Liceo Classico Statale 'Bonaventura Secusio'': Candidato: Andrea Sciacca Classe V A

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Liceo Classico Statale ‘’Bonaventura Secusio’’

SEZIONE STACCATA
  Viale Margherita, 54
  95049 Vizzini (CT) 

Esame di maturità a. s. 2013/2014

Candidato: Andrea Sciacca


Classe V A
“Like a Beatle”
“Penso che ci sia l'urgenza di fermare la terribile fugacità del tempo. Con la
musica, la pittura... cercate di catturare anche un solo attimo maledetto.”

(Paul McCartney)

Sgt pepper's lonely hearts club band (1967)

Oscar Wilde
Sgt Pepper’s is among the most famous álbum in rock history and one of the first concept
album in rock music.Wilde was chosen by Lennon. John has always been a great reader,
and it is very likely that he was struck by the literature of Oscar Wilde.

He accept the theory of ‘Art for Art’s sake’. Oscar Wilde edited, at his own expense, Poems,
and when he was engaged for a tour in the United State ,he told reporters that
Aestheticism was a search for the beautiful . The most important work he write was the
novel ‘’ The Picture of Dorian Gray’’. In his life he met the young and beautiful Lord Alfred
Douglas ( Bosie) with had a homosexual relation. Bosie ‘s father forced a public trial and
Wilde was convicted of homosexual practices and he was sentenced to two years of hard
labour. When he was released his wife refuse to see him.and he went into exile in France.

Wilde adopted ‘the Aestetic ideal’,as he affirmed in one of his famous conversations: ‘’My
life is like a work of art’’. He lived in the double role of rebel and dandy( the dandy is a
bourgeios artist,member of this class in spite of his unconventionality)

The Picture of Dorian Gray


The protagonist is Dorian Gray,a young man whose beauty fascinates a painter,who paints
his portait.When the painters sees the corrupted image of the portrait because of his life
full of pleasure and excess,Dorian kills him.Later he wants to free himself of the portait but
he mysteriously kills himselft.

This story is profoundly allegorical ( is as a new version of the myth of Faust,a man who
sells his soul to the devil). The soul of Dorian become the Picture which records the signs of
experience,the corruption,the horror and the real sins concealed under the mask of
Dorian’s timeless beauty. The moral of this novel is that every excess must be punished and
reality cannot be escaped

La contestazione giovanile del ‘68


“Gli anni sessanta hanno assistito a una rivoluzione tra i giovani, che non si limitata solo
ad alcuni piccoli segmenti o classi, ma che ha coinvolto l'intero modo di pensare. Toccò
prima ai giovani, poi la generazione successiva. I Beatles furono parte di questa
rivoluzione, che in realtà è un’evoluzione ancora in atto. Eravamo tutti nella stessa
barca: una barca che andava alla scoperta del Nuovo Mondo. I Beatles erano di vedetta.”
(John Lennon)
Tra il 1950 ed il 1970, in conseguenza al boom economico che interessò i Paesi
industrializzati, si assistette, in America e in Europa in particolare, all’aumento dei
consumi privati e non essenziali, come l’abbigliamento, le automobili, gli elettrodomestici,
ovvero i cosiddetti “consumi superflui”, che portarono alla standardizzazione dei modelli di
consumo: si affermò così quella società consumista caratterizzata dal rapido
invecchiamento tecnologico di molti prodotti industriali, dalla frequente sostituzione dei
beni d’uso corrente molto al di là delle necessità imposte dall’uso materiale, dal massiccio,
e spesso invadente, condizionamento esercitato da un’onnipresente pubblicità e da una
certa tendenza allo spreco.

Per questa società così costituita, a partire dagli anni ’60 si assistette ad una sorta di
rifiuto ideologico, in quanto la si accusava di sostituire allo sfruttamento economico di tipo
tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio, esercitata soprattutto attraverso
la pubblicità e i mass media; fu per questo che si assistette alla ripresa delle ideologie
rivoluzionarie di matrice marxista. La contestazione studentesca degli anni ’60 e ’70
nacque proprio da questa realtà e, inizialmente, si configurò come rifiuto delle
convenzioni, di vera e propria fuga dalla società industrializzata (fu specialmente il caso
delle comunità hippy con il loro ritorno alla natura) e alla creazione di una cultura
alternativa, in cui confluivano pratica della non violenza e religiosità orientale (buddismo,
induismo), consumo di droghe leggere e  messaggi della nuova musica. Gli studenti,
tramite le occupazioni delle università, le autogestioni, le assemblee e le manifestazioni,
volevano far sentire la loro voce ed esprimere il loro dissenso verso: le politiche
imperialiste, in quanto “la violenza dispiegata contro i popoli del terzo mondo era la prova
tangibile di quanto limitata e condizionata fosse la libertà che veniva loro promessa,
apparente la pluralità delle scelte consentite, ipocrita la buona coscienza del dopoguerra”
(1968 Dizionario della memoria); la critica era rivolta anche alla guerra in Vietnam
Freud e la psicoanalisi

La Psicoanalisi è letteralmente lo studio dell'anima e della mente. Fu sviluppata


da Sigmund Freud (medico neurologo di origine austriaca), alla fine del '800, per
superare alcuni limiti che riscontrava nel trattamento dei disturbi psicologici (ad es.
isteria, nevrosi). Allora si usava soprattutto la tecnica dell'ipnosi. Lo Psicoanalista
austriaco rivoluzionò il metodo di affrontare i disturbi introducendo quella che allora
chiamò: “la Cura delle parole”, grazie alla quale le persone riuscivano a parlare
liberamente seguendo il flusso dei propri pensieri, senza censure. Comodamente
sdraiati sul divano (il lettino dell'analista), i suoi “pazienti” parlavano per libere
associazioni, senza uno schema preordinato, saltando da un pensiero all'altro. In questo
modo, secondo Freud, emergono pensieri e sensazioni rimossi dalla coscienza
(inconsci), e con essi i traumi e le "verità nascoste" delle persone. Freud era convinto,
infatti, che i traumi rimossi e i conflitti bloccati dentro la mente fossero all'origine delle
patologie.

