e purtroppo lo è ancora, di tagliare il lobo dell'orecchio del rapito e spedirlo ai suoi familiari
in modo da far loro capire che non si scherzava. Numerose leggende (e non solo purtroppo) narrano di
rapimenti con relativo orecchio mozzato. Tutto ciò è veritiero poiché attualmente in vari paesi dell'area del
Pollino vi sono famiglie che hanno ereditato dai loro antenati un curioso e sadico soprannome "ricchie
mùzze" (orecchio mozzato, tagliato).
(3) Si racconta che il tesoro contenuto in tre pignate, messe all'interno di un sacco di tuja ("a bbadde"), era
stato sotterrato ad una distanza di 15 metri dall'ingresso della grotta. Però la direzione non si sa. Inoltre i
briganti a:vevano mimetizzato. la buca con.sassi e terra della stessa natura della zona (non è stato utilizzato
neanche il cemento altrimenti attirava l'attenzione). I banditi per ritrovarlo al loro ritorno avevano disegna
to una mappa che naturalmente portarono con loro. Tanto erano sicuri che nessuno lo avrebbe mai potuto
'
trovare, che non vi fecero Ilemmeno "u legàte" ("legate" legatura, qualcosa che per impossessarsene è
=
Nel secolo scorso una persona di Terranova di Pollino (pz) faceva il secondino
in un carcere militare. Durante un suo turno di guardia fu avvicinato da un detenu
to che cercò di parlargli, poiché aveva saputo che era di Terranova di Pollino. Per
paura però dei superiori il guardiano allontanò bruscamente il detenuto. Dopo tante
insistenze tuttavia cedette e gli fu domandato se davvero fosse di quella parte d'Ita
lia e a che famiglia appartenesse. La risposta naturalmente fu affermativa e che
apparteneva alla famiglia dei "La Banca". Il detenuto a questo punto gli disse che
conosceva molto bene quella zona e gli raccontò la seguente storia a patto che lo
trattasse meglio in carcere: «tempo addietro, prima che mi rinchiudessero qui den
tro, ho trascorso moltissimo tempo nei pressi del tuo paese e particolarmente nella
contrada "la Falconara". Lì vi è una grotta, chiamata "grotta della Falconara", molto
lunga e profonda dove la mia banda nascose un inestimabile tesoro. Se hai il corag
gio di entrarci e scendere nel pozzo poco dopo l'ingresso, potrai impossessartene,
basta scavare un poco e· troverai "nu caccheve" (pentolone stretto e profondo per la
caseificazione). Lì dentro è custodito il tesoro». Il secondino naturalmente chiese una
licenza e corse subito a Terranova e senza perdere tempo si recò alla grotta indicata
gli dal detenuto. Sceso però in grotta trovò purtroppo solamente una profonda buca
vuota, qualcuno lo aveva anticipato. Tornato in paese un po' depresso confidò tutto
ai propri familiari che a loro volta gli dissero che il tesoro esisteva davvero ma che
poco tempo prima era stato trovato da alcuni forestieri.
(Notare la somiglianza con le leggende "Il tesoro della grotta di Pietra Commata" e "Il tesoro della
grotta di Santa Rosalia'').
Questa leggenda mi è stata raccontata da un anziano signore abitante nella contrada Destra delle
Donne nel territorio comunale di Terranova di Pollino (Pz), sottostante il versante nord-orientale
della Timpa della Falconara (roccia dove si apre la grotta).
(Si noti la somiglianza con la leggenda "Il tesoro della grotta di Pietra Commata" e "Il tesoro
della grotta della Falconara'').
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IL TESORO DELLA GROTTA DI PIETRA COMMATA
Al tempo del Re "Feregòne" (forse Re Faraone, per dire "molto tempo fa")
e prima della guerra 1915-18, "Ndonije' ,F ranghe" (Antonio Franco) e "Berer
dine" (1) erano i due capi briganti dei monti del Pollino. Grazie alle loro scorrerie
erano diventati ricchissimi ed avevano, così accumulato un'inestimabile tesoro
che tenevano nascosto nelle grotte di San Giovanni, ubicate in agro di Francavil
la Marittima, in provincia di Cosenza. Per non farlo rubare a nessuno vi fecero
"u ligate", una sorta di maleficio. Infatti chiunque voleva impossessarsene dove
va farsi venire in sogno, nella notte di Natale, il luogo preciso della sepoltura (2).
(1) Antonio Franco nativo di Francavilla in Sinni (pz) era davvero un capo brigante, il più
temibile, che scorreva i monti del Pollino. "Bernardino" si riferisce quasi sicuramente ad un certo
Francesco Berardi nativo di Mangone (Cs) e domiciliato a Tursi (pz). Insieme al Franco fu
implicato in diversi reati fra i quali il sequestro Salerno, possidente di Terranova di Pollino (Pz),
avvenuto nel bosco Lagoforano (m. Sparviere) posto a poca distanza dai territori di Francavilla
Marittima.
(2) Questa leggenda narratami dal sig. Nicoletti, pastore-contadino nativo di Francavilla M.ma
ed abitante a Civita (Cs), è un classico poiché esistono varie versioni raccontate al confine cala
bro-Iucano. La cosa in comune è il tesoro, la notte di Natale e la Grotta (sembra quasi una
"terzina" del lotto!).
LA CHIOCCIA D'ORO
Come non si poteva non inserire nel presente lavoro almeno un intero arti
colo riguardante la mitica chioccia con i pulcini tutta d'oro massiccio che ricorre
spesso nelle leggende calabro-lucane. Sarebbe stata davvero una grande perdita
e la ricerca non poteva essere completa.
Bisogna innanzitutto puntualizzare che la chioccia con i 7-12 pulcini non è
solo legata aIe grotte e ai briganti ma anche ad altri fatti. È il caso ad esempio
della chioccia di Alessandria del Carretto (Cs) dove sembra sia stata nascosta dai
briganti sotto un masso di loc. Manca di Noia (1); ad Albidona (Cs) invece, la
chioccia era nascosta in un "setone" (siepe fra due terreni agricoli) e poi finita in
casa di un possidente locale, arrivata lì poco onestamente (2).
Bisogna inoltre aggiungere che la gallina d'oro ha rappresentato una sorta
di chimera per i più poveri (la
ricchezza, la voglia di diventare
ricco) e una specie di status sym
bol per i più ricchi (la ricchezza
posseduta onestamente, da di
mostrare agli altri: «quello è tan
to ricco perché ha trovato la
chioccia d'oro» è la giustificazio
ne della gente!). Un po' come la
"schedina" o il "gratta e vinci"
di oggi!
Essa, in ogni caso, nel pas
sato sarà realmente esistita e
forse davvero qualcuno l'avrà
nascosta in qualche grotta o sot
to un masso, creandosi e diffon
dendosi così un mito. La cosa è
possibilissima, si pensi ad esem
pio al mitico tesoro del re dei
visigoti; Alarico, sepolto insieme
al suo cadavere, nei pressi della Immagine stilizzata di una scultura d'argento dorato, facente parte
città di Cosenza. Moltissimi stu del tesoro del Duomo di Monza (da: Roberta Lavecchia e Antonio
LaRocca, Le gole del Raganello, ed. Drygos s.n.c., Alessandria del
diosi e "cavatori" gli hanno dato Carretto - Cs, 1984)
( 1) Napoli Paolo: Paolo i Mast-Pepp non trovò la chioccia d'oro di Manca di Noia e il povero
Ciambine arrivò in paese impastoiato al mulo, in "Il mio paese scomparso", Albidona (Cs), set
tembre 1996, p. 2.
(4) Gentili Lamberto: Il mondo magico, in "La Val Nerina" di �utori vari, edito a cura della
Banca Popolare di Spoleto, 1987; idem, nota n.6 (seconda parte).
(5) Lavecchia Roberta, LaRocca Antoruo: Folklore delle grotte, in "Le gole del Raganello" di R.
Lavecchia e A. LaRocca, edito a cura della Drygos snc, Alessandria del Carretto (Cs) '1994.
( 6) Restieri Giovanrri: Una chioccia d'oro con dodici 'pulcini per i dodici briganti di Antonio
Franco, in "Il mio paese scomparso", Albidona (Cs), maggio 1996, p. 4 (riproposta nel presente
lavoro nel paragrafo "Leggenda"); idem, nota n. 5.
(Vedere anche la N parte "Le grotte": La grotta dei Vitelli o dei Briganti - pagg. 53-54).
(1) Non sappiamo se questo episodio è realmente accaduto, ma è certo che a cavallo del 1862 e
64 fra i briganti della banda Franco, che aveva il dominio assoluto dei territori del Pollino, vi era
un certo Camodeca Francesco di Castroregio, comune in provincia di Cosenza e di origine albane
se molto vicino a S. Costantino A. e S. Paolo A. In quest'ultimo centro aveva numerosi parenti. I
Camodeca sembra siano tutti originari di Castroregio. Ma la storia reale è un po' diversa. E'
stato il Franco a far scappare dalla sua banda il Camodeca dopo avergli fatto un torto. Non fu
ucciso, ma dopo qualche anno venne arrestato dalla Forza Pubblica e condannato a 20 anni
(Archivio di Stato di Potenza - Fondo Brigantaggio).
Le leggende sono state raccolte insieme ai ragazzi di Sa.n Paolo Albanese dei Lavori socialmente
utili istituiti dall'ente Parco Nazionale del Pollino nel 1996.
di VINCENZO BRUNO
Su, in montagna, si racconta che esiste una grotta molto ampia, il cui spazio
interno non si immagina dal di fuori, perché l'entrata è solo una fenditura nella
roccia, quasi invisibile, mimetizzata dalla vegetazione.
