Grotte e Briganti - Antonio La Rocca - Storia e Leggenda Di Terra Calabra e Lucana

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LE MOWOGRAFIE G.S.S.

1996

ANTONIO LA ROCCA

GROTTE E BRIGANTI
STORIA E LEGGENDA DI TERRA CALABRA E LUCANA

presentato al III Convegno Nazionale sul Folklore ,delle grotte


"Le Strighe de/I'Oliero e altre storie"
Oliero Grotte - Valstagna' (Vi) - 19-20 ottobre 1996

J GRUPPO SPELEOLOGICO "SPARVIERE"


ALESSANDRIA DEL CARRETTO (eS)·
Periodico di speleologia e dintorni

curato dal
Gruppo Speleologico "Sparviere"
di Alessandria del Carretto (Cs)

Responsabile

(da: PIETRO VARULO, /I volto del brigante,


Congedo editore, Galatina - Le, 1985)

(da: SALVATORE SCARPINO, /I brigantaggio dopo


l'Unità d'Italia, ed. Fenice 2000 s.r.l., Milano, 1993)

STAMPA: @ TIPOLITOGRAFIA DI GIUSEPPE - VIA RIVOCATI, 93 - COSENZA - TEL. 0984/25409


ANTONIO LAROCCA
(Gruppo Speleologico Sparviere)

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GRUPPO SPELEOLOGICO "SPARVIERE"


ALESSANDRIA DEL CARRETTO (Cs)
Que�to !afJO'lO i·> dediaato a!!a memo'lia di mio 12012120 qiu�eppe '-'caclfoaaa
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in 'liao'ldo de/le �ue a/fo-�ainal2ti J-ahmid�E ('laaaol2ti)


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ahe l2a'l'lafJa a 120i tamtin� 'laaaolti attO'lI2O alfoaola'le.


�o'lie di o'lah� ma!}à'le (�t'le!}he) e al2ahe di t'lipal2t�
aOI2 un fine e ul2a mO'lale �emp'lÈ- po�itifJi.
È !}'lazie a lui ahe in me i l2ata la pa��iol2e pe'l i fJeaahi 'laaaol2ti.

RINGRAZIAMENTI

A me piace dire che un'opera non è frutto solo dell'autore ma anche di tante altre
persone e non c'è cosa peggi�re quando queste ultime vengono appositamente dimenticate.
I

Voglio, perciò, innanzitutto ringraziare quei signori che con cordiale disposizione han­
no dato retta alle mie, a volte assidue, domande su grotte, briganti e tesori. È soprattutto
grazie> a loro, anziani contadini e pastori o artigiani, che h� potuto scrivere questo lavoro.
Un ringraziamento va anche ai vari autori e case editrici dei testi e articoli, inerenti le
grotte e i briganti, da cui ho estrapolato vari spezzoni, permettendomi così di arricchire
ulteriormente l'opera.
Un riconoscimento anche ai responsabili dei Catasti regionali delle grotte (Basilicata e
Calabria), Carmine Marotta e Felice Larocca; agli Archivi di Stato di Potenza e Cosenza; ai
soci e simpatizzanti del Gruppo Speleologico Sparviere per la disponibilità datami durante
le varie escursioni e per i loro suggerimenti (Armando Tedesco, Maria Vena, Rita Tedesco,
Giuseppe Elia, Michele Florio, Benito Patitucci, Mario Larocca , Giuseppe Larocca , Lorenzo
Larocca , Ettore Angiò, Paolo Napoli, Maria Carmela Bloise, Pino Ferraro.
Alla Drygos s.n.c. di Alessandria del Carretto (<E::s) per avere appoggiato, anche econo­
micamente, il mio progetto.
Grazie anche a Peppino Rizzo che con molta pazienza mi ha permesso di evitare vari
errori storici, fornendomi a riguardo numerosi consigli.
Agli autori dei rilievi topografici delle cavità che, oltre ad un grazie per avermi fornito
i disegni, va anche (soprattutto) un riconoscimento per aver mantenuto i vecchi nomi delle
cavità in oggetto senza così alterare la storia locale.
Ad Enrico Gleria per avermi stimolato a presentare questo lavoro al "III Convegno
nazionale sul Folklore delle grotte".

--ill'-----1I LE MONOGRAFIE G.S.S. · 1/1996 �


INTRODUZIONE �

(da: /I brigantaggio meridionale - Cronaca inedita dell'Untià d'Italia,


a cura di Aldo De Jaco, editori Riuniti, Roma 1969)

� LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1
1/1996 1--- ------ ------- [TI--
PRESENTAZIONE

di GIUSEPPE RIZZO

Questo lavoro culturale di Antonio LaRocca è una ricerca inedita e


originale sulla storia e sulla leggenda di grotte e briganti nella terra cala­
bra-lucana: una ventina di pezzi per conoscere un buon numero di cavità
naturali sparse nei luoghi più reconditi e inaccessibili dei boschi del Polli­
no e tra i dirupi rocciosi della Calabria e della Basilicata.
L'apparizione della grotta è antichissima, perché è già presente con la
comparsa dell'uomo preistorico, detto anche "uomo delle caverne".
Le grotte e le caverne sono anche l'habitat naturale di certe tribù tutto­
ra presenti in quelle parti del pianeta che gli uomini cosiddetti civilizzati
sogliono chiamare "i selvaggi del ventesimo secolo".
In una grotta della Galilea è nato anche un bambino che i cristiani
hanno riconosciuto come il Redentore.
Ma in questa paziente ricerca del giovane LaRocca il lettore troverà
ben quattro aspetti delle nostre cavità naturali:
- la,grotta come riparo dell'uomo primitivo,
- la grotta come dimora dei pastori e della gente povera,
- la grotta come saltu'ario
- la grotta come roccia, e quindi oggetto di studio scientifico.
C'è una doppia valenza del soggetto di cui trattiamo: la storia e la
SClenza.
La storia l'abbiamo già accennata, e'-' la desumerete anche nel corso
della lettura di questa ricerca; la scienza si occuperà della natura, delle
trasformazioni e di altri contenuti delle grotte.
È interessante soprattutto la conoscenza dell'origine carsica delle rocce
che formano quel caratteristico paesaggio del Meridione d'Italia.
Ma non può essere trascurata la storia di questi ''posti'': la presenza
umana dall'uomo primitivo al pastore di. oggi. È suggestiva la presenza del
brigante che qui si nascondeva, o teneva nOn solo. le refurtive (alimenti e
preziosi), ma anche i sequestrati dai quali estorcere denaro e altro. In ogni
paese· che visiti, ti parlano di un "tesoro"· nascosto nelle grotte.
La grotta merita di essere conosciuta non solo come la provvisoria e
sicura dimora del brigante di ieri, ma anche del mafioso di oggi: vedi
Calabria, Sar,degna e altrove.
Ma io inviterei il lettore, specie il giovane, a soffermarsi non solo sulla
storia e sull'antropologia, ma soprattutto sui rilievi, sui disegni, sulle foto e
sugli spunti scientifici della grotta.
La ricerca di LaRocca fa conoscere, mette in luce, approfondisce un
aspetto della nostra terra fino ad oggi, completamente sconosciuto.

-illt----,--il LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996�


GROTTE E :sRIGANTI

Le grotte e i briganti sono stati, da sempre, le mie passioni. Quasi' tutti i


racconti che gli anziani del mio paese natale mi narravano da ragazzino nel
I

rione S. Vincenzo, culminavano appunto con grotte e briganti:


« • • • e ddoppe tutte quille chi rrubbàvene (i brigande) u jievene e mmuccià
endì grutte da Fahconare, e Pullìne. Ci fecìevene pure u ligate e mmode che
nulle si ni potì mbossessà�.
(trad.: ...e dopo, tutto quello che rubavano (i briganti) lo andavano a nascon­
dère nelle grotte della Falconara, nel Pollino. Ci facevano anche dei malefici in
modo che nessuno se ne poteva impossessare). __

Qualche anno dopo, cresciuto un po';' incominciai ad andare nei vicini terri­
tori carsici, primi fra tutti quelli di San Lorenzo Bellizzi (Cs) e Terranova di
Pollino (Pz), fra i quali svetta, imponente, la timpa d�lla Falconara, mitico blocco
roccioso che faceva da primadonna nei racconti uditi da ragazzino. Anche in
questi paesi venivo affascinato dalle storie degli anziani, alcuni dei quali parla­
vano di grotte, briganti e... mal�fici. Qui i briganti avevano anche un nome:
« ...1 cape brigande da zzòne jerene Ndonije "Franghe, Giuanne a Banghe,
Sceppe a Moneche e u Clisendine ... ».
(trad.: ...I capi briganti erano Antonio Franco; Giovanni La Banca, Giusep-
I

pe Lo Monaco e il Cosentino).
Ovviamente i rifugi di questi "fuorilegge" erano_le numerose gròtte che in
" questi territori si aprivano: la Grotta della Falconara, la Grotta di Marsilia, la
Grotta dei briganti, la Grotta di Antonio Franco, la Grotta dei Vitelli, la Grotta
di Serra di Crispo, ecc., poste tutte nell'alta valle del Raganello e Sarmento in
luoghi molti impervi. Tutte custodiscono un inestimabile tesoro frutto delle raz­
zie. Ma il problema è come impossessarsene: malefici, spiriti maligni, trabocchet­
ti sono a loro custodia!
Tutto ciò non è un caso; infatti, in Calabria e in Lucania quando si va in
giro a cercar grotte ci si rende subito conto che gli abit�nti di molti paesi cono­
scono almeno una grotta nel loro comune che porta il nome di "Grotta dei Bri­
ganti" e che in essa vi sia custodito, protetto da, malefici, un "grosso" tesoro.
Persino paesi con nemmeno un grammo, di calcare come Albidona, Alessandria
del Carretto, Plataci, Spezzano, in provincia di Cosenza; Falerna in provincia di
Catanzaro o anche N oepol1, Pisticci, Rotondella in provincia di Matera e Poten­
za, hanno nei loro territori la "Grotta dei Briganti". Non parliamo poi di quei
comuni con terreni calcarei come S. Lorenzo Bellizzi, Cerchiara di Calabria, Fal­
conara Albanese, Grisolia ecc. (Cs). Qui le "Grotte dei Briganti" o grotte che
hanno avuto a che fare con essi, sono davvero numerose. Il motivo ,di tutto cio è
legato alla storia d'Italia, principalmente a quella recente che va dall'unità ai
nostri giorni. Soprattutto però immediatamente dopo il 1860. Infatti nel decen­
nio 1860-1870 nel meridione d'Italia ed in" particolar modo in Basilicata e nelle
province ad essa confinanti, il fenomeno del brigantaggio fu di notevole portata,
molto, ma molto maggiore, di quello che si studia a scuola.ì

� LE MONOGRAFIE G.S;S."· 1/19961-1 - []]--


Nel 1862 si stimavano all'incirca 80.000' briganti in 388 bande, composte
per lo più da circa 5-15 componenti, fino a raggiungere la cifra di 400-500 uomini
e anche 1.000, ma quest'ultimo caso era un'eccezione (1). I morti ammazzati
furono tantissimi in quel periodo in entrambe le parti (esercito unitario, briganti
e semplici civili) (2). Fu; insomma, una vera e propria guerra civile, senz'altro
l'inizio della questione meridionale, o come ha detto qualcuno lo sterminio di un
popolo e di un'economia.
JJn fenomeno quindi che non poteva non rimanere impresso nelle menti
delle popolazioni di allora e anche dei nostri giorni. Del resto sono passati appe­
na 136 anni. Si spiega così che in ogni paese vi sono dei racconti legati ai brigan­
ti, ai loro furti (o meglio alle loro, imprese), ai loro tesori e anche alle grotte
utilizzate per i loro bisogni. Nell'ultimo casoè semplicissimo spiegarne il motivo:
le grotte sono state da sempre luoghi misteriosi, dove erà meglio per i "normali"
stare lontano. Inoltre nel periodo della violenta repressione dei briganti, quelli
anormali e diabolici, i paesi e i centri agricoli erano letteralmente assediati.?
Quindi quale migliore posto se non le grotte dove rifugiarsi? Molte di queste
cavità perÒ, sono rimaste solo nell'immaginario collettivo, ma molte altre, come
vedremo più . avanti, esistono e sono state realmente utilizzate da essi per i loro
scopi: rifugio (anche per i loro sequestrati), a volte la loro tomba, e sicuramente
anche luogo dove nasconderci, magari momentaneamente, il loro tesoro. Forse
qualche bottino è ancora nascosto in qualche grotta, non prelevato in tempo dal
suo proprietario a causa di una morte violenta e imprevista: la fucilazione!
La ricerca che ho effettuato siè basata, oltre che su testimonianze traman­
date dai nostri nonni, anche su documenti dell'epoca trovati nei vari archivi di
Stato. Inoltre qualcosaè stata estrapolata anche da alcune pubblicazioni 'recenti.
Neè venuto fuori un quadro molto originale dato che, storia e leggenda, se prese
ovviamente con i dovuti accorgimenti, si sono rivelate coincidenti quasi alla per­
fezione. Ci si rende insomma conto che molte leggende non sono altro che la
sintesi di fatti realmente accaduti.

(1) CARMINE DONATELLI CRoceo,Come divenni brigante, edito da Ares, Gruppo WalKover, 1987.

(2) In proposito, nel volume di BASILIDE DEL ZIO, Il briganteCrocco (fatti e misfatti del brigante
più famòso e sanguinario del Meridione d'Italia), Adelmo Polla editore, 1991, si legge: «Questo
stato di convulsioni e turbolenze durò sino al 1865, epoca in cui cessò la legge Pica ed anche il
brigàntaggio. E dalle statistiche risulta che, dal 1861 sino al mese di agosto 1863, in B asilicata
furono fucilati 1.038 briganti, ne morirono in conflitto 2.413, e ne furono arrestati 2.768» (PANI ­
ROSSI, La Basilicata). lo aggiungo solamente che il brigantaggo di massa non terminò affatto nel
1865, ma agli albori del 1870, quindi fate voi il calcolo dei successivi morti!

----{]]I----tl LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� •


PARTE PRIMA

LEGGENDA �

Questa prima parte è dedicata ai racconti ("ì pahmidije", come sono chiama­
ti dalle mie parti - dal latino psalmus-diae, "salmo del giorno") che negli anni
passati gli anziani e i merio anziani (in prevalenza pastori e contadini) 'mi hanno
raccontato a proposito di grotte e briganti. Ho usato intenzionalmente il termine
"racconto" poiché di questo si tratta più che di leggende, che come si sa, di solito,
non hanno un fondamento storico. Queste storie�' invece, per la maggior parte
sono nate, come vedremo, da fatti realmente accaduti, tramandati fino ai giorni
nostri per via orale. Dopo 150 anni (mediamente) non sono di molto cambiati,
arricchiti- più che altro da aneddoti leggendari di origine più antica.
Ad ogni leggenda ho voluto dare una radice storica. Si tratta naturalmente
di mie supposizioni a volte però avvalorate da precisi documenti trovati nèi vari
archivi.
Buona parte di questi "racconti leggendari" li ho già pubblicati negli anni
passati, tn� anche sul presente lavoro sono stati, per così dire, riveduti e corretti
dato ch� molte cose nuove sono emerse. Comunque il racconto in sé non è stato
per niente modificato (non sarebbe stato gJusto). L'aggiunta e la correzione va
ricercata nelle "spiegazioni conclusive" e nelle "note descrittive". Infatti grazie
alle ultime ricerche molti "misteri" sono stati svelati.
I racconti sono principalmente riferiti all'area dei monti del Pollino, al con­
. fine fra la Calabria e la Basilicata, e risalgono al periodo 1861-'65. Del restcr11
personaggio che ricorre spesso nelle stàrie. è appunto un brigante (i suoi uomini �
le sue gesta) di no'
Nella parte conclusiva del capitolo ho' voluto anche inserire qualche rac­
conto raccolto da qualche altro autore,e pubblicato su periodici. Ho creduto giu-
, �

sto farlo poiché. sono interessantissimi e centrano alla perfezione l'argomento


trattato.
In conclusfone, ma sòlo per motivi "tecnici", volevo ringraziare tutti quei
signori (di alcuni dei quali non ricordq più i nomi, dato che al tempo p.òn me li
sono segnati), che mi hanno gentilmente e pazientemente fornito questi' racconti.
È soprattutto grazie a loro che ho potuto creare il presente lavoro.

�LE. MONOGRAFIE G.S.S.- 1/1996t-1 ---------


- �
LA CONFIDENZA

Qui di seguito vi è il racconto di un giovane di un paese fra la Sila cosenti­


na e catanzarese che poco tempo fa mi narrò, dietro promessa di non far sapere a
nessuno ciò che aveva intenzione di dirmi. Potevo però pubblicarlo badando però
a mascherare alcune cose.-
determinato punto dei boschi della Sila. Mi raccontò tutto tranne il punto della
sepoltura dei valori. Giustamente non si fidava ancora di me.
«Molto tempo fa, forse al tempo dei briganti, veniva trasportato su un car­
retto per detenuti un bandito. Essendo quest'ultimo molto vecchio, - durante il
trasporto, volle confidare ad uno dei carabinieri di scorta, il luogo preciso dove
'-aVeva nascosto un ricco tesoro, frutto delle sue scorrerie. Fece anche in modo di
dargli una precisa mappa. Ma anche il carabiniere era anziano e non riuscì
durante la restante vita ad impossessarsi del tesoro. Così anche lui prima di
morire lasciò la mappa in eredità ai suoi più prossimi parenti che tuttora (1996)
sono viventi e abitano in Sila. Infatti quella mappa è ora in possesso di un mio
conoscente, un discendente di quel carabiniere fortunato. Mi ha chiesto di aiutar­
lo a trovare quel tesoro. Non so con precisione se il nascondiglio è all'interno di
una grotta e non posso raccontarvi ancora niente, ma visto che siete speleologi
mi potreste essere d'aiuto...
� .. Poi conosco un altro fatto. Se si riesce a trovare nei boschi qui intorno

una grossa pietra piatta con sopra impressa un'impronta di cavallo, vuoI dire che
si è stati molto fortunati, basta quindi seguire la direzione dell'orma dello zoccolo
e lì davanti, prima o poi, qualcosa di interessante salterà fuori... (1)
... Ho anche sentito parlare di qualche grotta e di alcuni briganti che lì
abitavano e di un tesoro che...».
Anche in Sila, quindi, e non poteva essere altrimenti, la gente (ed anche
giovane) conosce, credendoci, dei racconti legati ai tesori, ai briganti e anche alle
grotte, anche se qui la natura- granitica delle rocce non potrebbe permettere la
creazione di caverne, almeno di una certa profondità. Ma come ormai è stato
detto, le grotte, almeno dal punto di vista storico, anche se piccolissime (magari
dei semplici ripari) possono essere int�ressanti. Noi lo aiuteremo a trovare -il
tesoro!
Questi brevi racconti sono poi molto indicativi dato che mettono in risalto
molte affinità con altri racconti di altri luoghi della Calabria e della Basilicata.

(Vedere leggende: "Il tesoro della grotta della. Falconara" - "Il tesoro della grotta
cji S. Rosalia" - "Il tesoro della grotta di Pietra Commata", di seguito).

(1) L'impronta di cavallo ricade spesso nei racconti legati ai tesori e ai "colpi di fortuna". Anche
in Basilicata, a S. Severino Lucano e Francavilla sul Sinni (Pz), è conosciuta una storia simile:
tra il timpone Palla d'oro e il monte Caramolo, in località "Timbone u trisore" (Timpone del
tesoro), nei pressi della fontana "u stecche", vi era fino a pochissimi anni fa un masso su cui era
scolpita un'impronta di cavallo, una falce e un martello. Nei pressi vi era seppellito un tesoro
(notare i nomi delle varie località); un locale, sicuro di trovarlo, si avvicinò con un escavatore per
spostare quel masso e vedere cosa c'era sotto. Non trovando il tesoro si portò a casa il masso con
inciso lo zoccolo!

- ---{]]f----tl LE MONOGRAFIE G.S:S. 1/1996� •


IL SACRIFICIO 'ANNULLATO

Un giovane pastore di S. Lorenzo Bellizzi, mentre accudiva il suo gregge, fu


avvicinato da un gruppo di persone. Capì subito che si trattava di briganti.
Infatti presentatisi come tali, gli chiesero se voleva aggregarsi alla loro compa­
gnia promettendogli di dargli parte del loro tesoro. In questo modo poteva diven­
tare ricco e non fare più il pastore. Aveva qualche giorno per decidere e se avesse
accettato doveva farsi trovare in una tal zona il tal giorno. Detto ci6 andarono
via. Lo stesso giorno il giovane pastore raccontò tutto alla madre chi�dendole il
permesso di accettare. La madre "avida" di soldi diede parere favorevole perché
in questo modo diventava ricca anche lei. Quindi dopo qualche giorno il pastore
si fece trovare nel luogo prestabilito, portando con sé fucile e cartucciera, e fu
prelevato dai briganti che lo condussero verso il loro rifugio. A 50 metri circa
(contò i passi), fu bendato e quando gli tolsero la benda si ritrovò all'interno di
una grande caverna strapiena di fucili, armi di ogni genere e un inestimabile
tesoro composto da molto oro, gioielli e brillanti, ma anche dalla famosa chioccia
con sette pulcini d'oro massiccio, rubata qualche anno prima· ad una facoltosa
famigÙa compaesana. D'un tratto i briganti parlando con qualcuno che però che
non si riusciva a ved�re, dissero: «lo abbiamo portato»; una voce proveniente dal
fondo della grotta rispose: «non è ancora l'ora». Poi al giovane venne detto che la
voce era del "delegat�" (1). A questo punto, nuovamente bendato, fu portato fuori
e gli fu detto di tenersi pronto e che ad un "fischio'" (concordato) sarebbe dovuto
subito ritornare. Scese.così nella vicina contrada "Bellizzia" recandosi a casa del
padre della fidanzata. Rimase li per un lungo tempo. Tanta era l'agitazione per
l'attesa ,del segnale che non vollenem:rp.eno dormire nel letto, preferendo la letti­
gia in modo che, non svestito, poteva essere subito pronto a partire. Per questo
suo comportamento non volle dare nessuna spiegazione. Il padre della ragazza
però si preoccupò molto dello stato mentale del giovane tanto da voler rompere
persino il fidanzamento con la figlia.
In questo periodo il fischio lo sentì spesso, e puntualmente si presentava al
luogo prestabilito, ma quando lo portavano all'interno della grotta, il Delegato
diceva sempre che non era ancora il momento giusto. Alla fine i briganti lo
liberarono dalla promessa, definitivamente. Poté così raccontare sia ai suoi geni­
tori che a quelli della fidanzata tutto l'accaduto. Infine, insieme, presero la deci­
sione di ribattezzarlo, vestito però come quando andava coi briganti, cioé con
fucile e cartucciera.

(1) Il "delegato" (termine dialettale che ricorre spesso nelle leggende brigantesche dell'area del
Pollino) raffigura varie personalità. Sta ad indicare in questo caso la figura di vertice e anonima,
tipo "gran- sacerdote" di quelle cerimonie sataniche malavitose. Ecco perché la leggenda termina
con il rinnovo del battesimo. Il termine delegato deriva senz'altro dal nome con cui erano indicati i
commissari del tempo, il "Delegato di pubblica sicurezza", quello che, paradossalmente, era il
responsabile locale della perseèuzione dei briganti. In ogni caso un personaggio al vertice dei poteri..
Il motivo reale per il quale era stato portato in quella grotta, forse di Timpa di San
Lorenzo o di Serra di Crispo, non era di farlo diventare ricco o di aumentare il numero della
banda (forse in altri casi) ma per motivi ben diversi. Sempre secondo la leggenda in quella grotta
i briganti volevano sotterrare il loro tesoro (quello appunto visto dal giovane). Per evitare che
qualcuno lo trovasse bisognava sacrificare proprio· sopra la buca la vita di un giovane in modo

------1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/19961-'-


1 ------------
[D-
---i
che la sua anima, diventata maligna a causa della violenta morte, stesse a guardia di esso
maledicendo chiunque tentasse di estrarlo, ad eccezione ovviamente di quei briganti!
Questo tipo di credenze sui tesori protetti da maledizioni, erano frequenti. Ad esempio ad
Alessandria del Carretto (Cs), esiste una leggenda di un tesoro nascosto dai briganti in un grosso
tronco cavo. Una persona molto fortunata riuscì a trovare la "pignata" (classico recipiente di
terracotta) in cui i briganti erano soliti nascondere il loro bottino (come anche il caccavo, pentolone
per la caseificazione). Sulla pign;ata era incisa una frase che diceva all'incirca: «chi si impadronisce
di questo tesoro la maledizione cadrà su di lui mandatagli dallo spirito maligno che lo sorveglia».
Sempre nel circondario dello stesso paese, in località Foresta, un'altra leggenda racconta
che un giorno un pastorello, mentre accudiva le sue greggi, casualmente vide un gruppo di
briganti alle prese con una strana cerimonia. Nascosto dietro alcune rocce assistette a tutta la
cerimonia e ovviamente sentì tutto. Si trattava di una sepoltura di un tesoro con annessa una
maledizione verso chiunque se ne voleva impossessare. Unico modo per impadronirsene era "am­
mazzare sette anime di fratelli innocenti". Frastornato, il giovane ritornò a casa e ancora tre­
mante raccontò tutto a suo padre. Ma il genitore essendo un tipo intelligente, dopo una lunga
riflessione, arrivò ad una geniale soluzione per impadronirsi del tesoro. Corse immediatamente
nel porcile e prelevò sette porcellini nati da poco portandoli nel posto della sepoltura. Scannò uno
per uno i sette "fratelli" impadronendosi così del tesoro!

IL CAPITANO, LA SERVA, ANTONIO FRANCO


E LA VENDETTA DEI CONTADINI

'
Nel circondario di Terranova di Pollino (pz) circolava un "capitano" (1) della
vicina Francavilla sul Sinni (pz). Era molto cattivo verso la gente popolana che
veniva maltrattata in continuazione. Fatta l'ultima malignità alcuni contadini, non
riuscendo più.' a sopportare quelle persecuzioni, si rivolsero al capobrigante Antonio
Franco per trovare un rimedio. Volevano, con le buone o con le cattive, far terminare
le sue prepotenze. Accettato volentieri l'incarico (forse perché anche alla sua banda
aveva dato fastidio) bisognava stabilire in che modo si doveva procedere. Riunì così
nella sua grotta-rifugio, sita in località "timpa di Pollino", i suoi uomini per imposta­
re il piano. Dopo una lunga e animata discussione il capobanda decise che la soluzio­
ne migliore per avvicinare il capitano senza essere scoperti (abitava in una casa­
fortezza) era di avvicinare la sua serva in modo da costringerla a collaborare. Così
fecero e la donna accettò le loro proposte. Una mattina, durante le quotidiane puli­
zie nel recinto dei maiali (2), lasciò volutamente il cancello del porcile aperto. I
suini, finita "a messàte e llù viviròne " (3); approfittando dell'occasione, scapparono
fuori ed essendo molti si sparpagliarono per tutto il giardino ("a ville") della casa lì
adiacente. In quattro e quattr'otto distrussero tutti quei bei fiori e piante presenti
creando un'incredibile confusione. La serva, seguendo ancora il piano dettatole da
Antonio Franco, si mise a gridare disperatamente invocando l'aiuto dei vicini. Il caos
a questo punto era al massimo. Aperti i, portoni della Masseria entrarono, oltre ai
vicini, anche i briganti travestiti da gente comune per far credere di dare una mano.
Così poterono entrare indisturbati nell'appartamento del capitano e rapirlo. Nell'oc­
casione prelevarono anche la serva.
La seconda parte del piano prevedeva il trasferimento di tutta la comitiva
(ostaggio e serva compresi) in una ben stabilita località del Pollino� Il posto era
chiamato "a pite i Gallinote" (l'abete di loc. Gallinoti), a monte della "timbe i Vitiel­
le" (timpa-roccia dei Vitelli). Quest'abete aveva la caratteristica di essere stato spez­
zato a dieci metri dal suolo dal vento e con ben 18 "figliule" (polloni). Era così grosso
da non far passare nemmeno l'acqua durante un forte temporale.

-----ITQ]-----tI LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


Qui giunti, l'ormai non più presuntuoso capitano, fu fatto a pezzi e bruciato. La
serva f\l portata nella loro grotta e vi rimase per tutto il resto della vita (non poteva
più ritornare alla masseria perché aveva collaborato con i briganti) (4).