Psicoanalisi: Io, Es, Super Io


Un concetto fondamentale per la Psicoanalisi, espresso da Freud, è la suddivisione della
psiche in tre parti. Semplificando molto il suo concetto potremmo dire che la psiche è
composta da:
 Io: la parte cosciente e consapevole di noi stessi, o meglio la parte con cui
identifichiamo noi stessi e che ci fa adeguare alla realtà;
 Es: la parte "primordiale", inconscia e non consapevole che è "governata" dagli
istinti e dalle pulsioni;
 Super Io: la parte della mente che – in modo "automatico" – governa i nostri
impulsi e li censura, ad esempio facendoci vergognare o sentire in colpa, oppure
dicendoci che "questo o quello" non si possono fare perché sono azioni da
persone cattive, oppure sono cose maleducate o sconvenienti.
Per arrivare a conoscere l'Es, oltre alla “cura delle parole”, Freud usava l'interpretazione
dei sogni, ricchi di simboli e significati: la “via maestra verso l'inconscio”. In questo
modo Freud ha elaborato la “Teoria dell'inconscio” e fondato un nuovo metodo
terapeutico per trattare i disturbi che, ai tempi, segnò una specie di rivoluzione e fu
adottato da molti altri suoi colleghi.

La Psicoanalisi e lo Psicoanalista
La Psicoanalisi nasce come metodo di esplorazione della mente che, seguendo il flusso dei
pensieri, senza censura, attraverso sogni e libere associazioni, permette di far emergere,
analizzare e superare i contenuti nascosti.
Guidata in questo percorso dallo Psicoanalista, la persona diventa in grado di capire
autonomamente la sua sofferenza e la causa del suo disagio. Il fatto di arrivare da sola alla
consapevolezza dei vissuti rimossi (traumi, emozioni...), e a quella parte inaccessibile
della propria mente (Es - Inconscio), fa sì che la persona possa superare il proprio
problema, e generare quegli "anticorpi" che le permetteranno di non bloccarsi in futuro in
altre problematiche simili.
(IL ROCK PSICHEDELICO (l’introspezione in musica)
Di Massimo Salari (con il contributo di Giancarlo Bolther)

L’ORIGINE

Molti anni sono passati dalla nascita del Rock, più di cinquanta da quando Elvis Presley
con la sua chitarra ha sconvolto il panorama musicale con brani scatenati e ballate
strappalacrime. Da questo momento in poi, gli eventi si sono susseguiti vertiginosamente e
una strepitosa gara di fantasia si scatena fra l’Inghilterra e l’America per diventare il
dominatore mondiale del mercato discografico.

Tutto nasce dalla fusione del country con il blues ed è molto interessante andare a
riscoprire i classici come Chuck Berry o Bo Diddley, in particolare può riservare delle vere
sorprese il blues suonato nell’area della Motor City (Detroit), uno stile già carico di energia
e di quella forza espressiva che caratterizzerà il rock più duro degli anni a venire. Ma la
risposta inglese non si fa attendere e con i Beatles si apre un’ autostrada da percorrere a
perdifiato, ricca di idee innovative. Da essa si dirameranno numerosi percorsi alternativi
come il Beat, il Pop, il Rock Progressivo e con il brano “Norwegian Wood” (dei Beatles
appunto) anche la Psichedelia, che molti fanno partire con il famoso Sgt Pepper. In realtà il
genere ha precise origini americane e più precisamente da San Francisco.

IL TERZO OCCHIO
Nel 1966 il Beat è il genere più in voga, ma alcuni cantanti incominciano a caricarlo di
nuovi contenuti, come ad esempio il “poeta” Bob Dylan, che con i testi riesce a visualizzare
al meglio la propria musica. “Visualizzare”, questa sarà la chiave di lettura della
psichedelia, un genere molto introspettivo e… lisergico. Infatti in questo storico periodo
nel mondo del Rock, in particolare tra i Freak, si fa spazio una nuova drammatica realtà: la
droga, e la musica viene investita con grande violenza da questa che, senza falsa retorica,
può essere definita come la peggiore piaga sociale della fine del secolo scorso.

Gli artisti non si rivolgono alla Cocaina o all’Amfetamina per soggiogare lo sforzo fisico, ma
si preferiscono droghe che distorcono la realtà, come l’Hashish e la Marijuana. Queste
riescono a far viaggiare l’uomo in meandri mentali mai raggiunti prima, suggerendogli
soluzioni nuove e bizzarre, che poi vengono trasferite nella musica. Ma fa la comparsa sul
mercato anche una droga che sarà la più usata nell’ambito del Rock Psichedelico: il
Dietilamide dell’acido Lisergico più comunemente chiamato LSD o Acido, una droga
chimica.

Inizialmente questo proliferare di sostanze porta ad un delirio di onnipotenza creativa, ma


nel tempo si rivelerà per quella che è, ossia una vera e propria macchina di morte. Artisti
come Morrison (Doors) ed Hendrix trovano la prematura fine proprio per l’eccessivo
abuso, mentre altri ne rimangono fortemente colpiti, un esempio su tutti Syd Barrett dei
Pink Floyd, ma l’elenco sarebbe troppo triste e lungo.
“Ne abbiamo passate tante, negli anni sessanta, con tutta la droga e gli amici che
morivano come mosche, e adesso siamo arrivati al punto in cui diamo davvero un
grande valore alla vita” (Paul McCartney)

Giosuè Carducci

Giosuè Carducci nasce nel 1835 a Val di Castello, in Versilia, da famiglia medio borghese e
trascorre l’infanzia in Maremma. Studia alla Normale Superiore di Pisa e si laurea in
lettere nel 1856. Nel 1860, mentre insegnava al liceo di Pistoia, il ministro Terenzio
Mariani lo chiamò all’insegnamento della letteratura italiana nell’università di Bologna , e
cominciò così una seconda fase della vita di Carducci, che sentì fortemente la
responsabilità della cattedra e affiancò alla sua attività letteraria un intenso lavoro di
filologo, editore di testi, critico. Lasciò la cattedra nel 1904. Nel 1907 ottenne il premio
Nobel per la letteratura. Morì nello stesso anno.