Quella era la "Grotta dei briganti".
Secondo la credenza popolare essa costituiva una specie di quartier generale, il
rifugio dove i briganti si ritrovavano periodicamente per organizzare la loro attività;
ma si supponeva altresì che poteva essere pure il posto-deposito, dove veniva custo
dito e nascosto il bottino delle loro imprese.
Terminato il tempo del brigantaggio, i pastori e i contadini della zona andaro
no convincendosi dell'esistenza di un immenso tesoro, abbandonato q,ai briganti.
Iniziarono pertanto empiriche ricerche di una ricchezza da molti immaginata come
vera, da nessuno mai toccata con mano. Si rovistò per anni tra gli anfratti, tra i
ruderi delle casupole e dei rifugi montani; soprattutto la "grotta dei briganti" fu
meta di un autentico pellegrinaggio, che racchiudeva in sé attese ed aspettative per
un mutamento di "status".
Era il perenne vagheggiamento dell'uomo al benessere, che guidava anche que
sti cercatori di tesori sul nostro Pollino. Si ebbe un tempo, quindi, in cui quella
grotta fu meta frequentatissima: forse i briganti lì non avevano mai soggiornato,
mentre ora. tanta gente vi si recava e i segni di tale passaggio confermavano sempre
più che qualcosa in quel posto era avvenuto, per cui valeva la pena di cercare.
Nessuno, però, è tornato mai a casa con qualcosa d'altro che non fosse delusio
ne e sconforto.
Dopo anni, all'improvviso, un vecchio pastore nel giorno della festa del Patro
no, nella piazza del paese racconta la "sua esperienza"relativa alla grotta in questio
ne. Dice che anche lui da giovane era andato a frugare quel buco nella montagna,
ma essendosi stancato si era addormentato. Gli apparve in sogno il capo dei brigan
ti, che, sghignazzando e mostrandosi molto divertito per la manìa che aveva colpito
gli abitanti della zona, rivela al pastore che in effetti il tesoro esisteva, ma che la
strada per arrivare ad esso sarebbe stata rivelata solo ed unicamente in sogno a lui
oppure a qualche altro fortunato.
Non restava, dunque, che attendere il sogno rivelatore.
Il vecchio pastore riferisce che aveva atteso tutta la vita inutilmente. Adesso si
sentiva vicino al trapasso e aveva sentito il bisogno di comunicare ai compaesani il
suo segreto.
Da quel giorno nessuno più è andato alla ricerca del tesoro dei briganti; da
quel giorno tutti i depositari di quel segreto aspettano la notte e il sonno con la
speranza che questo, oltre al riposo, porti anche le indicazioni, la mappa del tesoro.
Dal momento della rivelazione del vecchio pastore ognuno si è recato a dormire
con la speranza di essere il prescelto della fortuna; ognuno pazientemente ha atte
so ... nel frattempo la "Grotta dei Briganti" è stata coperta d'oblìo, è diventata una
cosa dimenticata.
I LE MONOGRAFIE G.S.S
. • 1/1996 �
LEGGENDE: ANTRI, TESORI... BRIGANTI
di VINCENZO BRUNO
di GIDVANNI RESTIERI
La staria raccantata dal sig. Restieri è una delle tante versiani del seque
stra Restieri (ma tutte can case in camune) realmente avvenuta nella metà del
secala scarsa (vedi anche capitala "Leggenda").
In questa versiane merita particalare attenziane un pezza di brano. dave «...
vicina al fica selvatica, fu ·travata invece una pietra piatta dave c'era tracciata
questa scritta: "Beata cu mi vata"; si pensava che, rivaltata quella pietra, si
travasse la famasa chiaccia d'ara; ma quando. l'ebbero. ravesciata, videro. un'altra
scritta che diceva: "E mmò ca m'è vatata sta cchiù meglio. ancara..."» (trad.: «Bea
ta chi mi gira. E adesso. che mi hai valtata, sto. meglio. di prima»).
Queste brevi frasi -'passano. sembrare paca interessanti ma ci fanno. capire
una gran casa: fra i manti del Pallina (Calabria-Lucania) e i manti Sibillini (Um
bria e Marche) vi è un impartante callegamenta starica. Infatti anche sui Sibilli
ni i pastari canascana una staria identica legata alla maga SibilI a e al Guerin
Meschina. Nel valume La Val Nerina di autari vari, stampata a carico della
Banca Papalare di Spaleta nel 1987, nel capitala "Il manda magica", pp. 140-173,
a cura di Lamberta Gentili, si parla del Guerin Meschina che fece tappa sui
manti Sibillinl «per avere, dalla Sibilla, natizie intarna ai prapri genitari». L'au
tare scrive:
«... Una riprava della persistenza del mito. ci è afferta dal susseguirsi di
scavi candatti can insensata accanimento. dalla fine del secala scarsa e fina ai
giarni nastri, i quali hanno. ridatta il già madesta anfratto. (l'antro. della Sibilla),
situata satta la carana racciasa che cinge la sammità del mante Sibilla, un cumu
la di macerie. Prapria questi detriti' sana diventati la giustificaziane ufficiale del
fallimento. di agni spediziane...
... La stele di metri 1x1,50, vista da Pia Rajna "tatalmente, riempita di
scritte nan facilmente decifrabili" e che si travava nei pressi dei laghi di Pilato., è
misteriasamente scamparsa. Secanda il Rajna, vi si pateva leggere, sui due lati
appasti, la frase sibillina (a satirica?): "se mi valti sarai fartunata», «ed ara che
mi hai valtata che casa hai travata?"...».
Ma ritarnanda in Calabria e per la precisiane in Aspramante la Sibilla si
riscantra di nuava. Qui secanda la tradiziane arale ripartata anche su pubblica
ziani, esiste la gratta della SibilI a che è malta prafanda e misteriasa, ma di
questa parleremo. in altra accasiane. [N.d.R.]
di PAOLO NAPOLI
(1) Questa storia fu raccontata a mio nonno Àlessandro Napoli nei pressi di Civita, in uno dei
suoi viaggi di trasferimento dal suo paese natale, Alessandria del Carretto, verso Castrovillari.
Estratto da "L'Ausi" (Alessandria del Carretto� Cs)� n. 10� dicembre 1995� pago 23.
STORIA E LEGGENDA I
La distruzione della banda Donato in Calabria (disegno comparso su "L'Illustrazione Italiana" del 1874)
(da Salvatore Scarpino, " brigantaggio dopo l'Unità d'Italia, Fenice 2000 ed., Milano 1993)
È interessante notare, nella parte bassa a destra, le canne di alcuni fucili che spuntano dall'interno di. una grotta
e che fanno fuoco sui militi visibili in alto a sinistra .
Premessa
Nelle campagne di Oriolo Calabro (Cs), per la precisione nella loc. Muarra, uno dei briganti
che è rimasto nella mente dei più anziani era Antonio Franco. Questa sua fama era aovuta al
fatto che spesso la sua banda passava da quei territori per poi rifugiarsi nella vicina Grotta dei
Fossi. Della sua banda facevano parte anche Giovanni La Banca e un certo Rocco (1). Questo
almeno secondo un'anziano contadino di loc. Muarra.
Nel vicino borgo di Farneta (comune di Castroregio, Cs) parlando con altri anziani della
Grotta "di Fuesse" (dei fossi) mi raccontarono che questa grotta si trova in loc. Ficarola e che se
riuscivo a raggiungerla, calandomi dall'alto con delle corde, potevo trovarci all'interno molti soldi,
residuo dei bottini dei briganti ottocenteschi. L'importante era stare attenti a non fare la fine di
quell'ultima persona che ci tentò: precipitare dall'alto!
Anche a Cersosimo (pz) piccolo paese adiacente a quelli di Oriolo Calabro e Farneta si
racconta di un episodio che riguarda alcuni briganti che si nascondevano in una grotta. In questo
caso però la grotta è chiamata grotta Ficara (si tratta però senz'altro della stessa grotta). Alcuni
briganti catturarono un loro cittadino e lo tennero prigioniero proprio lì dentro.
I tre episodi, come si può facilmente intuire, sono legati fra di loro. Oltre al fatto che i tre
paesi ricadon-o· in un unico territorio, anche se di due regioni, queste leggende grazie alle ricer
che fatte negli archivi di Stato di Potenza e Cosenza, possono essere considerate delle sintesi di
fatti realmente accaduti nel secolo scorso: i sequestri Feolo, Veneziano, Valicenti, Castronuovo e
Giambra.
Il primo marzo 1862 nel territorio di Cersosimo (pz) venivano sequestrati dai briganti due
cittadini "cersosimari": Giovanni Feolo di anni 60 e Giuseppe Antonio Veneziano di anni 19. La
località in cui i due furono rapiti è il bosco Madarosa nei pressi del confine fra i comuni di S.