(1) Per capitano si intende una persona benestante cqn un carattere altero.
(2) Chi mi raccontò la suddetta storia a questo puntò aggiunse anche "parlando con rispetto"
poiché nominare i maiali (ovvero i porci) è qualcosa di offen"Sivo nei confronti della persona cui ci '

si rivolge.
!

(3) "Messate e viviròne" è il modo di chiamare alcune "pietanze" che si danno ancora oggi ai
maiali per farli ingrassare. La prima potrebbe essere tradotta in inipasto ed è fatta con crusca di
cereali e acqua calda; la seconda si traduce in beverorie (da abbeverare), cioè una specie di
minestra liquida fatta con gli scarti del pasto umano (lavatura dei piatti, acqua di bollitura della
pasta, ecc.) o della lavorazione di prodotti agricoli (siero, salsa, ecc.).
(4) Questa leggenda mi è stata raccontata da due anziani signori abitanti nei pressi della località
"Casa del Conte" in agro di Terranova di Pollino (pz).

L'ASSALTO DEI BRIGANTI

Da Vena (frazione interna di Vibo Valentia) nei tempi passati partiva una
mulattiera che conduceva nel vicino centro marino di Cessaniti (VV). Era trafficata
da semplici viandanti ma anche da carovane di muli che scendevano e salivano da e
per la marina trasportando varie merci. Si racconta che in un periodo non ben
precisato alcuni mulattieri arrivati nei pressi della Grotta Pezza Piccola, posta nel
vallone "Fiumara Giardinello", furono assaliti e derubati di tuttè le merci da al­
cuni briganti, usciti tut-
to d'un tratto da un'al­
,
tra grotta sottostante il
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ne al militare-viaggiato- Rilievo approssimativo: Antonio LaRocca (G.S. Sparviere.)

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1/19961- ---------- -- -[ill---
,

re dei primi dell'800, Duret De Tavel, venuto, come ufficiale, insieme alle truppe
francesi ad occupare la Calabria nell'ormai famosa guerra franco-napoletana dell'ini­
zio del passato seeolo. In una delle Lettere spedite al padre, e ra-ccolte
libro "Lettere dalla Calabria" di Duret De Tavel con introduzione e traduzione di
Carlo Carlino ed edito da Rubettino srl (Soveria Mannelli, 1996), datata "Monteleone,
17 aprile 1808", nella parte conclusiva, e riferendosI grosso modo all'attuale provincia
di Vibo Valentia, dice: Questa parte della Calabria, non essendo funestata dal
« •••

brigantaggio, non ha coi francesi quelle penose relazioni che altrove sono dettate dal
terrore e dalla soggezione ed impediscono ogni sentimento di benevolenza...».
Sicuramente qui il brigantaggio no,n era· realmente attecchito e si spiega quindi·
la scarsità di racconti briganteschi.
. Altro fattore che emerge dal racconto è il modo in cui si è sviluppata la rapi­
na: «usciti tutto d'un tratto da un'altra grotta sottostante il sentiero». Era classico
dei briganti, come emerge da alcuni racconti di altri posti, nascondersi vicinissimi
alle strade, in una grotta, dietro a dei massi o sotto ad un ponte, attuando poi
l'imboscata.

(1) La "Ndujia" è un insaccato tipico e molto rinomato della provincia di Vino Valentia. In altre
parti della Calabria è chiamato diversamente ("nnuglie", ecc.) ma grosso modo si tratta della
stessa cosa.

Ringrazio il signor Nicola Baldo di Vena che mi ha gentilmente raccontato il presente racconto ed
altri ancora. Inoltre 1)n ringraziamento va anche a Anna Murmura di Vibo, a çarlo Manduca e
sua sorella Roberta di Briatico che mi hanno accompagnato nei posti del racconto.

Il paese dei briganti (da una stampa dell'epoca)


(da: Il brigantaggio meridionale - Cronaca inedita dell'Unità d'Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969)

---ill]1----'--t1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


Brigante alla macchia
(da una stampa dell'epoca)
(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo -
'Repressione, Gateano Macchiaroli
editore, Roma 1984)

IL RAPIMENTO DI UN ALBIDONESE

Intorno al 1860 ad Albidona vi erano due persone che si chiamavano en­


trambe Pasquale. Chidichimo. Erano figli di Francesco Antonio Chidichimo, si­
gnorotto indiscusso di quel tempo. Solo uno di essi però fu riconosciu'to dal padre,
il più piccolo, quello avuto dalla moglie legittima. Per questo motivo gl� albidone�
si chiamavano il più grande "u bastarde" (il bastardo). Tuttavia i rapporti con la
famiglia, almenò' in apparenza, erano quasi normali tant'è vero che il figlio rico­
nosciuto (quello a cui toccava tutta l'eredità) portava spesso il suo omoni�o e
parente insieme con lui a Napoli dove andava per studi, per acquisti o per politi­
ca (era consigliere' provinciale).
All'inizio dell'estate del 1864 volle andare a Napoli per acquisti e portò con
sé il "bastardo". Costui accettò volentieri, perché aveva deciso di vendicarsi di
tutti i soprusi ricevuti. Comunicò infatti al capobrigante Antonio Franco che un
suo omonimo e straricco "parente" stava per recarsi a Napoli ad acquistare una
partita di gioielli e che sarebbe rientrato il tal giorno (1). Così il giorno fissato il
capobrigante si fece trovare insieme ai suoi uomini nella località stabilita. La
carrozza postale passò dall'altopiano di Campotenese puntualmente, infatti "u
postiere" (il condùttore della carrozza) vide in lontananza che alcuni briganti lo
attendevano. Cercò di forzare il blocco frustando i cavalli ma Antònio Franco
sparò ad una bestia, uccidendola al primo colpo e costringendo così la carrozza
postale a fermarsi.
A questo punto Antonio Franco aprì lo sportello e con una voce decisa disse:
«Pasquale Chidichimo esci fuori». Uno dei viaggiatori,' che poi �non era altri che il
ricco e legittimo Pasquale Chidichimo (indicando con il dito "u bastard"!), disse:
«è lui Pasquale Chidichimo»; Antonio Franco rispose: «lo sappiamo bene· che- an­
che lui si chiama Pasquale Chidichimo, ma il Pasquale che noi vogliamo sei tu».
Così lo prelevarono e lo condussero con loro sulle montagne del Pollino. Fu
tenuto come ostaggio per ben due anni nella grotta della Falconara,-,(2), tanto da

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1/19961- -----'----------- @}____
instaurare anche un particolare rapporto con il suo carceriere e i suoi compari.
Giocava infatti a carie con loro vincendo, fra l'altro, sempre. Pervenirono quindi
le prime richieste di riscatto alla famiglia che consistevano dapprima in cibo,
vino e biada per le cavalcature, in seguito in gioielli e denaro. Furono cosÌ copio­
se e continue che ridussero quasi sul lastrico il patrimonio familiare. Tutta la
merce la recapitava il mulattiere G.M. della famiglia che fungeva anche da inter­
mediario e per questo fu sospettato anche di manutengolismo. Inoltre era cogna­
to di un brigante di nome Lofiego di S. Severino Lucano (pz). Passato molto
tempo, e non sapendo più cosa richiedere alla famiglia, Antonio Franco chiese
consiglio al '�cusendino" (il cosentino) (3) che alla sua specifica domanda su cosa
altro gli si poteva chiedere rispose: «suamente i circille che sfoggiavere Donna
Peppina Rovitti, a mamme i don Pasqualine, u jurne du matrimonjie suje» (sola­
mente gli orecchini che sfoggiava Donna Peppina Rovitti, la madre di Don Pa­
squalino, il giorno del suo matrimonio). Minacciarono cosÌ la famiglia che se non
li avesse d�ti gli avrebbero mandato l'orecchio del loro caro e in questo modo
avrebbero potuto appenderli lì. Furono cosÌ costretti a cedere anche a quest'ulti­
mo ricatto. Dopo poco fu liberato e poté tornare ad Albidona a continuare anche
se un po' più povero, la sua normale vita. Siccome aveva mantenuto la carica di
consigliere provinciale continuò anche a fare politica e frequentare le vecchie
amicizie. Un giorno andò a trovare il Prefetto di Cosenza e durante la discussio­
ne, chiedendo l'ora, si accorse che sull'orologio del Prefetto erano incise due lette­
re (P.C., Pasquale Chidichimo) come nel suo orologio rubatogli all'atto del rapi­
mento (la lettera C era la sigla che Pasquale Chidichimo stampava sulle sue
proprietà come cavalli, mucche, ecc., ma anche sulle piante d'ulivo... altrui!).
Inoltre altri particolari lo convinsero che si trattava proprio del suo orologio. Alla
domanda dove l'avesse preso, gli fu risposto che gli era stato regalato da un suo
grande amico! -

(1) Il Chidichimo ''bastardo'' come si è detto non è stato mai riconosciuto legalmente dal suo
padre naturale e per questo sotto sotto ce Paveva quasi a morte con lui e la sua famiglia. Per
questo diede le informazioni ai briganti riguardanti l'acquisto dei gioielli e che i Chidichimo
avrebbero sborsato molto pur di avere vivo il loro legittimo erede! Questa ipotesi è inoltre avvalo­
rata dal fatto che gli anziani di Albidona raccontano un altro aneddoto legato al ''bastardo'' e ai
briganti. Su "La Zanzara" (Albidona, Cs) n. 8/1986, in una parte di un articolo intitolato "1 due
Pasquale" si legge: «... Don Pasquale di Donna Concetta era intelligente e ingegnoso; usò la sua
astuzia e la sua intelligenza per vendicarsi dell'offesa dei suoi parenti Chidichimo, facendo l'in­
formatore dei briganti e si dice che sia stato l'artefice del sequestro di suo nipote e omonimo Don
Pasquale, menzionato nel n. 7 de "La Zanzara". Inoltre ingegnoso com'era costruÌ delle chiavi per
aprire e derubare insieme ad altri tutti i ricchi magazzini dei Chidichimo.
La "canzone del Rizzo"... appartiene, appunto, a Pasquale Chidichimo "secondo"...».
Di seguito la si potrà gustare poiché è davvero originale.

(2) La grotta della Falconara infatti ricade in più racconti legati al brigantaggio e quindi potreb­
be essere realmente stata usata (almeno nel periodo estivo) per nasconderci Pasquale Chidichi­
mo. Una brevissima leggenda raccontatami da alcuni anziani abitanti della contrad� Destra
delle Donne (sottostante la grotta) narra di una banda di briganti che rapirono e tennero prigio­
niero per un lungo periodo in qtiesta grotta un facoltoso uomo di un paese vicino (!) (vedere anche
"il tesoro della grotta della Falconara", di seguito).
Questa tesi, poi, viene anche avvalorata da un altro breve racconto fattomi da poco da un
anziano signore di San Paolo Albanese (Pz), ma originario di Alessandria del Carretto (Cs), di
nome Antonio Rago, alias Pandàne, di anni 84. Mi ha riferito che ... «il Chidichimo rapito dai

---{illr----tl LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� •


briganti è stato tenuto in una grotta a fosso (a pozzo) e. che ogni tanto i briganti, per farlo
mangiare, gli buttavano le ossa da loro spolpate in precedenza... !». La grotta della Falconara è in
effetti una classica grotta "a pozzo".
(3) Questa figura fantomatica, "u ·cusendine" (il �osentino), app�re spesso nelle leggende brigante�
sche locali (vedere "II' rapimento d,i un Sallorenzano") come anche una. banda di cosentini (soprat­
tutto nelle leggende di Alessandria del Carretto). Il suo nome non appare mai completo tànto da
far pensare che esso sia stato una persona locale, magari di origine cosentina, insospettabile e che
fungeva da manutengolo ma di alto rango. Nel caso del rapimento in studio si sospettava che il
. cosentino fosse il mulattiere che aveva appunto le radici nei pressi della città di Cosenza. Infatti
si dice anche che costui divenne tutto d'un colpo benestante facendo molti acquisti.

A CHENZONE DV RIZZE LA CANZONE DEL RICCIO

Su rizze avie llù pede Se il riccio avesse il piede


rruòtiga I pede, rruòtica I pede. rovista / piede, rovista / piede.
E ssu rizze piede non ni gà E se il riccio piede non ne ha
on I rri tuguà, on I rrituguà... non ,:ovistare / non rovistare...

Questa breve canzonetta canticchiata ancora oggi (ma per fortuna non per gli stes­
si fini del tempo) da qualche anziano di Albidona (Cs) non era altro che un collo­
quio, camuffato ovviamente, fra chi andava a rubare a casa di qualcuno e quello, o
quelli, che facevano il palo. Si racçonta anche che nella maggior parte dei casi
veniva accompagnata con della allegra musica.
Se il riccio ha il piede può muoversi, può 'raccogliere i frutti; cioè ·la via è libera,
problemi non ce ne sono, continua a rubare ("rruòtiga I pede"). Se il riccio, invece,
piède non ne ha non può camminare; vi è qualche problema per continuare a
rovistare, o nasconditi o scappa ("on I rrituguà").

Un particolare ringraziamento a Peppino Rizzo di Albidona che mi ha fornito tutte le notizie


riguardanti Albidona.

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1-------------. �
IL RAPIMENTO DI'UN SALLORENZANO

Antonio Franco di Francavilla sul Sinni (Pz), "Sceppe a Moneche" (Giuseppe


Lomonaco) (1) di Terranova di Pollino (pz) e uno originario dei pressi della città
di CosenZa soprannominato appunto "il cosentino", erano tre capi briganti che
nel secolo scorso bazzicavailo dalla Basilicata alla Calabria. In un non ben preci­
sato periodo stettero nei pressi dell'abitato di S. Lorenzo Bellizzi (Cs) dQve orga­
nizzarono e attuarono un rapimento di un facoltoso proprietario di quel centro:
Restieri. Essendo il rapito molto ricco chiesero ripetutamente, e più volte, il
riscatto alla famiglia. Le loro richieste di capre, pecore, salami, prosciutti, for­
maggi . ecc., erano così continue e copiose tanto che i familiari del rapito erano
costretti a consegnarli con ben sette muli. Pur di non farlo ammazzare i familiari
cedettero alle numerose richiese per far fronte alle quali vendettero anche nume­
rose proprietà, principalmente terreni. Passò molto tempo e nonostante tutto non
venne ancora liberato. I briganti non erano ancora contenti e per convincere i
familiari che non scherzavano mandarorono alla moglie il lobo dell'orecchio del
suo congiunto e insieme un'imbasciata che, oltre al già avuto, volevano anche la
parte più grossa del loro capitale che non consisteva né in cibo, né in terreni, né
in abitazioni o cose immobili. Volevano la chioccia con i sette pulcini tutti di oro
massiccio che avevano trovato nella grotta di Marsilia ubicata all'interno delle
gole di Barile. Ormai allo stremo pur di non rimanere vedova gliela fece perveni­
re. Il marito alla fine fu liberato (ormai povero!). I banditi avevano saputo della
chioccia d'oro dal mulattiere che consegnava loro la roba e che non era altri che
il "forise" (lavoratore) di famiglia. Costui aveva raccontato ciò ai briganti per
vendicarsi poiché da ragazzo aveva ricevuto dal padrone una violenta scudisciata
col capestro come punizione per aver commesso uno sbaglio di poco conto e, per
questo motivo, aveva perso anche un occhio. Aveva avuto così (confidando ai
briganti che il suo padrone 'possedeva quell'inestimabile e mitico tesoro) l'occasio­
ne di vendicarsi di quel gesto. Ecco perché gli tagliarono il lobo dell'orecchio.

(Vedere anche leggenda "Una' chioccia d'oro con 12 pulcini per i 13 briganti di Antonio Franco"
di Giovanni Restieri, a pago 33).

(1) Il Lomonaco era Giuseppe Genovese.

Questa leggenda mi è stata raccontata da alcuni anziani di San Lorenzo Bellizzi.

LA GROTTA DI ANTONIO FRANCO

Si racconta che la famosa grotta del brigante Antonio Franco, originario di


Francavilla sul Sinpi ma che scorazzava dalla piana di Sibari al Pollino e alla
piana di Policoro, strapiena di tesori di ogni genere (razziati nelle numerose
rapine) è sita nella Serra di Crispo in una piccola vallata che non si vede né da
piano Iannacci né da piano Cardone. Questa vallata è chiamata "vallata di Galli­
nosi". Una buca molto profonda (1) ne indica il luogo preciso!

-{K]r-------tI LE MONOGRAFIE G.S.S. · 1/1996 �


Fin dal 1961 gli speleologi del gruppo speleologico piemontese Cai-Uget di
Torino, durante le prime campagne speleologiche del dopoguerra in Calabria e in
Basilicata, furono affascinati dai racconti dei pastori che narravano della mitica
grotta di Antonio Franco.
Si legge infatti sul loro bollettino n. 16 del 1961, riferendosi al cuore dei
monti del Pollino, che: "... la sera, memori dell'augurio del caporale, accettavamo
l'ospitalità di pastori gentilissimi; e questi, intorno al fuoco, ci raccontavano del­
l'esistenza nella zona di una grotta fantasma detta di Antonio Franco, il nome �

del brigante che l'ha- abitata. Questa grotta c'è ma nessuno la trova e, natural­
mente, nasconde un tesoro. Ogni pastore sogna di trovarla e con il tesoro di
abbandonare il duro lavoro di montagna. Un giovane [. .. ? .. ] l'avrebbe vista, la
grotta misteriosa il cui ingresso è adorno di un cespo di rose, ma avido di denaro
non l'avrebbe rivelato a nessuno e sceso in paese avrebbe di nascosto comprato
corde e luci. Ma al suo ritorno la grotta era svanita".
Ma noi non l'abbiamo cercata: se. non c'era a che pro? e se c'era perché
distruggere una leggenda? ..

(Vedere anche le leggende "Grotta rifugio del brigante Antonio Franco e la donna sparita" e "La
grotta sparita" di seguito descritte).

(1) In effetti proprio nella parte centrale della piccola valle (o quella che noi crediamo sia), che
non si vede dai due pianori citati, è ubicata una piccola gTotta verticale, profonda poco più di lO
rot.: la Buca del Pollino.

Questa breve leggenda, ma secondo il narratore una storia vera, mi è stata raccontata dal signor
Labanca di Terranova di Pollino (Pz), incontrato con i suoi armenti al Piano Cardone.

La banda Franco
(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo -
Repressione, Gateano Macchiaroli editore,
Roma 1984)

Gli uomini e le donne raffigurati nel­


l'immagine qui di fianco sono gli ul­
timi componenti della banda Fran-
, co o, meglio, ciò che ne rimaneva
nel dicembre 1865, epoca in cui fu
scattata la foto, fra l'altro poco pri­
ma della fucilazione dei componenti
maschili e adulti. Gli altri fecero
dopo poco tempo la s.tessa fine, o
furono condannati all'ergastolo, ai
lavori forzati a vita o al carcere a
termine {o lì dentro morti). [N.d.R.]

---1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 11-


---�--- ---- -
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-----1
LA GROTTA-RIFUGIO DEL BRIGANTE ANTONIO FRANCO
E LA DONNA RAPITA

Nessuno sa l'ubicazione della grotta dove si -rifugiava il brigante Antonio Franco.


Solo lui e i componenti della sua banda riuscivano a trovare l'ingresso. Nemmeno quella
giovane donna "sc-chitte" (non maritata) di Terranova di Pollino (pz) che venne rapita e
tenuta all'interno della cavità per molto tempo, nonostante di tanto in tanto, in compa­
gnia di qualche brigante, uscisse fuori. Essa aveva persa "u rizzonte" (l'orientamento).
Non le era permesso di allontanarsi e ogni qualvolta i briganti andavano via muravano
la grotta con lei all'interno. Non riuscì mai a capacitarsi, eppure in lontananza riusciva
, a vedere un fondo valle. Quando fu liberata, ormai vecchia, venne lasciata proprio nel
fondo di questa valle. Allora seppe che quel posto si chiamava "Casa del Conte", vicinis­
simo al suo paese natale. Lo stesso giorno tornò dai parenti e a stento la riconobbero. Le
raccontarono che l'avevano cercata per anni ma le ricerche erano state vane. «Certo -
rispose lei - anche se nei pressi passasse qualcuno non potrebbe mai individuare l'in­
gresso poiché ben mimet�zzato con il paesaggio circostante. Unico segno per riconoscerlo
era la presenza di una grossa pianta di fico selvatico, ma bisognava saperlo!».

La leggenda mi è stata raccontata da un signore, ex legnaiuolo, nativo di S. Severino Lucano (Pz),


ma residente a Sibari (Cs).

LA GROTTA SPARITA

«Mio padre, Muscolino Giuseppe, ancora vivo, prima della guerra del 1940-45, quando
aveva 5-6 anni, stava guardando le mucche vicino al Casino Toscano. Ad un certo punto, mentre
camminava, venne attirato da una pietra larga e piatta che, per gioco, cercò di rotolare giù per il
vicino pendìo. Riuscitoci si accorse, con sua grande meraviglia, che sotto quella pietra c'era
l'ingresso di una grotta. Incuriosito vi scese dentro - c'erano dei gradini - e giunto al fondo vide
delle armi e un tesoro. Ripresosi dall'�mozione si gettò a capofitto su tutta quella roba preziosa e
si riempì le tasche con tutto ciò che poteva afferrare. Quando cercò di andar via però si rese conto
che !'ingresso non c'era più. Impaurito svuotò immediatamente le tasche, immaginando che esi­
stesse una qualche maledizione che proteggesse il tesoro. Ed infatti, appena si fu liberato di
_

tutto, rlcomparve, come per un prodigio, l'ingresso dal quale era entrato. Uscì subito fuori e di
corsa si recò a 'casa. Raccontato per filo e per segno l'accaduto ai suoi parenti, ritornò subito con
-
essi sul luogo. Ma, caso strano, non riuscì a trovare né !'imbocco della grotta né l'albero di fico
che vi cresceva a fianco. Era un caso veramente strano, soprattutto perché quella zona la cono­
sceva come le sue tasche. Ancora oggi, ripensandoci, non riesce a credere cosa possa essere
accaduto quel giorno».

Da altre versioni della leggenda e da alcuni passi della presente si capisce chiaramente che
la grotta in questione è la mitica grotta del brigante Antonio Franco. Infatti la grossa quantità di
racconti inerenti la grotta-rifugio di questo capobrigante, realmente vissuto nella metà del 1800,
hanno varie cose in comune:
- la particolare ubicazione (impossibile da trovare) sia per la buona mimetizzazione artifi­
ciale (fatta con lastra rocciosa o muratura) che per gli impervi e isolati luoghi, il cuore del Pollino
cioè Serra di Crispo o Serra delle Ciavole che realmente sono stati utilizzati dalla banda per
ripararsi dopo le varie scorrerie;
- l'albero di fico selvatico (o altro albero o cespuglio) che cresce di fianco l'ingresso. Bisogna
però ricordare che questa pianta (il fico) era ed è diffusissima: quasi ogni grotta del Pollino ne
presenta una al suo ingresso!

(Vedere anche la leggenda "La grotta di Antonio Franco" precedentement descritta).

Questa leggenda mi è stata raccontata da un giovane signore di Frascineto (Cs).

----{I[]f----;I LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� ·


Brigante ferito (da una
stampa dell'epoca)
(da: AA.VV., Brigantaggio -
Lealismo - Repressione,
Gateano Macchiaroli editore,
Roma 1984)

Anche le grotte artifi­


ciali erano utilizzate dai
briganti! [N.d.R.]

UNA DELLE TANTE MITICHE GROTTE BRIGANTESCHE:


"A FORCHIE U BRIGANDE"

Nella "timpa a chiàngula" (roccia della trappola), una località dirimpetto al


plU conosciuto bosco Spinazzeta e contrada S. Migallio-Coste Franco (Agro di
Terranova di Pollino - pz) vi è "a forchie u brigande" (la tana/grotta del brigan­
te). Qui dentro si nasco�devano "Frengische-Endonije" - Francesco Antonio (1) e
anche altri briganti. Nessuno all'infuori di essi poteva avvicinarsi, era un luogo
inaccessibile per la gente comune tanto che i genitori dei giovani pastori del
posto raccomandavano i propri figli di non passare per nessun motivo dai pressi
dell'ingresso, altrimenti sarebbero fuoriusciti i briganti catturandoli e portandoli
con loro sottoterra (un po' come le storie dei lupi ai bambini!). Secondo il narrato­
re della storia, un tal Labanca, la grotta attualmente è crollata, ma un tempo
era profondissima. Un'altra "forchie u brigande" era ed è in località "i òcchere i
S. Migalije" (i luoghi di San Migalio) luogo molto vicino al precedente e anche qui
i locali e qualche passante non dovevano assolutamente attraversare i pressi
'
dell'entrata.

(1) Questo tipo di racconti fa parte del filone "Grotte brigantesche nell'immaginario popolare",
cioè (e così ci allacciamo al discorso fatto nell'Introduzione) che in molti paesi meridionali vi sia
nel proprio territorio, almeno in teoria, una grotta dei briganti. In molti casi, però, la grotta' in
realtà non esiste ed è solo frutto dell'eredità lasciataci da quella terribile storia meridionale che è
il brigantaggio prima e dopo l'unità . d'Italia e che ha ancora molte ripercussioni, basti pensare
alla questione meridionale.

Vedi anche nota 3 "Il monachiello, i briganti e la grotta di Santa Marina", leggenda di seguito
trattata (pag. 20) e l'Introduzione alla parte IV "Le grotte" (pag. 43).

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IL "MONACHIELLO", I BRIGANTI E LA GROTTA DI S. MARINA

In località Santa Marina (Oriolo Calabro, Cs, ma molto vicina al paese di S.


Giorgio Lucano, Mt) vi è una grotta chiamata "dei Briganti" (o di Santa Marina)
poiché si racconta che un tempo ci stavano i briganti (1). Quando essi, d'accordo
con gente del luogo detti "i chìippere" (2) commettevano un furto andavano poi a
rifugiarsi proprio in questa grotta che a detta dei locali era profondissima ma
che oggi in parte è crollata (3). Come guardiano vi era un "monachiello" (4),
custode senz'altro delle ricchezze che i briganti avevano depositato in grotta.
Molti furono e sono i tentativi della gente comune di esplorare la grotta in modo
di impossessarsi del tesoro, ma ogni qualvolta qualcuno si addentrava, il "mona­
chiello" gli spegneva la luce. Ma il tesoro che è contenuto in un "caccaviello"
(pentola alta e stretta usata dai pastori per la caseificazione) mai nessuno di
questi intrepidi lo ha trovato. Del resto il tesoro era seppellito all'esterno, poco
più a valle della cavità. Un signore poco sveglio mentre arava con i buoi, ebbe la­
fortuna di trovarlo ma lo portò a far vedere ad un possidente locale il quale
furbescamente gli disse: "Non ti preoccupare, vedrò io se questi soldi sono ancora
in corso». Passò un certo periodo e i due si rincontrarono e il signorotto disse:
«Non è che ci sono altri soldi? Perché se ci sono me li devi consegnare subito
altrimenti ci arrestano entrambi. Per farti quel piacere stavo passando dei guai!!».

(1) Vi sono due versioni su chi era il capo dei briganti. Un signore di Oriolo Calabro mi raccontò che si
chiamava "Giuanne a Banghe" (Giovanni Labanca di Terranova del Pollino, Pz). Un altro pastore di S.
Giorgio Lucanp invece mi raccontò "... Che il capo brigante locale era un certo Ggiddiòne (Egidione) e che
era molto potente. Anche se era di S. Giorgio aveva la sua dimora nelle grotte di Santa Marina in territorio
di Oriolo Calabro. Costui ha "mbizzendùte" (impoverito) molte persone ma ha anche arricchito tante altre
poiché ai suoi amici regalava fortune, come ad esempio ad un suo compaesano a cui diede, all'insaputa dei
suoi uomini, una grossa fetta di un riscatto. Una volta gli ha anche insegnato persino una strada per
allontanarsi tranquillamente, in modo da non essere più raggiunto dagli altri briganti se per caso si fossero
accorti della grossa elargizione. ...".
Qp.esti due briganti sono realmente esistiti nella metà del 1800 e si conoscevano molto bene poiché
spesse volte compivano, insieme al più noto Antonio Franco, dei misfatti. "Egidione" ovvero Egidio Pugliese
era il più temibile ma anche il Labanca non scherzavà. Il primo fu ucciso in uno scontro a fuoco, e gli fu
tagliata poi la testa; il secondo si consegnò alla giustizia e gli vennero dati i lavori forzati a vita.