La storia interiore del C. è legata strettamente a quella degli avvenimenti politici italiani.
Egli visse intensamente gli anni che, videro l’attesa della liberazione del Veneto e di Roma,
i tentativi garibaldini di Aspromonte, il trasferimento della capitale a Firenze,n la
conquista di Roma e la fine del potere temporale dei papi, le vicende interne fino alla
caduta della Destra e all’avvento al potere della Sinistra. In questi anni C. prese parte alla
vita politica, da oppositore deciso del governo. Così, mentre sottolineava la mediocrità
politica e la mancanza di eroismo di quel tempo, si fece però sostenitore del popolo, della
“plebe”, “diseredato gregge”, visto come la vera forza motrice della storia, in grado di
trasformare il mondo. Altro oggetto della sua opposizione fu poi la chiesa: il suo
anticlericalismo lo scagliò contro di essa, che egli vedeva come un baluardo della tirannide:
la chiesa per Carducci era il simbolo dell’oscurantismo. La sua visione divina passava
attraverso la liberazione da ogni ascetismo, che mortifica il godimento della vita e
dell’azione, ascetismo tipicamente religioso, ma che, come ogni altra forma di
oscurantismo medievale, stava per essere soppresso dalla forza della ragione, della scienza
e del progresso, di cui egli fa una vera e propria esaltazione.

Successivamente, col passare degli anni e grazie alla stabilizzazione politica italiana,
dovuta anche alla presa di Roma, Carducci venne a moderare le sue posizioni,
avvicinandosi gradualmente alla monarchia. La data simbolica di questa svolta della sua
vita potrebbe ricondursi all’incontro con la regina Margherita, alla quale dedicò una delle
Odi barbare Così, il suo acceso patriottismo si trasformò in nazionalismo, arrivando
addirittura alla formazione di un circolo monarchico. Ora per lui il popolo poteva essere lo
strumento per accrescere il valore nazionale, attraverso guerre imperialistiche. Nel 1890
accettò la nomina a senatore e nel 1891 fu padrino di un circolo monarchico. Con una
eguale parabola il suo anticlericalismo si venne attenuando e smorzando, e se ancora alla
fine della vita il C. proclamò il proprio laicismo e la propria miscredenza, riconobbe pure il
valore storico e civile non solo del sentimento religioso in genere, ma del cristianesimo e
del cattolicesimo. Un’altra trasformazione, parallelamente a questa ideologica, si ebbe
nella sua poetica; la sua educazione era stata essenzialmente “classica”, fondata sui greci,
sui latini, sulla tradizione italiana. La sua partecipazione alla vita politica segnò anche un
allargamento dell’orizzonte culturale. Egli si orienta infatti verso orizzonti più aperti. Ma
forte rimase la sua matrice giovanile, soprattutto nel campo letterario: nelle sue opere
troviamo infatti un discorso poetico “ alto “, e aulico, e nel suo pensiero uno sdegno verso
le forme più popolari, con critiche quindi ai romanzi, e al Manzoni. In giovinezza la sua
poesia è sdegnosa del romanticismo sia manzoniano sia di quello sentimentale e popolare
del Prati e dell’Aleardi che definì “sentimentale ed effeminato”. Egli si definisce l’ultimo
scudiero dei classici, sceglie di esprimersi in forme alte e auliche. Poi però il suo spirito
battagliero espressosi in forme classicheggianti si stempera lasciando spazio a momenti di
sconforto, di tedio esistenziale, angoscia per la morte e nostalgia della gioventù.

Carducci proprio per queste sue tendenze stilistiche è stato definito da Croce “l’ultimo dei
classici”, come il poeta che seppe resistere alla “malattia” romantica, a differenza di tanti
scrittori della sua età. Altrettanto però si oppone con la sua visione della vita severa e forte
alla tormentata poesia del ‘900, “all’uomo di pezza” di Ungaretti, o al “male di vivere” di
Montale. Al contrario, critici più recenti come Mario Praz, considerano questo poeta come
un tardo romantico, che si aggrappa alla classicità per esorcizzare le angosce che lo
assillano, e che quindi assume il mondo antico come un’evasione esotizzante dalla realtà
squallida e mediocre della società borghese.
Opere
Gli inizi della sua attività di poeta sono da attribuirsi alle opere “Juvenilia” e “ Levia
Gravia”, raccolte i cui caratteri definì lui stesso quando scrisse di essere stato “scudiero dei
classici”: è una lirica di scuola, di buona scuola, in cui sono anticipati molti tratti dell’uomo
maturo, e di cui si può apprezzare la maestria nel trattare temi e metri diversi, ma in cui
non vi sono ancora né una personalità umana fortemente rivelata, né una individualità di
scrittore. La raccolta “Levia Gravia”, in particolare, è composta da due volumetti, di 14
componimenti ciascuno, scritti fra il 1861 e il 1871. L’ultimo è “l’Inno a Satana” (pubblicato
come opera a sé nel 1863), dove Satana appare come il simbolo del progresso umano.

Inno a Satana

A SATANA

A te, de l’essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso;

Mentre ne' calici


Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;

Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,

E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;

A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.

Via l'aspersorio,
Prete, e il tuo metro!
No, prete, Satana
Non torna in dietro!

Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico,
Ed il fedele

A te del Libano
Fremean le piante,
De l'alma Cipride
Risorto amante:

A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori,

Tra le odorifere
Palme d'Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.

Che val se barbaro


Il nazareno
Furor de l'agapi
Dal rito osceno

Con sacra fiaccola


I templi t'arse
E i segni argolici
A terra sparse?

Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.

Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nume ed amante,

La strega pallida
D'eterna cura
Volgi a soccorrere
L'egra natura.

Tu a l'occhio immobile
De l'alchimista,
Tu de l'indocile
Mago a la vista,

Del chiostro torpido


Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
Cieli novelli.

A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s'ascose.

O dal tuo tramite


Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.
In van ti maceri
Ne l'aspro sacco:
Il verso ei mormora
Di Maro e Flacco

Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,

Rosee ne l'orrida
Compagnia nera,
Mena Licoride,
Mena Glicera.

Ma d'altre imagini
D'età più bella
Talor si popola
L'insonne cella.

Ei, da le pagine
Di Livio, ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi

Sveglia; e fantastico
D'italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su 'l Campidoglio.

E voi, che il rabido


Rogo non strusse,
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,

A l'aura il vigile
Grido mandate:
S'innova il secolo,
Piena è l'etate.

E già già tremano


Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,

E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra' Girolamo
Savonarola.

Gittò la tonaca
Martin Lutero;
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,

E splendi e folgora
Di fiamme cinto;
Materia, inalzati;
Satana ha vinto.

Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra:

Corusco e fumido
Come i vulcani,
I monti supera,
Divora i piani;

Sorvola i baratri;
Poi si nasconde
Per antri incogniti,
Per vie profonde;

Ed esce; e indomito
Di lido in lido
Come di turbine
Manda il suo grido,

Come di turbine
L'alito spande:
Ei passa, o popoli,
Satana il grande.

Passa benefico
Di loco in loco
Su l'infrenabile
Carro del foco.

Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!

Sacri a te salgano
Gl'incensi e i voti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti.

Settembre 1863

EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Poesie", a cura di Giorgio Bàrberi Squarotti, Garzanti Editore s.p.a, Milano, 1988

Parafrasi

Mi rivolgo a te [Satana], che sei l'origine di tutta la realtà esistente, il fondamento di ogni cosa e la sua
essenza, motore dell'intelletto e dei sentimenti; 

mentre il vino nei bicchieri brilla di una luce simile a l'anima quando sembra trasparire dagli occhi di una
persona; 
mentre sono immerso nella bellezza della terra e del cielo, che infondono una sensazione di armonia, 

e dai monti giungono suoni che danno una gioa paragonabile al giorno delle nozze [Imene, figlio di Apollo e
di una musa, protettore del rito del matrimonio] e la pianura fertile pullula di vita; 

mi rivolgo a te senza censura con i versi spregiudicati di questa poesia, invoco te, o Satana, [e ti dichiaro]
principio ispiratore degli umori di questo banchetto. 

Prete, metti da parte l'aspersorio [strumento usato per le benedire con l'acqua santa] e il tuo vecchio sistema
di valori! Giacché, prete, è inutile sperare che si possa tornare indietro lungo la strada del progresso,
simboleggiato da Satana. 

Vedi: la ruggine corrode la spada mistica di Michele, 

e l'arcangelo fedele, come un uccello che è stato spennato, cade nel vuoto. A Geova il fulmine è ghiacciato in
mano. 

Gli angeli sembrano piovere dalla volta celeste come meteore pallide, come pianeti spenti. 

Nella materia che è in un continuo divenire, re dei fenomeni, re de le forme, 

solo Satana vive. Lui tiene l'impero nel lampo tremulo d'uno sguardo femminile, 

sia che sfugga languido e resista, sia che provochi insinuante e languido, insista. 

È come se brillasse nei grappoli d'uva da cui si ricava il vino, grazie al quale la gioia, di per sé effimera, viene
ravvivata, 

[vino] che ristora la vita così fuggevole, che fa dimenticare il dolore, che ci infonde amore nel cuore. 

Satana, tu sei d'ispirazione ai miei versi, è come se impetuoso uscissi dal mio petto, sfidando il dio 

dei pontefici colpevoli [di opporsi alla libertà di pensiero], dei re sanguinari; e come un fulmine scuoti le
menti. 

A te [Satana], già identificato in Agramainio [il principio del male e della ribellione nella mitologia iranica],
Adone [allegoria della primavera e del rinnovamento della natura nella mitologia greca], Astarte [dea fenicia
del piacere], furono dedicate [statue di] marmo e [quadri su] tela e [scritti su] carta, 

quando il clima sereno delle coste della Grecia faceva da sfondo alla bellezza della nascente cultura ellenica. 

In tua presenza [Satana, attraverso la rappresentazione di Adone,] le foglie venivano spazzate dal vento
nelle foreste di cedri del Libano, tu [Satana ovvero Adone] amante di Venere [alma Cipride] ucciso [da un
cinghiale] e poi risorto: 

a te erano dedicati con passione cori e danze, a te i primi amori innocenti della fanciullezza, 

tra le palme odorose d'Idume [zona costiera della Siria, dove si celebrava il ritorno di Adone sulla terra],
dove si infrangevano le onde provenienti da Cipro. 
Cosa ne è stato del valore di tutta questa bellezza, se i cristiani [che si riuniscono a banchetto per celebrare
Cristo], come barbari, 

spinti da furore mistico, distrussero i templi dedicati a Satana e le testimonianze dell'arte pagana? 

[Satana non sparì del tutto,] gli ideali pagani furono mantenuti all'interno delle mura domestiche, tra la
plebe che ne conservava la memoria. 

Tu, Satana, divinità ardente, mentre agiti un palpitante seno femminile e infiammi d'amore i cuori, 

induci le streghe, sempre occupate segretamente nei loro rituali, a venire in soccorso dell'umanità così fragile
[attraverso la scoperta dio erbe e piante per curare le malattie]. 

Tu [induci] gli alchimisti occupati nelle loro attività, tu [induci] i maghi impazienti [di riuscire a controllare
la natura], 

oltre i cancelli dei loro laboratori [in cui si tramandavano le superstizioni medioevali], sveli il nuovo e
brillante orizzonte della verità [ovvero la scienza moderna]. 

Alcuni monaci cercarono di mettersi al riparo da Satana rifugiandosi in Egitto, nella regione desertica
intorno a Tebe [dove gli anacoreti si rifugiavano per fuggire le insidie e le tentazioni del mondo]. 

Anima, a cui è come se fosse stata amputata una parte di te, Satana è benevolo: ecco per te Eloisa [ovvero la
tentazione che coglie chi ha scelto una vita monastica, con riferimento alla tragica vicenda di Abelardo ed
Eloisa]. 

Invano [anima dell'uomo di fede cristiana] vieni traviata indossando la tonaca che è ruvida [come quella
indossata da Abelardo]: egli, Satana, è come se mormorasse le poesie di Publio Virgilio Marone e Quinto
Orazio Flacco 

mentre vengono recitate i salmi di David e i lamenti penitenziali [momenti tipici della liturgia all'interno dei
conventi]; e dà voce alle forme di una bellezza classica [delfiche, ovvero della bellezza rappresentata dal dio
Apollo]. 

Tra le orride vesti nere dei monaci conduci le figure femminili di Licoride [celebrata Virgilio] e Glicera
[celebrata da Orazio]. 

Ma di altre immagini risalenti all'antica Roma è come se si popolasse la cella dove il monaco passa le ore
insonni. 

