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Gobustan Azerbaijan
Gobustan Azerbaijan
GOBUSTAN
AZERBAIJAN
by
EMMANUEL ANATI
with contributions of
Djafargulu N. RUSTAMOV, Firuza MURADOVA and
Malahat N. FARADJEVA
Eni
WARAARCHIVES
EDIZIONI DEL CENTRO
2001
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WARAARCHIVES
EDIZIONI DEL CENTRO
2001
DIRECTOR
Emmanuel Anati
If not differently indicated, illustrations come from WARA (World Archives of Rock Art).
Photographs by Emmanuel Anati.
Copyright © by WARA, 2001.
WARA project is sponsored by UNESCO, CIPSH (Conseil International de la Philosophie et des
Sciences Humaines), and the Italian Ministry of Foreign Affairs, General Direction of Cultural
Relations.
Key worlds: Prehistoric Art, Rock Art, Origins, Prehistory, History, Europe, Azerbaijan, Gobustan,
Caucasus, Caspian Sea.
Research in Gobustan has been realised by CCSP with the contribution of Italian Ministry of
Foreign Affairs and with the participation of the Gobustan's State Historical-Artistic Reserve.
This book is published with the contribution of Agip Azerbaijan.
Informations:
Centro Camuno di Studi Preistorici
25044 Capo di Ponte (BS), Italy
Tel. (0039) 0364.42091, Fax (0039) 0364.42572
E-mail: mailto:ccspreist@tin.it
Sito internet: http://www.rockart-ccsp.com/
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Le incisioni rupestri della “terra di Gobu” sono rimarchevoli anche per la resa realistica e
l’attenzione riservata alle proporzioni dei soggetti, e per la conoscenza che i loro creatori
possedevano riguardo alla vita e ai movimenti degli animali.
Le figure possiedono, talvolta, dimensioni superiori a quelle reali: alcuni bovidi raggiungono i 2
metri di lunghezza, un’immagine ittimorfa a Gayaalti supera i 4 metri, mentre la figura di un
“marinaio”, a Shikhov, misura 4,3 metri.
Le immagini erano realizzate per picchiettatura, incisione e, in misura minore, per levigatura o con
la tecnica per graffi “ripetuti”. Occasionalmente sono state trovate tracce di pittura che indicano
che perlomeno alcune incisioni dovevano essere dipinte.
Malahat N. Faradjeva
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la Riserva un luogo di cultura e di turismo. Ogni anno essa viene visitata da migliaia di turisti
provenienti da tutto il mondo. Questo luogo, dove natura e storia coesistono in perfetta armonia,
attrae i giovani come le generazioni più mature.
I monumenti del Gobustan celano però ancora innumerevoli segreti che richiedono ulteriori
ricerche capaci di donare loro quel riconoscimento internazionale che è finora mancato.
PREMESSA
Sin dall’antichità l’Azerbaijan ha suscitato l’interesse di viaggiatori e storici. Durante l’epoca
Classica questa regione fu conosciuta con il nome di “terra del fuoco”, a ragione delle peculiari
coreografie create dai fuochi sprigionati da gas e petrolio. Nel passato la regione tra le montagne
del Caucaso e l’Iran è stata considerata il sito del biblico Giardino dell’Eden, luogo di origine
dell’intera umanità. Si è anche ipotizzato che potesse essere la culla di provenienza degli antichi
popoli mesopotamici.
Le leggende sorte sull’Azerbaijan hanno creato attorno a questa regione una sorta di alone mitico:
sia essa, o meno, la terra di provenienza della civiltà sumerica o il Giardino dell’Eden, senza dubbio
è stata uno dei crogioli dell’umanità sin da tempi molto remoti.
Tracce di presenza umana sono diffuse in tutta l’area: la scoperta di insediamenti e di strumenti di
pietra rivela migliaia di anni di storia umana. Ma la più sorprendente fra le testimonianze
dell’Azerbaijan è senz’altro costituita dall’arte rupestre.
La maggior concentrazione di attività artistica è stata scoperta nella regione del Gobustan, tra le
ultime propaggini meridionali del Caucaso e il Mar Caspio, a circa 60 km a sud della capitale Baku.
Quest’area è stata, da tempi immemorabili, uno dei passaggi obbligati per il transito tra Asia ed
Europa. Numerose superfici rocciose sono coperte da migliaia di incisioni rupestri, con
sovrapposizioni che svelano una multimillenaria successione di stili e periodi.
Dopo le prime scoperte, risalenti agli anni 1939-40, l’esplorazione sistematica della zona aveva
avuto inizio nel 1947 ad opera di I. M. Djafarsade. Nel 1973 questo studioso aveva rilevato e
studiato circa 3.500 figure, distribuite su quasi 750 rocce: esse formarono il tema di un libro di
qualità eccellente per l’epoca in cui apparve (I. M. Djafarsade, 1973). L’inventario è stato ripreso
ed ampliato da R. Djafargulu, che ha scoperto nuove rocce istoriate (R. Djafargulu, 1994) ed ha
eseguito scavi archeologici in alcune grotticelle. In una di esse è stata rilevata una successione di
livelli antropici di oltre due metri di spessore, dall’epoca recente, attraverso l’età del Bronzo ed il
Neolitico, fino ad una cultura mesolitica, risalente a circa 10.000 anni fa e caratterizzata da
un’industria litica con lamelle e microliti geometrici. In questo contesto egli ha trovato diversi
frammenti di rocce istoriate. Uno di questi, con incisioni di grandi figure antropomorfe, è
presumibilmente caduto dalla parete in un livello mesolitico. Esso costituisce un terminus ante
quem, poiché se il frammento è caduto in un simile livello, esso deve essere stato istoriato
precedentemente alla formazione del giacimento in cui è stato ritrovato.