(2) "Chìippere" non è altro che la versione dialettale di un cognome ancora in uso nel comune di Oriolo
Calabro: Chipperi. I signori che mi hanno raccontato questa parte di storia hanno inoltre aggiunto: « ••• I
briganti fecero anche dei regali ai loro collaboratori (i Chipperi). Uno dei metodi usati per fargli avere dei
soldi senza far insospettire la forza pubblica e le altre persone fu un finto rapimento di un loro neonato. Il
piccolo era ancora in fasce (quelle usate un tempo) e prima di rilasciarlo inserirono fra le fasce vari valori.
Questo bimbo venne persino battezzato dai briganti o dal loro capo. Quando crebbe, ormai vecchio (era
intorno agli anni '20) i bambini di contrada Santa Marina che lo incontravano, con toni furbeschi e di sfottò,
gli domandavano se era vero che i briganti lo avevano battezzato. Lui indispettito rispondeva loro male e li
-
mandava via...».

(3) Di grotte dei Briganti ve ne sono tante. Molte immaginarie e profondissime, ma chi ce le indica è
certissimo della loro esistenza, almeno fino a quando non gli si chiede di accompagnarci! In questo caso però
aggiungono: «non me la ricordo più con precisione dove è ubicata e poi è crollata!». È il caso, ad esempio,
della Grotta dei Briganti di timpone della Foresta (Alessandria del Carretto, Cs), della Grotta dei Briganti
di timpa "a Chiangula" (Terranova di Pollino, Pz), della Grotta dei Briganti di loc. Muleo (Albidona, Cs) ed è
il caso anche della grotta in oggetto: la Grotta dei Briganti di loc. Santa Marina (Oriolo Cal., Cs)! Vedere
anche la leggenda "Una delle tante mitiche grotte brigantesche: a forchie u brigande", prima descritta.

(4) "U monachiello" è un personaggio che ricorre spesso nelle storie, lucane e calabresi, dei tesori. Non è un
essere malvagio anzi è molto gioioso e scherzoso (per ulteriori chiarimenti vedi: parte quinta "Bibliografia":
Un po' di storie di grotte e briganti riportate sul volume "Cristo si è fermato ad Eboli" di Carlo Levi -
edizione del 1972 della Oscar Mondadori).

--{gQJf-------i1 LE MONOGRAFIE G.S.S . • 1/1996�


UN "CACCAVO" PIENO D'ORO, LA GROTTA DEI BRIGANTI,
QUELLA DI MULEO E QUELLA "I SCIANÌELLE"

Anche ad Albidona e a Trebisacce (Cs), territori comunali che non presenta­


no terreni calcarei, vi sono delle grotte: la grotta dei Briganti, la grotta "i Mile­
ghe" .(forse "mileghe" deriva da "mulo") e la grotta "i Scianìelle". La prima è
ubicata in territorio comunale di Trebisacce, sottostante la vetta del monte Mo­
starico (lato meridionale) e dell'antica, omonima torre (storicamente conosciuta
anche come t�rre Peblgna, dal nome degli ultimi proprietari). Come dice il nome
qui dentro ci stavano i briganti. Ma un'altra versione della leggenda dice che i
briganti sì rifugiavano nella torre di Mostarico e poi se scoperti, tramite vie
sotterranee, sbucavano prima in un pozzo (1) e poi nella grotta in oggetto. Elude­
vano così i loro persecutori.
La grotta di ·IDc. Muleo (dia!. "Grutte i Mileghe"), detta anche grotta del
Notaio Dramisino, è posta poco lontano dalla Grotta dei briganti ma in territorio
comunale di Albidona, nell'omonima timpa, situata quest'ultima a riçlosso della
fiumara Saraceno e dirimpetto la loc. Scarano di Plataci. Qui il Saraceno forma
una breve gola. Anche in questa grotta si nascondevano i briganti e secondo
alcuni anziani del vicino paese di Alessandria del Carretto vi era seppellito un
"caccavo" pieno d'oro (2). Questa cavità però, a differenza della precedente, posi­
zionata strategicamente, era più frequentata dai briganti che dai monti del Polli­
no scendevano alla marina. Il Saraceno è stato da sempre una importante via di
commercio fra l'interno e la costa e quindi frequentata da numerosi mulattieri e
semplici viandanti, classiche e ricche "prede" dei briganti!
Un giorno ad un signore di Albidona proprio fra le due grotte mentre arava
un suo terreno il vomero inciampò su uno dei manici di un "caccavo" (pentolone
alto e stretto usato dai pastori per la caseificazione) 'e tiratolo fuori vide che, per
sua grande fortuna, era pieno di soldi.
La grotta "i Scianìelle" è sempre sul monte Mostarico, ma quasi a contatto
con la pianura, nei pressi del più noto sito archeologico di Broglio (porta del
. Saraceno). Anche qui, secondo la tradizione, ci stavano i briganti.

(1) Fra la torre e la grotta vi è un pozzo di saggio di scavo minerario profondo attualmente 13
metri. Secondo alcuni era certo il collegamento con la sottostante grotta dei briganti (ciò è stato
visto con i propri occhi...) (rilievi topografici a pago 22).

(2) In un articolo apparso su "Il mio paese scomparso" (Albidona, settembre 1996, p� 2) a firma
di Paolo �apoli e dal titolo "Paolo i Mast-Pepp non trovò la chioccia d'oro di Manca di Noia e il
povero Ciambine arrivò in paese impastoiato sul mulo" si narra di' un episodio brigantesco capi­
tato a due persone di Alessandria del Carretto, che imbattu�esi in una comitiva di briganti
capitanati da Giovanni Labanca, vengono, uno pestato poiché voleva fare la spia e l'altro, succes­
sivamente, arrestato perché non aveva fatto da spia! A quest'ultimo, però, i briganti dopo la sua
liberazione, per ringraziarlo di non averli traditi, confidarono il nascondiglio dove erano nascosti
la mitica chioccia d'oro (sotto un masso di loc. Manca di Noia) e un cacéavo pieno d'oro. Quest'ul­
timo si trovava appunto sepolto.nei pressi della fiumara Saraceno, sottostante Albidona, all'inter­
no, forse, della grotta di timpa Muleo. Ma il povero Paolo "i Mast-Pepp" nonostante le numerose
ricerche non trovò mai niente!

----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/19961t----'---�



Anche se artificiali (sono dei
\J saggi di scavo nel calcare mar­
nord sud
noso) e quasi sicuramente post
r) periodo brigantaggio, -le due

��t -- "V
706 mt s.l.m.
cavità qui raffigurate sono lega­
te a storie brigantesche. La tra­
t
)
r-
dizione popolare dice però che
questa "grotta dei briganti" ini­
\ zialmente era naturale,' una
} � specie di Spaccatura, e che poi

I l'uomo, in cerca di rocce adatte


a fare il cemento, la trasformò
) ! sezione
in miniera.
longitudinale
\
)
I Rifievi: Antonio LaRocca e Giuseppe Elia
(Gruppo Speleologico "Sparviere" di
I Alessandria del Carretto - Cs); collabo­

J
� \ razione: Associazione - "Progetto per Al­
bidona - L'altra cultura" (Albidona - Cs).
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Disegni: Antonio LaRocca

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TREBISACCE -CS- planimetria

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IL TESORO TROVATO DAI BRIGANTI

Ormai è di dominio pubblico! t briganti nel passato hanno nascosto vari


tesori e successivamente qualcuno, magari qualche altro brigante, l'ha trovato.
Ecco un racconto fattomi dal signor Pietro Gaudio "Maste Pietre" (classe 1906) di
Alessandria del Carretto (Cs):
«... Il padre di mia suocera, Salvatore' di Santo, alias Corpàto, aveva una
masseria in loc. Magliarde, agro di Alessandria del Carretto. Spesso lo si vedeva
partire con addosso "a viertehe" (la doppia bisaccia) piena di vettovaglie- dicendo
che doveva consegnarla ai briganti. Il capo di questi masnadieri era uno di Ter­
ranova di Pollino (pz) appartenente alla famiglia dei "banghejùhe" (famiglia La­
banca) (1). Un giorno il Labanca volle sapere dal nonno di mia moglie dove si
trovava una certa località. Lo costrinse persino a salire sulla vetta della timpa
"dell'Armi Rossi" facendosi indicare da lassù il luogo che cercava. Secondo il
brigante questo luogo poteva essere visto solamente dalla cima della roccia. Ov­
viamente "zio" Salvatore indicò il posto che si trovava fra la loc. Magliarde e la
timpa suddetta. L'indomani, incuriosito, si recò anche lui in quel luogo indicato
ai briganti e con sua grande meraviglia notò nel terreno una buca scavata di
fresco. Capì allora che i masnadieri avevano disseppellito un tesoro!
Oltre che nella timpa Armi Rossi i brig�nti alloggiavano anche nel vicino
bosco di Foresta e per la precisione nella timpa della grotta dove vi era (oggi
crollata) l'omonima grotta. ... ».

(1) Il brigante Labanca (Giovanni) è realmente esistito ed era appunto di Terranova di Pollino
(pz) (loc. S. Migalio). Fra gli anni 1861-1864 era uno dei briganti più temuti. Infatti era spesso
aggregato alla forte e temuta banda di Antonio Franco di Francavilla in S. (pz) e anche a quella
'
dei fratelli Melidoro di Favale (oggi Valsinni, Mt). Ma spesso agiva con una sua piccola banda,
bazzicando nei monti dell'Alto Jonio cosentino a cavallo fra la Calabria e la Basilicata. Ecco
perché si spiega l'inserimento in questa leggenda e in molte altre del suo nome come capo di una
banda.

IL COV O DEI BRIGANTI


E LA MAPPA DEL LORO TESORO

. In località ''jufilo", lungo il corso del torrente "fosso Torno", in agro di Viggianello
(Pz), è ubicata una caverna conosciuta col nome di "grotta del ponte Bufalìeddu" (1) che
nel secolo scorso era stata scelta da alcuni briganti della banda Franco come quartier
generale� I più terribili di loro si chiamavano Antonio Ardeio, Giulio De Bussio e Saverio
Bucato (o qualcosa di simile) ed erano tutti e tre siciliani. Per soggiornar� più comoda­
mente i briganti costruirono davanti all'ingresso della grotta persino delle impalcature.
Facilitati dalla morfologia del torrente che aveva i due vèrsanti vicini e molto inclinati,
appoggiarono fra questi ultimi delle lunghe travi di legno che, ad una certa altezza dal
livello dell'acqua, sorreggevano altre impalcature. Qui sopra vi erano state costruite
'
delle comode abitazioni che collegavano con la grotta. Quest'ultima serviva per conser­
vare l'abbondante cibo a roro disposizione e le costruzioni sopraelevate per trascorrere il
resto della giornata magari in compagnia di qualche giovane donna, forse rapita duran-

\ �
-----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. · 1/1996t-1 ...-
...:.---- --- --
te le scorrerie nella zona! Erano infatti famosi i loro séquestri che consistevano princi­
palmente in donne di ogni genere e uomini facoltosi in modo che con le prime se la
spassavano e con, i secondi ricattavano le famiglie. Le richieste oltre che in danaro e
gioielli consistev&no principalmente in cibo e bevande per loro e per i loro animali. La
loro strafottenza era così 'spudorata che pretendevano che tutta la merce venisse loro
consegnata "a domicilio". Avevano la zona in pugno dato che mai nessuno li denunciava
per paura di rappresaglie, e 'per questo nemmeno la legge interveniva: "la legge erano
loro", raccontavanò.
" Alla fine, però, un ex rapito, a cui avevano tagliato un pezzo d'orecchio (2), sicilia­
no anche lui, facendosi coraggio e superando l'omertà, denunciò la banda. I carabinieri
riuscirono però ad arrestarne solamente qualcuno e fra questi c'era proprio uno di quelli
più sanguinari: Saverio Bucato (colui che gli aveva tagliato l'orecchio).
Si organizzò così il processo e al confronto faccia a faccia (indizio probatorio princi­
pale) l'ex' rapito inizialmente fu un po', titubante 'a causa delle continue minacce a cui
era sottoposto (fu persino "avvisato" davanti ai carabinieri di non fare errori che poteva­
no nuocere alla sua salute). MIa fine però riconobbe il Saverio Bucato ricorrendo ad uno
s'tratagemma: «facìtiele mitte u cappìedde accussì u canòscu miegghiu» (fategli mettere
il cappello così lo riconosco meglio). Fattoglielo indossare aggiunse: «è ddiddru!» (è lui).
Da allora il covo fu abbandonato e i resti sono stati visibili fino a circa 50 anni fa.
È stata pe'rsino trovata una "cappa" (mantello nero) all'interno della grotta. Non fu però
mai trovato il fantomatico tesoro che i briganti nascosero prima di fuggire. Anche oggi vi
sono numerosi tentativi! (3)

CONCLUSIONI

Il fatto che in questa leggenda i personaggi dominanti sono tutti siciliani (o di


origine) nonostante si è in provincia di Potenza (che come si sa è abbastanza lontana
dalla Sicilia) è' molto interessante poiché ci porta ad una logica conclusione: quei tre
briganti siciliani e il rapito erano senz'altro sbandati dell'esercito Borbonico che, dopo
l'Unità d'Italia, si è disintegrato, lasciando per il territorio dell'ex regno delle due Sicilie
una miriade, di gente delle varie regioni.

( 1) "Bufalìedde" deriva dal soprannome di una persona che abitava nei pressi della grotta ed aveva dato il
nome anche ad un ponte-passerella che attraversava il torrente poche decine di metri a valle della grotta.
Attualmente non c'è più ma era utilizzato fino a pochi anni fa.

(2) Era usanza, e purtroppo lo è ancora, di tagliare il lobo dell'orecchio del rapito e spedirlo ai suoi familiari
in modo da far loro capire che non si scherzava. Numerose leggende (e non solo purtroppo) narrano di
rapimenti con relativo orecchio mozzato. Tutto ciò è veritiero poiché attualmente in vari paesi dell'area del
Pollino vi sono famiglie che hanno ereditato dai loro antenati un curioso e sadico soprannome "ricchie
mùzze" (orecchio mozzato, tagliato).

(3) Si racconta che il tesoro contenuto in tre pignate, messe all'interno di un sacco di tuja ("a bbadde"), era
stato sotterrato ad una distanza di 15 metri dall'ingresso della grotta. Però la direzione non si sa. Inoltre i
briganti a:vevano mimetizzato. la buca con.sassi e terra della stessa natura della zona (non è stato utilizzato
neanche il cemento altrimenti attirava l'attenzione). I banditi per ritrovarlo al loro ritorno avevano disegna­
to una mappa che naturalmente portarono con loro. Tanto erano sicuri che nessuno lo avrebbe mai potuto
'
trovare, che non vi fecero Ilemmeno "u legàte" ("legate" legatura, qualcosa che per impossessarsene è
=

'''legata'' a qualche maleficio).


L'allora brigante possessore della mappa non potendo più ritornare a Viggianello la conservò per i
suoi eredi. Un giorno un signore dello stesso paese (il narratore di questa storia) emigrato negli anni '30 in
Argentina per andare a lavorare nella metropolitana di Buenos Aires (linea BE) conobbe un certo Filippo
Zuccarello (di origine siciliana) e, quando seppe da dove proveniva, gli mostrò una mappa dove oltre alcuni
schizzi vi era scritto: "tesoro della grotta del ponte Bufalìeddu, loc. Jufilo, Vigganello". Aggiunse che il foglio
lo aveva avuto in eredità dal suo "4Q nonno", il bisavolo.

-illJf-----I1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


IL TESORO DELLA GROTTA DELLA FALCONARA

Nel secolo scorso una persona di Terranova di Pollino (pz) faceva il secondino
in un carcere militare. Durante un suo turno di guardia fu avvicinato da un detenu­
to che cercò di parlargli, poiché aveva saputo che era di Terranova di Pollino. Per
paura però dei superiori il guardiano allontanò bruscamente il detenuto. Dopo tante
insistenze tuttavia cedette e gli fu domandato se davvero fosse di quella parte d'Ita­
lia e a che famiglia appartenesse. La risposta naturalmente fu affermativa e che
apparteneva alla famiglia dei "La Banca". Il detenuto a questo punto gli disse che
conosceva molto bene quella zona e gli raccontò la seguente storia a patto che lo
trattasse meglio in carcere: «tempo addietro, prima che mi rinchiudessero qui den­
tro, ho trascorso moltissimo tempo nei pressi del tuo paese e particolarmente nella
contrada "la Falconara". Lì vi è una grotta, chiamata "grotta della Falconara", molto
lunga e profonda dove la mia banda nascose un inestimabile tesoro. Se hai il corag­
gio di entrarci e scendere nel pozzo poco dopo l'ingresso, potrai impossessartene,
basta scavare un poco e· troverai "nu caccheve" (pentolone stretto e profondo per la
caseificazione). Lì dentro è custodito il tesoro». Il secondino naturalmente chiese una
licenza e corse subito a Terranova e senza perdere tempo si recò alla grotta indicata­
gli dal detenuto. Sceso però in grotta trovò purtroppo solamente una profonda buca
vuota, qualcuno lo aveva anticipato. Tornato in paese un po' depresso confidò tutto
ai propri familiari che a loro volta gli dissero che il tesoro esisteva davvero ma che
poco tempo prima era stato trovato da alcuni forestieri.

(Notare la somiglianza con le leggende "Il tesoro della grotta di Pietra Commata" e "Il tesoro della
grotta di Santa Rosalia'').

Questa leggenda mi è stata raccontata da un anziano signore abitante nella contrada Destra delle
Donne nel territorio comunale di Terranova di Pollino (Pz), sottostante il versante nord-orientale
della Timpa della Falconara (roccia dove si apre la grotta).

IL TESORO DELLA GROTTA DI SANTA ROSALIA

Quando sul monte Sellaro c'erano i briganti, uno di essi fu catturato e


incarcerato. In prigione visto che era stato condannato a vita ai lavori forzati,
rivelò ad un altro detenuto, diventatogli amico, il posto esatto in cui aveva nasco­
sto il suo tesoro: una grotta nel monte Sellaro sud-occidentale. Còstui uscito di
galera si recò immediatamente in quel luogo e per meglio individuare la grotta si
rivolse ad un pastore locale (anch'esso un poco di buono).
La raggiunsero insieme e una volta penetrati all'interno vi trovarono real­
mente '�nu caccaviedde" (una pentola, piccola, per fare il formaggio) pieno di
soldi. Quella notte il forestiero si trattenne a casa del pastore e l'indomani, dopo
aver diviso il bottino, andò via. Giunto però nella località detta Santa Fele, sopra
Francavilla Marittima, gli fu fatta un'imboscata, dallo stesso pastore, in cui ven­
ne ferito mortalmente. Non era giusto che un forestiero si impadronisse di un
qualcosa che non gli spettava!

(Si noti la somiglianza con la leggenda "Il tesoro della grotta di Pietra Commata" e "Il tesoro
della grotta della Falconara'').

� LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1
1/19961-
------------
[ID-
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IL TESORO DELLA GROTTA DI PIETRA COMMATA

Un brigante il cui nome è andato ormai dimenticato, nascose il bottino delle


sue scorrerie nella grotta di Pietra Commata, in territorio di Cerchiara di Cala­
bria. Arrestato, fu condannato all'ergastolo. Sicuro di non poter uscire più vivo
dalle carceri decise di confidare al suo compagno di cella il luogo in cui custodiva
il suo tesoro. Questa persona era di Cosenza e appena uscì di prigione si recò
naturalmente sul monte Sellaro. Fu facilitato nel trovare la grotta da un pastore
locale a cui promise la metà di tutto.'
dalla superficie, vi era realmente nascosta una grossa quantità di oro e monete.
Per qùalche giorno il cosentino fu ospite del pastore e per disobbligarsi maggior­
mente delle gentilezze ricevute regalò alla moglie del padrone di casa una stu­
penda collana. Arrivò comunque il giorno dell'addio e, trovandosi solo in quel
momento con la moglie del pastore, tentò di violentarla riprendendosi la collana.
Ma la donna riuscì a scappare e avvertì il marito dell'accaduto. Questo, avendo
sentito ciò, subito si incamminò, ascia sulle spalle, per raggiungere l'ormai sgra­
dito ospite. Essendo pratico del posto non ci volle molto e una volta raggiuntolo
lo uccise riprendendosi oltre la collana anche la sua parte del tesoro che nascose
di nuovo, forse nella stessa grotta! Fu comunque arrestato, ma potè uscire presto
dal carcere pagando tre "carlini" (un'antica moneta che si usava in quel tempo).
Ritornato a casa fece osservare alla moglie che la vita di un uomo non vale,
purtroppo, più di tre carlini! ...
(Si noti la somiglianza con la leggenda "Il tesoro della grotta di Santa Rosalia" e "Il tesoro della
grotta della Falconara'').

IL TESORO DELLE GROTTE DI SAN GIOVANNI

Al tempo del Re "Feregòne" (forse Re Faraone, per dire "molto tempo fa")
e prima della guerra 1915-18, "Ndonije' ,F ranghe" (Antonio Franco) e "Berer­
dine" (1) erano i due capi briganti dei monti del Pollino. Grazie alle loro scorrerie
erano diventati ricchissimi ed avevano, così accumulato un'inestimabile tesoro
che tenevano nascosto nelle grotte di San Giovanni, ubicate in agro di Francavil­
la Marittima, in provincia di Cosenza. Per non farlo rubare a nessuno vi fecero
"u ligate", una sorta di maleficio. Infatti chiunque voleva impossessarsene dove­
va farsi venire in sogno, nella notte di Natale, il luogo preciso della sepoltura (2).

(1) Antonio Franco nativo di Francavilla in Sinni (pz) era davvero un capo brigante, il più
temibile, che scorreva i monti del Pollino. "Bernardino" si riferisce quasi sicuramente ad un certo
Francesco Berardi nativo di Mangone (Cs) e domiciliato a Tursi (pz). Insieme al Franco fu
implicato in diversi reati fra i quali il sequestro Salerno, possidente di Terranova di Pollino (Pz),
avvenuto nel bosco Lagoforano (m. Sparviere) posto a poca distanza dai territori di Francavilla
Marittima.

(2) Questa leggenda narratami dal sig. Nicoletti, pastore-contadino nativo di Francavilla M.ma
ed abitante a Civita (Cs), è un classico poiché esistono varie versioni raccontate al confine cala­
bro-Iucano. La cosa in comune è il tesoro, la notte di Natale e la Grotta (sembra quasi una
"terzina" del lotto!).

-OO----iI LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/1996 1--


Altro fatto interessante è che il racconto parla dei �due capi briganti della zona". Molte
altre leggende dell'area del Pollino sono legate ai due, tre capi briganti del posto (secondo la
tradizione). È così ad esempio a San Lorenzo Bellizzi (Cs) dove i tre capi briganti della zona
erano il solito Antonio Franco, Giuseppe Genovese e il Cosentino (vedi leggenda "Il rapimento di
un Sallorenzano"). È così anche a Viggianello (pz) dove i capi dei briganti erano Ardeio, Bussio e
Bucato della banda ... Franco (vedi leggenda "Il covo dei briganti e la mappa del loro tesoro"). È
così anche a Castelluccio Superiore e Inferiore (pz) dove secondo un'altra leggenda il capo brigan­
te locale si chiamava "Pittinicchio", nella realtà individuato poi come Egidio Maturo, alias Petti­
nicchio, della banda Franco (vedi leggenda "Pettinicchio" e il suo tesoro). Il bello è che queste
leggende coincidono alla perfezione con la realtà locale della metà dell'Ottocento.

LA CHIOCCIA D'ORO

Come non si poteva non inserire nel presente lavoro almeno un intero arti­
colo riguardante la mitica chioccia con i pulcini tutta d'oro massiccio che ricorre
spesso nelle leggende calabro-lucane. Sarebbe stata davvero una grande perdita
e la ricerca non poteva essere completa.
Bisogna innanzitutto puntualizzare che la chioccia con i 7-12 pulcini non è
solo legata aIe grotte e ai briganti ma anche ad altri fatti. È il caso ad esempio
della chioccia di Alessandria del Carretto (Cs) dove sembra sia stata nascosta dai
briganti sotto un masso di loc. Manca di Noia (1); ad Albidona (Cs) invece, la
chioccia era nascosta in un "setone" (siepe fra due terreni agricoli) e poi finita in
casa di un possidente locale, arrivata lì poco onestamente (2).
Bisogna inoltre aggiungere che la gallina d'oro ha rappresentato una sorta
di chimera per i più poveri (la
ricchezza, la voglia di diventare
ricco) e una specie di status sym­
bol per i più ricchi (la ricchezza
posseduta onestamente, da di­
mostrare agli altri: «quello è tan­
to ricco perché ha trovato la
chioccia d'oro» è la giustificazio­
ne della gente!). Un po' come la
"schedina" o il "gratta e vinci"
di oggi!
Essa, in ogni caso, nel pas­
sato sarà realmente esistita e
forse davvero qualcuno l'avrà
nascosta in qualche grotta o sot­
to un masso, creandosi e diffon­
dendosi così un mito. La cosa è
possibilissima, si pensi ad esem­
pio al mitico tesoro del re dei
visigoti; Alarico, sepolto insieme
al suo cadavere, nei pressi della Immagine stilizzata di una scultura d'argento dorato, facente parte

città di Cosenza. Moltissimi stu­ del tesoro del Duomo di Monza (da: Roberta Lavecchia e Antonio
LaRocca, Le gole del Raganello, ed. Drygos s.n.c., Alessandria del
diosi e "cavatori" gli hanno dato Carretto - Cs, 1984)

---i LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/19961


e gli stanno dando la caccia (3). Si pensi anche al mitico tesoro (e agli altrettanti
mitici cavatori!) della Sibilla custodito nella omonima grotta posta sui monti
Sibillini a cavallo fra Umbria e Marche (4).
Per quanto riguarda la chioccia con i sette pulcini, storicamente è esistita
ed è conservata attualmente nel tesoro del duomo di Monza. È del VI secolo, è in
argento placcato in oro ed ,è opera di un artista ignoto longobardo (vedi schizzo
allegato). Secondo un'ipotesi, a mio parere verosimile, sembra che la gallina rap­
presenti la famosa regina Teodolinda e i pulcini i suoi ducati longooardi. La
Calabria e la Basilicata per un certo periodo fecero parte del regno dei longobar­
di. Ecco, forse, la spiegazione della creazione del mito.
Ma torniamo alla chioccia, alle grotte e ai briganti. La maggior parte delle
leggende vuole la chioccia seppellita in una grotta, custodita da spiriti, traboc­
chetti e anche da briganti. Questi ultimi, poi, sembrano essere anche sia cercato­
ri che depositari. Avrebbero infatti nascosto la chioccia in una grotta dopo averla
rubata a qualche benestante che a sua volta l'aveva trovata o rubata a qualcuno
poco sveglio che a sua volta la vide per puro caso all'interno di un'altra grotta, o
sotto un masso, o in un tronco cavo, ecc.! Insomma un vero e proprio groViglio.
A San Costantino Albanese (pz) si dice che la chioccia d'oro è nascosta in
qualche grotta della loro montagna e che mai nessuno è riuscito a trovarla. Altri
dello ,stesso paese sono convinti che la grotta in questione si chiama Grotta dei
"-
Briganti ed è ubicata sul monte Caramolo. Altri ancora affermano che il luogo
del nascondiglio è la Grotta Martorano (dial. Gruttat Marturini) che è posta nei
più prossimi pressi' del paese. Ma in questa cavità i custodi sono diavoli!
A Tarsia (Cs) esiste una grotta che è chiamata "di San Giuseppe" e si dice
che sia il nascondiglio di un grosso tesoro composto anche dalla chioccia con i
pulcini e tutti d'oro massiccio (5).
A Motta San Giovanni (RC) vi è un buco profondo dove vi è custodita una
gallina d'oro. Se si sapessero alcune parole magiche, essa salterebbe fuori!
A S. Lorenzo Bellizzi (Cs), forse più degli altri paesi, le storie della chioccia
d'oro sono più radicate fra la popolazione. Qui, infatti, moltissimi, sia giovani che
anziani, sanno dell'esistenza della leggenda e la legano solo alle grotte, o solo ai
briganti (ma a volte anche insieme) (6).

( 1) Napoli Paolo: Paolo i Mast-Pepp non trovò la chioccia d'oro di Manca di Noia e il povero
Ciambine arrivò in paese impastoiato al mulo, in "Il mio paese scomparso", Albidona (Cs), set­
tembre 1996, p. 2.