Satana, attraverso le pagine di Tito Livio, fa rivivere esempi di grandezza romana [tribuni, consoli] 

che lasciano una profonda impressione nell'anima; e animato di orgoglio per la storia dell'Italia spinge te, o
monaco [Arnaldo da Brescia, riformatore politico-religioso, bruciato sul rogo nel 1155], sul campidoglio [a
voler introdurre le liberta civili]. 

E voi, che non siete stati fermati dal rogo rabbioso, [voi] voci che rivelano il destino, [John] Wicleff [ovvero
Wycliffe, riformatore inglese del XIV secolo, sostenitore di un ritorno della Chiesa alla purezza delle origini]
e [Jan] Husse [riformatore boemo, seguace di Wycliffe, condannò la corruzione degli ecclesiastici], 

diffondete nell'aria il vostro messaggio profetico: l'età è matura, è prossimo l'avvento di un era nuova. 
E già tremano mitre [simboli del potere ecclesiastico] e corone [simboli del potere monarchico]: dall'interno
della chiesa brontola la ribellione, 

e combatte e predica sotto l'abito monacale del frate Girolamo Savonarola. 

Martin Lutero si è liberato dalla tonaca [ribellandosi ai vecchi dogmi]; similmente, pensiero degli uomini,
liberati dei tuoi vincoli [ignoranza, superstizione] 

e splendi e luccica circondato dalle fiamme [dell'inferno, che viene minacciato per i peccatori]; coscienza
della propria essenza materiale, elevati sopra ogni altra questione; Satana ha vinto. 

Simile ad un mostro bello e orribile si lancia con violenza, corre da un oceano all'altro e per la terra: 

fiammeggiante e fumoso come i vulcani, supera le asperità del terreno, attraversa veloce le pianure; 

scavalca i dirupi grazie ai ponti; poi scompare alla vista entrando in galleria, attraversando in profondità le
montagne; 

e da lì fuoriesce; senza indugi il fischio del treno a vapore viaggia di costa in costa e ricorda i suoni di una
tempesta, 

come un turbine il suono si riverbera nell'ambiente circostante: questo annuncia alle genti il passaggio del
treno, simbolo della grandezza del progresso, impersonificata con Satana. 

Il treno a vapore [carro del foco] viaggia di luogo in luogo portando i suoi benefici senza che lo si possa
fermare. 

Porgo i miei saluti a Satana, metafora della ribellione, simbolo di quella forza che permette alla ragione di
prendersi la propria rivincita! 

Auspico che d'ora in poi l'umanità si rivolga a ciò che rappresenta Satana con la stessa devozione un tempo
riservata, nei riti e nelle richieste di aiuto, al Dio della tradizione cristiana.

Satana per i reazionari era simbolo della modernità da condannare in tutte le sue forme. Al
contrario Carducci in questa sua lirica celebra la figura di Satana e la rovescia in positivo;
esso diventa, quindi, simbolo degli aspetti più positivi della vita. Nelle prime cinque strofe
del componimento Satana rappresenta le gioie terrene: il banchetto, il vino, l’amore,
princìpi della pienezza vitale. A questo proposito significativi sono i versi 19-20 nei quali il
poeta con un apostrofo invoca Satana chiamandolo “Re del convito”. Nelle strofe seguenti
Satana viene identificato con le bellezze naturali ed artistiche; infatti Carducci lo
rappresenta con Agramainio, che nella mitologia iranica è il principio del male e della
ribellione, con Adone, che nella mitologia greca è il bellissimo ragazzo di cui si innamorò
Venere, allegoria della primavera e della natura e della natura fiorita, e infine Astarte, dea
fenicia del piacere. Le bellezze naturali vennero fissate sulla tela o sulla carta o scolpite nei
marmi dai Greci (cfr. verso 91 “i segni argolici”). Contro queste bellezze artistiche si
scagliarono però con la loro ottusità ed il loro oscurantismo i primi cristiani, che non
compresero il valore intrinseco di queste opere, e le considerarono solo idoli pagani. Ma il
paganesimo, benchè bandito dal cristianesimo, sopravvisse nella plebe (vv 93-96).

L’inno continua poi mettendo in campo due figure: quella dell’alchimista e del mago del
medioevo, entrambi insoddisfatti del loro sapere. Essi sono esempi dell’oscurantismo
medievale e della superstizione che la ragione e la scienza, incarnate da Satana, dovrebbero
trasformare in vero sapere (vv 105-108). Nella strofa seguente (vv 113-116) Carducci
descrive  i primi monaci cristiani che praticarono l’ascetismo nel deserto; il monaco è
definito triste proprio perché fugge dalla natura, si nasconde da essa perché vede in questa
una manifestazione di Satana. Ma certamente i più degni simboli dell’oscurantismo
medievale, in quanto ne furono vittime, sono Abelardo ed Eloisa. Abelardo fu un celebre
filosofo vissuto nel XII secolo, propugnatore del libero pensiero, si innamorò della sua
allieva Eloisa e venne punito dallo zio di lei con l’evirazione.

Poi polemicamente il poeta descrive la vita nel chiuso del convento dove i monaci sono
attratti in maniera peccaminosa dalla cultura classica, leggendo Virgilio, Orazio e gli
elegiaci. Qui è Satana ad essere simbolo di questa cultura, in quanto espressione di valori
come la bellezza, l’amore e i piaceri della vita.

Con il passare dei secoli, soprattutto a partire dal 1300 Carducci mostra però come l’ascesi,
la rinuncia, il dogmatismo non abbiano vinto del tutto: lo provano i roghi di Wicleff e di
Huss, di Arnaldo da Brescia e di Savonarola, tutti monaci riformatori bruciati come eretici.
A queste figure si associa quella di Lutero, l’iniziatore della riforma protestante, poi
scomunicato dalla Chiesa di Roma.

Nel finale dell’inno, Satana viene identificato con il progresso della scienza, forza “vindice”
della ragione e del progresso che anche nel presente ha vinto ogni forma di oscurantismo e
di dogmatismo del cristianesimo. L’immagine più evidente del progresso è la macchina a
vapore, la locomotiva, “un bello e orribile mostro” (vv 169-170). 

Le idee che il Carducci esprime nell’inno, così rivoluzionarie, e forti, erano comuni a buona
parte dell’opinione pubblica del tempo, decisamente anticlericale, laica e vicina
all’ottimismo della filosofia positivista.