Giorgio Lucano (Mt) e Oriolo Calabro. (Cs). Località quindi molto vicina alla grotta del sequestro
Giambra (vedi paragrafo di seguito). Dalle deposizioni dei rapiti emergono interessanti fatti
legati sia alle grotte che a quei luoghi in generale. In quest'ultimo caso le indicazioni date da
essi, e venute da altri documenti, ci fanno chiaramente capire che fra i territori dei comuni sopra
citati, fra quelle colline cretose ma an<=he ricche (soprattutto allora) di vegetazione, bazzicavano
spesso varie comitive brigantesche sia lucane che calabre. Il posto è infatti storicamente strategi
co e poi (e quello che soprattutto interessa noi speleologi), nonostante il terreno non calcareo, vi
era e vi è qualche piccola grotta (vedere capitolo "Le grotte"). Nelle deposizioni emergono le
seguenti località: bosco Madarosa e omoninia grotta, timpone della Ciucca, costa �della Sola, bosco
Santa Marina e bosco Serra Piana (vedesi connessioni con il sequestro Giambra descritto nel
paragrafo successivo).
Il sequestro del sig. Feolo è poi legato anche ad una grotta. Nella sua ver,sione dei fatti
emerge che:
« ...intanto mi restai alla custodia delle vaccine, attendendo il suo ritorno: difatti non tardò
molto a venire. Fu allora che gli [. .. (?)...] voler visitare la grotta posta nel bosco Madarosa lungi
un quarto di miglia dal luogo in cui eravamo, per vedere se avea adempito allo sterro che
precedentemente avergli ordinato, ma lo stesso [. .. (?)...] me ne dicendo, "questo vuoi fare? I
briganti là ti aspettano" restai a tale proposizione perché in quella contrada non si erano intesi
briganti da più tempo, egli disse che non era possibile perché nulla si sentiva. Egli però sostenne
che li avea veduti e precisamente nella contrada detta Costa della Sola, la quale è di rimpetto la
grotta in parola... (Archivio di Stato di Potenza).
»
Per dovere di cronaca i due "malagurati" erano stati rapiti dalla banda di Antonio Franco.
Il Feolo dopo tre giorni riuscì a scappare forse per una distrazione dei suoi momentanei custodi.
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Parte della deposizione del sequestrato Giovanni Giambra, fatta all'ufficiale di "pubblica sicurezza
d'ordine" di Montegiordano, sig. Giulio Cesare De Luca, e al sottoprefetto zonale, cav. Giovanni Giura
_ (12 dicembre 1886). Si legge chiaramente il riferimento al breve periodo durante il quale il sequestra
to fu tenuto in una grotta. (Archivio di Stato di Cosenza, fondo Brigantaggio).
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Invece il Veneziano lo tennero 19 giorni facendolo vagare fra i territori comunali di S. Giorgio
Lucano (Pz), Oriolo e Nocara (Cs), Valsinni, Colobraro e Francavilla in Sinni (pz). Entrambi però
pagarono un ingente riscatto che consisteva in ducati, anelli d'oro e vari commestibili.
Sempre nello stesso anno, a settembre, furono sequestrati nella stessa zona e dalla stessa
banda, altri due benestanti di Cersosimo: Giuseppe Valicenti e Giuseppe Maria Castronuovo.
Anche nei documenti inerenti il loro sequestro emergono le stesse località dei sequestri Feolo e
Veneziano. In più viene citato ii bosco Fossi, da collegare con la grotta dei Fossi del sequestro
Giambra (vedi di seguito) e delle varie leggende. Anche in questo caso per dovere di cronaca
bisogna aggiungere che il Valicenti dopo lo sborsq di un cospicuo riscatto fu liberato. Invece il
"povero" Castronuovo nonostante il pagamento del riscatto venne. barbaramente ucciso e brucia
to, azione senz'altro fatta su commissione da qualche altro possidente locale per motivi di potere.
Il Castronuovo però non fu tenuto segregato nella zona in oggetto ma trasferito sul vicino Polli
no, in una delle grotte di Serra di Crispo o di Monte Caramolo (Grotta del Vescovo?).
Anche qui come nel caso dei sequestri Feolo, Veneziano, Valicenti e Castronuovo (vedi
paragrafo precedente) vi sono le tradizioni orali che sintetizzano l'avvenimento. Le località sono
sempre quelle poste al confine orientale calabro-Iucano e anche se non vi sono certezze' matema
tiche le grotte citate nei paragrafi precedenti sono le stesse o al massimo si tratta di altre cavità
vicinissime tra di loro. Ricordo ancora però che i terreni non sono calcarei.
Tutte le notizie storiche sono state estrapolate dagli atti dei relativi processi custoditi nell'Archivio
di Stato di Potenza e Cosenza.
STORIA �
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L'ordine di revoca «della distruzione e della colmazione delle numerose grotte che trovansi nei boschi
di Monticchio» (Archivio di Stato di Potenza, fondo Brigantaggio).
Premessa
Qualche anno fa a pagina 33 del volume "Il brigantaggio meridionale" a
cura di Aldo De Jaco (Editori Riuniti, Roma 1976) avevo evidenziato la seguente
frase: «... Caruso guidava i soldati nei boschi fino alle più nascoste grotte...».
L'autore si riferiva all'ex brigante Giuseppe Caruso di Atella (pz) che una volta
catturato dai soldati piemontesi, per spirito di opportunismo e vendetta rinnegò i
suoi ex compagni facendo da spia e soprattutto da guida per stanare e catturare
il famigerato Carmine Doriatelli, alias Croceo, che bazzicava nei dintorni di Mel
fi. Correva l'anno 1863.
Pochi mesi fa, invece, durante alcune ricerche sul brigantaggio post-unita
rio fatte, insieme all'amico Giuseppe Rizzo, all'Archivio di Stato di Potenza, l'oc
chio scivolò su un documento in cui vi era la parola "grotta". Ma il bello era che
prima di questa parola vi era "distruzione" e poi "Monticchio e Acquatella". Mi
ero imbattuto in originalissimi e rari documenti del 1862 che parlavano di "Di
struzione di cave e grotte nei boschi di Monticchio e Acquatella", per fini pretta
mente militari. Proprio quei luoghi (e negli stessi anni) dove l'ex brigante Caruso
guidava l'esercito, Sabaudo per stanare i suoi ex compagni d'arme. Durante la
repressione degli 80.000 briganti meridionali erano state usate le peggiori e san
guinarie tecniche (cannonate a bizzeffe nei boschi per bruciarli, rasare al suolo.
interi villaggi e paesi, fucilazioni in massa; intrighi politici e mafiosi, leggi san
guinarie e incivili) ma la distruzione o riempimento delle grotte per «...togliere' il
rifugio ai briganti...» mi era nuova.e suonava alquanto strana.
Il fatto
Nei primissimi di gennaio 1862 (fra il primo e l'otto) il comandante la 16ma
Divisione Attiva, sig. Della Chiesa, dal, quartier generale in Potenza invia al
Prefetto della regione e anche ad alcuni sindaci dei distretti della Basilicata
nord-occidentale una circolare con oggetto "Distruzione di caverne". In essa si
legge:
«Nell'accusare ricevuta del foglio di V.S. d'oggi n. 213 ufficio 4Q carico 3Q,
avverto di aver dato istruzioni a tutti i' comandanti di truppa stanziati in Atella,
Rionero, Avigliano, Melfi e comuni dipendenti onde abbiano a procedere alla
distruzione dei cavi in discorso.
Prego quindi la S.V. di voler diramare ordini ai signori sindaci perché siano
somministrati ai comandanti dei distaccamenti gli operai, polveri ed attrezzi di
qualunque sorta che richiederanno per tali operazioni».
L'ordine è alquanto strano ma qualche comune inizia la "colmazione e di
struzione" delle grotte esistenti nel proprio territorio. Qualcun'altro però sulle
Conclusione
Dopo otto mesi dal primo ordine di chiusura à distruzione delle grotte qual
cuno ha ancora dei dubbi se effettivamente l'ordine sia stato revocato, ma ormai
l'operazione per fortuna, soprattutto per motivi burocratici alla classica italiana
(gia da allora!), fallì. Speriamo almeno che di quelle grotte tappate non vi era
l'ingresso di qualche interessante sistema carsico!
Vedere anche parte IV "Le Grotte": Le grotte di Monticchio ed Acquatella (a pagg. 57-58) e fronte
spizio parte III "Storia" (a pago 39).
LE GROTTE �
Quasi ogni paese calabro e lucano (ma senz'altro dell'intero meridione), sia
esso ubicato in territori carsici o meno, possiede almeno una "Grotta dei brigan
ti�' o qualcun'altra con nome diverso ma ove "stavano i briganti".
Nel Catasto' Grotte della Basilicata e della Calabria, le grotte accatastate
col nome di "Grotta dei Briganti" o nome affine (bandito, ecc.), sono paradossal
mente poche: in quello lucano ve ne sono appena quattro (più tre in fase di
accatastamento); in quello calabrese otto (più due in fase di accatastamento)
(vedi schema di seguito).
La stragrande maggioranza invece, siano esse verticali o meno, sono legate
a storie vere o immaginarie di briganti: «in quella grotta ci stavano i briganti e ci
hanno nascosto anche il loro tesoro», è la classica risposta di un locale (qualsiasi
sia la classe sociale), alla domanda se conosce una tal grotta e se vi è legato
qualche aneddoto. In ogni caso dopo la verifica speleologica la maggior parte di
esse si rivelano minuscole, alcune delle quali solamente dei veri e propri ripari.
È il caso ad esempio delle grotte dei briganti (Cb 189 e 190) ubicate nella località
Lisci di Pascalone in agro di San Lorenzo Bellizzi (Qs). Ve ne sono però anche di
'
una certa profondità come la Grotta della Falconara (B), conosciuta dai locali
anche col nome di Grotta dei Briganti. È posta nell'omonima timpa, nel comune
di Terranova di Pollino (Pz), ma è un'eccezione (1).