(2), "La Zanzara", Albidona (Cs), 1990.


(3) Bloise Maria Carmela: Grotte tra storia e leggenda. Poche note su alcune cavità nei territori
di Mendicino e Domanico, in "L'Ausi", Alessandria del Carretto (Cs), n. lO, dicembre 1995, p. 22.

(4) Gentili Lamberto: Il mondo magico, in "La Val Nerina" di �utori vari, edito a cura della
Banca Popolare di Spoleto, 1987; idem, nota n.6 (seconda parte).

(5) Lavecchia Roberta, LaRocca Antoruo: Folklore delle grotte, in "Le gole del Raganello" di R.
Lavecchia e A. LaRocca, edito a cura della Drygos snc, Alessandria del Carretto (Cs) '1994.

( 6) Restieri Giovanrri: Una chioccia d'oro con dodici 'pulcini per i dodici briganti di Antonio
Franco, in "Il mio paese scomparso", Albidona (Cs), maggio 1996, p. 4 (riproposta nel presente
lavoro nel paragrafo "Leggenda"); idem, nota n. 5.

I LE MONOGRAFIE G.S.S . • 1/1996�


"GRUTTAT BRIGANTET" E "GRUTTAT MARTURINI"

S. Costantino Albanese (Pz), come dice il nome, è un piccolo paese di origine


albanese. Cioè fa parte di quei numerosi centri abitati meridionali, nati a cavallo
del 1400 e 1500 grazie all'immigrazione di profughi e soldati albanesi, causata
dalla pressione ottomana.
"Gruttat brigantet" è di facile traduzione. Sta a indicare la grotta dei bri­
ganti che come in tutti i paesi meridionali, di ogni origine, è conosciuta, almeno
nell'immaginario, dalla popolazione (vedere anche di seguito "La grotta dei bri­
ganti - Gruta Brigandevet" di Vincenzo Bruno).
Secondo una signora di S. Costantino che non mi ha però voluto dire il suo
nome, questa grotta si trova sui monti del Pollino, per la precisione sul monte
Caramola, oggi anche conosciuta col nome di grotta dei Vitelli. Qui si nasconde­
vano i briganti ed inizialmente sembrava molto piccola, ma un giorno vi cadde
dentro un capretto ed i suoi lamenti sembravano lontanissimi. Buttate alcune
pietre, queste non toccavano mai il foildo. Vi viveva un temibile brigante che
procurava molti guai alla gente locale. Un giorno un signore di S. Costantino
Albanese della famiglia dei Camodeca (1) escogitò un metodo per ucciderlo. Il
piano prevedeva prima di farselo amico e poi, appena possibile ucciderlo a tradi­
mento. Il piano riuscì alla perfezione e il cadavere del brigante fu portato dall'uo­
mo in paese dove venne seppellito nell'attuale rione "Largo del molo" (2).

(Vedere anche la N parte "Le grotte": La grotta dei Vitelli o dei Briganti - pagg. 53-54).

(1) Non sappiamo se questo episodio è realmente accaduto, ma è certo che a cavallo del 1862 e
64 fra i briganti della banda Franco, che aveva il dominio assoluto dei territori del Pollino, vi era
un certo Camodeca Francesco di Castroregio, comune in provincia di Cosenza e di origine albane­
se molto vicino a S. Costantino A. e S. Paolo A. In quest'ultimo centro aveva numerosi parenti. I
Camodeca sembra siano tutti originari di Castroregio. Ma la storia reale è un po' diversa. E'
stato il Franco a far scappare dalla sua banda il Camodeca dopo avergli fatto un torto. Non fu
ucciso, ma dopo qualche anno venne arrestato dalla Forza Pubblica e condannato a 20 anni
(Archivio di Stato di Potenza - Fondo Brigantaggio).

(2) Un'altra signora di S. Costantino, ma originaria di S. Paolo Albanese, di nome Cardone


Ermelinda, classe 1915, ci dice che nella zona di S. Costantino quando i briganti rubavano i soldi
poi li nascondevano nella grotta di Martorino (gruttat i Marturini). Lì dentro, secondo i suoi avi,
abitavano anche i diavoli.

Le leggende sono state raccolte insieme ai ragazzi di Sa.n Paolo Albanese dei Lavori socialmente
utili istituiti dall'ente Parco Nazionale del Pollino nel 1996.

Scontro tra bersaglieri e briganti (foto di L. Lojacono, 1964)


(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo - Repressione, Gateano Macchiaroli editore, Roma 1984)

---1 LE MONOGRAFIE G.S.S . • 1/19961


LA GROTTA DEI BRIGANTI - GRUTA BRIGANDEVET

di VINCENZO BRUNO

Su, in montagna, si racconta che esiste una grotta molto ampia, il cui spazio
interno non si immagina dal di fuori, perché l'entrata è solo una fenditura nella
roccia, quasi invisibile, mimetizzata dalla vegetazione.
Quella era la "Grotta dei briganti".
Secondo la credenza popolare essa costituiva una specie di quartier generale, il
rifugio dove i briganti si ritrovavano periodicamente per organizzare la loro attività;
ma si supponeva altresì che poteva essere pure il posto-deposito, dove veniva custo­
dito e nascosto il bottino delle loro imprese.
Terminato il tempo del brigantaggio, i pastori e i contadini della zona andaro­
no convincendosi dell'esistenza di un immenso tesoro, abbandonato q,ai briganti.
Iniziarono pertanto empiriche ricerche di una ricchezza da molti immaginata come
vera, da nessuno mai toccata con mano. Si rovistò per anni tra gli anfratti, tra i
ruderi delle casupole e dei rifugi montani; soprattutto la "grotta dei briganti" fu
meta di un autentico pellegrinaggio, che racchiudeva in sé attese ed aspettative per
un mutamento di "status".
Era il perenne vagheggiamento dell'uomo al benessere, che guidava anche que­
sti cercatori di tesori sul nostro Pollino. Si ebbe un tempo, quindi, in cui quella
grotta fu meta frequentatissima: forse i briganti lì non avevano mai soggiornato,
mentre ora. tanta gente vi si recava e i segni di tale passaggio confermavano sempre
più che qualcosa in quel posto era avvenuto, per cui valeva la pena di cercare.
Nessuno, però, è tornato mai a casa con qualcosa d'altro che non fosse delusio­
ne e sconforto.
Dopo anni, all'improvviso, un vecchio pastore nel giorno della festa del Patro­
no, nella piazza del paese racconta la "sua esperienza"relativa alla grotta in questio­
ne. Dice che anche lui da giovane era andato a frugare quel buco nella montagna,
ma essendosi stancato si era addormentato. Gli apparve in sogno il capo dei brigan­
ti, che, sghignazzando e mostrandosi molto divertito per la manìa che aveva colpito
gli abitanti della zona, rivela al pastore che in effetti il tesoro esisteva, ma che la
strada per arrivare ad esso sarebbe stata rivelata solo ed unicamente in sogno a lui
oppure a qualche altro fortunato.
Non restava, dunque, che attendere il sogno rivelatore.
Il vecchio pastore riferisce che aveva atteso tutta la vita inutilmente. Adesso si
sentiva vicino al trapasso e aveva sentito il bisogno di comunicare ai compaesani il
suo segreto.
Da quel giorno nessuno più è andato alla ricerca del tesoro dei briganti; da
quel giorno tutti i depositari di quel segreto aspettano la notte e il sonno con la
speranza che questo, oltre al riposo, porti anche le indicazioni, la mappa del tesoro.
Dal momento della rivelazione del vecchio pastore ognuno si è recato a dormire
con la speranza di essere il prescelto della fortuna; ognuno pazientemente ha atte­
so ... nel frattempo la "Grotta dei Briganti" è stata coperta d'oblìo, è diventata una
cosa dimenticata.

Estratto da "Katudi Yne", Civita (Cs), anno XXIV, n. 84, 1993/2.

I LE MONOGRAFIE G.S.S
. • 1/1996 �
LEGGENDE: ANTRI, TESORI... BRIGANTI

di VINCENZO BRUNO

Una leggenda nonnalmente deriva dall'interpretazione fantastica di accadimenti


a volte banali, che ruotano attorno a un fatto storico di dimensioni più vaste. Pren­
diamo ad esempio il brigantaggio nel secolo scorso. È indubbio che le montagne del
nostro Pollino siano state frequentate da bande organizzate o da gruppuscoli estem­
poranei di uomini, che per motivazioni diverse vivevano lontano dai centri abitati,
conducendo un'esistenza fatta di apparizioni improvvise presso le comunità e di
repentine fughe da esse; il loro modus vivendi era caratterizzato da azioni, che
l'ignoranza diffusa, la mancanza di comunicazione e in seguito l'inesistenza del con­
fronto del riscontro sulle notizie mettevano in moto la fantasia di chi abitava ,à

valle tanto da partorire un'epopea ricca di eroismi, di memorabili imprese singole e


collettive.
Tale premessa giustifica e motiva il racconto odierno di un anziano pastore del
paese, che mi ha detto della "Grotta di Maria" e della "Grotta del Gran Tesoro". La
prima, se la si visita, mostra su una delle sue pareti rocciose inciso il disegno di
una pentolaccia - nje kusÌ -, una di quelle circolari, profonde, capienti, che serviva­
no per bollire il latte munto e produrre il fonnaggio. L'incisione testimoniava la
presenza del contenitore, occasionàle, forziere dell'oro e delle monete lì sotterrate,
come l'Aulularia, come nella commedia della pentola di plautinia memoria. Ma la
grotta non fu chiamata della "pentola", bensÌ di "Maria", perché i briganti - si nar­
ra - dopo aver sepolto il bottino uccisero una ragazza di sedici anni, affinché il suo
spirito accudisse l'oro, affinché il suo fantasma tenesse lontano eventuali curiosi
spinti dall'intenzione di beffare: razziando il razziato. Mi sorge un dubbio: la grotta
di Maria non potrebbe essere invece più realisticamente iÌ teatro dell'epilogo tragico
di un sequestro?
Sulla "grotta del gran tesoro" il racconto è più articolato su tennini di un
mistero ancora più fitto o su allegorie più sottili: si sa che esiste, si sa che racchiude
una ricchezza di dimensioni colossali. Essa è sigillata da un asso enonne, che non
può essere smosso né per effetto di mezzi umani, fossero anche gli escavatori o le
ruspe odierne, né per effetto di parole magiche alla mille e una notte. Tale porta si
apre, però, mirabilmente da sola: ciò avviene il giorno di Sant'Antonio. La grotta
rimane aperta ventiquattr'ore e dall'apertura essa offre uno spettacolo indicibile:
oggetti d'oro a profusione, cumuli di pietre preziose, mucchi di tutte le pietre prezio­
se conosciute: rubini, smeraldi, zaffiri, ecc.... ! Insieme al gran tesoro si scorge all'in­
terno anche un mostruoso serpente dagli occhi che brillano come diamanti e dalle
dimensioni simili ai tronchi secolari dei faggi più mastodontici e maestosi della
montagna. È il guardiano; ma un guardiano un po' strano, un po' come lo spaventa­
passeri in mezzo al campo di grano, perché in quella giornata non potrebbe muovere
una spira: per effetto del Santo è come impietrito, è una statua di sale. Ciò era preso
per vero da tutti; il coraggio o l'incosdenza di oltrepassare la soglia della grotta, di
entrare nell'antro e di portare via il grande tesoro. Chiunque fosse lì giunto in
concomitanza di quella congiuntura favorevole, comunque rinunciava all'impresa,
concludendo tra sé: «che mi va, che mi spagnu?».

Estratto da "Katundi Yne", Civita (Cs), anno xxv, n. 86, 1994.

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UNA CHIOCCIA D'ORO CON 12 PULCINI
PER I 13 BRIGANTI DI ANTONIO FRANCO

di GIDVANNI RESTIERI

Il sindaco di San Lorenzo Bellizzi si chiamava Don Leonardo Restieri ed era


abbastanza ricco. La sua casa era all'entrata del paese e gli fu bruciata dai
briganti; un muro di quella costruzione esiste ancora oggi. Don Leonardo aveva
anche una grossa masseria in contrada "La favata", sulla via della "Timpa" Fal­
conara. Un giorno il sindaco si trovava nella sua masseria; forse i briganti della
banda di Antonio Franco ne furono informati, e fu sequestrato. Lo trattennero
come prigioniero nei boschi del Pollino e nella grotta della Falconara. Dinanzi a
questa cavità, che pure oggi viene chiamata "i grutta'i 'Ntònie Franch", c'è anco­
ra una folta pianta di fico selvatico. Il capobanda "'Ntònie Franch" mandò a dire
alla moglie del Restieri che gli doveva mandare subito una certa somma di soldi,
roba da mangiare e anche dei vestiti. Le cose che gli arrivarono da San Lorenzo,
forse non essendo della quantità e della qualità richieste, fecero arrabbiare il
capobrigante; '''Ndònie Franch" prese il suo tagliente coltello e staccò un pezzetto
di orecchio al malcapitato Don Leonardo Restieri; lo avvolse in una pezza e lo
mandò alla moglie, con questa pesante richiesta:
«Voglio che mi mandiate, entro domani, tredici muli carichi di farina, pane,
formaggio, prosciutto, vino e vestiti. Se non mi farete avere subito queste cose,
taglierò la testa di vostro marito e ve la manderò chiusa in un sacco!».
Il giorno dopo, la moglie del sindaco caricò i 13 muli, quanti erano i briganti
della banda Franco, e li mandò verso la grotta della Falconara.
Don Leonardo Restieri, un giorno aveva offeso il suo mulattiere tirandogli
una capestrata in faccia. Il mulattiere giurò vendetta e informò Antonio Franco
che il suo padrone aveva una chioccia d'oro con 13 pulcini, anch'essi d'oro. Allora,
il capobrigante mandò un altro biglietto alla moglie del sequestrato Restieri con
questa ennesima richiesta: «Rispettabile signora, se volete la liberazione di vo­
stro marito, mi dovete mandare prima quella chioccia d'oro con tutti i suoi 12
pulcini, che da tempo tenete nascosta in casa».
Anche per la chioccia d'oro si insisteva col numero di 13: la gallina se la
doveva prendere il capobanda Franco, invece, i 12 pulcini dovevano prenderli,
uno ciascuno, gli altri 12 briganti. La moglie del Restieri, per salvare la vita del
marito, gli fece recapitare anche il tesoro della chioccia d'oro, e finalmente Don
Leonardo se ne tornò in famiglia, ma con l'orecchio destro mozzato e assai pove­
ro: "'Ntònie Franch" l'aveva mandato proprio alla rovina. Poi, siccome i briganti
andavano scappando di qua e di là, presero la chioccia d'oro del Restieri e la
nascosero in una di quelle grotte del Pollino; resto lì anche dopo la cattura e la
fucilazione di Franco e dei suoi compagni. Ma nessuno è mai riuscito a trovare
quel tesoro. Dinanzi alla grotta dei briganti, proprio vicino al fico selvatico, fu
trovata invece una pietra piatta, dove c'era tracciata questa scritta: «Beato cu mi
vota»; si pensava che, rivoltata quella pietra, si trovasse la famosa chioccia d'oro;
ma quando l'ebbero rovesciata, videro un'altra scritta che diceva cosi: «E mmò ca
m'è votata sto chiù meglio ancora»: i cercatori della famosa "jocca d'oro" rimasero
come i fessi!

I LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/1996�


Un altra tesara i briganti di Antania Franca lo. lasciarana nella cavità di un
grassa faggio. della Faresta della Principessa. Pai, questa albera cadde fradicia
per la vecchiaia. Un giarna, un cantadina di San Larenza, mentre trascinava
una trave can i buai, vide che la trave urtò cantra quel vecchia albera caduta;il
tranca si spaccò e fece uscire malte piastre d'ara. Quel cantadina diventò imprav­
visamente ricca. ,Chissà quanti altri tesari ci sana nei baschi e nelle gratte del
Pallina!

Estratto da: Il mio paese scomparso", Albidona (es), maggio 1996, p. 4.


"

(Vedere anche la leggenda "Il rapimento di un sallorenzano" a pago 16).

La staria raccantata dal sig. Restieri è una delle tante versiani del seque­
stra Restieri (ma tutte can case in camune) realmente avvenuta nella metà del
secala scarsa (vedi anche capitala "Leggenda").
In questa versiane merita particalare attenziane un pezza di brano. dave «...
vicina al fica selvatica, fu ·travata invece una pietra piatta dave c'era tracciata
questa scritta: "Beata cu mi vata"; si pensava che, rivaltata quella pietra, si
travasse la famasa chiaccia d'ara; ma quando. l'ebbero. ravesciata, videro. un'altra
scritta che diceva: "E mmò ca m'è vatata sta cchiù meglio. ancara..."» (trad.: «Bea­
ta chi mi gira. E adesso. che mi hai valtata, sto. meglio. di prima»).
Queste brevi frasi -'passano. sembrare paca interessanti ma ci fanno. capire
una gran casa: fra i manti del Pallina (Calabria-Lucania) e i manti Sibillini (Um­
bria e Marche) vi è un impartante callegamenta starica. Infatti anche sui Sibilli­
ni i pastari canascana una staria identica legata alla maga SibilI a e al Guerin
Meschina. Nel valume La Val Nerina di autari vari, stampata a carico della
Banca Papalare di Spaleta nel 1987, nel capitala "Il manda magica", pp. 140-173,
a cura di Lamberta Gentili, si parla del Guerin Meschina che fece tappa sui
manti Sibillinl «per avere, dalla Sibilla, natizie intarna ai prapri genitari». L'au­
tare scrive:

«... Una riprava della persistenza del mito. ci è afferta dal susseguirsi di
scavi candatti can insensata accanimento. dalla fine del secala scarsa e fina ai
giarni nastri, i quali hanno. ridatta il già madesta anfratto. (l'antro. della Sibilla),
situata satta la carana racciasa che cinge la sammità del mante Sibilla, un cumu­
la di macerie. Prapria questi detriti' sana diventati la giustificaziane ufficiale del
fallimento. di agni spediziane...
... La stele di metri 1x1,50, vista da Pia Rajna "tatalmente, riempita di
scritte nan facilmente decifrabili" e che si travava nei pressi dei laghi di Pilato., è
misteriasamente scamparsa. Secanda il Rajna, vi si pateva leggere, sui due lati
appasti, la frase sibillina (a satirica?): "se mi valti sarai fartunata», «ed ara che
mi hai valtata che casa hai travata?"...».
Ma ritarnanda in Calabria e per la precisiane in Aspramante la Sibilla si
riscantra di nuava. Qui secanda la tradiziane arale ripartata anche su pubblica­
ziani, esiste la gratta della SibilI a che è malta prafanda e misteriasa, ma di
questa parleremo. in altra accasiane. [N.d.R.]

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LA DIMORA DEL BRIGANTE

di PAOLO NAPOLI

Stereotipi della pittura "brigantesca" e dei racconti che a questi si riferiscono,


sono la fierezza, il richiamO' alla fede e, immancabilmente, la grotta... Infatti que­
st'ultima, nei racconti e nelle leggende tramandate dai nostri nonni o dagli ormai
ultimi pastori calabresi, diviene dimora e fortezza per il brigante in fuga.
Ma non tutte le volte è così.
In questo piccolo racconto fattomi da. mio nonno (1), la grotta, prima sicuro
rifugio per l'impavido avventuriero, diviene all'improvviso una trappola che lo porte­
rà addirittura alla morte.
Il brigante in questione, esperto conoscitore delle zone montane del Pollino,
rientrando da qualche sua intrepida impresa arrivò a Civita e, aiutato da altri, si
fece calare con una lunga corda in una grotta che si apriva nella parete rocciosa al
di sotto del paese.
Ogni giorno i manutengoli salivano la timpa, per poi calare nella grotta viveri
e munizioni.
Visto che la zona di Civita era presidiata dalla Guardia Nazionale, il bngante
pensò bene di nascondersi in quel rifugio.
Le giornate, però, trascorrevano lente e monotone in quell'angusto pertugio. E
poiché la grotta si affaccia proprio sulla piazza del paese e anche in considerazione
del fatto che la zona - specialmente di domenica - era piena di gente, il brigante
prese di mira con il suo "schioppo" alcune di esse uccidendole (la leggenda non dice
se uccidesse per vendetta o per diletto).
La gente, ignara della provenienza degli spari, si mise di vedetta per scoprire
da dove questi partissero'
Dopo alcuni giorni riuscirono a scoprire il tutto e, avvertiti gli uomini della
Guardia Nazionale, fecero circondare il perimetro della timpa bloccando il passaggio
a chiunque avesse voluto raggiungere il suo, interno e quindi la dimora del brigante.
Così i manutengoli, non potendo più portare viveri e munizioni, scapparono dal
paese per paura di essere scoperti.
Il brigante, finitè le scorte di cibo e le munizioni, restò nella grotta per altri
dieci giorni circa; poi, stanco ed affamato, preso dalla disperazione e non volendo
arrendersi alle forze nemiche (che dopo la resa lo avrebbero sicuramente fucilato), si
affacciò all'ingresso della grotta, a strapiombo sul torrente Raganello, e si buttò nel
vuoto,finendo sotto il ponte del Diavolo.
Bisogna considerare quest'atto estremo non come un gesto di viltà, bensì di
grande coraggio, che solo uomini come loro, abituati a grandi sacrifici, potevano fare.
A mio avviso, questi personaggi non erano da considerare dei comuni delin­
quenti e dei cafoni, come qualcuno amava definirli, ma dei veri patrioti che combat­
tevano contro i soprusi dei potenti per rivendicare i diritti e le terre delle classi
subalterne.

(1) Questa storia fu raccontata a mio nonno Àlessandro Napoli nei pressi di Civita, in uno dei
suoi viaggi di trasferimento dal suo paese natale, Alessandria del Carretto, verso Castrovillari.
Estratto da "L'Ausi" (Alessandria del Carretto� Cs)� n. 10� dicembre 1995� pago 23.

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PARTE SECONDA

STORIA E LEGGENDA I

La distruzione della banda Donato in Calabria (disegno comparso su "L'Illustrazione Italiana" del 1874)
(da Salvatore Scarpino, " brigantaggio dopo l'Unità d'Italia, Fenice 2000 ed., Milano 1993)

È interessante notare, nella parte bassa a destra, le canne di alcuni fucili che spuntano dall'interno di. una grotta
e che fanno fuoco sui militi visibili in alto a sinistra .

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-----.,
STORIA E LEGGENDA DI SEQUESTRI E GROTTE
AL CONFINE ORIENTALE CALABRO-LUCANO

Premessa

Nelle campagne di Oriolo Calabro (Cs), per la precisione nella loc. Muarra, uno dei briganti
che è rimasto nella mente dei più anziani era Antonio Franco. Questa sua fama era aovuta al
fatto che spesso la sua banda passava da quei territori per poi rifugiarsi nella vicina Grotta dei
Fossi. Della sua banda facevano parte anche Giovanni La Banca e un certo Rocco (1). Questo
almeno secondo un'anziano contadino di loc. Muarra.
Nel vicino borgo di Farneta (comune di Castroregio, Cs) parlando con altri anziani della
Grotta "di Fuesse" (dei fossi) mi raccontarono che questa grotta si trova in loc. Ficarola e che se
riuscivo a raggiungerla, calandomi dall'alto con delle corde, potevo trovarci all'interno molti soldi,
residuo dei bottini dei briganti ottocenteschi. L'importante era stare attenti a non fare la fine di
quell'ultima persona che ci tentò: precipitare dall'alto!
Anche a Cersosimo (pz) piccolo paese adiacente a quelli di Oriolo Calabro e Farneta si
racconta di un episodio che riguarda alcuni briganti che si nascondevano in una grotta. In questo
caso però la grotta è chiamata grotta Ficara (si tratta però senz'altro della stessa grotta). Alcuni
briganti catturarono un loro cittadino e lo tennero prigioniero proprio lì dentro.
I tre episodi, come si può facilmente intuire, sono legati fra di loro. Oltre al fatto che i tre
paesi ricadon-o· in un unico territorio, anche se di due regioni, queste leggende grazie alle ricer­
che fatte negli archivi di Stato di Potenza e Cosenza, possono essere considerate delle sintesi di
fatti realmente accaduti nel secolo scorso: i sequestri Feolo, Veneziano, Valicenti, Castronuovo e
Giambra.

I sequestri Feolo, Veneziano, Valicenti e Castronuovo,


ben�stanti di Cersosimo (Pz), avvenuti nel 1862

Il primo marzo 1862 nel territorio di Cersosimo (pz) venivano sequestrati dai briganti due
cittadini "cersosimari": Giovanni Feolo di anni 60 e Giuseppe Antonio Veneziano di anni 19. La
località in cui i due furono rapiti è il bosco Madarosa nei pressi del confine fra i comuni di S.
Giorgio Lucano (Mt) e Oriolo Calabro. (Cs). Località quindi molto vicina alla grotta del sequestro
Giambra (vedi paragrafo di seguito). Dalle deposizioni dei rapiti emergono interessanti fatti
legati sia alle grotte che a quei luoghi in generale. In quest'ultimo caso le indicazioni date da
essi, e venute da altri documenti, ci fanno chiaramente capire che fra i territori dei comuni sopra
citati, fra quelle colline cretose ma an<=he ricche (soprattutto allora) di vegetazione, bazzicavano
spesso varie comitive brigantesche sia lucane che calabre. Il posto è infatti storicamente strategi­
co e poi (e quello che soprattutto interessa noi speleologi), nonostante il terreno non calcareo, vi
era e vi è qualche piccola grotta (vedere capitolo "Le grotte"). Nelle deposizioni emergono le
seguenti località: bosco Madarosa e omoninia grotta, timpone della Ciucca, costa �della Sola, bosco
Santa Marina e bosco Serra Piana (vedesi connessioni con il sequestro Giambra descritto nel
paragrafo successivo).
Il sequestro del sig. Feolo è poi legato anche ad una grotta. Nella sua ver,sione dei fatti
emerge che:
« ...intanto mi restai alla custodia delle vaccine, attendendo il suo ritorno: difatti non tardò
molto a venire. Fu allora che gli [. .. (?)...] voler visitare la grotta posta nel bosco Madarosa lungi
un quarto di miglia dal luogo in cui eravamo, per vedere se avea adempito allo sterro che
precedentemente avergli ordinato, ma lo stesso [. .. (?)...] me ne dicendo, "questo vuoi fare? I
briganti là ti aspettano" restai a tale proposizione perché in quella contrada non si erano intesi
briganti da più tempo, egli disse che non era possibile perché nulla si sentiva. Egli però sostenne
che li avea veduti e precisamente nella contrada detta Costa della Sola, la quale è di rimpetto la
grotta in parola... (Archivio di Stato di Potenza).
»

Per dovere di cronaca i due "malagurati" erano stati rapiti dalla banda di Antonio Franco.
Il Feolo dopo tre giorni riuscì a scappare forse per una distrazione dei suoi momentanei custodi.

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Parte della deposizione del sequestrato Giovanni Giambra, fatta all'ufficiale di "pubblica sicurezza
d'ordine" di Montegiordano, sig. Giulio Cesare De Luca, e al sottoprefetto zonale, cav. Giovanni Giura
_ (12 dicembre 1886). Si legge chiaramente il riferimento al breve periodo durante il quale il sequestra­
to fu tenuto in una grotta. (Archivio di Stato di Cosenza, fondo Brigantaggio).

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Invece il Veneziano lo tennero 19 giorni facendolo vagare fra i territori comunali di S. Giorgio
Lucano (Pz), Oriolo e Nocara (Cs), Valsinni, Colobraro e Francavilla in Sinni (pz). Entrambi però
pagarono un ingente riscatto che consisteva in ducati, anelli d'oro e vari commestibili.

Sempre nello stesso anno, a settembre, furono sequestrati nella stessa zona e dalla stessa
banda, altri due benestanti di Cersosimo: Giuseppe Valicenti e Giuseppe Maria Castronuovo.
Anche nei documenti inerenti il loro sequestro emergono le stesse località dei sequestri Feolo e
Veneziano. In più viene citato ii bosco Fossi, da collegare con la grotta dei Fossi del sequestro
Giambra (vedi di seguito) e delle varie leggende. Anche in questo caso per dovere di cronaca
bisogna aggiungere che il Valicenti dopo lo sborsq di un cospicuo riscatto fu liberato. Invece il
"povero" Castronuovo nonostante il pagamento del riscatto venne. barbaramente ucciso e brucia­
to, azione senz'altro fatta su commissione da qualche altro possidente locale per motivi di potere.
Il Castronuovo però non fu tenuto segregato nella zona in oggetto ma trasferito sul vicino Polli­
no, in una delle grotte di Serra di Crispo o di Monte Caramolo (Grotta del Vescovo?).