È altrettanto significativo come Carducci sviluppi una materia così nuova e rivoluzionaria
in forme però classicheggianti: tutta la poesia è ricca di termini aulici, di riferimenti dotti,
di latinismi.

A mio giudizio la sezione della poesia più ricca di preziosità e di erudizione è quella in cui
Carducci fa sfoggio delle sue conoscenze mitologiche, cioè i versi dal 65 all’84, dove
racconta il mito dell’amore tra Venere e Adone ed i luoghi dove le divinità venivano
venerate.

Per quanto riguarda invece i latinismi possiamo portare come esempio il “brando”, ovvero
la spada, al verso 27, “l’alma Cipride”, verso 75, che ci ricorda l’Alma Venus del proemio
del De Rerum Natura di Lucrezio, cioè la Venere datrice di vita, oppure anche la natura
“egra” del verso 104.

Egra deriva dall’aggettivo latino aeger, che significa malato, debole. Troviamo anche pugna
(v 157), vindice (vendicatrice, da “vindix”). 

Conclusioni

Una valutazione del Carducci anticlericale, sostenitore della modernità e democratico,


compare in un giudizio di Natalino Sapegno in “Ritratto di Manzoni e altri saggi”. Egli
sostiene che con la raccolta Giambi ed Epodi e in particolare con l’Inno a Satana esplode
l’autentica “scapigliatura carducciana”; il poeta, servendosi del linguaggio della satira, per
tradizione genere minore e meno obbligato ad uno stile rigoroso ed ad una lingua illustre,
dà voce ai valori della libertà, della giustizia, della solidarietà umana, in una parola agli
ideali giacobini, che aveva fatto propri dopo la lettura di autori d’oltralpe come Michelet,
Proudhon e Hugo.

Secondo Sapegno le novità di questa raccolta sono due: da un lato “la maggior concretezza,
il rilievo, la compattezza nuova della sua poesia”, cioè il fatto che rappresenti in maniera
plastica ed oggettiva il reale ed il quotidiano, dall’altro “la novità del linguaggio, che a tutta
prima salta agli occhi: la sua energia scattante, le sue impennate prepotenti, quel suo modo
di confessarsi nei momenti lirici di ripiegamento e di rimpianti, il verso andare che
schiaffeggia gli idoli di un mondo falso”.

Proprio queste due novità nella sua produzione lirica portano il critico a concludere che
Carducci senza ombra di dubbio debba essere annoverato fra gli esponenti della letteratura
post-romantica, infatti dice Sapegno che questi “erano gli anni in cui anch’egli imprecava
contro il gusto borghese, contro i pregiudizi e le paure dei moderati, e guardava con terrore
al pericolo di diventare il poeta laureato dell’opinione pubblica”.

Sapegno conclude che nonostante questa sia la stagione lirica del Carducci più attiva e
vitale, essa presenti però dei limiti: quegli ideali rivoluzionari e giacobini che era andato
esprimendo restavano ideali astratti, un po’ vuoti, immagini eloquenti e retoriche espressi
in un linguaggio aulico e solenne fino a sfiorare il ridicolo. La causa di questi limiti è da
ricercare in concreto nella sua formazione culturale esclusivamente letteraria e
accademica, sprovvista di salde basi dottrinali.

Nonostante il giudizio del Sapegno sul fatto che le idee di modernità del Carducci poggino
solo su basi libresche, quello che colpisce in questo poeta è il fatto che seppe cogliere
l’importanza che la macchina “avrebbe di lì a poco ricoperto nelle trasformazioni
rapidissime della società e del costume”.

La raccolta seguente “ Giambi ed Epodi” comprende 31 poesie scritte fra il 1867 e il 1879. Il
titolo si riferisce a due ritmi poetici (cioè a due modi di sistemare la successione delle
sillabe di un verso) usati dai poeti greco-latini per un tipo di poesia aspra e satirica: allude,
così, al contenuto polemico della raccolta. Fra le poesie più note della raccolta: Agli amici
della valle Tiberina, Meminisse horret, La consulta araldica, Avanti! Avanti!, Mazzini, Il
canto dell’amore.

Le“Rime nuove” è una raccolta di 105 poesie composte fra il 1861 e il 1887 che
comprende poesie ora “letterarie” ora “intime”, nate da affetti autobiografici.
È l’opera più intima e umana del Carducci: visioni storiche, paesaggi e ricordi giovanili ne
sono i principali motivi. Le poesie più famose della raccolta sono: Il bove, Virgilio, Funere
mersit acerbo, Traversando la Maremma toscana, Pianto antico, San Martino, Idillio
maremmano, Davanti San Guido, La Leggenda di Teodorico, Il comune rustico, Sui campi
di Marengo, Faida di comune, Maggiolata.

Le “Odi barbare” è una raccolta di 57 poesie iniziate nel 1873 e pubblicate in tre riprese
(1877, 1882, 1889). Il titolo è spiegato dal poeta: “Queste odi le intitolai “barbare” perché
tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se bene volute comporre
nelle forme metriche della loro lirica“. Tra le poesie più note della raccolta troviamo:
Nell’annuale della fondazione di Roma, Dinanzi alle terme di Caracalla, Alla vittoria, Alle
fonti del Clitunno, Nella piazza di San Petronio, Per la morte di Napoleone Eugenio, Alla
stazione in una mattina d’autunno, Miramar, Alla regina d’Italia.

“ Siamo più popolari di Gesù Cristo adesso. Non so chi morirà per primo. Il Rock and Roll
o il Cristianesimo.” ( Jonh Lennon -1966)
“Probabilmente dobbiamo sembrare come anti-religiosi... Nessuno di noi crede in Dio.”
(Paul McCartney)