'Del resto i briganti non erano fessi e se dovevano per forza di cose abitare
per un certo periodo in qualche grotta, ne sceglievano qualcuna, come prima
cosa, posizionata strategicamente e che fosse bella e asciutta e confortevole, pos
sibilmente senza la presenza di fredda e umida corrente d'aria (in inverno), quel
l'aria che fa la gioia di noi speleologi!
Di seguito vengono descritte alcune delle zone trattate nel presente lavoro.
IN FASE DI ACCATASTAMENTO:
Grotta dei Briganti (Trebisacce, Cs)
Grutta Ndujia o Grotta dei Briganti (Vibo Valentia)
GROTTE LUCANE
CATASTATE COL NOME DI "GROTTA DEI BRIGANTI" &. C.
IN FASE DI ACCATASTAMENTO:
Grotta dei Briganti o Grotta dei· Vitelli (Terranova di Pollino, pz)
Grotta del Brigante (Lauria, pz)
Grotta dei Briganti (Viggianell<?, pz)
In questi elenchi, però, va fatta una precisazione. I motivi che nei catasti "Grotte
lucane e calabresi" ve ne sono inserite poche col nome di "Grotte dei briganti" sono ben
spiegabili:
- . che molti nomi sono andati ormai persi e che le grotte sono state inserite in catasto
con nomi che a volte non hanno nulla a che fare col nome locale, puramente inventati
(sbagliando) dagli speleo che hanno catastato la cavità;
- che molte grotte si chiamano o si chiamavano solo col nome di qualche famoso brigan
te che lì si nascondeva. È il caso ad e empio della Grotta di Nasone (cb
� 264) a Caccuri
(Kr) (1) e la Grotta di Antonio Franco (senza numero poiché non ancora trovata!).
(1) Dalla relazione descrittiva, geomorfologica e catastale fatta dal G.S.S. per la "Grotta del Palummaro"
(cb 265) e la "Grotta di Nasone" (cb 264) nel territorio comunale di Caccuri e consegnata alI omonimo
I
comune nel 1990, si legge: "Nasone" è il nome che la tradizione popolare attribuisce ad un famoso brigante
della zona che, in base a quanto afferma la gente del posto, abitò diverse grotte fra le quali la più importan
te è appunto questa, dominante da posizione strategica un buon tratto della valle del paese.
Nome locale
(dialettale)
Località
Terreno geologico
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topograf.
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Per la validità della presente scheda è necessario conoscere la posizione topografica esatta della
cavità sotterranea riferendola alla c�rta topografiea del\' Istituto Geog. Mi!.
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Quota dell' ingresso � /
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Redattore
della scheda
Annotazioni
GRAFICO SCHEMATICO
Materiale di studio rinvenuto. osservazioni di morfologia. interna ecc.
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Stab. Tip. Nuion�le. Trit�r.! - J.194n..XVIII Bibliografia, v. retro
Quando il "Catasto Grotte d'Italia" era a Postumia ed Enzo dei Medici uno dei suoi maggiori collaboratori: era il 1939.
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(dialetul.)
Frazione
Località
Terreno geologico
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planimetria
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metri
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data: 30 - 03 -1996
disegno: F. La Carbonara
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planimetria
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SEZIONE LONGITUDINALE
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ingresso
I
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La "grotta
dei Briganti"
di Marcellinara
(Cz)
Nei periodi passati le montagne del Pollino erano sicuro rifugio di numerosi
briganti. Negli anni 1861-65 la maggior parte "di essi erano sotto il comando di
Antonio Franco, nativo di Francavilla in Sinni (pz).
I luoghi, essendo accidentati e lontani dai centri abitati, ma soprattutto
dalle coste e dalle strade principali, erano più che sicuri. Infatti dopo tutti i
crimini perpetrati nei suoi dintorni (dal Lagonegrese a Metaponto e a Sibari) la
banda vi si rifugiava e lì stava tranquilla. Spesso con loro portavano oltre al
bottino anche i sequestrati.
Erano tre le zone principali dove Franco preferiva stare: la Falconara, la
Serra di Crispo e il monte Caramola. Non disdegnava però altre zone come il
monte Caramolo (Pollino meridionale) e il monte Sparviere (Pollino orientale),
anche se in quest'ultimo caso le grotte erano assenti.
La scelta da parte mia di queste zone è dettata sia dalle testimonianze
orali, molto abbondanti, che da alcuni documenti trovati nei vari archivi storici.
Da ciò risulta che il "quartier generale" estivo della banda Franco era appunto,
in ordine d'importanza, la Serra di Crispo, il monte Caramola e la timpa della
Falconara. Montagne nel cuore del massiccio del Pollino che superano, alcune, i
2.000 mt 'di quota. Ovviamente le grotte che si aprono nei loro versanti sono
state utilizzate dai briganti. Ciò ci viene soprattutto dalle numerose leggende,
ma anche da alcuni documenti. È il caso ad esempio della Grotta del Vescovo,
attualmente (forse) meglio conosciuta come Grotta dei Vitelli (M. Caramola) in
agro di Terranova di Pollino (pz). Ad essa oltre a varie leggende vi sono legati
fàtti citati in documenti trovati nell'Archivio di Stato di Potenza.
Correva l'anno 1863, la temibile banda Franco sequestrò il comandante del
la Guardia Nazionale di Francavilla in Sinni (Pz), Nicola Grimaldi. Successiva
mente venne appunto condotto nella Grotta del Vescovo e' tenuto per un certo
periodo segregato, ma per grandi attriti fra esso e il capo banda, e nonostante il
pagamento di un cospicuo riscatto, venne bruciato vivo (vedi anche P! parte "Leg
genda": Il capitano, la serva, Antonio Franco e la vendetta dei contadini). Stessa
sorte toccò, nel settembre del 1862, al possidente Giuseppe Maria Castronuovo di
Cersosimo (Pz) (vedi, di seguito, "Le grotte al confine nord-orientale calabro
lucano"). Andò bene per fortuna (all'inizio del 1862) ad un altro sequestrato, il
sig. Giuseppe Propato di Castelluccio Sup. (Pz), che vista una buona occasione,
riuscì a sciogliersi dalle legature e scappare da quella grotta.
Su Serra di Crispo invece molto più numerosi furono i sequestrati ivi tenuti
e molte più numerose sono le leggende che narrano, sintetizzando, sia di gente
rapita che di mitiche grotte, deposito di ricchi tesori provenienti appunto dai
parenti dei sequestrati. I documenti ci parlano: del sequestro degli otto bene
stanti di Senise (Pz) avvenuto nell'agosto del 1863; di quello di Pasqualino Chidi
chimo di Albidona (Cs) nel maggio dello stèsso anno; del sequestro Restieri di
San Lorenzo Bellizzi (Cs) nel maggio del 1866 (1); ecc. ecc..
sezione
longitudinale
rilevamento:
A. La Rocca
(G.S. "Sparviere")
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I.ONalTUOINAI.E
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delle cosiddette
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del Pollino
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centro-orientale I.-.-...J me t ri
(1) Quando fu attuato il sequestro Restieri da circa sei mesi, nel dicembre 1865, il capo banda
Antonio Franco era stato 'catturato e fucilato. Della comitiva che sequestrò il sallorenzano faceva
no però parte anche altri uomini della sua comitiva, non escluso Giuseppe Lomonaco (vedi nota
n.3).
(2) Ciò che è stato detto non è per niente un'esagerazione dato che spessissimo i pastori ci
parlano di gente con una certa preparazione anche culturale (almeno così fanno credere) che va
in giro per i monti del Pollino in cerca di mitici tesori di Antonio Franco e usando nell'occasione
anche sofisticate attrezzature. Essi sono convinti che le grotte sfomano oro, argento e monete
varie citando delle parole magiche come vuole la leggenda!
(3) Giuseppe Lomonaco (in dialetto "Sceppe a Monache") si chiamava in realtà Giuseppe Genove
se, alias "lo monaco" di Terranova del Pollino (Pz), abitante proprio nei pressi della località
Falconara. Era realmente uno degli uomini migliori della banda Franco. Ottimo basista e in più
poco �ppariscente nelle cronache di allora col suo vero nome. Era insomma una sorta di compo
nente misterioso.
(1) Molto probabilmente si tratta della grotta del Vescovo (vedi inizio paragrafo), legata a nume
rosi episodi briganteschi.
La grotta si apre alla base di una parete rocciosa (conosciuta col nome di
timpa dei Vitelli) di formazione eruttiva (ofiolite-pigmatica di età mesozoica) (1).
Essa si è formata grazie ad un movimento tettonico, geologicamente recente, del
fronte roccioso. Non è altro, infatti che una spaccatura, inizialmente fra due
omogenei e paralleli strati rocciosi e, successivamente, molto scomposta con asse
diverso rispetto alla parte iniziale. Gran parte della volta è ricolma di massi
incastrati e il fondo, inizialmente in forte salita e poi in piano, è composto da
terra e sassi. Le concrezioni sono assenti e anche la possibilità di una lunga
continuazione. In ogni caso la parte terminale della grotta, nonostante la sua
origine tettonica, è discretamente accogliente. Nei pressi dell'entrata vi sono al
tre fratture che forse hanno, se pur minuscolo, un collegamento con la grotta dei
briganti.
(1)Carla geologica d'Italia dell' S.G.I. FO 221 della carla 1:100.000 dell' I.G.M. "Castrovillari".
Roma 1971.