Un sequesto avvenuto al confine orientale calbro-Iucano nel 1866


e la relativa segregazione in una grotta

Durante alcune ricerche fatte all'Archivio di Stato di Cosenza, mi sono imbattuto in un


f8$cicolo riguardante un rapimento avvenuto il 28 novembre 1866 a danno di Giovanni Giambra
di anni 15, di Montegiordano (Cs). Come autore del sequestro fu sospettata una improvvisata
comitiva dei monti della Sila, appoggiata da manutengoli locali.
La cosa però che interessa gli speleologi è una parte della dichiarazione dello stesso Giam­
bra fatta all'ufficiale di pùbblica sicurezza pochi giorni' dopo il rilascio (o meglio della fuga dei
rapitori), avvenuto il 7.12.1866:
«• . . Verso un'ora di notte del giorno 28 novembre passato mese nella sua masseria in
contrada Rendati, tenimento di questo comune di Montegiordano si presentava una comitiva
composta di sette persone e siccome davanti la porta d'entrata del fabbricato ove pernottava vi
erano delle càgne mastine si misero a latrare ed impedivano che si fosse intromessa nella casa. E
perciò di poi si fece a chiamare le persone che abitavano nel fabbricato dichiarandosi per lavora­
tori che avevano disperso la strada che conduceva in Rocca Imperiale e che quindi la volevano
indicata.
Ma fatti dal dichiarante entrare nella abitazione ebbe a riconoscere che era tutt'altra gente
che lavoratori. ...Quindi presero ed obbligarono il dichiarante di seguir loro, e condussero via con
essi anche un forese. ...Questi poi nella contrada detta Quarto di Laudovino fu congedato dai
malfattori, e gli ingiunsero di andare dalla famiglia del sequestrato e dirgli che avesse mandato
danaro, armi e viveri e vi accoppiarono gravi minacce. ...Condussero il sequestrato nel bosco
detto S. Maria, e quivi per due giorni lo tennero accovacciato dentro una pagliaia abbandonata e
diruta, altri due giorni lo lasciarono stare all'aperto, ed il rimanente tempo lo chiusero in una
grotta legato di mani e piedi. E poiché non videro giungere gli oggetti richiesti, uno di loro gli
tagliò un pezzo di orecchia per mandarlo alla famiglia.
Fortunatamente però, mentre era nella grotta ebbe l'agio a potersi sciogliere dalle legature
e profittando della circostanza che i briganti lo avevano lasciato solo se la svignò. E perché la
grotta sporgesse su di un burrone e a poco distante dal quale vide una via vi si incammi�ò, e
siccome d'essa conduceva in Sangiorgio in questo paese si diresse e vi dimorò fino a che la
famiglia che v'era stata avvisata dalle autorità di questo paese non mandò persona a ritirarlo...»
(Archivio di Stato di Cosenza).

Anche qui come nel caso dei sequestri Feolo, Veneziano, Valicenti e Castronuovo (vedi
paragrafo precedente) vi sono le tradizioni orali che sintetizzano l'avvenimento. Le località sono
sempre quelle poste al confine orientale calabro-Iucano e anche se non vi sono certezze' matema­
tiche le grotte citate nei paragrafi precedenti sono le stesse o al massimo si tratta di altre cavità
vicinissime tra di loro. Ricordo ancora però che i terreni non sono calcarei.

(Vedere capitolo "Leggende": Il Monachiello, i Briganti e la Grotta di Santa Marina).

Tutte le notizie storiche sono state estrapolate dagli atti dei relativi processi custoditi nell'Archivio
di Stato di Potenza e Cosenza.

-001-----11 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


PARTE TERZA

STORIA �

16�a DIVISIONE ATTIVA

Comando 'Brigata Sicilia


PROTOCOLLO N.o
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Risposta àl
del N.e
Difiisione
Seziona

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. Carto annesse N. o

L'ordine di revoca «della distruzione e della colmazione delle numerose grotte che trovansi nei boschi
di Monticchio» (Archivio di Stato di Potenza, fondo Brigantaggio).

-----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1


1/19961-
------------
[ID-
----1
LOTTA AL BRIGANTAGGIO:
IL TENTATIVO NEL 1862 DI DISTRUGGERE
O COLMARE LE CAVE E LE GROTTE
NEI BOSCHI DI MONTICCHIO E ACQUATELLA
(BASILICATA NORD-'O CCIDENTALE)

Premessa
Qualche anno fa a pagina 33 del volume "Il brigantaggio meridionale" a
cura di Aldo De Jaco (Editori Riuniti, Roma 1976) avevo evidenziato la seguente
frase: «... Caruso guidava i soldati nei boschi fino alle più nascoste grotte...».
L'autore si riferiva all'ex brigante Giuseppe Caruso di Atella (pz) che una volta
catturato dai soldati piemontesi, per spirito di opportunismo e vendetta rinnegò i
suoi ex compagni facendo da spia e soprattutto da guida per stanare e catturare
il famigerato Carmine Doriatelli, alias Croceo, che bazzicava nei dintorni di Mel­
fi. Correva l'anno 1863.
Pochi mesi fa, invece, durante alcune ricerche sul brigantaggio post-unita­
rio fatte, insieme all'amico Giuseppe Rizzo, all'Archivio di Stato di Potenza, l'oc­
chio scivolò su un documento in cui vi era la parola "grotta". Ma il bello era che
prima di questa parola vi era "distruzione" e poi "Monticchio e Acquatella". Mi
ero imbattuto in originalissimi e rari documenti del 1862 che parlavano di "Di­
struzione di cave e grotte nei boschi di Monticchio e Acquatella", per fini pretta­
mente militari. Proprio quei luoghi (e negli stessi anni) dove l'ex brigante Caruso
guidava l'esercito, Sabaudo per stanare i suoi ex compagni d'arme. Durante la
repressione degli 80.000 briganti meridionali erano state usate le peggiori e san­
guinarie tecniche (cannonate a bizzeffe nei boschi per bruciarli, rasare al suolo.
interi villaggi e paesi, fucilazioni in massa; intrighi politici e mafiosi, leggi san­
guinarie e incivili) ma la distruzione o riempimento delle grotte per «...togliere' il
rifugio ai briganti...» mi era nuova.e suonava alquanto strana.

Il fatto
Nei primissimi di gennaio 1862 (fra il primo e l'otto) il comandante la 16ma
Divisione Attiva, sig. Della Chiesa, dal, quartier generale in Potenza invia al
Prefetto della regione e anche ad alcuni sindaci dei distretti della Basilicata
nord-occidentale una circolare con oggetto "Distruzione di caverne". In essa si
legge:
«Nell'accusare ricevuta del foglio di V.S. d'oggi n. 213 ufficio 4Q carico 3Q,
avverto di aver dato istruzioni a tutti i' comandanti di truppa stanziati in Atella,
Rionero, Avigliano, Melfi e comuni dipendenti onde abbiano a procedere alla
distruzione dei cavi in discorso.
Prego quindi la S.V. di voler diramare ordini ai signori sindaci perché siano
somministrati ai comandanti dei distaccamenti gli operai, polveri ed attrezzi di
qualunque sorta che richiederanno per tali operazioni».
L'ordine è alquanto strano ma qualche comune inizia la "colmazione e di­
struzione" delle grotte esistenti nel proprio territorio. Qualcun'altro però sulle

�r----"""'----iI LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� •


prime cerca di pigliar tempo e chiede maggiori delucidazioni ed ordini più preci­
si. È il caso del Comune di Ripacandida che 1'8 gennaio 1862 scrive al prefetto:
«...Per l'organo di questo capitano del 62mo di Linea qui stanziante mi si
partecipa, che la Signoria Vostra abbia preso determinazione, acciò il brigantag­
gio ceda alla pur fine, e gli sia troncato il mezzo ad una ulteriore esistenza in
questo tenimento, ovvero abbattere quelle che se ne mostrano incapaci. Il ritro­
vato che Ella si è saggiamente avvisata è necessario ed indispensabile; però mi
conviene soltanto sommetterle che essendo io sfornito di convenevole documento
- ed acciò non potessi essere nel tratto successivo incolpato di abuso di potere [. .. ]
ch'Ella di tanto me ne autorizzi direttamente [. .. ] quantunque volta questi pro­
prietari si addimostrassero renitenti, la spesa essere anticipata da questa cassa
comunale per essere poscia rivalutata dai medesimi e di procedere poi allo abbat­
timento di quelle grotte che fussero incapaci di chiusura. ...
...Il numero delle stesse è considerevole e messe l'una dall'altra in qualche
distanz&... ».
Qualche giorno più tardi (il 19 febbraio) sempre il sindaco di Ripacandida
scrive ancora al Prefetto ricordandogli �he:
«...Finora non mi sono giunte, in conseguenza la prego di darmele in riscon­
tro al presente, giacché il capitano del 62mo di Linea mi ha ingiunto ordini
tempestivi... ».
Dopo qualche giorno arriva la risposta del Prefetto:
«...Ella si consiglierà con le circostanze e condizioni locali ed aderirà a quel­
le richieste [. .. ] che senza essere in opposizione con la legge tornano efficaci e
sono necessarie per la distruzione dé brigantaggio... ».
Un documento non ben datato e né autografato, ma sempre di quel periodo,
spiega molto bene i motivi dell'operazione:
«...Nell'interesse della pubblica sicurezza e per togliere ai briganti la occa­
sione di imbarazzare il traffico ai cittadini [. .. ] è necessario procedere alla distru­
zione delle cave e grotte nelle quali si annidano i briganti... ».
Ma passato qualche mese si scomoda il Ministro· dell'Interno in persona che
con lettera indirizzata al Prefetto di Potenza, datata "Torino 13 maggio 1862" e
con oggetto "Caverne e grotte nei boschi di Monticchio e Acquatella", contesta
anche a nome del Ministero delle Finanze l'intera operazione soprattutto dal
punto di vista economico:
«La Direzione Generale del Demanio in Napoli nel presentare al Ministro
delle Finanze come per ordine di codesta Prefettura il sindaco di Rionero avesse
disposto per la chiusura degli ingressi- di alcune caverne e grotte nel bosco era­
riale di Monticchio donde togliere ai briganti che infestano codeste località, gli
ha chiesto direzioni per continuare l'opera di tale chiusura, sia in detto bosco chev
in quello di Acquatella, osservando come siffatta operazione sarebbe di grave
danno agli interessi erariali oltre che non otterrebbesi da essa lo scopo a cui
tende poiché in questa stagione userebbero i briganti stare a cielo aperto.
Il ministro delle Finanze prima di dare in proposito alcuna disposizione si
rivolse allo Scrivente per conoscere l'intenzione, non tralasciando di far presente
nell'interesse della Finanza esso dovrebbe ordinare la soppressione della esecu­
zione delle opere di chiusura delle grotte e caverne di cui si tratta, come pure di

-----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/199611--


------------ [ill----
-----.,
aprire quelle già col suo consenso chiuse, qualora gli affittavoli dei boschi, ai di
cui greggi servono di ricovero, elevassero pretese per non pagare in tutto od in
parte il convenuto annuo canone di Lire 121.500.
Il Sottoscritto pertanto interessa il Signor Prefetto della Provincia di Basili­
cata a procacciare con la possibile sollecitudine a questo Ministero informazioni,
non senza far conoscere se. lo stato attuale della Pubblica sicurezza possa essere
di ostacolo al divisamento (?) del Ministero delle Finanze, emesso nell'interesse
dell'Erario di soprassedere dalla chiusura di dette caverne e grotte e di far schiu­
dere quelle già otturate. (Il Ministro)>>.
A questo punto (il 27 maggio) il Prefetto scrive al Generale Comandante la
16ma Divisione Attiva chiedendogli delucidazioni. La risposta è quasi istanta­
nea. Il comando infatti con circolare datata 8 giugno 1862, comunica che sin dal
6 giugno l'ordine della distruzione e colmazione delle cave e grotte, è stato revo­
cato. Saputo ciò il Prefetto in data 9 giugno avvisa a sua volta il Ministro dell'in­
terno.
Però a luglio non si capisce ancora bene se effettivamente gli ordini siano
stati revocati e in questo periodo numerose sono le richieste d'informazioni fra il
Prefetto, la 16ma Divisione Attiva e i vari comuni. Ad esempio il Prefetto con
lettera datata 18 luglio e indirizzata al Comandante la Brigata Sicilia (16ma
Divisione Attiva), chiede se:
« ...le disposizioni suaccennate siano state effettivamente contromandate e
se in conseguenza siasi tralasciata ogni operazione di chiusura delle caverne e
grotte summenzionate...»
Alla fine però l'ordine di revoca è effettivamente partito ma in ogni caso in
qualche comune le operazioni non partirono mai, ma in altri si era già �niziato a
colmare e distruggere le grotte.
A Rionero secondo il Comandante del 4Q Battaglione del 62mo Fanteria
della 16ma Divisione Attiva, l'ordine non venne eseguito:
«. • •
.
stante il numero'straziante di esse tanto più che nei boschi si trovano
grotte conosciute appena dai briganti e che sfuggono alle ricerche della forza. . » .

(31 maggio 1862).


Ma il Sindaco delle stesso paese con lettera datata 21 luglio 1862, inviata al
Prefetto, afferma che:
«. ..da un pezzo desisto da tale opera, e che da oggi innanzi si vanno a
riaprire quelle che già erano state chiuse. . . ».

Conclusione

Dopo otto mesi dal primo ordine di chiusura à distruzione delle grotte qual­
cuno ha ancora dei dubbi se effettivamente l'ordine sia stato revocato, ma ormai
l'operazione per fortuna, soprattutto per motivi burocratici alla classica italiana
(gia da allora!), fallì. Speriamo almeno che di quelle grotte tappate non vi era
l'ingresso di qualche interessante sistema carsico!

Vedere anche parte IV "Le Grotte": Le grotte di Monticchio ed Acquatella (a pagg. 57-58) e fronte­
spizio parte III "Storia" (a pago 39).

---{ill-----II LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� ·


PARTE QUARTA

LE GROTTE �

Quasi ogni paese calabro e lucano (ma senz'altro dell'intero meridione), sia
esso ubicato in territori carsici o meno, possiede almeno una "Grotta dei brigan­
ti�' o qualcun'altra con nome diverso ma ove "stavano i briganti".
Nel Catasto' Grotte della Basilicata e della Calabria, le grotte accatastate
col nome di "Grotta dei Briganti" o nome affine (bandito, ecc.), sono paradossal­
mente poche: in quello lucano ve ne sono appena quattro (più tre in fase di
accatastamento); in quello calabrese otto (più due in fase di accatastamento)
(vedi schema di seguito).
La stragrande maggioranza invece, siano esse verticali o meno, sono legate
a storie vere o immaginarie di briganti: «in quella grotta ci stavano i briganti e ci
hanno nascosto anche il loro tesoro», è la classica risposta di un locale (qualsiasi
sia la classe sociale), alla domanda se conosce una tal grotta e se vi è legato
qualche aneddoto. In ogni caso dopo la verifica speleologica la maggior parte di
esse si rivelano minuscole, alcune delle quali solamente dei veri e propri ripari.
È il caso ad esempio delle grotte dei briganti (Cb 189 e 190) ubicate nella località
Lisci di Pascalone in agro di San Lorenzo Bellizzi (Qs). Ve ne sono però anche di
'
una certa profondità come la Grotta della Falconara (B), conosciuta dai locali
anche col nome di Grotta dei Briganti. È posta nell'omonima timpa, nel comune
di Terranova di Pollino (Pz), ma è un'eccezione (1).
'Del resto i briganti non erano fessi e se dovevano per forza di cose abitare
per un certo periodo in qualche grotta, ne sceglievano qualcuna, come prima
cosa, posizionata strategicamente e che fosse bella e asciutta e confortevole, pos­
sibilmente senza la presenza di fredda e umida corrente d'aria (in inverno), quel­
l'aria che fa la gioia di noi speleologi!
Di seguito vengono descritte alcune delle zone trattate nel presente lavoro.

(1) Di queste grotte ve ne sono tante, però.immaginarie e profondissime, ma chi ce le indica è


certissimo della loro esistenza, almeno fino a quando non gli si chiede di accompagnarti! In
questo caso, però, aggiungono: «Ma ora è crollata!». È il caso della grotta dei briganti di Timpone
Foresta (Alessandria del Carretto, Cs), della grotta dei briganti di Timpa "a Chiàngula" (Terra­
nova di Pollino, Pz), della grotta dei briganti di località Santa Marina (Oriolo Calabro, Cs), della
grotta dei briganti di località Muleo (Albidona, Cs) ecc. Queste ultime due, però, non le ho ancora
visitate.

� LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 11--------------�


,
GROTTE CALABRESI
CATASTATE COL NOME DI "GROTTA DEI BRIGANTI" & C.

Cb 23 Grotta dei Briganti (San Nicola Arcella, Cs).


Cb 71 Grotta di Timpa del Corvo o Grotta dei Briganti (Falconara Alb., Cs)
Cb 116 Grotta dei Pipistrelli o Grotta del Bandito (Cerchiara di Calabria, Cs)
Cb 189 Prima Grotta dei Briganti (San Lorenzo Bellizzi, Cs)
Cb 190 Seconda Grotta dei Briganti (San Lorenzo Bellizzi, Cs)
Cb 305 Grotta del Brigante o Grotta Fridda (Grisolia, Cs)
Cb 347 Riparo dei Briganti (San Lucido, Cs)
Cb 355 Grotta dei Briganti (Marcellinara, Cz)
(dati forniti dal Catasto delle Grotte della Calabria - aggiornamento ottobre 1996)

IN FASE DI ACCATASTAMENTO:
Grotta dei Briganti (Trebisacce, Cs)
Grutta Ndujia o Grotta dei Briganti (Vibo Valentia)

GROTTE LUCANE
CATASTATE COL NOME DI "GROTTA DEI BRIGANTI" &. C.

B 107 Grotta del Bandito (Castelsaraceno, pz)


B, 152 Grotta del Brigante (Maratea, pz)
B 158 Grotta dei Briganti (Venosa, pz)
B 165 Grotta dei Briganti (Pisticci, Mt)
(tratte da: MAROTTA CARMINE (Catasto Speleologico di Basilicata) Appunti di Speleologia
Lucana, Trecchina - Pz, 1992)

IN FASE DI ACCATASTAMENTO:
Grotta dei Briganti o Grotta dei· Vitelli (Terranova di Pollino, pz)
Grotta del Brigante (Lauria, pz)
Grotta dei Briganti (Viggianell<?, pz)

In questi elenchi, però, va fatta una precisazione. I motivi che nei catasti "Grotte
lucane e calabresi" ve ne sono inserite poche col nome di "Grotte dei briganti" sono ben
spiegabili:
- . che molti nomi sono andati ormai persi e che le grotte sono state inserite in catasto
con nomi che a volte non hanno nulla a che fare col nome locale, puramente inventati
(sbagliando) dagli speleo che hanno catastato la cavità;
- che molte grotte si chiamano o si chiamavano solo col nome di qualche famoso brigan­
te che lì si nascondeva. È il caso ad e empio della Grotta di Nasone (cb
� 264) a Caccuri
(Kr) (1) e la Grotta di Antonio Franco (senza numero poiché non ancora trovata!).

(1) Dalla relazione descrittiva, geomorfologica e catastale fatta dal G.S.S. per la "Grotta del Palummaro"
(cb 265) e la "Grotta di Nasone" (cb 264) nel territorio comunale di Caccuri e consegnata alI omonimo
I

comune nel 1990, si legge: "Nasone" è il nome che la tradizione popolare attribuisce ad un famoso brigante
della zona che, in base a quanto afferma la gente del posto, abitò diverse grotte fra le quali la più importan­
te è appunto questa, dominante da posizione strategica un buon tratto della valle del paese.

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RR. GROTIE DEMANIALI DI POSTUMIA

ISTITUTO ITALIANO DI SPELEOLOGIA

Catasto delle c'avità naturali sotterranee d'Italia

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cavità sotterranea riferendola alla c�rta topografiea del\' Istituto Geog. Mi!.

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Quando il "Catasto Grotte d'Italia" era a Postumia ed Enzo dei Medici uno dei suoi maggiori collaboratori: era il 1939.

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RR. GROITE DEMANIALI DI POSTUMIA

ISTITUTO ITALIANO DI SPELEOLOGIA

Catasto delle cavità naturali sotterranee d'Italia


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GROTTA DEI PIPISTRELLI O DEL BANDITO
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rilevamento : CB 116
f .Iarocca d. napoli
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(g.s.sparviere) ;
data: 28.12.t087 • PLANIMETRIA

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se ... &.,. \:100

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SEZIONI
TRASVERSALI

SEZIONE lONGITUDlNAlE

La "grotta dei Pipistrelli" o "del Bandito" di Cerchiara di Calabria (Cs)

rilevamento:

f.larocca,f.lorusso.
,

disegno: f.lorusso

data del rilievo: 31.07.SS


b-b
sezione
longitudfnale

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c-c

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7
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a-a 1: 100
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La "prima grotta dei Briganti" di S. Lorenzo Bellizzi (es)


Rilievo: Felice Larocca - Franco Lorusso (Gruppo Speleologico "Sparviere") - 1988

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planimetria

rilevamento:

f.larocca, f.lorusso

disegno: f.lorusso
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data del rilievo: 31.07.8S a-a

sezione longitudinale

-+4m
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SCALA 1
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? 1 I ! ? 100
I
METRI
Q-Q
I o c-c
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La "seconda grotta dei Briganti" di S. Lorenzo Bellizzi (Cs)


Rilievo: Felice Larocca - Franco Lorusso (Gruppo Speleologico "Sparviere") - 1988

o 5M

TASSI 1990

La "grotta del Brigante"


o "grotta fridda" di Grisolia (Cs)
Rilievo: Gruppo Speleologico
A-A B-B
"I Tassi di Monza" - 1990

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Il "riparo dei Briganti"
E
di San Lucido (Cs)

1 �3
i
sez. longitudinale 1

o 2 4 8

Rilevamento: liiii!iiii�;�tii;ii�1
metri
F. La Carbonara (G.S."Cudtnipuli")
F.Serra (G.S."Cudinipuli")

data: 30 - 03 -1996
disegno: F. La Carbonara

/
10
V
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a 1
planimetria
OD
i'I o·n

lago
22

Riliev.o: 6.D, Cella. S. Bel/omo, L Baffo, A. Cirillo


S. Raimondi
PIANTA GGN 1995-1996

Nm

f SEZIONI TRASVERSALI

SEZIONE LONGITUDINALE

imresso allo

ingresso
I
10m
L __
__
_ _

La "grotta
dei Briganti"
di Marcellinara
(Cz)

--i LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1


1/19961- ------------- @[]____
GROTTE NELL'AREA DEI MONTI DEL'POLLINO
E LA LORO FREQUENTAZIONE
NEL PERIODO 1861-65

Nei periodi passati le montagne del Pollino erano sicuro rifugio di numerosi
briganti. Negli anni 1861-65 la maggior parte "di essi erano sotto il comando di
Antonio Franco, nativo di Francavilla in Sinni (pz).
I luoghi, essendo accidentati e lontani dai centri abitati, ma soprattutto
dalle coste e dalle strade principali, erano più che sicuri. Infatti dopo tutti i
crimini perpetrati nei suoi dintorni (dal Lagonegrese a Metaponto e a Sibari) la
banda vi si rifugiava e lì stava tranquilla. Spesso con loro portavano oltre al
bottino anche i sequestrati.
Erano tre le zone principali dove Franco preferiva stare: la Falconara, la
Serra di Crispo e il monte Caramola. Non disdegnava però altre zone come il
monte Caramolo (Pollino meridionale) e il monte Sparviere (Pollino orientale),
anche se in quest'ultimo caso le grotte erano assenti.
La scelta da parte mia di queste zone è dettata sia dalle testimonianze
orali, molto abbondanti, che da alcuni documenti trovati nei vari archivi storici.
Da ciò risulta che il "quartier generale" estivo della banda Franco era appunto,
in ordine d'importanza, la Serra di Crispo, il monte Caramola e la timpa della
Falconara. Montagne nel cuore del massiccio del Pollino che superano, alcune, i
2.000 mt 'di quota. Ovviamente le grotte che si aprono nei loro versanti sono
state utilizzate dai briganti. Ciò ci viene soprattutto dalle numerose leggende,
ma anche da alcuni documenti. È il caso ad esempio della Grotta del Vescovo,
attualmente (forse) meglio conosciuta come Grotta dei Vitelli (M. Caramola) in
agro di Terranova di Pollino (pz). Ad essa oltre a varie leggende vi sono legati
fàtti citati in documenti trovati nell'Archivio di Stato di Potenza.
Correva l'anno 1863, la temibile banda Franco sequestrò il comandante del­
la Guardia Nazionale di Francavilla in Sinni (Pz), Nicola Grimaldi. Successiva­
mente venne appunto condotto nella Grotta del Vescovo e' tenuto per un certo
periodo segregato, ma per grandi attriti fra esso e il capo banda, e nonostante il
pagamento di un cospicuo riscatto, venne bruciato vivo (vedi anche P! parte "Leg­
genda": Il capitano, la serva, Antonio Franco e la vendetta dei contadini). Stessa
sorte toccò, nel settembre del 1862, al possidente Giuseppe Maria Castronuovo di
Cersosimo (Pz) (vedi, di seguito, "Le grotte al confine nord-orientale calabro­
lucano"). Andò bene per fortuna (all'inizio del 1862) ad un altro sequestrato, il
sig. Giuseppe Propato di Castelluccio Sup. (Pz), che vista una buona occasione,
riuscì a sciogliersi dalle legature e scappare da quella grotta.
Su Serra di Crispo invece molto più numerosi furono i sequestrati ivi tenuti
e molte più numerose sono le leggende che narrano, sintetizzando, sia di gente
rapita che di mitiche grotte, deposito di ricchi tesori provenienti appunto dai
parenti dei sequestrati. I documenti ci parlano: del sequestro degli otto bene­
stanti di Senise (Pz) avvenuto nell'agosto del 1863; di quello di Pasqualino Chidi­
chimo di Albidona (Cs) nel maggio dello stèsso anno; del sequestro Restieri di
San Lorenzo Bellizzi (Cs) nel maggio del 1866 (1); ecc. ecc..

---OO1----i1 LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/19961- •


GROTTA DI FALCONARA POZZO DI CRISPO
(TERRANOVA DI POLLINO - PZ)

sezione
longitudinale

rilevamento:
A. La Rocca
(G.S. "Sparviere")

I.ONalTUOINAI.E

p.14 data del rilievo:


7.09.1986
o 246m

scala 1:200

RII.EVAMENTO :
o 2 4 6 8 10
F.I.AROCC:A. A.I.AROC:C:A

(a.s. «SPARVIERE »1 : � .
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DEL POLLINO

TERRANOVA
DI POLLINO - pz

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(Terranova disegno: antonio la rocca


di Pollino - PZ)

----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/19961-1•


---I [ID--
Le grotte presenti su Serra di Crispo, almeno quelle conosciute, sono in
realtà poco accessibili (vedi rilievi alla pagina precedente, nonché la 1� parte:
"Leggenda": La grotta di Antonio Franco). Attualmente siamo in cerca di quella
mitica, molto mimetizzata poiché « ... i briganti ogni volta che andavano via la
tappavano ben bene per non farla scoprire!...», l'unica speranza di trovarla è « ...
identificare quella grossa pianta di fico che cresce a fianco!.. . ». Questo segreto è
ancora custodito nella mente di qualche anziano di San Lorenzo Bellizzi forse
erede di briganti e più che convinto che chi indicherà a gente estranea l'ingresso
della grotta patirà, sia lui che i suoi eredi fino alla settima generazione, tutte le
maledizioni legate ad essa!! (2).
Nella timpa di Falconara di grotte ve ne sono molte e per la maggior pare
molto confortevoli. L'unico problema è il difficile avvicinamento poiché sono ubi­
cate quasi tutte, nella parete verticale, alta oltre 200 metri. Solo i briganti (e gli
speleologi!) potrebbero scalare questa parete! Infatti, secondo una leggenda un
giovinotto di contrada Piano di Rizzo (sottostante la Falconara), di nome Giusep­
pe Lomonaco, voleva diventare brigante e chiese al capo banda della zona, Anto­
nio Franco, di poter far parte della sua comitiva. Il brigante gli disse che se
voleva aggregarsi alla sua comitiva doveva riuscire a scalare la timpa della Fal­
conara, dal lato verticale, e raggiungere la vetta, aggiungendo che tutti i suoi
uomini erano capaci di farlo (per poi rifugiarsi nelle grotte?!). Giuseppe che era
abituato ad andare sulle "timpe" come le sue capre, in un battibaleno raggiunse
la vetta della timpa e ritornò da basso. Il Franco visto ciò accettò di buon grado
questo nuovo componente. Da allora Giuseppe Lomonaco divenne uno degli uo­
mini migliori della .temutissima banda Franco (3).
È in questo grosso blocco calcareo che si apre una delle più grandi (relativa­
mente) grotte dell'area del Pollino lucano: la grotta della Falconara. Anch'es�a è
legata a varie leggende di rapimenti. Secondo la tradizione orale è qui che sono
stati tenuti in ostaggio i sequestrati Chidichimo e Restieri e non come dicono i
documenti su Serra di Crispo (vedi in precedenza). Ed è qui che secondo altri vi è
nascosto un inestimabile tesoro.