Luciano
Luciano nacque intorno al 120 d.C. a Samòsata, capoluogo della Commagene di Siria da una
famiglia piuttosto modesta. Non molto si sa su di lui. I suoi genitori, ritenendo che i loro mezzi
finanziari non fossero sufficienti per permettere al ragazzo di affrontare studi lunghi e costosi, lo
avviarono all'arte della statuaria, mandandolo a bottega da uno zio che però lo scacciò a bastonate
dopo che rovinò un blocco di marmo. L., dunque, si allontanò dalla sua città per frequentare una
scuola di retorica, e successivamente iniziò una carriera di sofista che lo portò a viaggiare molto.
Sotto il nome di L. ci son giunte ottanta operette, una cinquantina di epigrammi, quattro epistole
fittizie. L. stesso (nel Bis accusatus) ci dice che intorno ai quaranta anni egli si volse a nuove forme
letterarie e abbandonò la retorica per la filosofia.
La satira, l'invettiva, la dissertazione erudita e superficiale, il dialogo serio e comico, il mimo, o
ingenuo o spinto fino alla farsa, l'epistola, il saggio critico, il ritratto biografico sono tante forme
letterarie rappresentate più o meno largamente negli scritti di Luciano. L'elemento soggettivo
abbonda, ma è esagerato asserire che attraverso i suoi scritti si può ricostruire tutta la sua vita.
Nell’opera biografica, Il sogno, L. vuole essere esempio e sprone a giovani poveri, perché non si
spaventino delle difficoltà e dei disagi che incontrano nei primi anni. Onori e ricchezze sono lì
rappresentati come frutto di viaggi e di prove date della sua bravura in varî centri dell'Impero. In
questa opera, egli stesso narra che gli apparvero in sogno la Statuaria e l'Eloquenza, prospettando i
vantaggi che ciascuna di loro avrebbe potuto offrirgli. L. scelse l'Eloquenza e si dedicò allo studio
della lingua e della letteratura greca, della quale acquisì ben presto grande padronanza.
Benché fosse essenzialmente un sofista, dedito all’intrattenimento leggero e brillante, le sue opere
non si risolvono in un puro esercizio letterario. Egli, infatti, esprime coerentemente l’adesione a
una visione laica e razionalistica della realtà, e, pertanto, fortemente contraria a certe tendenze
misticheggianti e irrazionali che andavano a diffondersi. Uomo non privo di interessi filofofici, L.
manifesta una certa simpatia sia verso il cinismo da cui trae spunti e modelli per la sua opera di
scrittore satirico, sia per l’epicureismo che gli offre il sottofondo dottrinale per la sua polemica
religiosa.
Fedro e la critica alla società
Fedro ha introdotto nella letteratura latina il genere delle favole, riprendendolo dal greco
Esopo, ma adattandolo al suo stile. Per questo è considerato il più grande favolista del
mondo latino. Una delle poche certezze sulla vita di questo autore è che proveniva dalla
Macedonia, che era provincia romana, e che è stato schiavo di Augusto, che ha deciso di
liberarlo per le sue capacità letterarie. Fedro ha iniziato a scrivere fin da quando era molto
giovane ed aveva una visione pessimistica della vita

Fedro è considerato il più grande favolista del mondo latino. L'importanza di


Fedro sta nell'aver introdotto nella letteratura latina un genere letterario: la favola,
appunto. Non sono pervenute molte notizie biografiche su Fedro, perfino il nome è dubbio,
non si sa se fosse Phaedrus o Phaeder. Una delle poche certezze sulla vita di questo
autore è che proveniva dalla Macedonia, che era provincia romana, e che è stato
schiavo di Augusto, che ha deciso di liberarlo per le sue capacità letterarie.
Fedro ha iniziato a scrivere fin da quando era molto giovane. Tra il 20 a.C. e il 50 d.C. ha
vissuto sotto Augusto, Tiberio e Claudio. 
Fedro aveva una visione pessimistica della vita: vedeva gli uomini divisi tra chi è
potente (violenti, prepotenti e autoritari) e chi si trova a dover sottostare ai primi, tacendo
e subendo passivamente. Fedro considerava questi ultimi vili per il loro
comportamento, ma li giustificava in quanto temevano, non a torto, per la
propria vita. Fedro analizzava la società attraverso gli occhi di un liberto e sapeva cosa
voleva dire essere schiavo dei potenti. Fedro, tuttavia, descrivendo la realtà, non aveva
alcun intento rivoluzionario: non si illudeva di poter cambiare il mondo, ma avrebbe voluto
solo correggerlo, dando dei consigli per farlo migliorare. 

Fedro, per il genere, si ispirava ad Esopo, il maggiore favolista greco, anch’egli


giunto in Grecia come schiavo e poi liberato perché letterato. Fedro ha ripreso il genere
favolistico sia perché lo preferiva rispetto ad altri generi, sia perché attraverso le favole
poteva esprimere, anche se non esplicitamente, giudizi sulla sua epoca e sulla politica.
Quindi era innocuo solo in apparenza, perché in realtà descriveva la situazione
socio-politica, usando metafore ed allegorie. Fedro si è ispirato anche a Callimaco,
Ennio ed Orazio.
Le favole sono strutturate in:
- prologo, anche di un solo verso, che mira a fissare il principio-base con cui deve essere
letta la favola;
- corpo centrale, la vera e propria favola;
- epilogo, conclusione che tira le somme e a volte contiene la morale.
Lo stile di Fedro è leggero, semplice e chiaro, anche se utilizza allegorie (facilmente
comprensibili) e altre figure retoriche. Le favole sono scritte in senari giambici. Per quanto
riguarda la lingua, Fedro utilizza il sermo cotidianus, perché le sue favole sono rivolte
ad un pubblico vasto, fatto di letterati e di semi-analfabeti. Inoltre, essendo un liberto, è
abituato a parlare con gente umile. C’è comunque un’elaborazione formale e un attento
studio delle parole che mira ad ottenere un effetto comico sotto il quale si nasconde una
verità spesso amara.
La scelta degli animali come protagonisti delle sue favole ha un'importanza
essenziale, in quanto poteva parlare della società a contadini e pastori che stavano
sempre a contatto con gli animali e quindi era più semplice farsi capire. Gli uomini
dell'epoca capivano il senso di tali similitudini riconoscendo negli animali uno specchio. A
differenza delle opere mitologiche, nelle quali gli animali si comportano come uomini,
dove si trattano canoni di comportamento, nelle favole vengono interpretati come semplici
consigli. La forma allegorica permette di esprimere una polemica molto acuta,
ponendo l'attenzione sulle classi inferiori in una società dominata dai potenti. Si nota
comunque il pessimismo, dato dalla consapevolezza che è difficile un cambiamento.

IL LUPO E L'AGNELLO LUPUS ET AGNUS


Un lupo e un agnello, spinti dalla sete,   Ad rivum eundem lupus et agnus
erano andati allo stesso ruscello. venerant, siti compulsi. 
   