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I rilievi realizzati da Djafarsade sono schematici, ottenuti ricalcando fotografie, e mostrano solo le
figure principali e più visibili, ma nel loro insieme forniscono un’eccellente panoramica dei temi e
degli stili dell’arte del Gobustan. Essi illustrano figure animali di grande formato e figure umane
schematizzate che riflettono mentalità di popoli di Cacciatori-Raccoglitori. Altre figure rientrano in
stili caratteristici di Agricoltori Incipienti, altre ancora di Pastori, altre di popolazioni ad Economia
Complessa.
L’arte rupestre del Gobustan appare come un “archivio storico” con numerosi stili figurativi che si
sovrappongono in successioni di periodi e fasi. Djafarsade propose una prima loro sistemazione
cronologica con grande intuizione, malgrado la mancanza dei moderni sistemi di rilievo e di analisi
che, in effetti, sembrano oggi confermare in gran parte le sue ipotesi. Fu l’opera di Djafarsade a
suscitare il nostro interesse ed a spingerci sul luogo.
Le tre concentrazioni principali di arte rupestre, nelle località di Buyukdash, Kichikdash e
Jinghirdag-Yazilitepe, riflettono analoghe caratteristiche topografiche. Due di esse guardano le
sponde del Mar Caspio e sono ubicate a circa 100 e 200 m sopra l’attuale livello del mare. La terza
è a qualche chilometro di distanza verso l’interno,
circa alla stessa altitudine. Sono alture piatte, a
mesa, circondate da pendii coperti da blocchi di
calcare staccatisi dagli strati superiori a seguito
dello sfaldamento di quelli sottostanti più teneri.
Questo processo ha costituito degli ammassi
caotici, formando grotte e grotticelle spesso
raggiunte dalla luce, nelle quali i numerosi resti
di cultura materiale indicano che i clan vi
trovavano riparo.
L’area è stata visitata nel Maggio 2000, nel corso
Fig. 16 di una settimana, da un’équipe del Centro
Camuno di Studi Preistorici formata, oltre che dallo scrivente, da Ariela Fradkin Anati, Alberto
Giacomazzi e Marco Antonello, con il coordinamento logistico di Stanislav Rubenchik ed il cordiale
appoggio dell’Ambasciata Italiana a Baku. Il team è stato gentilmente guidato dalla direttrice del
Parco, Sig.ra Malahat N. Faradjeva, e dell’archeologo Rustamov Djafargulu.
La sequenza di stili illustra una successione di periodi, con specifiche caratteristiche, che forniscono
informazioni storiche di grande importanza. L’iconografia rupestre presenta un’eccezionale sezione
della storia dell’Azerbaijan, oltre che una specie di “riscontro di passaporti” per chi vi è transitato.
LA SEQUENZA STILISTICA
L’ Azerbaijan è la porta di una delle principali vie delle migrazioni tra Europa ed Asia. Le grandi
piste che provengono dal territorio persiano (l’Iran di oggi) e dalle valli della Mesopotamia
(l’odierno Iraq) penetrano, da un lato, tra le montagne dell’Anatolia. Una seconda direttrice
conduce invece verso l’Ucraina, attraverso la catena del Caucaso e il Mar Caspio, fino alla pianura
del Volga. La topografia dei confini orientali dell’Europa, marcata dalle catene del Caucaso e degli
Urali e dalla depressione caspica, evidenzia questa come la più facile via di accesso all’Europa
dall’Asia. Gli antenati di varie popolazioni europee transitarono da qui, trovando rifugio nei ripari
dove hanno lasciato le loro impronte.
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Quando il Mar Caspio, alla fine del Pleistocene e all’inizio dell’Olocene, era collegato da una fascia
di mare al Mar Nero, già venivano usate imbarcazioni per attraversare questa striscia di mare che
segnava l’ingresso in Europa. Le incisioni rupestri ci mostrano figure di piroghe che, come appare
dalla stratigrafia, devono risalire ad oltre 10.000 anni fa. Sono tra le più antiche figure
d’imbarcazioni che si conoscano.
Nel 1976 lo scrivente analizzò questa complessa successione di orizzonti di arte rupestre in una
recensione del libro di Djafarsade (E. Anati, 1976). Già allora il Gobustan appariva come un caso
eccezionale per la ricchezza di paralleli con altri siti mediorientali.
Nel frattempo, all’estremità opposta dell’Europa, in Portogallo e in Spagna, sono venute alla luce
nuove aree di incisioni rupestri paleolitiche all’aperto. Le più importanti di queste sono Foz Côa
(Portogallo) e Siega Verde (Spagna), che hanno successioni stilistiche simili anche se meno
complesse (E. Anati, 1995, pp. 235-259; M. Varela Gomes-, 2000, pp.23-42). Le datazioni
proposte per Foz Côa hanno suscitato un vivo dibattito nella comunità scientifica e, anche per
questo, è oggi di grande utilità ed attualità la sequenza del Gobustan. Essa mostra infatti,
all’estremità dell’oriente europeo, diversi elementi della stessa successione di stili di Foz Cóa e di
Siega Verde ed una medesima “logica” evolutiva degli stili. La sequenza del Gobustan, tuttavia,
sembra iniziare prima di quella dei siti della Penisola Iberica ed è più costante, includendo fasi
mesolitiche e neolitiche. L’orizzonte più antico del Gobustan non è presente nei siti di arte
rupestre all’aperto dell’occidente europeo, ma ha paralleli con ritrovamento di arte parietale in
grotta e con oggetti di arte mobiliare in Europa e in Asia.
Alcune delle fasi dei Cacciatori Arcaici, con figure animali di grande formato, mostrano analogie
stilistiche con l’Europa occidentale. Paradossalmente vi sono, in particolare, similitudini con
complessi iconografici attribuiti alla cultura Solutreana, che non esiste in Azerbaijan.