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planimetria
(1) Nella zona in oggetto, di questi massi erratici ce ne sono altri: alla confluenza fra il fiume
Sinni e la fiumara Sarmento; lungo l'alto corso della fiumara Straface; fra la fiumara Ferro e la
già nominata fiumara Straface; a Capo Spulico, ecc .. Si tratta però di rocce di modeste dimensio
ni rispetto a quelle delle· Serre di Nocara ma in ogni caso alcune raggiungono anche la considere
vole altezza di 30-40 metri.
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(Pz) scavate nell'arenaria proprio di
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D rimpetto al bosco di Madarosa, luogo.
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Secondo alcuni documenti del 1862 sulla "Distruzione di cave e grotte nei bo
schi di Monticchio ed Acquatella" in quei luoghi dovevano esserci numerose grotte
naturali e artificiali, utilizzate soprattutto dai briganti come rifugio e luogo di ag
guato (vedi seconda parte "Storia": Lotta al brigantaggio: il tentativo nel 1862 di
distruggere o colmare le cave e le grotte nei boschi di Monticchio ed Acquatella;
Basilicata nord-occidentale).
Nello stesso periodo Giuseppe Bourelly che dal 1862 al 1865 fu ufficiale dei
Carabinieri Reali e impiegato a combattere le «masnade di malviventi che menava
no stragi nelle deliziose e fertili contrade del Sud» nei suoi commenti (oggi riproposti
da Edizioni Osanna Venosa (1987) col titolo "Il brigantaggio dal 1860 al 1865")
riferiti alla "Descrizione fisico-politica dell'alta valle dell'Ofanto", non accenna al
l'esistenza di grotte in quell'area tranne che ad una soltanto che sembra fra l'altro
interessante:
«... Un altro monte staccato, si può dire, dalla catena dell'Appennino merita di
essere menzionato. È il monte Pierno ch�, nudo e sassoso, è inaccessibile da tutti i
lati eccetto che verso oriente L ..]. In questo monte vi è una voragine alla sommità, di
figura quasi circolare e profondissima. Questa dagli abitanti del vicino paese di S.
Fele viene detta Auso, e dai belle si Graz (forse significa caverna e forse eco). ...».
Nei cenni geologici aggiunge:
«... La struttura geologica di queste regioni dell'Appennino è varia e composta
di gruppi calcarei stratiformi interpolati da sostanze diverse del terreno ippuritico.
Questo calcare è compatto, più spesso grigio che bianchiccio, a frattura eguale e per
lo più scagliosa. ...».
Più avanti, nel capitolo "Cagioni d'essere del brigantaggio" parla però anche di
altre grotte:
«... I folti e grandi boschi di Monticchio, di Castiglione, di Bucito, delle Maurel
le L ..] sono tutti questi e molti altri sicurissimo rifugio alle bande e, per contrario,
continui impedimenti alla truppa che è costretta con improba fatica ad adattarsi L ..]
gli alberi per lo più faggi, sono colossali, annosi, foltissimi L ..] Il suolo sottoposto,
accidentato da profondi burroni o da colline erte e dirupate, attraverso da ruinosi
sentieri, scavato da orride spelonche piene di dirupi, di caverne e coperto da gine
prai bassi...
... I briganti scelgono due o tre luoghi della cupa boscaglia tra dirupamenti
cagionati dal rovinio delle rocce [. ..] Se si vedono in pericolo abbandonano i cavalli e
arrampicandosi per le balze si nascondono in questi intimi recessi del bosco, lontani
dai sentieri, tra le incassature che dividono una roccia dall'altra, entro burroni scen
denti a picco...».
- Quindi, in teoria, nei distretti di Monticchio ed Acquatella dovrebbero esserci
numerose grotte. Ufficialmente però, secondo alcune pubblicazioni riguardanti il Ca
tasto delle Grotte della Basilicata (1), di grotte ve ne sono ben poche e anche di
ristrette misure. Ma le segnalazioni non mancano. Tuttavia, si vedrà in futuro! ...
(1) MAROTTA CARMINE (Catasto Speleologico di Basilicata): Appunti di speleologua Lucana, stam
pato in proprio, Trecchina (pz) 1992.
da:
Disegno ottocentesco
tratto da una reale foto
grafia dello stesso perio
do. Raffigura un gioioso
bersa-gliere delPesercito
italiano che tiene per la
testa la sua preda: un bri
gante ucciso (Lappariel
lo di Nola)
(da: AA.VV., Brigantaggio -
Lealismo - Repressione,
Gateano Macchiaroli editore,
Roma 1984)
BIBLIOGRAFIA �
Manghisi Vincenzo
LEGGENDE CARSICHE LUCANE
"Puglia Grotte" (Castellana Grotte - Ba), 1985, pp. 57-72
Non si poteva non aprire il presente paragrafo con una recensione di un articolo di uno
dei migliori storici e autori di testi sul folklore delle grotte. E come si supponeva prima
di leggere l'articolo si era sicuri di "incappare" in un testo bello e consistente.
Nella ricerca bibliografica (Padula, Grifoni Cremonesi, Boenzi, Levi, Orofino, ecc.) oltre a
leggende e 'racconti di ogni genere (tesori, draghi, monachicchio, Madonne) ve ne sono
alcuni che parlano di briganti e grotte di terra lucana (ovviamente) come quelli legati
alla grotta dell'assassino (o del brigante) di Matera, la grotta dei briganti di Pisticci e di
Terranova di Pollino.
Redazionale
BRIGANTAGGIO
"La Zanzara" (Albidona, Cs) n. 7, 1986
Articolo sul brigantaggio meridionale con particolare riferimento a quello del confine
calabro-lucano: banda Franco e sequestro da parte di quest'ultimo di Don Pasqualino
Chidichimo di Albidona (Cs), tenuto appunto sequestrato, secondo la tradizione popolare
nella grotta della Falconara (monti del Pollino orientale).
LaRocca Antonio
FOLKLORE DELLE GROTTE. LEGGENDE E RACCONTI
DI TERRA CALABRA E LUCANA
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. 8, giu.-dic. 1987, pp. 30-32
Si descrivono varie leggende fra cui due legate al mondo delle grotte e dei briganti: "La
leggenda del Brigante Antonio Franco" e "Leggenda del tesoro della grotta di Pietra
Commata". La prima narra, in dialetto locale, di un brigante, di una grotta, del tesoro lì
nascosto e di un metodo originalissimo, usato da un vaccaro dietro autorizzazione del
brigante, per impossessarsi proprio del tesoro. La seconda è ugualmente legata ad un
tesoro, che un brigante prima di essere catturato aveva nascosto in una grotta. Una volta
in carcere confida ad un "collega" di prossima scarcerazione il fatto, e costui se ne impos
sessa.
(1) Nel presente capitolo (bibliografia) ho voluto anche inserire una sintesi di un interessante
articolo di grotte e briganti che però non ha nulla a che fare, almeno direttamente, con la
Lucania e la Calabria. L'articolo a firma di A. Antonucci e pubblicato su "Notiziario Speleo - club
Chieti" anno 1990, pagine 60-62, tratta infatti di briganti e grotte dell'Abruzzo. Altra regione
dove il brigantaggio, non solo locale, era molto sviluppato. La regione essendo montuosa ed
impervia, con collegamenti storici con la Puglia e la sua vicinanza con lo Stato Pontificio, era
spesso percorsa da numerose bande, o loro "coordinatori", che andavano e venivano appunto da
quest'ultimo, che come si sa era, allora, contro l'unità d'Italia. Di seguito ci si potrà dare un'idea
dello scritto.
Altro articolo come il precedente che descrive leggende legate al mondo carsico. Alcune di
esse narrano di grotte e briganti: "Il tesoro della grotta di Santa Rosolia", "La Grotta
sparita" e "La grotta del brigante Antonio Franco". Si tratta di leggende inedite anche se
il titolo ci potreobe far pensare diversamente.
La prima ad esempio è una versione diversa della leggenda "del tesoro della grotta di
Pietra Commata".
Larocca Felice
FOLKLORE DELLE GROTTE E TRADIZIONI POPOLARI
"Le grotte della Calabria. Guida alle maggiori cavità carsiche della regione"
di Felice Larocca, Nuova Editrice Apulia (Martina Franca, Ta) 1991,
pp. 47-51
Nel volume un paragrafo viene dedicato al folklore delle grotte e conoscendo l'autore non
poteva essere altrimenti! Oltre a parlare di episodi in generale legati al mondo delle
grotte (toponomastica, pirati, gente comune, spiriti, ecc.), l'autore non poteva non dedica
re buona parte del testo ai briganti'. Tesori, modi per impossessarsene, nascondigli, bri
gantesse-maghe, ecc., sono gli argomenti. Insomma, vi è un ottimo sunto di fatti brigan
teschi legati al mondo delle grotte calabresi.
Bruno Vincenzo
LA GROTTA DEI BRIGANTIIGRUTA BRIGANDEVET
"Katundi Yne" (Civita, Cs), anno XXIV, n. 84, 1993-2
Breve articolo dove è menzionata una simpatica leggenda che narra di una grotta sui
monti del Pollino con all'interno un ricco tesoro nascosto lì dai briganti. Moltissime
persone nel passato e nel presente hanno cercato questa cavità, ovviamente non per fini
speleologici ma per impossessarsi del tesoro, ma mai nessuno è riuscito nell'impresa.
Qualcuno spera ancora che gli venga in sogno il capo dei briganti in modo da indicargli
il posto preciso!