Il lupo stava più in alto e, un po' più Superior stabat lupus, longeque inferior
lontano, in basso, l'agnello. agnus. 
   
Allora il malvagio, incitato dalla gola Tunc fauce improba latro incitatus iurgii
insaziabile, cercò una causa di litigio. causam intulit: 
   
"Perché - disse - mi facesti diventare "Cur -  inquit - turbulentam fecisti
torbida l'acqua che sto bevendo? mihiaquam bibenti?" 
   
E l'agnello, tremando: Laniger contra timens : 
   
"Come posso - dice - fare quello che "Qui possum - quaeso - facere quod
lamenti, lupo? L'acqua scorre da te alle quereris, lupe? A te decurrit ad meos
mie sorsate!" haustus liquor."
   
Quello, respinto dalla forza della verità: Repulsus ille veritatis viribus:
   
"Sei mesi fa - aggiunse - hai parlasti "Ante hos sex menses male - ait  -
male di me!" dixisti mihi". 
   
Risponde l'agnello: Respondit agnus: 
   
"Ma veramente... non ero ancora nato!" "Equidem natus non eram!"
   
"Per Ercole! Tuo padre - disse - ha parlò "Pater, hercle, tuus - ille inquit  - male
male di me!" dixit mihi!" 
   
E così, lo afferra e lo uccide dandogli Atque ita correptum lacerat iniusta
una morte ingiusta. nece.
 
Questa favola è scritta per quegli uomini Haec propter illos scripta est homines
che opprimono gli innocenti con falsi fabula qui fictis causis innocentes
pretesti.  opprimunt.

LE STELLE Una stella puo' essere definita come un'enorme sfera autogravitante di
gas caldissimo (principalmente idrogeno ed elio), che produce energia attraverso un
processo di fusione nucleare e la riemette sotto forma di radiazione. 
Le stelle si trovano a distanze immense dal nostro sistema solare, cosi' ci appaiono come
piccoli puntini luminosi nel cielo. Esse costituiscono la componente principale delle
galassie, che sono agglomerati di miliardi di stelle grandi e piccole, di nubi di gas e
polvere. 
Le stelle ci appaiono sulla sfera celeste raggruppate in insiemi, detti costellazioni. A
molte stelle gli astronomi hanno attribuito nomi propri, per lo piu' di origine greca, araba
o latina. Altre vengono classificate con il nome della costellazione a cui appartengono e
una lettera dell'alfabeto greco, che indica la luminosita' relativa a quella delle altre stelle
della stessa costellazione. Ad esempio, Alfa Tauri e' la stella piu' brillante della
costellazione del Toro, Beta Tauri la seconda, e cosi' via. Altre ancora prendono il nome
da particolari cataloghi nei quali sono classificate. I piu' moderni cataloghi, compilati
con l'aiuto delle osservazioni di satelliti artificiali, contengono anche milioni di stelle,
oltre ad altri oggetti, galattici ed extragalattici. 

Una mappa di Orione, una delle piu' famose e delle piu' belle
costellazioni dell'emisfero boreale.(SEDS)

La formazione delle stelle 

Le onde sonore
Il suono è prodotto dalla vibrazione di un corpo in un mezzo materiale, come l'aria o
l'acqua. Quando un corpo − per esempio, una lamina metallica o la corda di uno strumento
musicale − vibra, mette in vibrazione le particelle d'aria (o genericamente quelle del mezzo
nel quale è immerso) che gli sono immediatamente adiacenti e trasmette a distanza la
vibrazione attraverso un'onda elastica, detta onda sonora (o acustica). Dunque, per
propagarsi le onde sonore hanno bisogno di un mezzo materiale, le cui molecole vibrino e
trasmettano il segnale sonoro (nel vuoto, infatti, il suono non si propaga).
Quando una corda sollecitata vibra, produce nell'aria circostante una serie ritmica di
compressioni e di rarefazioni che si propagano verso l'esterno. Le variazioni della
pressione dell'aria attorno a un valore medio, associate alla regolare alternanza di
compressioni e rarefazioni, rappresentano l'onda sonora. La perturbazione si allarga in
modo concentrico dalla sorgente e, poiché si tratta di un'onda, non vi è trasporto di
materia. Le onde sonore sono onde longitudinali, poiché la direzione di vibrazione delle
molecole d'aria (o di ogni altro mezzo nel quale si propaghi l'onda) è parallela alla
direzione di propagazione dell'onda.
La sorgente di un'onda sonora può essere la vibrazione della corda di una chitarra,
dell'ancia di un clarinetto, della membrana di un tamburo o anche la vibrazione delle
nostre corde vocali. Negli strumenti a fiato, come il flauto, l'aria che viene soffiata nel
bocchino dello strumento mette in vibrazione la colonna d'aria contenuta nello strumento
stesso. Nel pianoforte le corde dello strumento vengono percosse da un martelletto e
indotte a vibrare. Il pianoforte, poi, funziona da cassa armonica e vibra assieme alle corde:
sono le vibrazioni prodotte nell'aria dalla cassa armonica che noi percepiamo come suoni.
In un altoparlante le vibrazioni di una membrana sono indotte da impulsi elettrici e a loro
volta inducono la vibrazione dell'aria, producendo un suono.
La velocità di propagazione delle onde sonore dipende dal mezzo materiale nel quale si
propagano (che può essere ogni mezzo elastico, sia esso un gas, un liquido o un solido).
Nell'aria la velocità di propagazione delle onde sonore è di circa 330 m/s, mentre nei
liquidi e nei solidi essa è molto maggiore: nell'acqua, per esempio, la velocità di
propagazione del suono è di 1400 m/s, mentre nell'acciaio è di circa 6000 m/s. La velocità
di propagazione del suono nell'aria è molto inferiore alla velocità di propagazione della
luce, che è di circa 300.000 km/s nel vuoto, e questo è il motivo per cui durante un
temporale, per esempio, i tuoni associati ai lampi vengono uditi con un certo ritardo di
tempo, che dipende dalla distanza alla quale si è verificato il fenomeno. Misurando dopo
quanti secondi o frazioni di secondo udiamo un tuono dopo aver visto un lampo, in base
alla velocità del suono possiamo calcolare approssimativamente a quale distanza si è
prodotto il fulmine.

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