Con l’inizio della produzione del cibo, tuttavia, la sequenza del Gobustan assume caratteristiche più
vicine al mondo mediorientale. Infine, durante l’età dei Metalli, l’arte rupestre mostra caratteri
tipici delle culture diffuse attorno al Mar Nero e soprattutto della cultura dei Kurgan.
Djafarsade riconosceva sei gruppi stilistici distinti ai quali attribuiva valori di carattere cronologico.
Tre di essi erano attribuiti a popolazioni di Cacciatori e tre a società ad Economia Complessa. Già
nel 1976 lo scrivente mise in evidenza come alcuni di questi stili trovano raffronti nell’arte rupestre
dell’Anatolia (E. Anati, 1972°) e dell’Arabia Saudita (E. Anati, 1972b, pp. 11-14).
La sequenza proposta da Djafarsade corrisponde, in gran parte, alle sequenze stabilite nelle altre
regioni menzionate e le datazioni proposte da questo autore vanno riconsiderate
conseguentemente. Tali parallelismi mostrano la similitudine dell’evoluzione stilistica e concettuale
dell’arte rupestre tra il Vicino Oriente, l’Asia Minore e l’area caspio-caucasica, aprendo così nuove
prospettive alla ricerca. Ora si aggiungono anche paralleli con la sequenza stilistica dell’arte
paleolitica all’aperto dell’Europa occidentale.
Il Gobustan emerge come un punto chiave per la ricerca dell’arte rupestre eurasiatica con una
dovizia di elementi, sia di carattere europeo, sia di carattere asiatico.
Malgrado l’abbondanza di elementi comparativi, uno degli aspetti curiosi della sequenza del
Gobustan sta nella sua unicità. Nell’area caucasica e pontica, infatti, si conoscono numerosi siti di
arte rupestre. Vi sono, in particolare, grandi concentrazioni in Armenia, Georgia e nelle zone
interne dell’Azerbaijan, ma tutte di epoche assai tarde.
Gli orizzonti noti dei popoli cacciatori sono concentrati solo nel Gobustan: ciò indica il ruolo
fondamentale di questa provincia, come zona di transito e di sosta lungo la grande pista
eurasiatica.
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La sua sequenza stratigrafica è caratterizzata da tre grandi orizzonti dei popoli cacciatori e
raccoglitori, il primo con temi prevalentemente antropomorfi, gli altri due con temi in maggioranza
zoomorfi. Anche le differenze stilistiche tra il primo orizzonte e gli altri due sono notevoli, e ciò
suscita un problema di interpretazione. Si tratta di due mentalità e di due orientamenti concettuali
diversi. Ma quali erano le cause di tali differenze?
Seguiamo gli orizzonti stilistici identificati da Djafarsade nel loro ordine, aggiungendo i
commenti e le precisazioni derivate dalle nostre osservazioni e, soprattutto, apportando
nuovi elementi che contribuiscono a rivederne la cronologia.
elemento, dovevano essere considerate incomplete dai loro fruitori e furono perciò “perfezionate”
mediante la sua aggiunta.
Lo stile si fa più schematico, inciso più superficialmente, e meno curato. Le figure sono
solitamente più piccole della fase precedente.
I/E. Figure in prevalenza femminili con decorazioni, tatuaggi ed elementi di abbigliamento.
Spesso di grande eleganza, ritratte in una stilizzazione ermetica, sono a volte accompagnate da
immagini di imbarcazioni: ciò farebbe pensare alla persistenza dello stesso mito di origine delle fasi
precedenti e quindi ad una continuità della tradizione.
L’orizzonte I è quindi caratterizzato dalle figure femminili, che appaiono prevalentemente all’inizio
e alla fine, mentre nelle fasi intermedie uomini e donne appaiono ugualmente rappresentati.
Le imbarcazioni potrebbero comparire fin dall’inizio, ma tale ipotesi deve essere ancora
comprovata. Quello che è stato considerato come un singolo orizzonte appare piuttosto come una
successione di stili che copre più periodi. Le figure antropomorfe costituiscono il tema dominante,
mentre le imbarcazioni sembrano raccontare la “storia” di antenati mitici, protagonisti di un’epica
traversata del mare.
Analisi comparative di stile e di tipologia sono consistenti nel darci un orientamento cronologico:
esse sembrano indicare una straordinaria multi-millenaria persistenza del tema della figura
femminile steatopigica, una sorta di madre primordiale che accompagna il genere umano dal pieno
Paleolitico superiore al Neolitico. Le fasi più antiche hanno chiari raffronti con le figurine del
Paleolitico superiore europeo ed asiatico, in particolare con le cosiddette “veneri” attribuite alla
cultura aurignaziana, alcune delle quali hanno oltre 30.000 anni (Z. A. Abramova, 1990). Ma non
tutto questo orizzonte sembra riferibile al Paleolitico: le fasi più tarde mostrano similitudini con le
figure antropomorfe epipaleolitiche del Totes Gebirge in Austria, (E. Anati, 1979, pp. 148-149), e
con gli affreschi di Catal Hüyük in Anatolia,
riferibili al proto-Neolitico e al Neolitico antico (J.
Mellaart, 1967, figg. 56, 61, 62; tav. XIII), le cui
datazioni al C14 non calibrato vanno dal 6.200 al
5.800 a.C. Alcune figure mostrano anche qualche
coincidenza stilistica con l’orizzonte III dell’arte
rupestre in Anatolia (E. Anati, 1972°, p. 46).
Sorprendenti paragoni, di eguale livello stilistico,
archeologico e concettuale, sono presenti nel
periodo Hunting-and-Pastoral della Penisola
Arabica (E. Anati, 1972b, p. 46; 1974°, p. 157).
Concetti figurativi analoghi, in complessi di
soggetti simili, si riscontrano in varie località più
lontane, ad esempio in una fase delle pitture
rupestri del Levante spagnolo (A. Beltrán, 1968,
pp. 41-segg.), o, in formule e dimensioni diverse,
in Alto Egitto, in quello che Winkler chiama
complesso degli Early Oasis Dwellers (H. A.