(1) Quando fu attuato il sequestro Restieri da circa sei mesi, nel dicembre 1865, il capo banda
Antonio Franco era stato 'catturato e fucilato. Della comitiva che sequestrò il sallorenzano faceva­
no però parte anche altri uomini della sua comitiva, non escluso Giuseppe Lomonaco (vedi nota
n.3).

(2) Ciò che è stato detto non è per niente un'esagerazione dato che spessissimo i pastori ci
parlano di gente con una certa preparazione anche culturale (almeno così fanno credere) che va
in giro per i monti del Pollino in cerca di mitici tesori di Antonio Franco e usando nell'occasione
anche sofisticate attrezzature. Essi sono convinti che le grotte sfomano oro, argento e monete
varie citando delle parole magiche come vuole la leggenda!

(3) Giuseppe Lomonaco (in dialetto "Sceppe a Monache") si chiamava in realtà Giuseppe Genove­
se, alias "lo monaco" di Terranova del Pollino (Pz), abitante proprio nei pressi della località
Falconara. Era realmente uno degli uomini migliori della banda Franco. Ottimo basista e in più
poco �ppariscente nelle cronache di allora col suo vero nome. Era insomma una sorta di compo­
nente misterioso.

---ffig]f-----11 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


La "grotta dei Vitelli" o "dei Briganti"

Il ,monte Caramola fa parte della catena montuosa del Pollino" ed è posto,


nella sua parte centro-settentrionale, fra' i comuni di Francavilla.in Sinni, S.
Severino Lucano, Terranova di Pollino e S. Costantino Albanese tutti in provin­
cia di Potenza. Da sempre è stato un luogo dove numerosi briganti si rifugiava­
no. E' proprio da questa montagna che ha avuto origine nel 1861 una delle più
forti e temibili bande brigantesche, quella di Antonio Franco. La sua morfologia,
molto boscosa, permetteva ai briganti di stare tranquilli.
Nella parte settentrionale, più o meno nei pressi dello spartiacque che par­
tendo dalla vetta va verso oriente suddividendo la valle Sarmento, a sud, e la
valle Sinni, a nord, vi è uno sperone roccioso (di origine vulcanica) elevato rispet­
to al circostante bosco. Oggi è conosciuto col nome di Timpa dei Vitelli. Qui si
apre l'omonima grotta detta anche "dei briganti" (1). Anche se non si hanno
prove certe di un suo utilizzo da parte dei briganti si è certi invece che essa era
senz'altro frequentata nei periodi propizi da comitive brigantesche. Vari sono
infatti i' racconti degli anziani che accennano a ciò (vedi parte I, leggenda: "Il
capitano, la serva, Antonio Franco e la' vendetta dei contadini"). E molti sono i
documenti ottocenteschi che fanno chiaramente capire i legami fra i briganti, il
monte Caramola e la grotta dei Vitelli. Numerosi sono infatti gli atti processuali
di omicidi e rapine perpetrati dai briganti e legati ai posti citati. È il caso ad
esempio del sequestro e uccisione del signor Grimaldi di Francavilla in Sinni; del
sequestro del signor Carlomagno di Noepoli e del signor Carlomagno di Cersosi­
mo avvenuto nel 1862 ad opera della banda Franco. Ma l'elenco è 'molto più
lungo.
Altra testimonianza che effettivamente la grotta sia stata periodicamente
frequentata dai briganti ci viene da alcune scritte incise nella parete destra della
cavità. Vi sono varie scritte di nomi di gente (L. Di Giacomo, P. Esposito - 1949,
G. Zito, Torchitto D., ecc.) e di anni passati (1951, 1949, ecc.). Si tratta però di
visitatori del secolo corrente, illusi o speranzosi di trovare, visitando la mitica
grotta, il mitico tesoro lì nascosto dai briganti. Del resto da una frase più antica
delle loro visite, posta ugualmente nella parete di destra, con caratteri decisa­
mente ottocenteschi, ci si può anche illudere un tantino dato che accenna a dei
"dinari" (denaro) e a delle "visacce" (bisacce, contenitori). Ecco la frase: «1 8 5 6 SE
PIGLIA JE UN ... [?] 5 VISACCE DI DINARI. .. ». Letteralmente significa « 1856 - se pren­
do io un... 5 bisacce di denaro... ». A voi la conclusione. Dalla sua interpretazione
saranno nate le leggende di tesori lì nascosti dai briganti. Chi avrà inciso questa
frase era senz'altro un capo brigante letterato o semiletterato (e non era raro),
ma anche gioviale e che in questo momento (dopo quasi duecento anni) si starà
facendo un mucchio di risate al pensiero che nel 2000 d.C. (e chissà ancora per
quanto tempo) vi è qualcuno (in primis il sottoscritto) ,che cerca invano di capire
questa frase e qualcun'altro in cerca ancora del tesoro! E se fosse realmente
nascosto lì dentro?

(1) Molto probabilmente si tratta della grotta del Vescovo (vedi inizio paragrafo), legata a nume­
rosi episodi briganteschi.

--:---i LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/19961-


1 ------------- C@-
Breve descrizione della cavità:

La grotta si apre alla base di una parete rocciosa (conosciuta col nome di
timpa dei Vitelli) di formazione eruttiva (ofiolite-pigmatica di età mesozoica) (1).
Essa si è formata grazie ad un movimento tettonico, geologicamente recente, del
fronte roccioso. Non è altro, infatti che una spaccatura, inizialmente fra due
omogenei e paralleli strati rocciosi e, successivamente, molto scomposta con asse
diverso rispetto alla parte iniziale. Gran parte della volta è ricolma di massi
incastrati e il fondo, inizialmente in forte salita e poi in piano, è composto da
terra e sassi. Le concrezioni sono assenti e anche la possibilità di una lunga
continuazione. In ogni caso la parte terminale della grotta, nonostante la sua
origine tettonica, è discretamente accogliente. Nei pressi dell'entrata vi sono al­
tre fratture che forse hanno, se pur minuscolo, un collegamento con la grotta dei
briganti.

(1)Carla geologica d'Italia dell' S.G.I. FO 221 della carla 1:100.000 dell' I.G.M. "Castrovillari".
Roma 1971.

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rilievo: Antonio La Rocca

La "grotta dei Briganti" o "dei Vitelli" di Terranova di Pollino (PZ)

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LE GROTTE AL CONFINE NORD-ORIENTALE
CALABRO-LUCANO

Bisogna puntualizzare innanzitutto il fatto che il territorio nord-orientale fra


la Calabria e la Basilicata (fra i comuni di Nocara, Canna, Rocca Imperiale, Farne­
ta-Castroregio, Alessandria del Carretto in Calabria e Terranova di Pollino (parte
orientale), Cersosimo, S. Paolo Albanese, S. Giorgio Lucano, ValsiIlni, Rotondella,
Nova Siri in Basilicata, è composto da terreni poco adatti alla carsificazione vera e
propria: arenarie, argille, marne, ecc. (il cosiddetto "flisch di Albidona"). Va esclusa
comunque una zona, per ora interessante solo dal punto di vista geologico e non
speleologico, posta sulle serre di Nocara e chiamata Armi (rocce) di S. Angelo. Sono
rocce, anche elevate e vaste, di natura calcarea ma poco profonde: si tratta infatti di
massi erratici (1).
La gente locale parla di numerose grotte presenti nel proprio territorio, alcune
delle quali chiamate anche "dei Briganti", ma in realtà sono solo dei piccoli ripari o
grotticelle al limite della rilevabilità. Nei comuni di S. Paolo Albanese, Cersosimo e
S. Giorgio Lucano ve ne sono però moltissime, ma artificiali, scavate dall'uomo nel
passato sia per abitarvici che per custodirvi animali, mercanzie o derrate. Alcune di
esse fungono ancora da ovile. Lo stesso fenomeno si verifica nella riva opposta della
fiumara Sarmento in territorio comunale di Noepoli (pz). Del resto la natura del
terreno ha favorito ciò. Si tratta in entrambi i casi di piccole cavità ad altezza
d'uomo con sezione trasversale ad arco acuto, non più profonde di 15 metri e scavate
o nelle arenarie o nei conglo.merati. Ho avuto la possibilità di visitarne qualcuna,
quali le grotte di Maradosa di S. Paolo Albanese e quelle dette del Maresciallo
(Cersosimo). Queste ultime sono circa 12 e sono posizionate sullo stesso livello e alla
base di una piccola paretina arenosa. Sono davvero originali poiché quasi tutte sono
ancora utilizzate dai proprietari per diversi fini agricoli. Quelle dèl bosco Maradosa
sono legate ad un fatto brigantesco realmente avvenuto (vedi parte seconda "Storia e
leggenda": Storia e legg.enda di sequestri e grotte al confine orientale calabro-luca­
no). Si tratta di tre piccole grotte poco profonde con le stesse caratteristiche delle
precedenti e tuttora utilizzate come ovili (vedi rilievi).
Le poche grotte naturali presenti sono tutte di ridottissime misure tanto da
non poter essere inserite in catasto. Quelle trovate dalla mia associazione sono tre:
una nella timpa di loc. Muarra (roccia arenosa e compatta) di Oriolo Calabro; l'altra
su una delle rocce calcaree di valle delle Serre di Nocara; l'altra è detta grotta dei
Briganti e si apre nei pressi della vetta del timpone della Foresta, fra i comuni di
Alessandria del Carretto, Albidona e Castroregio.
Non bisogna poi dimenticare le cavità per così dire "mitologiche". Fra esse
vanno segnalate la grotta dei Fossi (o anche grotta Ficarola) fra Oriolo Calabro e
Cersosimo; la grotta dei Briganti di loc. Santa Marina di Oriolo Calabro; la grotta
"da Chiàngula" di loc. timpone Bruscata di Terranova di Pollino. Tutte sono legate a
storie di rapimenti, tesori e briganti. Prima o poi riusciremo a trovarle (vedi anche
parte 1� e parte 2�).

(1) Nella zona in oggetto, di questi massi erratici ce ne sono altri: alla confluenza fra il fiume
Sinni e la fiumara Sarmento; lungo l'alto corso della fiumara Straface; fra la fiumara Ferro e la
già nominata fiumara Straface; a Capo Spulico, ecc .. Si tratta però di rocce di modeste dimensio­
ni rispetto a quelle delle· Serre di Nocara ma in ogni caso alcune raggiungono anche la considere­
vole altezza di 30-40 metri.

-----i LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/19961-1 �----------


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Prima grotta
di località Madarosa

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briganteschi. Quasi sicuramente esiste­
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dovrebbe trattare di grotte/laure. La
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sato di importanti monasteri.

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LE GROTTE DI MONTICCHIO ED ACQUATELLA

Secondo alcuni documenti del 1862 sulla "Distruzione di cave e grotte nei bo­
schi di Monticchio ed Acquatella" in quei luoghi dovevano esserci numerose grotte
naturali e artificiali, utilizzate soprattutto dai briganti come rifugio e luogo di ag­
guato (vedi seconda parte "Storia": Lotta al brigantaggio: il tentativo nel 1862 di
distruggere o colmare le cave e le grotte nei boschi di Monticchio ed Acquatella;
Basilicata nord-occidentale).
Nello stesso periodo Giuseppe Bourelly che dal 1862 al 1865 fu ufficiale dei
Carabinieri Reali e impiegato a combattere le «masnade di malviventi che menava­
no stragi nelle deliziose e fertili contrade del Sud» nei suoi commenti (oggi riproposti
da Edizioni Osanna Venosa (1987) col titolo "Il brigantaggio dal 1860 al 1865")
riferiti alla "Descrizione fisico-politica dell'alta valle dell'Ofanto", non accenna al­
l'esistenza di grotte in quell'area tranne che ad una soltanto che sembra fra l'altro
interessante:
«... Un altro monte staccato, si può dire, dalla catena dell'Appennino merita di
essere menzionato. È il monte Pierno ch�, nudo e sassoso, è inaccessibile da tutti i
lati eccetto che verso oriente L ..]. In questo monte vi è una voragine alla sommità, di
figura quasi circolare e profondissima. Questa dagli abitanti del vicino paese di S.
Fele viene detta Auso, e dai belle si Graz (forse significa caverna e forse eco). ...».
Nei cenni geologici aggiunge:
«... La struttura geologica di queste regioni dell'Appennino è varia e composta
di gruppi calcarei stratiformi interpolati da sostanze diverse del terreno ippuritico.
Questo calcare è compatto, più spesso grigio che bianchiccio, a frattura eguale e per
lo più scagliosa. ...».
Più avanti, nel capitolo "Cagioni d'essere del brigantaggio" parla però anche di
altre grotte:
«... I folti e grandi boschi di Monticchio, di Castiglione, di Bucito, delle Maurel­
le L ..] sono tutti questi e molti altri sicurissimo rifugio alle bande e, per contrario,
continui impedimenti alla truppa che è costretta con improba fatica ad adattarsi L ..]
gli alberi per lo più faggi, sono colossali, annosi, foltissimi L ..] Il suolo sottoposto,
accidentato da profondi burroni o da colline erte e dirupate, attraverso da ruinosi
sentieri, scavato da orride spelonche piene di dirupi, di caverne e coperto da gine­
prai bassi...
... I briganti scelgono due o tre luoghi della cupa boscaglia tra dirupamenti
cagionati dal rovinio delle rocce [. ..] Se si vedono in pericolo abbandonano i cavalli e
arrampicandosi per le balze si nascondono in questi intimi recessi del bosco, lontani
dai sentieri, tra le incassature che dividono una roccia dall'altra, entro burroni scen­
denti a picco...».
- Quindi, in teoria, nei distretti di Monticchio ed Acquatella dovrebbero esserci
numerose grotte. Ufficialmente però, secondo alcune pubblicazioni riguardanti il Ca­
tasto delle Grotte della Basilicata (1), di grotte ve ne sono ben poche e anche di
ristrette misure. Ma le segnalazioni non mancano. Tuttavia, si vedrà in futuro! ...

(1) MAROTTA CARMINE (Catasto Speleologico di Basilicata): Appunti di speleologua Lucana, stam­
pato in proprio, Trecchina (pz) 1992.

�LE MONOGRAFIÉ G.S.S. • 1


1/19961-
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Le grotte catastate nella Basilicata nord-occidentale sono decisamente poche.
Si tratta fra l'altro di semplici caverne profonde pochi metri, alcune anche
semi-artificiali. Ecco l'elenco:

B 20 Grotta di San Michele (Monticchio)

B 142 Grotta I Madonna di Macera (Melfi)


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B 143 Grotta Il Madonna di Macera (Melfi)

B 144. Grotta III Madonna di Mac�ra


o Grotta di Gambino (Melfi)

B 158 Grotta dei Briganti (Venosa)

B 161 Grotta di Santa Margherita (Melfi)

da:

1) MAROTTA CARMINE (Catasto speleologico della Basilicata) "Appunti di Speleologia lucana",


Trecchina, 1992.

2) OROFINO FRANCO (I.I.S. e F.S.P.) "Contributo per la costituzione di un catasto speleologico in


Basilicata", in supplemento al n. 3, 1988 di "Itinerari speleologici" rivista della Fed. Sp Puglia.
.

Disegno ottocentesco
tratto da una reale foto­
grafia dello stesso perio­
do. Raffigura un gioioso
bersa-gliere delPesercito
italiano che tiene per la
testa la sua preda: un bri­
gante ucciso (Lappariel­
lo di Nola)
(da: AA.VV., Brigantaggio -
Lealismo - Repressione,
Gateano Macchiaroli editore,
Roma 1984)

-001-----11 LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/1996� •


PARTE QUINTA

BIBLIOGRAFIA �

La grotta dei briganti abruzzesi


(da una stampa dell'epoca)
(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo - Repressione, Gateano Macchiaroli editore, Roma 1984)

--J LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/19961-1 ------------- [ID--


BIBLIOGRAFIA DELLE LEGGENDE E DEI RACCONTI
CALABRI E LUCANI
RIGUARDANTI LE GROTTE E I BRIGANTI

(IN ORDINE CRONOLOGICO SECONDO L'ANNO DI PUBBLICAZIONE)


DAL 1985 AL 1996 (1)

Manghisi Vincenzo
LEGGENDE CARSICHE LUCANE
"Puglia Grotte" (Castellana Grotte - Ba), 1985, pp. 57-72

Non si poteva non aprire il presente paragrafo con una recensione di un articolo di uno
dei migliori storici e autori di testi sul folklore delle grotte. E come si supponeva prima
di leggere l'articolo si era sicuri di "incappare" in un testo bello e consistente.
Nella ricerca bibliografica (Padula, Grifoni Cremonesi, Boenzi, Levi, Orofino, ecc.) oltre a
leggende e 'racconti di ogni genere (tesori, draghi, monachicchio, Madonne) ve ne sono
alcuni che parlano di briganti e grotte di terra lucana (ovviamente) come quelli legati
alla grotta dell'assassino (o del brigante) di Matera, la grotta dei briganti di Pisticci e di
Terranova di Pollino.

Redazionale
BRIGANTAGGIO
"La Zanzara" (Albidona, Cs) n. 7, 1986

Articolo sul brigantaggio meridionale con particolare riferimento a quello del confine
calabro-lucano: banda Franco e sequestro da parte di quest'ultimo di Don Pasqualino
Chidichimo di Albidona (Cs), tenuto appunto sequestrato, secondo la tradizione popolare
nella grotta della Falconara (monti del Pollino orientale).

LaRocca Antonio
FOLKLORE DELLE GROTTE. LEGGENDE E RACCONTI
DI TERRA CALABRA E LUCANA
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. 8, giu.-dic. 1987, pp. 30-32

Si descrivono varie leggende fra cui due legate al mondo delle grotte e dei briganti: "La
leggenda del Brigante Antonio Franco" e "Leggenda del tesoro della grotta di Pietra
Commata". La prima narra, in dialetto locale, di un brigante, di una grotta, del tesoro lì
nascosto e di un metodo originalissimo, usato da un vaccaro dietro autorizzazione del
brigante, per impossessarsi proprio del tesoro. La seconda è ugualmente legata ad un
tesoro, che un brigante prima di essere catturato aveva nascosto in una grotta. Una volta
in carcere confida ad un "collega" di prossima scarcerazione il fatto, e costui se ne impos­
sessa.

(1) Nel presente capitolo (bibliografia) ho voluto anche inserire una sintesi di un interessante
articolo di grotte e briganti che però non ha nulla a che fare, almeno direttamente, con la
Lucania e la Calabria. L'articolo a firma di A. Antonucci e pubblicato su "Notiziario Speleo - club
Chieti" anno 1990, pagine 60-62, tratta infatti di briganti e grotte dell'Abruzzo. Altra regione
dove il brigantaggio, non solo locale, era molto sviluppato. La regione essendo montuosa ed
impervia, con collegamenti storici con la Puglia e la sua vicinanza con lo Stato Pontificio, era
spesso percorsa da numerose bande, o loro "coordinatori", che andavano e venivano appunto da
quest'ultimo, che come si sa era, allora, contro l'unità d'Italia. Di seguito ci si potrà dare un'idea
dello scritto.

------[]QJ-----II LE MONOGRAFIE -G.S.S. • 1/1996 �


LaRocca Antonio
FOLKLORE DELLE GROTTE. FATTI E LEGGENDE
DI CALABRIA E LUCANIA
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. 9, otto 1990, pp. 67-71

Altro articolo come il precedente che descrive leggende legate al mondo carsico. Alcune di
esse narrano di grotte e briganti: "Il tesoro della grotta di Santa Rosolia", "La Grotta
sparita" e "La grotta del brigante Antonio Franco". Si tratta di leggende inedite anche se
il titolo ci potreobe far pensare diversamente.
La prima ad esempio è una versione diversa della leggenda "del tesoro della grotta di
Pietra Commata".

Larocca Felice
FOLKLORE DELLE GROTTE E TRADIZIONI POPOLARI
"Le grotte della Calabria. Guida alle maggiori cavità carsiche della regione"
di Felice Larocca, Nuova Editrice Apulia (Martina Franca, Ta) 1991,
pp. 47-51

Nel volume un paragrafo viene dedicato al folklore delle grotte e conoscendo l'autore non
poteva essere altrimenti! Oltre a parlare di episodi in generale legati al mondo delle
grotte (toponomastica, pirati, gente comune, spiriti, ecc.), l'autore non poteva non dedica­
re buona parte del testo ai briganti'. Tesori, modi per impossessarsene, nascondigli, bri­
gantesse-maghe, ecc., sono gli argomenti. Insomma, vi è un ottimo sunto di fatti brigan­
teschi legati al mondo delle grotte calabresi.

Bruno Vincenzo
LA GROTTA DEI BRIGANTIIGRUTA BRIGANDEVET
"Katundi Yne" (Civita, Cs), anno XXIV, n. 84, 1993-2

Breve articolo dove è menzionata una simpatica leggenda che narra di una grotta sui
monti del Pollino con all'interno un ricco tesoro nascosto lì dai briganti. Moltissime
persone nel passato e nel presente hanno cercato questa cavità, ovviamente non per fini
speleologici ma per impossessarsi del tesoro, ma mai nessuno è riuscito nell'impresa.
Qualcuno spera ancora che gli venga in sogno il capo dei briganti in modo da indicargli
il posto preciso!

Bruno Vincenzo
LEGGENDE: ANTRI, TESORI... BRIGANTI
"Katundi Yne" (Civita, Cs), anno XXV, n. 86, 1994, p. 12,

Si parla nel breve articolo di immaginarie grotte,luoghi dove sono custoditi inestimabili
tesori nascosti dai briganti che nel secolo scorso spadroneggiavano sui monti del Pollino.
Unico metodo per impossessarsene è "vincere" sulle numerose e terrificanti maledizioni
che gli ultimi proprietari, i briganti, vi avevano "legato". Ma nessuno ancora c'è riuscito.

Lavecchià Roberta, LaRocca Antonio


FOLKLORE DELLE GROTTE
"Le gole del Raganello: morfologia, escursioni, racconti, grotte"
di R. Lavecchia e A. LaRocca (parte settima "Grotte e abissi della valle"),
edito a cura della Drygos s.n.c. di Alessandria del Carretto (Cs),
ottobre 1994, pp. 98-101

Nel capitolo settimo, dedicato a "grotte e abissi della valle" vi è un paragrafo sul "folklore
delle grotte" dove si narrano tre leggende inedite di grotte e briganti. In introduzione

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sono menzionati altri episodi interessanti dal nostro punto di vista, come la Grotta di
Marsilia, "custode" leggendaria della famosa chioccia con i sette pulcini, tutti di oro
massiccio, che ricorre spessissimo nei racconti dei briganti e delle grotte locali e non.

Napoli Paolo
LA DIMORA DEL BRIGANTE
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. lO, dico 1995, p. 23

Breve articolo ma venuto dal cuore (conosco l'autore). Parla di un coraggiosD brigante
che vive in una grotta delle gole del Raganello. Per vendetta o per diletto sparava, dalla
grotta, sulla folla della piazza di Civita (prospiciente l'ingresso). Un giorno però la cavità
viene circondata e i militi impongono al brigante di arrendersi ma lui per evitare l'arre­
sto, si getta dall'unico varco lasciato libero: un'altissima parete rocciosa a strapiombo sul
torrente!

LaRocca Antonio
STORIE E LEGGENDE CARSICHE AL CONFINE CALABRO-LUCANO
"L'Ausi" (Alessandria del Carretto, Cs), n. lO, otto 1995, pp. 17-21

Si tratta di un lungo articolo che menziona varie leggende carsiche dell'area calabra
lucana. Alcune narrano ovviamente di grotte e briganti. Fra esse c'è qualcuna già pubbli­
cata in precedenza ma arricchita di particolari. Altre però sono del tutte inedite.

Restieri Giovanni
UNA CHIOCCIA D'ORO CON 12 PULCINI
PER I 13 BRIGANTI DI ANTONIO FRANCO
"Il mio paese scomparso" (Albidona, Cs), maggio 1996, p. 4

Originale racconto di come si sia sviluppato, secondo la tradizione popolare, il sequestro


di un possidente di San Lorenzo Bellizzi (Cs), avvenuto nella metà dell'ottocento per
opera dei briganti. Buona parte è dedicata alla ormai più volte menzionata chioccia
d'oro. Vi è un accenno del luogo della prigionia: la Grotta della Falconara, posta nella
omonima timpa.

Rizzo Giuseppe, LaRocca Antonio


IL BRIGANTAGGIO POST-UNITARIO TRA IL POLLINO CALABRESE
E LUCANO. LA BANDA DI ANTONIO FRANCO: E GIUSEPPE PROPATO
FU SEQUESTRATO E COSTRETTO· A CAMMINARE SENZA SCARPE
"Il mio paese scomparso" (Albidona, Cs), giugno 1996, p. 3

L'articolo narra un fatto realmente accaduto nel 1861. La banda brigantesca capitanata
da Antonio Franco, da lì a poco fra i più temuti briganti meridionali, rapina e sequestra
alcuni cittadini di Castelluccio Inf (pz). Uno di essi viene tenuto in ostaggio nei pressi
della .loc. Grottole (monte Caramolo, Pollino nord-orient.) in una grotta.

Rizzo Giuseppe, LaRocca Antonio


IL BRIGANTAGGIO VISTO DAL POPOLO:
LA FINE DEL BRIGANTE PITTINICCHIO
"Il mio paese scomparso" (Albidona, Cs), luglio J996, p. 4

È descritta una leggenda che sintetizza, con riferimenti storici, le gesta dei briganti nel
circondario di Castelluccio Sup. e Inf (pz). Viene menzionato anche un tesoro nascosto in
una grotta da un capo brigante, appunto Pittinicchio (per la storia Egidio Maturo) che
ormai vecchio e stanco volle confidare il segreto ad una giovane donna. Essa però inge­
nuamente lo tradisce facendolo impiccare.

-----@]1--1I LEMONOGRAFIEG.S.S. 1/1996� ·


Napoli Paolo
PAOLO I MAST PEPP NON TROVÒ LA CHIOCCIA D'ORO
DI MANCA DI NOIA E IL POVERO CIAMBINE ARRIVÒ IN PAESE
IMPASTOIATO SUL MULO
"Il mio paese scomparso",Albidona (Cs) settembre 1996,p. 2

Già dal titolo ci si può facilmente fare un'idea di come nel racconto si sono sviluppati i
fatti. Bisogna solamente aggiungere che gli stessi sono stati raccontati all'autore da alcu­
ni anziani di Alessandria del Carretto e che i briganti, primi attori della storia, indica­
rono ad uno sventurato due luoghi dove: in uno, era nascosta una chioccia d'oro e, in un
altro, un caccavo (pentola) pieno di soldi. Quest'ultimo, sembra, dentro una grotta. Ma
alla fine il tizio non trovò assolutamente niente!

Redazionale
A SERRA DI CRISPO PER LA VIA DEI MADONNARI
"Il mio paese scomparso",Albidona (Cs),settembre 1996,p. 4

Brevissimo articolo, dove si accenna ad una escursione fatta su Serra di Crispo (Pollino)
alla ricerca della mitica grotta del brigante Antonio Franco. Ma una pioggia e un vento
sferzante impediscono di trovarla.