Bruno Vincenzo
LEGGENDE: ANTRI, TESORI... BRIGANTI
"Katundi Yne" (Civita, Cs), anno XXV, n. 86, 1994, p. 12,
Si parla nel breve articolo di immaginarie grotte,luoghi dove sono custoditi inestimabili
tesori nascosti dai briganti che nel secolo scorso spadroneggiavano sui monti del Pollino.
Unico metodo per impossessarsene è "vincere" sulle numerose e terrificanti maledizioni
che gli ultimi proprietari, i briganti, vi avevano "legato". Ma nessuno ancora c'è riuscito.
Nel capitolo settimo, dedicato a "grotte e abissi della valle" vi è un paragrafo sul "folklore
delle grotte" dove si narrano tre leggende inedite di grotte e briganti. In introduzione
Napoli Paolo
LA DIMORA DEL BRIGANTE
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. lO, dico 1995, p. 23
Breve articolo ma venuto dal cuore (conosco l'autore). Parla di un coraggiosD brigante
che vive in una grotta delle gole del Raganello. Per vendetta o per diletto sparava, dalla
grotta, sulla folla della piazza di Civita (prospiciente l'ingresso). Un giorno però la cavità
viene circondata e i militi impongono al brigante di arrendersi ma lui per evitare l'arre
sto, si getta dall'unico varco lasciato libero: un'altissima parete rocciosa a strapiombo sul
torrente!
LaRocca Antonio
STORIE E LEGGENDE CARSICHE AL CONFINE CALABRO-LUCANO
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. lO, otto 1995, pp. 17-21
Si tratta di un lungo articolo che menziona varie leggende carsiche dell'area calabra
lucana. Alcune narrano ovviamente di grotte e briganti. Fra esse c'è qualcuna già pubbli
cata in precedenza ma arricchita di particolari. Altre però sono del tutte inedite.
Restieri Giovanni
UNA CHIOCCIA D'ORO CON 12 PULCINI
PER I 13 BRIGANTI DI ANTONIO FRANCO
"Il mio paese scomparso" (Albidona, Cs), maggio 1996, p. 4
L'articolo narra un fatto realmente accaduto nel 1861. La banda brigantesca capitanata
da Antonio Franco, da lì a poco fra i più temuti briganti meridionali, rapina e sequestra
alcuni cittadini di Castelluccio Inf (pz). Uno di essi viene tenuto in ostaggio nei pressi
della .loc. Grottole (monte Caramolo, Pollino nord-orient.) in una grotta.
È descritta una leggenda che sintetizza, con riferimenti storici, le gesta dei briganti nel
circondario di Castelluccio Sup. e Inf (pz). Viene menzionato anche un tesoro nascosto in
una grotta da un capo brigante, appunto Pittinicchio (per la storia Egidio Maturo) che
ormai vecchio e stanco volle confidare il segreto ad una giovane donna. Essa però inge
nuamente lo tradisce facendolo impiccare.
Già dal titolo ci si può facilmente fare un'idea di come nel racconto si sono sviluppati i
fatti. Bisogna solamente aggiungere che gli stessi sono stati raccontati all'autore da alcu
ni anziani di Alessandria del Carretto e che i briganti, primi attori della storia, indica
rono ad uno sventurato due luoghi dove: in uno, era nascosta una chioccia d'oro e, in un
altro, un caccavo (pentola) pieno di soldi. Quest'ultimo, sembra, dentro una grotta. Ma
alla fine il tizio non trovò assolutamente niente!
Redazionale
A SERRA DI CRISPO PER LA VIA DEI MADONNARI
"Il mio paese scomparso",Albidona (Cs),settembre 1996,p. 4
Brevissimo articolo, dove si accenna ad una escursione fatta su Serra di Crispo (Pollino)
alla ricerca della mitica grotta del brigante Antonio Franco. Ma una pioggia e un vento
sferzante impediscono di trovarla.
Articolo moltò interessante sia dal punto di vista storico (è il sesto della serie) che da
quello speleologico. Infatti all'interno sono riportati più brani dove viene ben menzionata
una grotta. Il legame con i briganti ci viene da uno dei rapiti. Esso recandosi in un bosco
insieme ad un suo "forese" esprime il desiderio di visitare una cavità, ma lo stesso lo
sconsiglia calorosamente dicendogli: « ... Nella grotta vuoi andare? Là ti aspettano i bri
ganti...». Ma è ormai troppo tardi e, nonostante la rinuncia, viene catturato ugualmente.
L'articolo ci narra quindi uno dei classici esempi di come i briganti utilizzavano le
grotte: luogo di agguato!
BIBLIOGRAFIA VARIA
DURET DE TRAVEL
LETTERE DALLA CALABRIA
introd. e trad. di Carlo Carlino - Rubettino Editore, Soveria M. (Cz), 1996
DE JACO ALDO
IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE - CRONACA INEDITA DELL'UNITÀ D'ITALIA
Editori Riuniti, Roma 1969
AUTORI VARI
BRIGANTAGGIO LEALISMO REPRESSIONE NEL MEZZOGIORNO 1860-1870
Gaetano Macchiaroli Editore, 1984
PADULA VINCENZO
IL BRIGANTAGGIO IN CALABRIA (1864-1865) - Carlo Maria Padula Editore, Roma 1981
LEVI CARLO
CRISTO SI È FERMATO AD EBOLI - Arnoldo Mondadori Editore, Novara 1972
SCARPINO SALVATORE
IL BRIGANTAGGIO DOPO L'UNITÀ D'ITALIA - Edito da Fenice 2000 Srl Milano 1993
'
VARUOLO PIETRO
IL VOLTO DEL BRIGANTE - AVVENIMENTI BRIGANTESCHI IN BASILICATA 1860-1872
Congedo Editore, Lecce 1985
BOURELLY GIUSEPPE
IL BRIGANTAGGIO DAL 1860 AL 1865 - Edizioni Osanna Venosa, 1987
MAGRÌ ENZO
MUSOLINO - IL BRIGANTE DELL'ASPROMONTE - Camunia Editrice srl, Milano 1989
LAROCCA FELICE
LE GROTTE DELLA CALABRIA - GUIDA ALLE MAGGIORI CAVITÀ CARSICHE DELLA REGIONE
Nuova Editrice Apulia, Martina Franca (Ta) 1991
CINGARI GAETANO
GIACOBINI E SANFEDISTI IN, CALABRIA NEL 1799
Casa del Libri Editrice, Reggio calabria 1978
Inserito poi nello stesso numero (p. 48-49) del "Notiziario" dello Speleo-Club
di Chieti vi è un altro articolo inerente la grotta in oggetto: LA GROTTA DEI
FAGGI: STUDIO GEOLOGICO STRUTTURALE, SPELEOGENETICO E MICRO
PALEONTOLOGICO di M. Mascarucci (Geolab), P. Dimarcantonio (Geolab-Gruppo
Grotte CA! Teramo).
Nell'articolo ci si può fare una chiara idea sulla formazione e sulla strut
tura della cavità.
« ...Tutto li ricorda. Non c'è monte, burrone o bosco, pietra, fontana o grotta
che non sia legata a qualche loro impresa memorabile, o che non abbia servito di
rifugio o nascondiglio...
...Il terreno su questi monti d'argilla, è tutto scavato di buche e di grotte
naturali. Qui si riparavano i briganti e. qui, negli alberi cavi delle foreste, na
scondevano i denari delle taglie e quelli rapinati nelle case dei ricchi. Quando le
bande furono disperse, e i briganti tutti uccisi o imprigionati, quei tesori nascosti
rimasero nella terra o nei boschi. Questo è uno dei ·punti dove la storia dei
bnganti diventa leggenda, e si lega a credenze antichissime. I briganti misero
dei tesori reali dove la fantasia contadina aveva sempre favoleggiato la loro
esistenza: cosÌ i briganti divennero tutt'uno con le oscure potenze sotterranee. ...
...Ma per i contadini, queste non sono che briciole degli immensi tesori
celati nelle viscere della terra. Per loro i fianchi dei monti, il fondo delle grotte, il
fitto delle foreste sono pieni di oro lucente, che aspetta il fortunato scopritore.
Soltanto, la ricerca dei tesori non va senza pericoli, perché è opera diabolica, e si
toccano delle potenze oscure e spaventose. È inutile frugare a caso la terra: i
tesori non compaiono che a colui che deve trovarli. E per sapere dove sono, non ci
sono che le ispirazioni dei sogni, se non si ha avuto la fortuna di essere guidati
da uno degli spiriti della terra che li custodiscono, da un monachicchio.
Il tesoro appare in sogno, al contadino addormentato, in tutto il suo sfolgo
rio. Lo si vede, una catasta d'oro, e si vede il luogo preciso, là nel bosco, vicino a
quell'albero d'ilice con quel segno sul tronco, sotto quella gran pietra quadrata.
(1) È emblematico il caso Oriolo Calabro e Alessandria del Carretto (Cs). Negli anni 1942-43
furono internati ad Oriolo due del nord Italia: Ignazio e Stango Pervanic. Il primo dentista, il
secondo radiotecnico. Nonostante i rigidi controlli, con l'appoggio di due "teste calde" locali (An
drea Croccia nativo di Frascineto (Cs) ma dimorante ad Alessandria del Carretto, e il cognato
Giuseppe Mitidieri di Alessandria del Carretto) installarono su quei monti una radio clandestina
con cui ricevevano notizie aggiornate antifasciste. Poi queste notizie le trascrivevano su carta, in
un piccolo giornalino chiamato "La scintilla", e le diffondevano in tutto il circondario sia lucano
che calabro. Purtroppo nel 1943 furono scoperti e arrestati.