Winkler, 1939, II, pp. 27-30).
Fig 22a
Questi vari casi menzionati non hanno necessariamente relazioni dirette tra loro, ma sono
espressioni di gruppi umani in condizioni economiche e culturali simili e mostrano la presenza di
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modelli diffusi nello spazio e nel tempo. In molti casi tali immagini sembrano riferirsi ad esseri
mitici, patriarchi e matrone, connessi con le mitostorie tribali. La matrice concettuale del mito di
origine e della grande migrazione ha la diffusione di un archetipo.
Il primo orizzonte stilistico di Djafarsade, sembra dunque comprendere una gamma di fasi diverse,
le più antiche delle quali trovano paragoni in espressioni dell’arte delle fasi più antiche del
Paleolitico superiore. Il modello primario è riferibile ai Cacciatori-Raccoglitori Arcaici, continua
nella transizione tra Cacciatori-Raccoglitori Arcaici ed Evoluti, e nelle fasi dei Cacciatori-Raccoglitori
Evoluti, fino all’inizio di un’economia di produzione, quando ancora la caccia e la raccolta
occupavano una parte fondamentale delle risorse di sussistenza.
Uno dei problemi fondamentali da risolvere concerne la data d’inizio: a quando risalgono le più
antiche figure del Gobustan? E chi erano i loro autori, da dove venivano? Pur avendo qualche
indizio dai paragoni menzionati, allo stato attuale delle ricerche non è ancora possibile
trovare una risposta. Essa potrebbe essere nei numerosi giacimenti non ancora indagati nei
ripari sotto roccia. Quali che siano le risposte, s’intravedono gli elementi di una grande avventura
umana pertinente alle origini dell’Europa.
L’analisi archeologica accurata del Gobustan, con scavi ai piedi delle rocce istoriate, rilevamenti
sistematici e analisi tecniche delle stesse incisioni rupestri, potrebbe permettere precisazioni
cronologiche e culturali di ampia portata.
Per il momento, in base alle attuali conoscenze, la datazione proposta da Djafarsade per questo
orizzonte sembra restrittiva. La durata appare assai più prolungata nel tempo e l’inizio assai più
antico di quanto finora ipotizzato.
L’orizzonte seguente, caratterizzato dalle grandi figure zoomorfe, potrebbe intercalarsi tra le prime
fasi di questo complesso. L’apparizione di
imbarcazioni, come pure dell’arco e della freccia,
potrebbe rivelarsi più antica di quanto finora
ritenuto. Se si confermassero paleolitiche, come
sembra, sarebbero tra le prime figure conosciute
con simili soggetti.
Indubbiamente l’Azerbaijan ha giocato un ruolo
fondamentale come luogo di passaggio alle porte
d’Europa. Questo primo orizzonte della sequenza
stratigrafica dell’arte rupestre del Gobustan è
enigmatico anche per le sue singolari
caratteristiche stilistiche e tematiche. Esso
costituisce un capitolo nuovo per lo studio
dell’arte rupestre. Si direbbe trattarsi di un
prototipo concettuale dal quale si sono sviluppati
altri tipi di arte preistorica, sia mobiliare, sia
immobiliare. L’ipotesi che possano esservi
relazioni concettuali e cronologiche con le
statuette delle “veneri” pone quesiti sulla
eventuale dinamica delle associazioni. Fig 22b
Cosa ha originato cosa? E perché?
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Fig 26a
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Essa sembra rappresentare una balena. Un simile animale, istoriato in un riparo che si affaccia sul
Mar Caspio, può riferirsi solo ad un’epoca in cui tale animale viveva in quello che ora è un grande
lago.
Ci si domanda per quanto tempo una balena può restare intrappolata in uno specchio d’acqua
chiuso. Questo riparo, oggi a circa 150 m sopra il livello del mare e a meno di un km dalla riva,
doveva essere allora ancor più vicino alla costa, buon punto di osservazione in un’epoca in cui il
Mar Nero e il Mar Caspio dovevano essere collegati.
Quello che Djafarsade ritiene l’orizzonte II, appare in effetti l’insieme di opere prodotte da vari
gruppi umani che sovente scelgono le stesse superfici. Il più tardo dei gruppi ha la consuetudine
di fare proprie le precedenti incisioni di grandi animali, che rispondono ad una sintassi di
associazioni, aggiungendo accanto ad esse figure umane più piccole, di fattura meno accurata e
con incisioni meno profonde, che appaiono piuttosto rispondere ad una sintassi di scene. Si tratta
di un fenomeno ricorrente anche in altre zone rupestri, quello di artisti che raffigurano “se stessi”
presso istoriazioni più antiche per farle proprie. Si hanno casi del genere in Valcamonica (Italia),
nel deserto del Negev (Israele), nell’Helan Shan (Cina) ed altrove (E. Anati, 1995).
Questo complesso sembra dunque suddivisibile in tre fasi distinte:
II/A. Grandi figure animali in stile naturalistico attribuibili ad una fase antica o media del
Paleolitico superiore. Alcune di esse mostrano paragoni con le figure zoomorfe del periodo
Solutreano di Foz Côa e Siega Verde.
II/B. Figure animali di grande e medio formato, di stile meno naturalistico, generalmente incise a
linea di contorno, con le zampe unite, i musi schematizzati ed altre caratteristiche riferibili al
Paleolitico superiore finale o all’Epipaleolitico.
Questa fase trova raffronti in Siberia, in Asia centrale (A. P. Okladnikov & V. A. Zaporojskaia,
1959, pp. 87-89) e in Arabia (E. Anati, 1972b, p. 85). II/C. La terza fase è caratterizzata da figure
umane che descrivono scene di caccia attribuibili a Cacciatori-Raccoglitori Evoluti. Essa comprende
anche figure di animali, ma meno curate e di dimensioni minori. L’incisione è più superficiale e
chiaramente più fresca delle due fasi precedenti. Dai diversi gradi di erosione e conservazione, le
tre fasi appaiono di epoche diverse e, dall’analisi stratigrafica, è probabile, se pur la cosa richieda
ulteriori verifiche, che s’intercalino con le fasi tarde del primo orizzonte stilistico di Djafarsade a
prevalenza di figure antropomorfe.