Rizzo Giuseppe, LaRocca Antonio


IL BRIGANTAGGIO POST-UNITARIO TRA POLLINO CALABRESE
E LUCANO (6): CERSOSIM01Q MARZO 1862.
LA BANDA DI ANTONIO FRANCO SEQUESTRA DUE PERSONE,
MA UNA RIESCE A SCAPPARE"
"Il mio paese scomparso",Albidona (Cs),settembre 1996,p. 3

Articolo moltò interessante sia dal punto di vista storico (è il sesto della serie) che da
quello speleologico. Infatti all'interno sono riportati più brani dove viene ben menzionata
una grotta. Il legame con i briganti ci viene da uno dei rapiti. Esso recandosi in un bosco
insieme ad un suo "forese" esprime il desiderio di visitare una cavità, ma lo stesso lo
sconsiglia calorosamente dicendogli: « ... Nella grotta vuoi andare? Là ti aspettano i bri­
ganti...». Ma è ormai troppo tardi e, nonostante la rinuncia, viene catturato ugualmente.
L'articolo ci narra quindi uno dei classici esempi di come i briganti utilizzavano le
grotte: luogo di agguato!

BIBLIOGRAFIA VARIA

L'Ausi (Alessandria del Carretto - Cs),n. 8,giugno-dicembre 1987

L'Ausi (Alessandria del Carretto - Cs),n. 9,ottobre 1990

L'Ausi- (Alessandria del Carretto - Cs),n. lO, deicembre 1995

La zanzara (Albidona),n. 7,1886

La zanzara (Albidona),n. 8,1986

Bollettino ICSAC (Cosenza),n. 1,giugno 1991,fase. lO

Notiziario Spelo Club Chieti, anno 1990

Grotte (Bollettino del G.S. piemontese Cai Uget di Torino),n. 16,1961

� LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/19961-1



- []D--
PUBBLICAZIONI CONSULTATE

DONATELLI CARMINE CROCCO


COME DIVENNI BRIGANTE - Editore Ares (Gruppo Walk Over) 1987

DURET DE TRAVEL
LETTERE DALLA CALABRIA
introd. e trad. di Carlo Carlino - Rubettino Editore, Soveria M. (Cz), 1996

DE JACO ALDO
IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE - CRONACA INEDITA DELL'UNITÀ D'ITALIA
Editori Riuniti, Roma 1969

AUTORI VARI
BRIGANTAGGIO LEALISMO REPRESSIONE NEL MEZZOGIORNO 1860-1870
Gaetano Macchiaroli Editore, 1984

PADULA VINCENZO
IL BRIGANTAGGIO IN CALABRIA (1864-1865) - Carlo Maria Padula Editore, Roma 1981

LEVI CARLO
CRISTO SI È FERMATO AD EBOLI - Arnoldo Mondadori Editore, Novara 1972

SCARPINO SALVATORE
IL BRIGANTAGGIO DOPO L'UNITÀ D'ITALIA - Edito da Fenice 2000 Srl Milano 1993
'

VARUOLO PIETRO
IL VOLTO DEL BRIGANTE - AVVENIMENTI BRIGANTESCHI IN BASILICATA 1860-1872
Congedo Editore, Lecce 1985

BOURELLY GIUSEPPE
IL BRIGANTAGGIO DAL 1860 AL 1865 - Edizioni Osanna Venosa, 1987

MAGRÌ ENZO
MUSOLINO - IL BRIGANTE DELL'ASPROMONTE - Camunia Editrice srl, Milano 1989

LAROCCA FELICE
LE GROTTE DELLA CALABRIA - GUIDA ALLE MAGGIORI CAVITÀ CARSICHE DELLA REGIONE
Nuova Editrice Apulia, Martina Franca (Ta) 1991

MAROTTA CARMINE (Catasto Speleologico do Basilicata)


APPUNTI DI SPELEOLOGIA LUCANA - Stampato in proprio, Trecchina (pz) 1992

LAROCCA FELICE, OROFINO FRANCESCO (Gruppo Speleologico Sparviere)


II ELENCO CATASTALE DELLE GROTTE DELLA CALABRIA
Patroc. dalla Comunità Montana Alto Jonio, Trebisacce (Cs) 1987

CINGARI GAETANO
GIACOBINI E SANFEDISTI IN, CALABRIA NEL 1799
Casa del Libri Editrice, Reggio calabria 1978

TRAPANI FRANCA MARIA


LE BRIGANTESSE - Editrice Nanni canesi, Roma 1968

BASILIDE DEL ZIO


FATTI E MISFATTI
DEL BRIGANTE PIÙ FAMOSO E SANGUINARIO DEL MERIDIONE D'ITALIA
Adelmo Polla Editore, 1991

�f-------II LE MONOGRAFIE G.S.S.· 1/1996 �


GROTTE E BRIGANTI IN MAIELLA (ABRUZZO)
TRATTE DALL'ARTICOLO DI A. ANTONUCCI
"LA GROTTA DEI FAGGI ED IL BRIGANTAGGIO:
STORIA E LEGGENDA"

("Notiziario" dello Speleo-Club Chieti, anno 1990, p. 60-62)

Come non si poteva recensire l'articolo in oggetto, nonostante i luoghi trat­


tati sono lontani (relativamente) e fuori programma. Se non fossero citate le
regioni, infatti, le storie sembrerebbero provenienti da un unico posto. Del resto
l'Abruzzo ricadeva, al tempo del brigantaggio, nell'allora Regno delle due Sicilie
e da allora ha avuto, insieme ad altre regioni meridionali, una storia identica a
quelle della Calabria e della Basilicata.
L'articolo in oggetto inizia con la notizia del rinvenimento sui monti della
Maiella di una grotta, la Grotta dei Faggi (Pennapiedimonte, Ch), nel cui interno
ed esterno più prossimi all'ingresso vi sono, chiari e recenti segni di utilizzazione
da parte dell'uomo, risalenti al periodo dell'ultimo brigantaggio (1860-1870). Tra­
mite poi alcune ricerche effettuate presso l'Archivio di Stato di Chieti, l'autore
riesce a collegare benissimo due cose: appunto la grotta e i briganti.
Dopo alcune considerazioni, diciamo "politiche" (che condivido molto) e una
sintesi della storia del brigantaggio, l'autore parla della banda brigantesca che
operava nella montagna d'Ugni, dove si apre appunto la Grotta dei Faggi. Il capo
di questa comitiva era un certo Domenico Di Sciascio nativo di Guardiagrele, che
come quasi tutti i briganti, soprattutto i capi, era un ex soldato borbonico sban­
dato. Il brigante fu trovato morto nel 1866 nei pressi dell'odierna Grotta dei
Faggi (allora Grotta della Montagna d'Ugni), tradito e ucciso da un componente
della sua stessa banda, ingoIosito dalla cospicua taglia. Vista la vicinanza del
luogo del rinvenimento del cadavere con la grotta in oggetto l'autore, avvalorato
da altri documenti, collega le due cose facendo ben intendere che i briganti della
Maiella utilizzavano spesso le grotte per rifugiarsi. Eccone un esempio:
« ... Altro documento è quello datato 3 febbraio 1866: con esso il Procuratore
del Re informa il Sottoprefetto del Circondario di Lanciano di essere venuto a
conoscenza che Pietro Di Vito ha riferito di conoscere la grotta ove si rifugia il
Brigante Di Sciascio sulla montagna d'Ugni e che era disposto ad impegnarsi a
consegnare il suo capo alla giustizia . . . ».

Inserito poi nello stesso numero (p. 48-49) del "Notiziario" dello Speleo-Club
di Chieti vi è un altro articolo inerente la grotta in oggetto: LA GROTTA DEI
FAGGI: STUDIO GEOLOGICO STRUTTURALE, SPELEOGENETICO E MICRO­
PALEONTOLOGICO di M. Mascarucci (Geolab), P. Dimarcantonio (Geolab-Gruppo
Grotte CA! Teramo).
Nell'articolo ci si può fare una chiara idea sulla formazione e sulla strut­
tura della cavità.

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UN PO' DI STORIE DI "GROTTE E BRIGANTI"
RIPORTATE SUL VOLUME
"CRISTO SI È FERMATO AD EBOLI" DI CARLO LEVI
(edizione del 1972 della· Oscar Mondadori)

"Cristo si è fermato ad Eboli" di Carlo Levi è ormai un classico e moltissimi


lo hanno letto e ... visto. L'autore descrive un periodo della sua vita trascorso,
forzatamente, in un paesino interno della Basilicata, Alianello (pz). Egli era
infatti uno dei tanti confinati che il regime fascista degli anni '30 "inventò" per
allontanare dai luoghi caldi gli antifascisti. Quale posto migliore se non i piccoli
ed isolati paesi del meridione d'Italia. In quel· periodo sparpagliati per questi
centri vi erano numerose "teste calde" di tutta Italia che coraggiosamente aveva­
no dichiarato la loro discordanza con l'allora governo. La cosa però più interes­
sante è che in molti di quegli isolati paesi, insieme ai confinati, arrivarono e si
diffusero anche le loro idee! (1).
Ma torniamo a noi. Sono ben 10 le pagine del volume che ci interessano.
Qui l'autore, vivendo come abbiamo detto ad Alianello (da lui storpiato apposita­
mente in Galiano) e visitando i dintorni, non poteva non imbattersi in gente che
gli narrava racconti di briganti, che fra l'altro qualche anziano aveva personal­
mente vissuto (ricordo che il periodo di confino fu dal 1935 al 1939, quindi era
possibile che qualcuno di loro potesse essere un giovinetto o un brigante nel
periodo 1860-70). Quelli che parlano sia di grotte che di briganti, raccontati in
modo egrègio, li ho trascritti di seguito:

« ...Tutto li ricorda. Non c'è monte, burrone o bosco, pietra, fontana o grotta
che non sia legata a qualche loro impresa memorabile, o che non abbia servito di
rifugio o nascondiglio...
...Il terreno su questi monti d'argilla, è tutto scavato di buche e di grotte
naturali. Qui si riparavano i briganti e. qui, negli alberi cavi delle foreste, na­
scondevano i denari delle taglie e quelli rapinati nelle case dei ricchi. Quando le
bande furono disperse, e i briganti tutti uccisi o imprigionati, quei tesori nascosti
rimasero nella terra o nei boschi. Questo è uno dei ·punti dove la storia dei
bnganti diventa leggenda, e si lega a credenze antichissime. I briganti misero
dei tesori reali dove la fantasia contadina aveva sempre favoleggiato la loro
esistenza: cosÌ i briganti divennero tutt'uno con le oscure potenze sotterranee. ...
...Ma per i contadini, queste non sono che briciole degli immensi tesori
celati nelle viscere della terra. Per loro i fianchi dei monti, il fondo delle grotte, il
fitto delle foreste sono pieni di oro lucente, che aspetta il fortunato scopritore.
Soltanto, la ricerca dei tesori non va senza pericoli, perché è opera diabolica, e si
toccano delle potenze oscure e spaventose. È inutile frugare a caso la terra: i
tesori non compaiono che a colui che deve trovarli. E per sapere dove sono, non ci
sono che le ispirazioni dei sogni, se non si ha avuto la fortuna di essere guidati
da uno degli spiriti della terra che li custodiscono, da un monachicchio.
Il tesoro appare in sogno, al contadino addormentato, in tutto il suo sfolgo­
rio. Lo si vede, una catasta d'oro, e si vede il luogo preciso, là nel bosco, vicino a
quell'albero d'ilice con quel segno sul tronco, sotto quella gran pietra quadrata.

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Non c'è che andare a prenderlo. Ma bisogna andare di notte: di giorno il tesoro
sfumerebbe. Bisogna andarci soli, e non confidarsi con anima viva: se sfugge una
sola parola, il tesoro si perde. I pericoli sono spaventosi, nel bosco si aggirano gli
spiriti dei morti: ben pochi animi sono così arditi da mettersi al cimento, e da
portarlo, senza vacillare, a buon fine. Un contadino di Gagliano, che abitava non
lontano da casa mia,aveva visto in sogno un tesoro. Era nella foresta di Accettu­
ra, poco sotto Stigliano. Si fece coraggio e partì nella notte: ma quando fu circon­
dato dagli spiriti, nell'ombra-nera, il cuore gli tremò nel petto. Vide tra gli alberi
un lume lontano: era un carbonaio, un uomo senza paura, come tutti i carbonai,
e calabrese: passava la notte nel bosco vicino le sue fosse di carbone. La tentazio­
ne, per il povero contadino atterrito, fu troppo forte: egli non poté fare a meno di
raccontare al carbonaio il suo sogno e di pregarlo di assisterlo nella ricerca. Si
misero dunque insieme a cercare la pietra vista in sogno, il contadino un po'
rinfrancato dalla compagnia, e il calabrese pieno di coraggio, e armato della sua
roncola. Trovarono la pietra: tutto era es.attamente come in sogno. Per fortuna
erano in due: il masso era pesantissimo, e a fatica potevano smuoverlo.
Quando furono riusciti ad alzarlo, apparve una grossa buca nella terra: il
contadino si affacciò, e vide nel fondo luccicare l'oro, una straordinaria quantità
di oro. Le pietruzze smosse del terreno battevano cadendo sulle monete, con un
suono metallico che riempiva di delizia il suo cuore. Si trattava ora di calarsi
nella fossa profonda e di prendere il tesoro, ma qui al contadino mancò di nuo­
vo il coraggio, e disse al suo compagno di scendere e di porgergli il denaro, che
lui, di sopra, avrebbe messo nel suo sacco: poi l'avrebbero spartito. Il carbonaio,
che non temeva né diavoli né spiriti, scese nella fossa: ma ecco, tutto quel gial­
lo lucente si era fatto nero ed opaco, tutto l'oro, d'un tratto, s'era mutato in
carbone.
È molto più facile e meno delusivo che non seguendo le indicazioni dei
sogni, trovare un tesoro quando si riesce a farsene insegnare il nascondiglio e
farcisi accompagnare da uno dei piccoli esseri che conoscono i segreti della terra.
I monachicchi sono gli spiriti dei bambini morti senza battesimo L ..]. I monachic­
chi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei: corrono veloci qua e là, e il loro mag­
gior piacere e di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto ai
piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dai letti, buttano sabbia
negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d'aria
e fanno volare le carte, e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono
la sedia di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impen­
sati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano
come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sem­
pre l'aspetto di Un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave
L..] Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto cercare di afferrarli per
il cappuccio L.,]. Ora, i monachicchi, sotto il loro estro e la loro giocondità infan­
tile, nascondono una grande sapienza: essi conoscono tutto quello che c'è sotto­
terra, sanno il luogo nascosto dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza
cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un
tesoro. ...
...1 badilanti usavano, nelle ore di maggior caldo, quando era impossibile
lavorare, ritirarsi a dormire in una grotta naturale, una delle molte che bucano,

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in quel vallone, tutto il terreno, e che erano state, un tempo, il rifugio preferito
dei briganti. Ma nella grotta c'era un monachicchio: lo spiritello bizzarro comin­
ciò a fare i suoi dispettucci [. ..] era un tormento. Gli operai lo vedevano compari­
re fulmineo qua e là per la grotta, col suo grande cappuccio rosso, e cercavano in
tutti i modi di prenderlo: ma quello era più svelto di un gatto e più furbo di una
volpe: si persuasero presto che rubargli il cappuccio era cosa impossibile. Decise­
ro allora, per poter in qualche modo difendersi dai suoi giuochi fastidiosi, e pren­
dere un po' di riposo, di lasciare a turno uno di loro di sentinella [. .. ].
Tutto fu inutile [. .. ]. L'ingegnere venne, accompagnato dal suo assistente,
un capomastro: tutti e due armati col fucile da caccia a due canne. Al loro arrivo
il monachicchio si mise a fare sberleffi e risate, dal fondo della grotta [. .. ]. L'inge­
gnere imbracciò il fucile, che aveva caricato a palla, e lasciò partire un colpo. La
palla colpì il monachicchio, e rimbalzò indietro verso quello che l'aveva tirata, e
gli sfibrò il capo con uri fischio pauroso [. . .] fuggirono terrorizzati. Da allora quei
manovali si riposano all'aperto, sotto il sole, coprendosi il viso col cappello: anche
tutte le altre grotte dei briganti, in quei dintorni di Irsina, erano pieni di mona­
chicchi, ed essi non osarono più metterei piede. ... ».

Racconti che Levi fortunatamente non ha sottovalutato ed ha trascritto nei


suoi appunti. Sono storie e leggende interessantissime poiché non si tratta di
fatti conosciuti e ristretti solo in una piccolissima zona ma, come vedremo più
avanti, ricoprono una vasta zona: quasi tutta la Basilicata e parte della Cala­
bria, ma l'area si potrà in futuro senz'altro allargare se le ricerche continueran­
no. Ad esempio, sempre in Basilicata, a Terranova di Pollino (pz); ad Alessan­
dria del Carretto ed Albidona, in Calabria (tutte e tre i paesi sono però confinan­
ti), si conoscono varie storie simpatiche sul "monachiello" (come è chiamato da
queste parti). Ad Albidona "u monachielle" porta molta fortuna. Entra nelle case
facendo molti scherzi, ma mai pesanti. È di piccolissime dimensioni ed è vestito
come un monaco cappuccino e il copricapo è simile allo scozzetto usato dai cardi­
nali. Se si riesce a strappare "u scuzzettìelle", cosa alquanto difficile, lui "conte­
rà" (vi darà) i soldi fino a quando non riuscirà di nuovo ad impossessarsene. Se
qualcuno in paese possedeva molti beni alimentari e che giorno per giorno, nono­
stante il consumo, si accrescevano, si "usava dire che dentro quella casa vi era
capitato il monachiello. Esso infatti riempiva in continuazione i contenitori delle
masserizie man mano che si svuotavano!
Ad Alessandria il "monechielle" è conosciuto anche sotto la forma di un
simpatico insetto di colorazione marronacea, chiamato "u monechielle i Sande
Ndonije" (il monachiello di Sant'Antonio). Se entra in una casa esso porta
fortuna.
Ma in altri paesi ancora questa simpatica immagine è conosciuta ed è lega­
ta anche al mondo delle grotte. Nelle campagne di Oriolo Calabro (Cs) attigue
più al paese lucano di S. Giorgio Lucano (Mt), che al proprio comune, una simpa­
tica leggenda legata al monachiello, alle grotte e ai briganti è ancora conosciuta
da qualche anziano (vedi capitolo "Leggenda": "Il monachiello, i briganti e la
Grott� di Santa Marina").
A Cerchiara di Calabria e a S. Lorenzo Bellizzi (Cs), paesi confinanti con la
Basilicata, si racconta che:

-@]r-------1I LEMONOGRAFIEG.S.S. · 1/1996 �


"...In località Bifurto si apre un profondissimo abisso chiamato Fossa del
Lupo (o�gi accatastato col nome di Abisso del Bifurto, Cb 79, profondo ben 683
metri). E stato da sempre conosciuto nel passato, per la sua tipica morfologia (a
pozzo, quindi impossibile per quei tempi, visitarlo), come luogo dove vi si rifugia­
vano o vivevano "cose demoniache" come gli spiriti dei morti, il diavolo, i brigan­
ti, ecc., ma anche esseri positivi come i "monachielli". Questi ultimi non facevano
del male ma solo dispetti ai viandanti che da quel valico erano obbligati a passa­
re per recarsi dalle montagne alla marina -e viceversa. Facevano scherzi di ogni
genere e quando dai viandanti venivano inseguiti per essere catturati, in modo
da poter portare fortuna, si rifugiavano nel profondo abisso dove gli esseri nor­
mali non osavano o non potevano metterci piede.... »

(1) È emblematico il caso Oriolo Calabro e Alessandria del Carretto (Cs). Negli anni 1942-43
furono internati ad Oriolo due del nord Italia: Ignazio e Stango Pervanic. Il primo dentista, il
secondo radiotecnico. Nonostante i rigidi controlli, con l'appoggio di due "teste calde" locali (An­
drea Croccia nativo di Frascineto (Cs) ma dimorante ad Alessandria del Carretto, e il cognato
Giuseppe Mitidieri di Alessandria del Carretto) installarono su quei monti una radio clandestina
con cui ricevevano notizie aggiornate antifasciste. Poi queste notizie le trascrivevano su carta, in
un piccolo giornalino chiamato "La scintilla", e le diffondevano in tutto il circondario sia lucano
che calabro. Purtroppo nel 1943 furono scoperti e arrestati.

(Notizie tratte da: Giuseppe Rizzo "Andrea Croccia. La vita esemplare di un antifascista comuni­
sta calabrese". Bollettino ICSAC: Istituto Calabrese per la Storia dell'Antifascismo Calabrese e
dell Italia contemporanea, Cosenza, n. 1, giugno 1991, fascicolo lO, pago 21-27).

Lo sterminio della banda Palmieri-del Melfese (metà dell'BOO)


(da: AA.VV., Brigantaggio - Lealismo - Repressione, Gateano Macchiaroli editore, Roma 1984)

----i LE MONOGRAFIE G.S.S. 1/19961-1 •


- [§[}__
IL BRIGANTE MUSOLINO
E LA SUA VITA BRIGANTESCA E "SPELEOLOGICA",
TRATTA DAL VOLUME DI ENZO MAGRÌ
"MUSOLINO, IL RE DELL'ASPROMONTE"
(Ed. Camunia s.r.l., Milano 1989)

In Calabria, come in tutto il meridione italiano, le grotte -sono state da sempre


utilizzate come rifugio da gente che aveva qualcosa da nascondere. Moltissimi sono
gli aneddoti, le leggende, le storie e i documenti che raccontano di briganti che
usavano le grotte come loro rifugio e del loro bottino. Il motivo scaturiva dal fatto
che le cavità erano ubicate di solito in posti poco accessibili, lontano dai luoghi più
frequentati, cioè posizionate strategicamente sia per gli avvistamenti che per le
precipitose fughe. In più avevano una brutta fama, ereditata dal passato, che teneva
lontano le popolazioni locali!
Anche l'ultimo dei briganti calabresi, il famosissimo Musolino, durante la sua
latitanza avvenuta in Aspromonte dal 1899 al 1905, frequentò alcune grotte, almeno
così secondo le credenze popolari e anche secondo il giornalista catanese Enzo Ma­
gri, autore del volume "Musolino - il brigante dell'Aspromonte" (Ed. Camunia s.r.l.,
Milano 1989). Sul volume infatti viene raccontata tutta la storia di questo famoso ed
ultimo brigante ottocentesco, compresa la latitanza. Comprovati da precisi documen­
ti vengono menzionati vari penodi in cui il latitante "abitava" in alcune grotte:

«• . . Tuttavia, se nel muro, oppure accanto allo stipite della porta della baracca,
Ippolita trovava i fori di un paio di proiettili, questo significava che il rifugio era
stato scoperto. Allora l'appuntamento si considerava automaticamente fissato per il
giorno successivo, alla stessa ora, sotto la cima del Cufalo, a Orti, una zona che
Peppino riusciva a controllare agevolmente da una grotta. Con vettovaglie e muni­
zioni, la ragazza recava al fratello anche le ultime novità che correvano in paese, ma
soprattutto le notizie che riguardavano i suoi nemici: spie e carabinieri. ...».
«. • .1 soldati si rivelarono poco efficaci. In qualche caso furono loro la vera fonte
del pericolo. Durante una esercitazione a Grotta d'Arme, cinque militari scambiaro­
,no un innocuo cacciatore per il brigante, lo inseguirono a fucilate e rischiarono di
accopparlo. ... ».
«. • . Rientrato il 7 marzo ad Mrico, Musolino si era rifugiato in una grotta, a
Mingioia, una frazione fuori dal paese. L'antro naturale era in cima ad una collina,
protetta 'ai lati da uno st:r;apiombo e con un'apertura di circa due metri che somiglia­
va al soffietto ripiegato di una carrozza. Insieme a lui c'erano Rocchitiello Perpiglia
e un altro tizio. Poiché dopo l'attentato all'Angelone riteneva pericoloso farsi vedere
in giro, il brigante mandò ad avvertire Antonio Princi di preparargli la cena e di
portargliela nella grotta. Era il momento lungamente atteso. Ricevuto l'incarico,
verso le 6 del pomeriggio la spia spedì a Bova suo fratello Angelo per informare
Wenzel. "Antonio sta servendo l'oppio a Musolino" comunicò il giovane messaggero
al delegato. Suggerì: ''Venga subito, mio fratello ci aspetta questa notte nel bosco
Caruso". Il funzionario radunò immediatamente i suoi uomini. ...
... L'incontro con Princi avvenne nel bosco a mezzanotte. Le notizie che portava
non erano confortanti. "Hanno mangiato maccheroni che ho cucinato ma l'oppio non
ha fatto effetto a nessuno dei tre" annunciò il giovane, molto preoccupato.
"Chi c'è con lui?" domandò Wenzel.

�-------'--11 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


"Rocchitello e Francesco Romeo" rispose Prinzi.
"Dove sta ora Musolino?".
"Dentro la grotta, ma non è il caso di andarci perché offriremmo un bersaglio
perfetto".
"Però non dobbiamo lasciarcelo sfuggire".
"Allora dovete appostarvi e aspettare che lascino il rifugio".
In cielo splendeva la luna. Utilizzando la sua luce, il delegato preparò in fretta
e furia l'agguato. ...
... Erano ormai le due. Tramontata da poco, la luna mandava ancora in cielo
una scialba luce di riflesso. Dalla grotta non veniva nessun segno di vita. Allora
l'insofferente Wenzel pensò bene di inviare Princi da Musolino. "Se dorme - gli disse
-, esci e spiega il fazzoletto. Se è sveglio portalo con una scusa a casa tua. Stai
attento e mantieniti a distanza".
Con ostentata riluttanza, la spia si avviò verso la grotta. Pochi istanti dopo il
suo ingresso, Wenzel udì un insistente chiacchiericcio. Francesco Romeo aveva la­
sciato il rifugio all'inizio della serata. Dentro c'erano Musolino e Perpiglia, svegli. Il
bandito si lamentava con Princi che i maccheroni avevano un cattivo sapore e che gli
avevano fatto venire una sete ardente. Pochi minuti dopo i tre uscirono: il brigante
stava per cadere nella trappola di Wenzel. [. . .] Il piano stava funzionando alla perfe­
zione [. ..]. La reazione del bandito fu subitanea. Intanto si buttò a terra. Poi, certo di
essere stato .tradito da Princi, senza neanche prendere la mira gli esplose contro due
colpi di fucile caricato a mitraglia. [. ..] Tutto si era svolto nell'arco di un paio di
minuti. Dopo oltre un mese di preparativi ora nelle mani dei poliziotti era rimasto
un magro bottino: due berretti tondi, uno del brigante, l'altro di Perpiglia...».
« ••• Questo nuovo elemento della vita del re dell'Aspromonte non sfuggì ad Um­
berto Wenzel. Al delegato di polizia bruciava ancora dentro lo scacco che aveva
subito 1'8 marzo, alla grotta Mingioia, ed era smanioso di prendersi la rivincita... » •

« . .• Esasperato, aveva allora citato in giudizio lo Stato rivendicando la taglia


promessa di 10.000 lire e sostenendo che se il bandito non era stato preso alla grotta
Mingioia, la colpa non doveva essere addebitata a lui, che aveva posto tutte le
premesse per la sua cattura, ma alla negligenza della forza pubblica che se l'era
lasciato scappare...».

Tutto ciò ci fa capire moltissime cose del mondo dei briganti e dell'utilizzo da
parte loro delle grotte. Come prima cosa le grotte venivano utilizzate solo in casi
estremi (ve ne erano ovviamente molti di questi casi estremi) e i briganti preferiva­
no senz'altro le più comode e confortevoli case. Come anche attualmente! Il fatto che
Musolino si faceva portare il cibo in grotta (poi oppiato!) è interessante. Una delle
tec�iche classiche del secolo scorso per catturare o eliminare i briganti era appunto
"oppiare" o avvelenare i cibi, soprattutto il vino e i maccheroni, che qualche manu­
tengolo pentito, costretto o accattivato dalle taglie portava dietro suggerimento o
costrizione della forza pubblica.