(Notizie tratte da: Giuseppe Rizzo "Andrea Croccia. La vita esemplare di un antifascista comuni
sta calabrese". Bollettino ICSAC: Istituto Calabrese per la Storia dell'Antifascismo Calabrese e
dell Italia contemporanea, Cosenza, n. 1, giugno 1991, fascicolo lO, pago 21-27).
«• . . Tuttavia, se nel muro, oppure accanto allo stipite della porta della baracca,
Ippolita trovava i fori di un paio di proiettili, questo significava che il rifugio era
stato scoperto. Allora l'appuntamento si considerava automaticamente fissato per il
giorno successivo, alla stessa ora, sotto la cima del Cufalo, a Orti, una zona che
Peppino riusciva a controllare agevolmente da una grotta. Con vettovaglie e muni
zioni, la ragazza recava al fratello anche le ultime novità che correvano in paese, ma
soprattutto le notizie che riguardavano i suoi nemici: spie e carabinieri. ...».
«. • .1 soldati si rivelarono poco efficaci. In qualche caso furono loro la vera fonte
del pericolo. Durante una esercitazione a Grotta d'Arme, cinque militari scambiaro
,no un innocuo cacciatore per il brigante, lo inseguirono a fucilate e rischiarono di
accopparlo. ... ».
«. • . Rientrato il 7 marzo ad Mrico, Musolino si era rifugiato in una grotta, a
Mingioia, una frazione fuori dal paese. L'antro naturale era in cima ad una collina,
protetta 'ai lati da uno st:r;apiombo e con un'apertura di circa due metri che somiglia
va al soffietto ripiegato di una carrozza. Insieme a lui c'erano Rocchitiello Perpiglia
e un altro tizio. Poiché dopo l'attentato all'Angelone riteneva pericoloso farsi vedere
in giro, il brigante mandò ad avvertire Antonio Princi di preparargli la cena e di
portargliela nella grotta. Era il momento lungamente atteso. Ricevuto l'incarico,
verso le 6 del pomeriggio la spia spedì a Bova suo fratello Angelo per informare
Wenzel. "Antonio sta servendo l'oppio a Musolino" comunicò il giovane messaggero
al delegato. Suggerì: ''Venga subito, mio fratello ci aspetta questa notte nel bosco
Caruso". Il funzionario radunò immediatamente i suoi uomini. ...
... L'incontro con Princi avvenne nel bosco a mezzanotte. Le notizie che portava
non erano confortanti. "Hanno mangiato maccheroni che ho cucinato ma l'oppio non
ha fatto effetto a nessuno dei tre" annunciò il giovane, molto preoccupato.
"Chi c'è con lui?" domandò Wenzel.
Tutto ciò ci fa capire moltissime cose del mondo dei briganti e dell'utilizzo da
parte loro delle grotte. Come prima cosa le grotte venivano utilizzate solo in casi
estremi (ve ne erano ovviamente molti di questi casi estremi) e i briganti preferiva
no senz'altro le più comode e confortevoli case. Come anche attualmente! Il fatto che
Musolino si faceva portare il cibo in grotta (poi oppiato!) è interessante. Una delle
tec�iche classiche del secolo scorso per catturare o eliminare i briganti era appunto
"oppiare" o avvelenare i cibi, soprattutto il vino e i maccheroni, che qualche manu
tengolo pentito, costretto o accattivato dalle taglie portava dietro suggerimento o
costrizione della forza pubblica.
Spesso mio nonno Nicola Napoli pur essendo nato nella Calabria nord-orientale
mi parlava delle gesta "eroiche" di Giuseppe Musolino. Ciò ci fa capire la notorietà
di questo brigante. Era considerato dalle popolazioni, non solo delle Calabrie ma di
tutta Italia, un vero e proprio eroe che per un maltorto fu costretto. a darsi alla
(1) In Aspromonte, alla domanda: «Ma perché abbandonò la Calabria?», gli anziani rispondono:
«Doveva andare a trovare l'avvocato!». Sembra una frase normale, ma "trovare" si deve intendere
come "ammazzare", poiché proprio per il "tradimento" di un avvocato, Musolino passò tutti i suoi
guai!
Belli o brutti i capi delle bande brigantesche spesso erano accompagnati nella loro vita di
macchia da donne, le così dette "drude". Si trattava a volte di ragazze rapite e poi "convertitesi"
al brigantaggio o di vere e proprie brigantesse. Fu così per Filomena Pennacchio, compagna di
Giuseppe Schiavone; Serafina Ciminelli, compagna di Antonio Franco; Giovanna Tito, compagna
di Carmine Donatelli Crocco; e tantissime altre amanti e spose di numerosi capobanda del bri
gantaggio post-unitario. La stessa cosa, però, succedeva nel così detto primo brigantaggio, quello
cioè dell'inizio del XIX secolo, e anche in questo caso spesso le donne brigantesse segnarono la
vita e la morte dei loro uomini.
Un esempio di tutto ciò ci viene da un certo Francesco Muscato alias "Bizzarro" nativo di
Vazzano (Cz) che legò, tra il 1700 e 1800, l'inizio e la fine della sua vita brigantesca a due donne:
Margherita e Niccolina. La prima contribuì non poco alla decisione di darsi alla macchia; la
seconda fu l'artefice della sua drammatica morte, avvenuta fra l'altro all'interno di una grotta.
Per capire meglio questi intrecci amorosi e "speleologici" riporto di seguito alcuni brani tratti dal
volume "Le brigantesse" scritto da Francamaria Trapani ed edito da Canesi (Roma 1968) (1).
Un fattore interessante che emerge dai racconti qui di seguito riportati ci fa chiaramente
capire il modo in cui le grotte erano utilizzate dai briganti: delle vere e proprie abitazioni. Era
senz'altro molto dura, ma si era costretti.
... Questo accadeva tra il 1801 e il 1802, sotto il regno di Ferdinando, da poco rientrato
dalla fuga in Sicilia del 1799....
... Tuttavia Margherita non era destinata a fare la vittima né la complice involontaria
delle malefatte di Bizzarro. In lei l'amore fu più forte dei legami del sangue: così come aveva
amato il brigante vittima della sua famiglia, continuò ad amarlo uccisore dei suoi. ...
... Diventò il braccio destro del capo della banda, ormai ordinata militarmente. ...
... Catturata infatti in un'imboscata, Magherita venne condotta nelle prigioni di Monteleo
ne dove non visse a lungo. Morta Margherita, Bizzarro divenne più selvaggio di una belva. ...
... Se i Borboni non si scandalizzavano delle sue malefatte, il generale Manhès al contrario
andava studiando il piano per sopprimerlo� Fatalmente sarà proprio una donna, certamente
(1) Il volume in oggetto non parla solo di Bizzarro e dei suoi amori, .ma è dedicato in generale alle
brigantesse (del :r:esto, dal titolo ... ). Lo stesso è suddiviso in dieci parti più' l'introduziorie, tutte dedicate a
storie vere e pittoresche delle compagne dei capibanda, sia del primo che del secondo brigantaggio. La storia
di Margherita e Niccolina· è riportata nel paragrafo "Il generale e le brigantesse. Le capoostipiti: Maria
Protettrice, Niccolina Licciardi ed altre".
... Ma il piccolo piangeva da sveglio e vagiva dormendo. Bizzarro a mano a mano che i
giorni passavano veniva preso sempre più dal terrore di essere scoperto. Odiava il figlio, pensan
do che certamente col suo pianto avrebbe attirato il nemico. ...
... Invano Niccolina cercava di tenere il piccino giorno e notte al seno esausto. Una sera
che in nessun modo era riuscita a farlo tacere, il bandito si alzò e senza pronunciare parola lo
prese per un piede e gli sfracellò la testa contro ·le pareti della caverna. ...
... Il primo moto della madre fu di saltare al collo di quella belva, ma l'istinto di una
vendetta più razionale la trattenne. Si alzò, muta andò a raccogliere il cadaverino, l'avvolse nel
grembiule, se lo pose sulle ginocchia e, macchinalmente, col corpo tremante, l'occhio carico di
odio, si mise a cullarlo, come vivesse ancora. ...
... Il mattino dopo scavò una fossa nella grotta, vi seppellì il figlio e pose sulla fossa il
proprio giaciglio per impedire ai cani di mangiarlo. Ogni notte la donna piangendo. sommessa
ricordava la sua sventura, la famiglia abbandonata per quest'uomo, la sua vita di malefatte e la
sua tristissima sorte. Ma aveva un suo piano di vendetta, e non dovette aspettare molto ad
attuarlo. ...
... Una notte che il brigante s'era addormentato profondamente, alzatasi dal proprio giaci
glio si avvicinò a lui. Col passo dei fantasmi si mosse intorno al suo letto, delicatamente tolse la
carabina poggiata al suo fianco, gli avvicinò cauta la canna all'orecchio e senza esitare sparò. ...
... Non tremò nel togliere poi il coltello dalla cintura, per troncargli la testa, che avvolse
nel grembiule che era servito da sudario al suo bambino, mescolando così il sangue del padre al
sangue del. figlio. Uscì infine dal rifugio e si diresse col macabro fagotto alla volta di Catanzaro.
- Portate notizie del Bizzarro? - chiese il governatore. Stendendo le mani verso di lui la
donna rispose: - Meglio che notizie. Vi porto la sua testa.
Il governatore non fece in tempo a fermarla. Tra l'orrore delle signore ancora intorno alla
mensa, gettò il capo mozzo tra i piatti.
- Questa testa vale mille ducati. Fatemeli pagare.»