Mentre l’orizzonte II/A illustra una concettualità pienamente paleolitica, con le associazioni
metaforiche di bovide e cavallo e di altri animali, e mostra analogie stilistiche con i gruppi omologhi
d’Europa occidentale, l’orizzonte II/B rientra nel quadro dello stile sub-naturalistico. Trova raffronti
nel quadro epipaleolitico in Anatolia (E. Anati, 1972°, pp. 45-46) e nella zona alpina (E. Anati,
1974b, pp. 59-84). Nella Penisola Arabica è presente tra i gruppi rupestri definiti come Early
Hunters (E. Anati, 1972b, pp. 158-160).
Trova analogie a Kilwa, nel nord dell’Arabia Saudita, in quello che è definito il più antico stile di
questa località o “stile I” (H. Rhotert, 1938, pp. 161-191; E. Anati, 1963, pp. 205-212).
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Questo stile è ampiamente rappresentato in Siberia e Okladnikov ha proposto di fare risalire il suo
inizio al Paleolitico superiore (A. P. Okladnikov & V. A. Zaporojskaia, 1972, p. 102). La similitudine
con le silhouettes delle figure animali dipinte nella Grotta Kapova, negli Urali, potrebbe avere un
significato sincronico che tuttavia richiede ancora
una verifica (O. N. Bader, 1965, tav. VII).
Le tre fasi dell’orizzonte II di Djafarsade riflettono
tre mondi culturali e concettuali di popoli cacciatori,
che vengono definiti come Cacciatori Arcaici,
Cacciatori Arcaici finali e Cacciatori Evoluti e che
sono solitamente identificati con i periodi
Paleolitico, aleolitico finale/Epipaleolitico e
Mesolitico. Queste fasi mostrano una concettualità
molto diversa da quella del gruppo I, caratterizzato
dalle figure antropomorfe. Gli orizzonti II/A-B di
questo gruppo sono riferibili a Cacciatori Arcaici
mentre il terzo (II/C) appartiene alla mentalità dei
Cacciatori Evoluti, con la presenza di vere e proprie
scene, una struttura socio-economica più
complessa e con tendenze ad astrazioni e
generalizzazioni caratteristiche del Neolitico di aree
marginali o semi-aride.
Fig. 32b
Le associazioni di specie diverse di animali (II/A-B) riflettono una concettualità binaria metaforica
organizzata intorno al bovide e all’equide.
Le maggiori dimensioni del bovide indicano che questo animale doveva godere di una più grande
importanza concettuale. Simili associazioni sono caratteristiche dei Cacciatori Arcaici in Asia, in
Europa e in altri continenti. Intorno a questo tema è sorto un grande dibattito, scaturito dalla
proposta di A. Leroi-Gourhan che, per primo, ha suggerito che il bovide e il cavallo possano
rappresentare metafore dei principi femminile e maschile.
Ovviamente l’aggiunta di scene di caccia che riutilizzano le precedenti figure di animali riflette un
contesto culturale differente: mentre le fasi A-B dell’orizzonte II illustrano una visione universale e
un approccio generalizzato e non-specifico alle problematiche esistenziali, la scena descrive
momenti specifici ed eventi che, almeno nel continente eurasiatico, mostrano una mentalità certo
più vicina alla nostra. Espressioni artistiche simili tra di loro si trovano su una vastissima area,
dalla Karelia alle valli siberiane (Iu. A. Savvateiev, 1970; A. P. Okladnikov & V. A. Zaporojskaia,
1972), al deserto del Negev (E. Anati, 1999).
Da una analisi preliminare si direbbe che i due primi orizzonti di Djafarsade s’intercalano (si può
forse ipotizzare che la sequenza cronologica sia: I/A,B,C; II/A; I/D; II/B; I/E; II/C). Si tratta
comunque di una sequenza assai più complessa di quanto precedentemente previsto, che va
verificata con un’analisi più dettagliata delle sovrapposizioni. La sequenza andrebbe ovviamente
confortata da scavi archeologici ai piedi delle pareti istoriate.
L’intercalarsi di orizzonti a prevalenza di immagini antropomorfe con quelli dominati dalle figure
zoomorfe suscita quesiti di grande interesse per la comprensione della mentalità dei loro autori.
Sembra che vi siano riflesse due concettualità diverse dei Cacciatori-Raccoglitori Arcaici, l’una
incentrata sulla figura antropomorfa, l’altra sulla figura animale.
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La ricerca del significato culturale dell’avvicendarsi di due stili così diversi sollecita ipotesi varie che,
per il momento, non possono che essere speculative. Si è suggerito che potesse trattarsi di
economie diverse, una prevalentemente di Cacciatori-Pescatori, l’altra di Raccoglitori, ma questa
ipotesi è ancora tutta da verificare.
essere ritenuto parecchio più antico di quanto egli ha ipotizzato. Esso potrebbe risalire ad una
fase antica dell’Olocene: tentativamente una data iniziale attorno al 8.000-7.000 a.C. dovrebbe
essere vicina alla realtà. In questo orizzonte è possibile distinguere due fasi: quella più antica
(III/A) è la più naturalistica ed ha gli animali di più grandi dimensioni, anche di grandezza
naturale. La fase recente (III/B) mostra animali di proporzioni minori. Un’analisi più accurata potrà
condurre ad una più dettagliata suddivisione in sotto-periodi.