Accenni. storici e leggendari su Musolino

Spesso mio nonno Nicola Napoli pur essendo nato nella Calabria nord-orientale
mi parlava delle gesta "eroiche" di Giuseppe Musolino. Ciò ci fa capire la notorietà
di questo brigante. Era considerato dalle popolazioni, non solo delle Calabrie ma di
tutta Italia, un vero e proprio eroe che per un maltorto fu costretto. a darsi alla

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- llIJ--
macchia e che doveva uccidere per non essere ucciso. Inoltre rubava ai ricchi e
donava ai poveri. Non violentava, rispettava tutti ad esclusione dei suoi nemici:
"spie e carabinieri". Di questo parlano i racconti degli anziani e le cronache del
tempo. Nella realtà era senz'altro stato, inizialmente, ingiustamente condannato.
Ma poi, evaso, ammazzò numerose persone per vendicarsi di chi lo aveva accusato e
di quelli che lo volevano morto.
Questa sua notorietà (che noi con questi articoli paradossalmente accresciamo!)
. era così elevata che anche episodi di brigantaggio precedente venivano addebitati a
lui come ad esempio la leggenda "L'aspirante brigante e il tradimento del compare"
(leggenda che si racconta ad Alessandria del Carretto, Cs) alcuni la vogliono attribu­
ire a Musolino ed altri ad Antonio Franco, quest'ultimo famosissimo brigante dei
monti del Pollino del periodo 186 1-65. Qui alla base della leggenda vi è un tradi­
mento, dopodiché il tradito uccide il traditore e si dà alla latitanza, come appunto il
Musolino e in parte anche il Franco. Anche un'altra leggenda, "Il covo dei briganti e
la mappa del loro tesoro" (che si racconta a Viggianello, pz; vedi il capitolo "Leggen­
de"), è attribuita al solito Antonio Franco ma un breve passo ci fa chiaramente
capire che essa si mischia anche con la vita di Musolino. Nel racconto vi è un
raffronto fra il denunciante e un brigante, che fatto mettere dopo l'arresto in una
determinata posizione viene riconosciuto come autore del reato: «è iddru» (è lui)
risponde il civile. La stessa cosa si verifica quando venne catturato Musolino. Nel
volume già citato, a pago 172, si legge: ... «"È lui", esclamò Zirilli senza esitazione.
Aggiunse: "Guardategli la mano destra: deve portare ancora la cicatrice della ferita
che subì la sera del 27 ottobre 1897"».. .

Alcune curiosità su Musolino

Nato a Santo Stefano D'Aspromonte (RC) nel 1875; a 2 1 �nni fu condannato


ingiustamente per un delitto non commesso. Arrestato riuscì dopo poco ad evadere
dal carcere di Gerace (RC) dove era rinchiuso, dandosi così alla latitanza; la durata
della latitanza fu dal 1899 al 1905; fu catturato per caso nei pressi di Urbino (An).
Arrivò lì a piedi, in treno e in carrozza. Aveva lasciato la Calabria non si sa bene per
quale motivo. Lui disse che voleva andare a Roma «per portare a termine le sue
vendette» ( 1); processato a Lucca in un processo spettacolo fu condannato all'erga­
stolo, ma dopo 14 anni uscì per essere messo in un manicomio. Era ormai diventato
pazzo; morì il 22 gennaio 1956.

(1) In Aspromonte, alla domanda: «Ma perché abbandonò la Calabria?», gli anziani rispondono:
«Doveva andare a trovare l'avvocato!». Sembra una frase normale, ma "trovare" si deve intendere
come "ammazzare", poiché proprio per il "tradimento" di un avvocato, Musolino passò tutti i suoi
guai!

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DAL VOLUME DI FRANCAMARIA TRAPANI "LE BRIGANTESSE"
(EDITRICE NANNI CANESI, ROMA 1968),
·LA STORIA DELLA DRAMMATICA FINE DEL TEMUTISSIMO
CAPO BRIGANTE "BIZZARRO" AVVENUTA IN UNA GROTTA

Belli o brutti i capi delle bande brigantesche spesso erano accompagnati nella loro vita di
macchia da donne, le così dette "drude". Si trattava a volte di ragazze rapite e poi "convertitesi"
al brigantaggio o di vere e proprie brigantesse. Fu così per Filomena Pennacchio, compagna di
Giuseppe Schiavone; Serafina Ciminelli, compagna di Antonio Franco; Giovanna Tito, compagna
di Carmine Donatelli Crocco; e tantissime altre amanti e spose di numerosi capobanda del bri­
gantaggio post-unitario. La stessa cosa, però, succedeva nel così detto primo brigantaggio, quello
cioè dell'inizio del XIX secolo, e anche in questo caso spesso le donne brigantesse segnarono la
vita e la morte dei loro uomini.
Un esempio di tutto ciò ci viene da un certo Francesco Muscato alias "Bizzarro" nativo di
Vazzano (Cz) che legò, tra il 1700 e 1800, l'inizio e la fine della sua vita brigantesca a due donne:
Margherita e Niccolina. La prima contribuì non poco alla decisione di darsi alla macchia; la
seconda fu l'artefice della sua drammatica morte, avvenuta fra l'altro all'interno di una grotta.
Per capire meglio questi intrecci amorosi e "speleologici" riporto di seguito alcuni brani tratti dal
volume "Le brigantesse" scritto da Francamaria Trapani ed edito da Canesi (Roma 1968) (1).
Un fattore interessante che emerge dai racconti qui di seguito riportati ci fa chiaramente
capire il modo in cui le grotte erano utilizzate dai briganti: delle vere e proprie abitazioni. Era
senz'altro molto dura, ma si era costretti.

«Settembre milleottocentodieci. Il brigantaggio non infierisce più soltanto negli Abruzzi,


ma è diventato padrone di tutta la Calabria. ... I francesi tra tanti nomi di briganti non si
raccapezzano più: Bizzarro, Taccone, Capobianco di Parafante. ...
... Taccone e Quagliarella scorrazzano sulla Basilicata; Bizzarro con Pavonese e Mariotti
sull'Aspromont.e e nelle folte foreste bagnate dal fiume Rosarno. ...
... Fu quella un'epoca nella quale le donne, se avevano a che fare con il brigantaggio, vi
recitavano quasi sempre la parte di vittime. ...
... Costui era contemporaneo dell'«infame Taccone». Aveva carattere violento e lunatico, ed
è il primo brigante dell'Ottocento vicino al quale le storie segnalano la presenza di due donne
che, se non si possono chiamare vere e proprie brigantesse, possono tuttavia essere indicate come
le capostipiti del brigantaggio femminile del Mezzogiorno e che comunque condizionarono la vita
e la morte di Bizzarro. ...
... Servo del colono d'una ricca famiglia calabrese della zona di Varano, a diciannove anni
aveva sedotto Margherita, la figlia del padrone. .... ,

... Questo accadeva tra il 1801 e il 1802, sotto il regno di Ferdinando, da poco rientrato
dalla fuga in Sicilia del 1799....
... Tuttavia Margherita non era destinata a fare la vittima né la complice involontaria
delle malefatte di Bizzarro. In lei l'amore fu più forte dei legami del sangue: così come aveva
amato il brigante vittima della sua famiglia, continuò ad amarlo uccisore dei suoi. ...
... Diventò il braccio destro del capo della banda, ormai ordinata militarmente. ...
... Catturata infatti in un'imboscata, Magherita venne condotta nelle prigioni di Monteleo­
ne dove non visse a lungo. Morta Margherita, Bizzarro divenne più selvaggio di una belva. ...
... Se i Borboni non si scandalizzavano delle sue malefatte, il generale Manhès al contrario
andava studiando il piano per sopprimerlo� Fatalmente sarà proprio una donna, certamente

(1) Il volume in oggetto non parla solo di Bizzarro e dei suoi amori, .ma è dedicato in generale alle
brigantesse (del :r:esto, dal titolo ... ). Lo stesso è suddiviso in dieci parti più' l'introduziorie, tutte dedicate a
storie vere e pittoresche delle compagne dei capibanda, sia del primo che del secondo brigantaggio. La storia
di Margherita e Niccolina· è riportata nel paragrafo "Il generale e le brigantesse. Le capoostipiti: Maria
Protettrice, Niccolina Licciardi ed altre".

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idonea nello spirito ad assumere il personaggio di una brigantessa, che lo perderà. Si chiamava
Niccolina Licciardi, era di Seminara, un paesetto arroccato sopra le campagne di Palmi. Il bri­
gante la prese con sé. Era ormai braccato, e la sua banda era stata a poco a poco sgretolata dalle
truppe di Manhès. Presto nacque un bambino, e per Bizzarro e Niccolina la vita divenne più
dura. Si rifugiarono in una caverna, nascosta a ogni sguardo: l'ingresso era così angusto che vi si
poteva entrare soltanto strisciando sul ventre. ...

... Ma il piccolo piangeva da sveglio e vagiva dormendo. Bizzarro a mano a mano che i
giorni passavano veniva preso sempre più dal terrore di essere scoperto. Odiava il figlio, pensan­
do che certamente col suo pianto avrebbe attirato il nemico. ...

... Invano Niccolina cercava di tenere il piccino giorno e notte al seno esausto. Una sera
che in nessun modo era riuscita a farlo tacere, il bandito si alzò e senza pronunciare parola lo
prese per un piede e gli sfracellò la testa contro ·le pareti della caverna. ...
... Il primo moto della madre fu di saltare al collo di quella belva, ma l'istinto di una
vendetta più razionale la trattenne. Si alzò, muta andò a raccogliere il cadaverino, l'avvolse nel
grembiule, se lo pose sulle ginocchia e, macchinalmente, col corpo tremante, l'occhio carico di
odio, si mise a cullarlo, come vivesse ancora. ...

... Il mattino dopo scavò una fossa nella grotta, vi seppellì il figlio e pose sulla fossa il
proprio giaciglio per impedire ai cani di mangiarlo. Ogni notte la donna piangendo. sommessa
ricordava la sua sventura, la famiglia abbandonata per quest'uomo, la sua vita di malefatte e la
sua tristissima sorte. Ma aveva un suo piano di vendetta, e non dovette aspettare molto ad
attuarlo. ...

... Una notte che il brigante s'era addormentato profondamente, alzatasi dal proprio giaci­
glio si avvicinò a lui. Col passo dei fantasmi si mosse intorno al suo letto, delicatamente tolse la
carabina poggiata al suo fianco, gli avvicinò cauta la canna all'orecchio e senza esitare sparò. ...
... Non tremò nel togliere poi il coltello dalla cintura, per troncargli la testa, che avvolse
nel grembiule che era servito da sudario al suo bambino, mescolando così il sangue del padre al
sangue del. figlio. Uscì infine dal rifugio e si diresse col macabro fagotto alla volta di Catanzaro.
- Portate notizie del Bizzarro? - chiese il governatore. Stendendo le mani verso di lui la
donna rispose: - Meglio che notizie. Vi porto la sua testa.
Il governatore non fece in tempo a fermarla. Tra l'orrore delle signore ancora intorno alla
mensa, gettò il capo mozzo tra i piatti.
- Questa testa vale mille ducati. Fatemeli pagare.»

Chi era Bizzarro


Bizzarro, all'anagrafe Francesco Muscato, nacque a Vazzano (Cz) alla fine del 1700 e legò
la sua vita al cosiddetto "primo brigantaggio'�, cioè quello relativo al periodo delle occupazioni
francesi delle Calabrie. Da giovane era· "forese" (una sorta di servo) di una notabile famiglia
locale, i De Sanctis. Era un ragazzo di bell'aspetto e nonostante la sua classe sociale intrecciò
una relazione amorosa con la figlia del padrone, Margherita, dalla quale nacque un figlio. Ovvia­
mente (purtroppo) "apriti cielo ...": come poteva un servo "inguaiare" una nobildonna? Per questo
motivo fu costretto ad arruolarsi, allontanandosi così dal paese nativo. Proprio in questo periodo
era in atto la prima invasione francese del Regno di Napoli. Non so se disertò o fu congedato, ma
sta di fatto che tornò dopo alcuni anni a Vazzano in cerca di vendetta nei confronti dei suoi
persecutori: i fratelli di Margherita. Riuscì nel suo intento, avviandosi così alla vita brigantesca.
Era l'inizio del 1800. Inizialmente mischiava all'attività di brigante quella di contrabbandiere di
sale, ma dopo poco divenne un vero e proprio capobanda, alquanto temuto dai francesi, tanto che
la sua fama sanguinaria ricorreva spesso, arricchita da episodi pittoreschi, nelle cronache del
tempo. Morì, ucciso dalla sua seconda donna, Niccolina Licciardi, in una caverna, forse del­
l'Aspromonte (2).

(2) Alcune delle notizie storiche sono state tratte dal volume di GAETANO CINGARI: Giacobini e Sanfedisti in
Calabria nel 1799 (Casa del Libro Editrice, Reggio Calabria 1978).

�f----_---':'_--"'--II LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1/1996 �


RECENSIONE IL CONVEGNO DI OLIERO

di CARLA SARTORI

Si è svolto sabato e domenica scorsa nei locali dell'ex cartiera Parolini, ad Oliero, il III Convegno nazionale sul
folklore delle grotte intitolato "Le streghe dell'Oliero e altre storie". La manifestazione promossa dalla Federazione Spe­
leologica Veneta, dalla Società Speleologica Italiana e dal Gruppo Grotte Giara Modon, ha avuto il sostegno del Comune
di Valstagna, della Comunità Montana del Brenta, dell'Amministrazione Provinciale e della Regione Veneto nonché il
patrocinio dell'Accademia Olimpica di Vicenza.
Come i chierici vaganti - studenti che giravano da un'università all'altra e contribuivano a portare le idee, a
dilatare la cultura - così era nata l'idea, alcuni anni fa da parte di Enrico Gleria, responsabile per il folklore e le cavità
antropizzate della Federazione Speleologica Veneta, di trovarsi a pensare, a ricordare, a riflettere su una memoria antica,
impastata di miti, di archetipi, di leggende, di storie. Nasceva così un forum periodico sul folklore, ma con una specificità:
la grotta.
Eremo di S. Cassiano: 1991, Castello di Schio: 1993, Grotte di Oliero: 1996; luoghi evocatori di presenze oscure,
ma nello stesso tempo carichi di suggestione e di fascino. Se la terra rappresenta ciò con cui maggiormente ci identifichia­
mo, a maggior ragione il sottosuolo ne costituisce la base essenziale. Proprio per questo le caverne formano un vero e
proprio pantheon di divinità ctonie e di tradizioni, ricettacolo a cui attingere la nostra memoria, ma anche luogo di rifugio
delle nostre proiezioni più antiche e selvagge. Le grotte in quanto luoghi sacri, proprio per questa 10m intrinseca qualità
di essere luoghi fuori dai luoghi, culla dei sogni, diventano elementi strutturanti l'uomo per integrare la sua memoria.
Il convegno ha preso dunque spunto dalla tradizione locale per affrontare il tema dell'immaginario popolare
legato alle grotte: streghe e fade, anguane ed orchi, salbanelli e basilischi, fino a pochi anni or sono, popolavano anfratti
e caverne; queste figure, assieme a quelle dei santi eremiti o di briganti, sono spesso intrecciate in storie che si ripetono
con varianti in tutta la penisola. Il filo conduttore del convegno è stato quindi il recupero di questa memoria storica che si
colloca anche in ambiti geografici diversi. Si è voluto proporre una manifestazione che ha voluto uscire dall'ambito
ristretto di un convegno per "addetti ai lavori" (studiosi, etnologi, speleologi) e proporre questi temi ad un pubblico più
vasto; pubblico che peraltro non si è dimostrato insensibile al recupero del proprio patrimonio culturale.
Nel corso del convegno, che ha visto la partecipazione di studiosi provenienti da otto regioni italiane (Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Camapania, Puglia, Calabria, Sardegna), sono state presentate una ventina di
relazioni. Si è iniziato con studiosi locali (Cavalli, Chemin, Zanella, Zampiva) che hanno presentato temi ed aspetti
inediti del folklore vicentino. Poi l'ambito geografico è stato allargato con una carrellata sulle tradizioni delle regioni
italiane, fino a toccare altri paesi stranieri sia pure verosimilmente fra loro gravitanti.
Nel pomeriggio di sabato sono state presentate otto relazioni:
Adelina Cavalli di Valstagna ha ricordato il "filo" come momento magico di ascolto e ha rivissuto una leggenda,
memoria degli affetti del passato.
Alberto Talamanca del Gruppo Naturalistico Montelliano di Nervesa (Tv), ha parlato delle tradizioni legate ad
alcune grotte del Montello. La Grotta di S. Girolamo sarebbe legata al primitivo nucleo monastico che eresse poi la
Certosa del Montello, nel Buoro del Ciano vengono invece riconosciute antiche pratiche pagane, Il Bus della Regina viene
invece identificato dalla maliziosa fantasia popolare come via d'uscita per illeciti incontri amorosi della nobile veneziana
Caterina Cornaro, regina di Cipro. Altre tradizioni fanno riferimento alle fate o fade, a volte indicate come donne morte
durante il parto, e al massario folletto notturno dispettoso che abitava varie grotte e modeste cavità del Montello.
Terzo ad intervenire Pino Guidi, della Commissione Grotte E. Boegan di Trieste, dopo aver illustrato il patrimo­
nio folkloristico del Carso triestino (96 leggende legate a 54 cavità) ha auspicato una maggior collaborazione fra gli
speleologi e gli studiosi di folklore.
Lo storico Angelo Chemin, ha analizzato due cicli di leggende relative al territorio campesano (Canale di Bren­
ta) attinenti l'acqua intesa come elemento essenziale per la vita, approfondendo il tema del culto delle sorgenti. Nella
prima parte della sua relazione l'autore ha parlato di S. Martino di Campese e del corso della Rea esaminando antiche
divinità ad esso legate; nella seconda parte ha presentato alcune testimonianze di visioni verificatesi presso la "fontanel­
la" forse legate ad episodi sciamanici.
Fernando Zampiva di Arzignano ha presentato alcune leggende inedite raccolte nella valle del Chiampo che
hanno come riferimento alcune caverne della zona.
Per Carla Sartori, insegnante di Vicenza, la grotta è un luogo di "soglia", un luogo rigenerativo dove il bambino
può reintegrare e ricomporre la propria personalità.
Giampaolo Zanella, del Gruppo Grotte Giara Modon Valstagna, ha relazionato su tre grotte rupestri: il Covolo
di S. Michele di Fonzaso, la Corona di Mezo S. Gottardo in Val d'Adige e il Croz Corona in Val di Non. Queste grandi
cavità sottoroccia, poste lungo antichi percorsi ricalcati dalla via romana Claudia Augusta, sono associate a leggende che
testimoni�no una lunghissima frequentazione dalla preistoria ai nostri giorni.
Paola Favero, del Gruppo Grotte Cai Geo di Bassano, ha proposto al pubblico le proprie rielaborazioni sul tema
del folklore dell'Altopiano.
Nella mattinata di domenica sono state presentate dieci relazioni:
Giuseppe Grafitti, del gruppo Speleologico Sassarese, ha fatto una carrellata delle tradizioni che insistono sul
territorio della propria provincia evidenziando peculiarità e relazioni con i motivi che emergono nelle altre regioni italiane.
Paolo Montina, dell'Associazione Friulana Ricerche di Tarcento, nonché r�sponsabile per il folklore della Società
Speleologica Italiana, ha presentato alcune leggende sulla grotta Tasajama di Villanova delle Grotte in Friuli evidenzian­
do elementi tipici del folklore slavo.
Gilbero Calandri e Anna Valtolina, del Gruppo Grotte Imperiese, ci hanno parlato delle streghe legate alle
numerose grotte dell'estremo Ponente Ligure e delle credenze relative rImaste testimoniate
tradizione orale.
Nevio Basezzi e Luca Dall'Olio, del Gruppo Speleologico Bergamasco "Le Nottole", hanno preso in considera­
zione le leggende, le forme di culto e le pratiche devozionali relative ad alcuni santuari rupestri del Bergamasco.

-----1 LE MONOGRAFIE G.S.S. • 1


1/19961- -- - ----------- [l[}--
Lo scrittore-raccoglitore Attilio Benetti ha presentato alcune leggende, ancora inedite, della "montagna" veronese.
Lo scrittore Giuseppe Rama, del Curatorium Cimbricum Veronense, ha presentato un approfondimento di una
sua ricerca sul basilisco, essere ibrido immaginario ritenuto reale in molte valli della Lessinia.
Per Vincenzo Manghisi, del Gruppo Puglia Grotte di Castellana (Ba), le "invasioni" orientali hanno esaltato la
fantasia dell'uomo pugliese favorendo una splendida fioritura di storie e leggende che hanno come protagonisti personag­
gi del mondo classico.
L'argomento trattato da Antonio La Rocca, del Gruppo Speleologico Sparviere di Alessandria del Carretto (Cs),
è stato il· rapporto tra il brigantaggio e le caverne calabresi e lucane. Lo studioso ha riferito di numerose tradizioni
relative a tesori nascosti da briganti. in grotte della zona e ha fatto poi emergere analogie con altre regioni italiane
relative alle presenze fantastiche collegate con la custodia di questi tesori.
Fabrizio Bassani, del Gruppo Grotte Giara Modon Valstagna, che è impegnato da alcuni anni all'esplorazione
della regione di Kelmed (Alpi albanesi), ha presentato i dati relativi alle tradizioni orali raccolte sulla zona.
Ha concluso il convegno lo studioso vicentino Enrico Gleria, che ha parlato della nascita del movimento anacore­
tico e della caverna come luogo di ascesi ricorrente nella vita dei primi eremiti. Lo stesso relatore, come responsabile per
il folklore e le cavità antropizzate della FSV, alla conclusione della manifestazione si è impegnato, in tempi brevi, alla
stampa degli atti del Convegno per assicurare un'ampia diffusione di quanto è stato presentato dai vari relatori.
La buona
riuscita del
GRUPPO GROTTE GIARA MODON DI VALSTAGNA
Convegno è stata
garantita, oltre
FEDERAZIONE SPELEOLOGICA VENETA
che dai temi
affrontati e dalla
SOCIETA' SPELEOLOGICA ITALIANA
suggestione delle
acque dell'Oliero
in piena, anche da
quanti hanno
collaborato "fra le
quinte" al successo
LE STRIGHE DELL'OLIERa E ALTRE STORIE
della manifestazio­
ne e cioè a Carlo ID Convegno sul folklore delle grotte
Da.II'Acqua,
Alessio Dal Moro, OLIERO GROTTE - VALSTAGNA
Ennio Lazzarotto 19-20 OTTOBRE 1996
e all'infaticabile
Giancarlo Mar­
chetto.

Oliero Grotte (Vi), PROGRAMMA


23 ottobre 1996
Sabato 19 ottobre
ore 14.30 apertura dei lavori
relatori:
ADELINA CAVALLI: Leggende della Val dell'Oliero
ANGELO CHEMIN : Storie santi sorgenti
SERGIO BONATO : Personaggi dell'immaginario e cavita' carsiche
dell'Altipiano dei Sette Comuni
GIAMPAOLO ZANELLA e FABRIZIO BASSANI: Le vie dell'Arcangelo
ENRICO GLERIA: Il mondo sotterraneo nella tradizione popolare vicentina
FERNANDO ZAMPIVA: Grotte e anguane nella terra del Chiampo
ALBERTO TALAMANCA: Tradizione orale e leggende delle grotte del Montello
:
CARLA SARTORI La caverna nella geografia affettiva del bambino
PAOLA FAVERO: Ma dove sono finite le streghe?
PINO GUIDI: Leggende del Carso Triestino e delle sue Grotte
ore 19,30 fine dei lavori
ore 20.00 cena ai Contarini
ore 23.00 incontro con le strighe dell'Oliero

Domenica 20 ottobre
ore 9.00 ripresa dei lavori
PAOLO MONfINA:· Le grotte friulane fra storia e leggenda
NEVIO BASEZZI e LUCA DELL'OLIO: Santuari rnpestri della Bergamasca. Tradizioni e
leggende.
ATTILIO BENETTI: Favole della Lessinia
GIUSEPPE RAMA: il basilisco tra mito e realtà
GILBERTO CALANDRI e ANNA VALTOLINA: Grotte e streghe nel Ponente Ligure
GIUSEPPE GRAFFITI: Tradizioni e leggende nelle grotte del Sassarese
VINCENZO MANGHISI: Reminescenze classiche nelle leggende carsiche pu�
ANTONIO LAROCCA: Grotte e briganti. Storie e leggende di terra calabra e lucana
FABRIZIO BASSANI: Storie e leggende della moritagna di Scutari
ENRICO GLERIA : La caverna nella tradizione eremitica dell'Oriente cristiano
ore 13.00 chiusura dei lavori
ore 13.15 brindisi e bouffet di chiusura
La locandina
del Convegno
di Oliero
Grotte - con il patrocinio del COMUNE DI VALSTAGNA e della COMUNITÀ MONTANA DEL BRENTA
Valstagna (Vi)

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. .. .. . .. . .. .. . . ç� Q�L
.. .

1_ �ftuzi�
PRESENTAZIONE di Giuseppe Rizzo pago 4 Storia e leggenda di sequestri
e grotte al confine orientale
GROTTE E BRIGANTI pago 5-6
calabro-lucano pagg. 36-38

Pantt I : LEGGENDA iP,aw � III "sm BIlA


La confidenza pago 8 Lotta al brigantaggio: il tentativo nel 1862
di distruggere o colmare le cave e le grotte
Il sacrificio annullato pagg. 9-10
nei boschi di Monticchio ed Acquatella
Il capitano, la serva, Antonio Franco
(Basilicata nord-occidentale) pagg. 40-42
e la vendetta dei contadini pagg. 10-11

L'assalto dei briganti pagg. 11-12 iP:ar�� IV " Lim G1RO:rl'E


Il rapimento di un albidonese pagg. 13-15 Grotte calabresi catastate col nome
di "Grotta dei briganti" e c. pagg. 44-49
Il rapimento di un sallorenzano pago 16
Grotte lucane catastate col nome
La grotta di Antonio Franco pagg. 16-17
di "Grotta dei briganti" e c. pago 44
La grotta-rifugio del brigante
Grotte nell'area dei monti del Pollino
Antonio Franco e la donna rapita pago 18
e la loro frequentazione nel periodo
La grotta sparita pago 18 1861-65 pagg. 50-54

Una delle tante mitiche grotte Le grotte al confine nord-orientale


brigantesche: "A forchie u brigande" pago 19 calabro-Iucano pagg. 55-56

Il "monachiello", i briganti e la grotta Le grotte di Monticchio


di Santa Marina pago 20 ed Acquatella pagg. 57-58

Un "caccavo" pieno d'oro, la grotta


Parte V BIBLilOGRAFIA
dei briganti, quella di "Muleo"
-

e quella "i Scianìelle" pagg. 21-22 Bibliografia delle leggende e dei racconti
calabro-Iucani riguardanti le grotte
Il tesoro trovato dai briganti pago 23 e i briganti (in ordine cronologico
Il covo dei briganti e la mappa secondo l'anno di pubblicazione
del loro tesoro pagg. 23-24 dal 1985 al 1996) pago 60-63

Il tesoro della gr<.>tta di Falconara pg. 25 Bibliografia varia pago 63


Pubblicazioni consultate pago 64
Il tesoro della grotta di Santa Rosalia pago 25
Grotte e briganti in Maiella (Abruzzo)
Il tesoro della grotta
tratte dall'articolo di A. Antonucci
di Pietracommata pago 26
"La grotta dei faggi ed il brigantaggio:
Il tesoro delle grotte storia e leggenda" pago 65
di San Giovanni pagg. 26-27 Un po' di storie di "grotte e briganti"
La chioccia d'oro pagg. 27-28 riportate sul volume "Cristo si è fermato
ad Eboli" di Carlo Levi pagg. 66-69
"Gruttat brigandet"
Il brigante Musolino e la sua vita
e "Gruttat Marturini" pago 29
brigantesca e "speleologica", tratta
La grotta dei briganti - "Gruta dal volume di Enzo Magrì "Musolino,
brigandevet" di Vincenzo Bruno pago 30 il re dell'Aspromonte" pagg. 70-72
Leggende: antri, tesori... briganti Dal volume di Francamaria Trapani
di Vincenzo Bruno pago 31 "Le brigantesse" (Editrice Nanni Canesi,
Roma 1968), la storia della drammatica fine
Una chioccia d'oro con 12 pulcini
del temutissimo capo-brigante "Bizzarro"
per i 13 briganti di Antonio Franco
avvenuta in una grotta pagg. 73-74
di Giovanni Restieri pago 32-33

La dimora del brigante RECENSIONE: Il Convegno di Oliero


di Paolo Napoli pago 34 di Carla Sartori pagg. 75-76
• CO·NS LIDAMENTO
.PAR I ROCCIOSE

• BO . FICHE PENDII

DRYGOS
di LA ROCCA A. & C. s.n.c.

Contrada Neviera
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Tel. 0981/53025 • 0330/325096 • 0336/861450 r I


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