(2) Alcune delle notizie storiche sono state tratte dal volume di GAETANO CINGARI: Giacobini e Sanfedisti in
Calabria nel 1799 (Casa del Libro Editrice, Reggio Calabria 1978).
di CARLA SARTORI
Si è svolto sabato e domenica scorsa nei locali dell'ex cartiera Parolini, ad Oliero, il III Convegno nazionale sul
folklore delle grotte intitolato "Le streghe dell'Oliero e altre storie". La manifestazione promossa dalla Federazione Spe
leologica Veneta, dalla Società Speleologica Italiana e dal Gruppo Grotte Giara Modon, ha avuto il sostegno del Comune
di Valstagna, della Comunità Montana del Brenta, dell'Amministrazione Provinciale e della Regione Veneto nonché il
patrocinio dell'Accademia Olimpica di Vicenza.
Come i chierici vaganti - studenti che giravano da un'università all'altra e contribuivano a portare le idee, a
dilatare la cultura - così era nata l'idea, alcuni anni fa da parte di Enrico Gleria, responsabile per il folklore e le cavità
antropizzate della Federazione Speleologica Veneta, di trovarsi a pensare, a ricordare, a riflettere su una memoria antica,
impastata di miti, di archetipi, di leggende, di storie. Nasceva così un forum periodico sul folklore, ma con una specificità:
la grotta.
Eremo di S. Cassiano: 1991, Castello di Schio: 1993, Grotte di Oliero: 1996; luoghi evocatori di presenze oscure,
ma nello stesso tempo carichi di suggestione e di fascino. Se la terra rappresenta ciò con cui maggiormente ci identifichia
mo, a maggior ragione il sottosuolo ne costituisce la base essenziale. Proprio per questo le caverne formano un vero e
proprio pantheon di divinità ctonie e di tradizioni, ricettacolo a cui attingere la nostra memoria, ma anche luogo di rifugio
delle nostre proiezioni più antiche e selvagge. Le grotte in quanto luoghi sacri, proprio per questa 10m intrinseca qualità
di essere luoghi fuori dai luoghi, culla dei sogni, diventano elementi strutturanti l'uomo per integrare la sua memoria.
Il convegno ha preso dunque spunto dalla tradizione locale per affrontare il tema dell'immaginario popolare
legato alle grotte: streghe e fade, anguane ed orchi, salbanelli e basilischi, fino a pochi anni or sono, popolavano anfratti
e caverne; queste figure, assieme a quelle dei santi eremiti o di briganti, sono spesso intrecciate in storie che si ripetono
con varianti in tutta la penisola. Il filo conduttore del convegno è stato quindi il recupero di questa memoria storica che si
colloca anche in ambiti geografici diversi. Si è voluto proporre una manifestazione che ha voluto uscire dall'ambito
ristretto di un convegno per "addetti ai lavori" (studiosi, etnologi, speleologi) e proporre questi temi ad un pubblico più
vasto; pubblico che peraltro non si è dimostrato insensibile al recupero del proprio patrimonio culturale.
Nel corso del convegno, che ha visto la partecipazione di studiosi provenienti da otto regioni italiane (Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Camapania, Puglia, Calabria, Sardegna), sono state presentate una ventina di
relazioni. Si è iniziato con studiosi locali (Cavalli, Chemin, Zanella, Zampiva) che hanno presentato temi ed aspetti
inediti del folklore vicentino. Poi l'ambito geografico è stato allargato con una carrellata sulle tradizioni delle regioni
italiane, fino a toccare altri paesi stranieri sia pure verosimilmente fra loro gravitanti.
Nel pomeriggio di sabato sono state presentate otto relazioni:
Adelina Cavalli di Valstagna ha ricordato il "filo" come momento magico di ascolto e ha rivissuto una leggenda,
memoria degli affetti del passato.
Alberto Talamanca del Gruppo Naturalistico Montelliano di Nervesa (Tv), ha parlato delle tradizioni legate ad
alcune grotte del Montello. La Grotta di S. Girolamo sarebbe legata al primitivo nucleo monastico che eresse poi la
Certosa del Montello, nel Buoro del Ciano vengono invece riconosciute antiche pratiche pagane, Il Bus della Regina viene
invece identificato dalla maliziosa fantasia popolare come via d'uscita per illeciti incontri amorosi della nobile veneziana
Caterina Cornaro, regina di Cipro. Altre tradizioni fanno riferimento alle fate o fade, a volte indicate come donne morte
durante il parto, e al massario folletto notturno dispettoso che abitava varie grotte e modeste cavità del Montello.
Terzo ad intervenire Pino Guidi, della Commissione Grotte E. Boegan di Trieste, dopo aver illustrato il patrimo
nio folkloristico del Carso triestino (96 leggende legate a 54 cavità) ha auspicato una maggior collaborazione fra gli
speleologi e gli studiosi di folklore.
Lo storico Angelo Chemin, ha analizzato due cicli di leggende relative al territorio campesano (Canale di Bren
ta) attinenti l'acqua intesa come elemento essenziale per la vita, approfondendo il tema del culto delle sorgenti. Nella
prima parte della sua relazione l'autore ha parlato di S. Martino di Campese e del corso della Rea esaminando antiche
divinità ad esso legate; nella seconda parte ha presentato alcune testimonianze di visioni verificatesi presso la "fontanel
la" forse legate ad episodi sciamanici.
Fernando Zampiva di Arzignano ha presentato alcune leggende inedite raccolte nella valle del Chiampo che
hanno come riferimento alcune caverne della zona.
Per Carla Sartori, insegnante di Vicenza, la grotta è un luogo di "soglia", un luogo rigenerativo dove il bambino
può reintegrare e ricomporre la propria personalità.
Giampaolo Zanella, del Gruppo Grotte Giara Modon Valstagna, ha relazionato su tre grotte rupestri: il Covolo
di S. Michele di Fonzaso, la Corona di Mezo S. Gottardo in Val d'Adige e il Croz Corona in Val di Non. Queste grandi
cavità sottoroccia, poste lungo antichi percorsi ricalcati dalla via romana Claudia Augusta, sono associate a leggende che
testimoni�no una lunghissima frequentazione dalla preistoria ai nostri giorni.
Paola Favero, del Gruppo Grotte Cai Geo di Bassano, ha proposto al pubblico le proprie rielaborazioni sul tema
del folklore dell'Altopiano.
Nella mattinata di domenica sono state presentate dieci relazioni:
Giuseppe Grafitti, del gruppo Speleologico Sassarese, ha fatto una carrellata delle tradizioni che insistono sul
territorio della propria provincia evidenziando peculiarità e relazioni con i motivi che emergono nelle altre regioni italiane.
Paolo Montina, dell'Associazione Friulana Ricerche di Tarcento, nonché r�sponsabile per il folklore della Società
Speleologica Italiana, ha presentato alcune leggende sulla grotta Tasajama di Villanova delle Grotte in Friuli evidenzian
do elementi tipici del folklore slavo.
Gilbero Calandri e Anna Valtolina, del Gruppo Grotte Imperiese, ci hanno parlato delle streghe legate alle
numerose grotte dell'estremo Ponente Ligure e delle credenze relative rImaste testimoniate
tradizione orale.
Nevio Basezzi e Luca Dall'Olio, del Gruppo Speleologico Bergamasco "Le Nottole", hanno preso in considera
zione le leggende, le forme di culto e le pratiche devozionali relative ad alcuni santuari rupestri del Bergamasco.
Domenica 20 ottobre
ore 9.00 ripresa dei lavori
PAOLO MONfINA:· Le grotte friulane fra storia e leggenda
NEVIO BASEZZI e LUCA DELL'OLIO: Santuari rnpestri della Bergamasca. Tradizioni e
leggende.
ATTILIO BENETTI: Favole della Lessinia
GIUSEPPE RAMA: il basilisco tra mito e realtà
GILBERTO CALANDRI e ANNA VALTOLINA: Grotte e streghe nel Ponente Ligure
GIUSEPPE GRAFFITI: Tradizioni e leggende nelle grotte del Sassarese
VINCENZO MANGHISI: Reminescenze classiche nelle leggende carsiche pu�
ANTONIO LAROCCA: Grotte e briganti. Storie e leggende di terra calabra e lucana
FABRIZIO BASSANI: Storie e leggende della moritagna di Scutari
ENRICO GLERIA : La caverna nella tradizione eremitica dell'Oriente cristiano
ore 13.00 chiusura dei lavori
ore 13.15 brindisi e bouffet di chiusura
La locandina
del Convegno
di Oliero
Grotte - con il patrocinio del COMUNE DI VALSTAGNA e della COMUNITÀ MONTANA DEL BRENTA
Valstagna (Vi)
1_ �ftuzi�
PRESENTAZIONE di Giuseppe Rizzo pago 4 Storia e leggenda di sequestri
e grotte al confine orientale
GROTTE E BRIGANTI pago 5-6
calabro-lucano pagg. 36-38
e quella "i Scianìelle" pagg. 21-22 Bibliografia delle leggende e dei racconti
calabro-Iucani riguardanti le grotte
Il tesoro trovato dai briganti pago 23 e i briganti (in ordine cronologico
Il covo dei briganti e la mappa secondo l'anno di pubblicazione
del loro tesoro pagg. 23-24 dal 1985 al 1996) pago 60-63
• BO . FICHE PENDII
DRYGOS
di LA ROCCA A. & C. s.n.c.
Contrada Neviera
87070 ALESSANDRIA DEL CARRETTO (Cs) I