Nel corso di questo orizzonte, in generale, si nota una graduale diminuzione delle dimensioni delle
figure. Occasionalmente forme rotonde, larghe corna, ed altri elementi simbolici o di ornamento
donano un carattere specifico a questo stile. Nonostante simili differenze questa fase riflette
ancora una concettualità di Cacciatori Arcaici, anche se la datazione di queste figure è
probabilmente assai tarda. Sono popolazioni la cui principale risorsa economica è la caccia, alla
quale si aggiungono la pesca, attività di incipiente produzione del cibo e forse anche una fase
iniziale di allevamento del bestiame.
Senza un attento esame del contesto culturale e paleo-ecologico della zona, non è possibile
stabilire con sicurezza se popolazioni di tipo diverso abbiano potuto convivere in quella stessa area,
mantenendo ognuna le proprie caratteristiche e il proprio modo di vita, ma l’esame del materiale
sembrerebbe avvalorare tale ipotesi. E’ poco probabile che i santuari rupestri siano stati usati
contemporaneamente da popolazioni diverse. E’ tuttavia ipotizzabile che vi siano state alternanze.
Nelle stesse superfici si riscontrano anche piccole figure antropomorfe di profilo: sono
rappresentazioni femminili dai grandi seni e prominente steatopigia (rocce la, 8, 33, 42).
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Queste figure sembrano spesso disconnesse dagli insiemi che le circondano e, seppur
maggiormente stilizzate, mostrano talune analogie con i profili femminili dell’orizzonte I.
E’ ancora dubbio se esse siano parte dell’orizzonte precedente o se costituiscano un gruppo
autonomo. Esse mostrano caratteristiche diffuse tra le società neolitiche eurasiatiche.
Sorprendente è la loro identità stilistica e figurativa con lo stile Kaukab della Penisola Arabica, al
quale è stata attribuita una datazione tentativa al V e IV millennio a.C. (E. Anati, 1972b, p. 157;
1974°, pp. 204-205).
E’ suggestiva anche la similitudine con alcuni idoletti di ceramica e di pietra della zona pontica,
appartenenti alla cultura dei Kurgan (M. Gimbutas, 1956, fig. 25). Come ipotesi di lavoro, questo
stile può suddividersi in due sottofasi, A e B, che indicherebbero una presenza nell’area di gruppi di
Cacciatori Arcaici finali in concomitanza con le prime comunità agricole del Neolitico che, tra l’VIII
e il IV millennio a.C., andavano diffondendosi nelle valli più fertili.
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La fase IV/B mostra figure umane e animali che hanno raffronti con l’iconografia dell’arte plastica e
delle figure su ceramica dell’area a nord del Mar Nero (M. Gimbutas, 1956, pp. 155-197; 1975,
pp. 117-142).
La vita sta cambiando, e tali epocali mutamenti sembrano essere introdotti in Azerbaijan da una
nuova popolazione giunta da fuori, portatrice di una cultura già sviluppata altrove. Tra gli animali
domestici si notano cani, buoi, maiali, cavalli.
Probabilmente alcune immagini di falchi cacciatori appartengono a questo orizzonte. L’animale
selvatico dominante è la gazzella. La scena è la forma sintattica principale. Tra i temi raffigurati
ve ne sono di nuovi, sconosciuti nelle sequenze precedenti: scene di lotta armata, di
accoppiamento e di altri temi erotici, parate, cerimonie, e rappresentazioni di esseri mitologici dalle
sembianze immaginarie. Vi sono anche rappresentazioni di cavalieri in sella. A quanto pare, il
cavallo domestico arriva con questa nuova popolazione per ricoprire un ruolo, allo stesso tempo
sociale e tecnologico, molto importante.
Gli uomini sono armati di arco e freccia, lasso, bolas, lance, tridenti e spade. Appare il carro a due
ruote. Questa fase riflette una popolazione ad economia diversificata con allevamento, agricoltura
e commercio come elementi essenziali. Anche la lavorazione del metallo sembra essere introdotta
dai nuovi arrivati. La caccia è ancora praticata, ma non è più il fattore economico principale.
Mentre gli orizzonti precedenti sono concentrati nel Gobustan, questa fase appare diffusamente
anche in altre regioni dell’odierno Azerbaijan, con particolare intensità nella penisola di Apseron
dove è connessa con strutture megalitiche ed altri monumenti della cultura dei Kurgan.
Da notarsi alcune figure umane con grandi mani dalle cinque dita aperte, assai simili a quelle note
da una lastra tombale di Simferopol (Crimea), attribuita alla cultura dei Kurgan, sulla quale
appaiono anche figure di asce da battaglia della antica età del Bronzo (A. M. Tallgren, 1934, fig.
35). Talune immagini zoomorfe mostrano interessanti similitudini con le figure sbalzate sul ben
noto vaso d’argento di Maikop e con i relativi paralleli mesopotamici (M. I. Rofstovzeff, 1920, pp.
1-37).
Un piccolo particolare curioso è fornito dalle figure a scacchiera e a “tappetino”, che si è ipotizzato
possano rappresentare vestimenti sacri o mantelli rituali del capo o del sacerdote e che trovano
paralleli nelle pitture della Grotta Magoura in Bulgaria (E. Anati, 1971, fig. 65), nel Masso di Borno
in Valcamonica (E. Anati, 1968, p. 51) e nelle statue stele di Sion in Svizzera (A. Gallay, 1972, pp.
33-61). Tutti questi complessi sono connessi a culture megalitiche risalenti al tardo IV millennio e
alla prima metà del III millennio a.C.
Le figure riflettono un nuovo tipo di vita e di organizzazione socio-economica caratteristiche
dell’età dei Metalli. In considerazione dei contesti comparativi e, in particolare, delle similitudini
con le culture nord-caucasiche dei Kurgan, è tuttavia probabile che questa fase abbia inizio verso
la metà del IV millennio e che persista fino alla fine del II millennio a.C. e forse anche oltre.
L’orizzonte IV rappresenta una cultura forte, portata dall’immigrazione di nuove popolazioni che
hanno probabilmente dominato la zona costiera dell’Azerbaijan per oltre 2.000 anni. Da dove
veniva questa cultura? Secondo M. Gimbutas, l’area di origine dovrebbe essere sulle sponde
settentrionali del Mar Nero. Un attento esame della cultura materiale delle fasi più antiche note
nell’area costiera dell’Azerbaijan potrà confermare o smentire tale ipotesi.
Alcune delle figure considerate in questo complesso sembrano però di tipo diverso e sono
probabilmente posteriori (IV/C). Scene di caccia al cervo, condotta a cavallo, e raffigurazioni di
animali fantastici mostrano similitudini stilistiche con l’arte degli Sciti, riferibile alla metà del I
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millennio a.C. E’ una nuova ondata di gusto e di stile esotici. Ed è pensabile che questo
corrisponda alla fase di grande espansione dello stesso stile scita dalle sponde del Mar Nero
all’Estremo Oriente asiatico, che accompagna lo svilupparsi e l’espandersi di questa misteriosa
cultura dall’Asia centrale alla Cina.
Un nuovo complesso (orizzonte V) è rappresentato da immagini in maggioranza a soggetto
zoomorfo che, su alcune rocce, si sovrappongono alla fase precedente e sono ad essa posteriori.
Le figure, di
dimensioni ridotte,
divengono più
schematiche
monotone.
All’interno di una
zona probabilmente
riferibile alla stessa
fase vi è
un’iscrizione in
latino. Si registrano
anche gruppi di
coppelle e di
disegni geometrici.
A nostro avviso,
questo orizzonte,
che Djafarsade
attribuisce al II e I
millennio a.C., può
iniziare nel I
millennio a.C. e persistere fino al periodo islamico, nel tardo I millennio d.C. L’orizzonte più recente
(VI) del Gobustan è caratterizzato da figure a linea di contorno, cavalieri, personaggi armati,
animali di influenza medievale e islamica. Le immagini sono talora accompagnate da iscrizioni
arabe antiche. Questo orizzonte può risalire dall’inizio del periodo islamico fino a tempi abbastanza
recenti.
Negli ultimi orizzonti della sequenza dell’Azerbaijan l’arte rupestre perde la sua maestosità, il suo
senso sacrale, e probabilmente anche gran parte del suo ruolo carismatico. Diventa un
passatempo, un gioco di pastori o di giovani, in una società nella quale la testimonianza impressa
sulla roccia non trasmette più i suoi messaggi: l’arte rupestre è la scrittura dei popoli senza
scrittura, quando i popoli acquisiscono tale abilità essa perde gran parte della sua funzione e della
sua carica comunicativa.
CONCLUSIONI
La sequenza dell’arte rupestre del Gobustan è eccezionale non solo per la sua durata, ma anche
perché testimonia in modo vivo il susseguirsi dei millenni di storia di questa area e, con essa, la
vita intellettuale dei gruppi che l’hanno popolata.
Per un verso essa mostra stringenti similitudini con il Medio Oriente, l’Asia Minore e con alcune
regioni dell’ex U.R.S.S. Le fasi più antiche svelano, d’altro canto, significativi parallelli con le
sequenze dell’Europa occidentale e aprono molteplici vie alla ricerca, fornendo nuovi strumenti per
una storia dell’Europa e del Vicino Oriente.
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L’arte rupestre costituisce un fenomeno sociale che doveva realizzarsi nell’ambito di cerimonie
accompagnate da rituali, dalla musica e dall’aggregazione della comunità.
Ma chi erano gli attori, e chi gli spettatori?
Come abbiamo visto, i soggetti principali erano costituiti dall’evocazione di miti, storie fantastiche
di migrazioni, e dalla glorificazione degli antenati e di altri esseri mitici.
Il primo orizzonte rupestre, caratterizzato dalle figure femminili steatopigiche, è la prima
espressione grafica di importanti proporzioni che riflette la mentalità e la concettualità delle
statuette paleolitiche, le “veneri”, nella forma di arte rupestre.
Il secondo e terzo orizzonte rappresentano il travaglio concettuale dei popoli cacciatori, alla ricerca
di una armonia con gli spiriti delle loro prede.
L’animale, catturato sulla roccia da una linea incisa, diventa non solo sorgente di carne e di vitali
proteine per l’uomo, ma anche, e soprattutto, parte della società, il suo totem. L: uomo cerca da
sempre di comprendere le forze della natura e di dialogare con esse.
Nel corso degli studi e dei dibattiti sull’arte rupestre del Gobustan si è ipotizzato che le società
paleolitiche con una iconografia antropomorfa avessero una dieta in prevalenza vegetale in
contrapposizione all’iconografia animale che rifletterebbe una dieta carnivora. Non vi sono però
per ora certezze in merito e questa rimane solo una provocativa ipotesi di lavoro. Certo è che ogni
iconografia riflette lo spirito di chi la produce e che vi sono notevoli differenze tematiche e
concettuali tra i due gruppi.
Negli ultimi anni le scoperte a Foz Côa, a Siega Verde, al Totes Gebirge, in Anatolia, nel deserto
del Negev e nella Penisola Arabica permettono di vedere questa sequenza del Gobustan in un
ampio contesto. Simili paralleli ci parlano dell’eccezionale testimonianza del Gobustan: è la “porta
d’Europa”, luogo d’incontro tra Europa ed Asia nel corso di millenni, un’area di passaggio dove si
conservano le impronte di contatti e di influssi dei due continenti. Un punto di osservazione di
grande significato per risalire alle radici stesse delle civiltà europee ed asiatiche.
Allo stesso tempo dalle rocce di questa regione emerge lo spirito del genere umano, la sua
curiosità, l’abilità di muoversi alla scoperta di nuovi territori e la necessità “di ricordare”,
caratteristica che differenzia il genere umano da tutti gli altri animali.
Molti quesiti restano aperti. Ottenere una sequenza definitiva, datata nelle sue varie fasi,
costituirebbe un contributo importante per la storia di questa regione così come per la storia
dell’arte.
Il lavoro preliminare finora svolto suggerisce nuovi campi di ricerca. Sarà certamente molto
importante definire l’appartenenza etnica delle popolazioni che hanno lasciato le loro tracce sulle
rocce del Gobustan, in modo da riuscire a comprendere più a fondo i flussi migratori che hanno
caratterizzato per millenni i rapporti tra Europa e Asia. Sono gli asiatici che si dirigono verso
l’Europa o viceversa? E’ probabile che si possa ipotizzare l’esistenza di movimenti in entrambe le
direzioni.
Il Gobustan, “porta d’Europa”, caravanserraglio e luogo di permanenza di centinaia di generazioni,
probabilmente ebbe in certi periodi preistorici assai più abitanti di quanti ne abbia oggi. L’arte
rupestre mostra che esso fu un grande centro di creatività. Ma perché proprio qui questa grande
concentrazione? Le leggende e i miti sull’ubicazione del Giardino dell’Eden, come del luogo di
origine delle prime popolazioni mesopotamiche non hanno, per il momento, nessun supporto
archeologico.
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Esse possono tuttavia indicare che la memoria sul ruolo svolto da questa regione durante la
preistoria si sia conservata, in modo idealizzato, nella tradizione orale. Un quesito, le cui
implicazioni vanno ben oltre i confini dell’Azerbaijan, concerne il significato concettuale della
separazione che vi si nota tra stili e orizzonti a prevalenza di figure antropomorfe e quelli dominati
da figure zoomorfe.
E’ questo un aspetto destinato a dare nuova linfa ad un dibattito che da tempo assorbe gli sforzi
degli studiosi. Ma la domanda principale resta quella della motivazione. Cosa ha spinto l’uomo a
lasciare, nel corso dei millenni, migliaia di istoriazioni rupestri in questo sito ancora oggi selvaggio?
Senza dubbio il Gobustan fornisce sufficienti motivazioni per cercare risposte a tali quesiti e per
portare avanti una ricerca sistematica su di un grandioso sito di arte rupestre in gran parte ancora
inesplorato e sconosciuto.
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IN ITALIANO
Fig. 4
Gobustan. Esempi delle peculiari formazioni rocciose che caratterizzano il Gobustan. I grandi blocchi
calcarei, generati dallo sfaldamento della roccia e modellati dall'azione eolica, formano un paesaggio
popolato da suggestive forme naturali. Fig. 4 da Buyukdash (foto EA2000:XC-4; Archivio WARA W05804).
Fig. 13
Buyukdash, Grotta di Ana Zaga, Gobustan. Rilievo sommario di una sequenza di incisioni di epoche diverse,
con indicazione delle sovrapposizioni (rilievo CCSP; Archivio WARA W05729).
Fig. 16
Un elemento utile ad una definizione cronologica dell'arte rupestre è rappresentato dalla comparazione
tipologica. Il parallelo mostra interessanti analogie tra l'iconografia animale dell'orizzonte II/B del
Gobustan e le figure zoomorfe dell'arte dei Cacciatori-Raccoglitori della Siberia. Fig. 16 da Buyukdash,
Gobustan (rilievo L M. Djafarsade, rielaborato dal CCSP; Archivio WARA W05811).
Fig. 18
Buyukdash, Gobustan. Roccia n. 8. Figure di imbarcazioni: il Gobustan è per ora l'unico sito noto dove,
sorprendentemente, le raffigurazioni di natanti sembrano essere attribuibili ai Cacciatori Arcaici (foto
EA2000:LXXXVII-14; Archivio WARA W05812).
Fig. 22a-b
Buyukdash, Gobustan. Incisioni rupestri di figure antropomorfe, presumibilmente femminili, con oggetti
sulla spalla e motivi decorativi di abbigliamento (I/E), si sovrappongono ad una grande figura di bovide in
uno stile tardo dei Cacciatori Arcaici (II/B). La figura antropomorfa in basso misura circa 120 cm (foto
EA2000:LXXVIII-4, Archivio WARA W05583; rilievo I. M. Djafarsade, rielaborato dal CCSP, Archivio
WARA W02052).
Fig. 26a
Kichikdash, Gobustan. Le rappresentazioni femminili, riferibili all'orizzonte I/A, sono sovrapposte da una
grande figura di bovide dell'orizzonte II (rilievo CCSP, Archivio WARA W05814; foto EA2000:LXXVII-37,
Archivio WARA W05852).
Fig. 32b
Buyukdash, Gobustan. Roccia n. 42. Un uomo e una donna alle porte d'Europa. Questa coppia, una sorta
di Adamo ed Eva preistorici, sembra riflettere il ruolo centrale del Gobustan nel popolamento dell'Europa.
Il simbolo "arbolet " o "ramo" indica il sesso maschile mentre le due linee parallele sul fianco della donna,
o "labbra", indicano il sesso femminile. Altezza della figura maschile circa 110 cm (rilievo CCSP, in E.
Anati, 1992, Archivio WARA W00287; foto EA2000:LXVII-26, Archivio WARA W05820).
Fig. 42
Buyukdash, Gobustan. Visione di insieme e particolari di un grande bovide sub-naturalistico,
profondamente inciso, dell'orizzonte II/B. L'animale domina una superficie istoriata da altre incisioni
difficilmente leggibili (Fig. 42: foto EA2000:LXXXVI- 16, Archivio WARA W05824).
Fig. 64
Jinghirdag, Gobustan. Scena di caccia al cervo in stile scita. Sul lato sinistro si vedono due motivi a
tappetino e una figura schematica di epoca anteriore (rilievo I. M. Djafarsade; Archivio WARA W05848).
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