Download as pdf
Download as pdf
You are on page 1of 330
Prima edizione novembre 1985 Seconda edizione luglio 1988 Titolo originale dell'opera Genrich Nyegauz Ob iskesstvo fortep'yannoy tery © 1982, VAAP - Bolshaja Bronnaja, 6-a, Mosca, 103104, Urss. Tutti i diritti riservatit © 1982, VAP - Boishaja Bronnaja, 6-a, Mosca, 103104, Urss. © 1985 Rusconi Libri S.p.A., via Livraghi 1/b, 20126 Milano Traduzione dal resso i Annelise Allewa ISBN 88-18-12023.9 Dedico questo libro ai miei cari colleghi, ai projessori e aght allieut che imparano Var- te del pianoforte. PREFAZIONE a il febbraio del 1959, ¢ nella classe 29 del Conser- vnlorio di Mosca il professor Neuhaus stava seduto al tavo- aveva davanti a sé una pila di copie del libro appena uscito, L'arte del pianoforte, e scriveva dediche a ognuno di toi, suci giovani allievi. Anch’io conservo la copia con la dedica dell autore, «al caro... », come un oggetto prezioso portato con me vent’anni fa, andando via da Mosca. Mi aiuta a conservare vivo il ricordo delle lezioni di Neuhaus, in sei anni di conservatorio; un ricordo confermato dai di- schi e dalle registrazioni delle sue lezioni, con la sua voce, con la sua pronuncia ¢ con la sua intonazione cosi catatte- ristiche. Questo grande musicista, ottimo pianista e inse- gounte geniale visse in Unione Sovietica senza quasi mai tecarsi in Occidente, salve raze apparizioni ai concorsi di Varsavia e di Praga, nei suoi ultimi anni, dopo il 1960. Percid, le sue interpretazioni e la sua didattica sono poco note nel mondo cccidentale, anche se da giovane era stato molto apprezzato da Vladimir Horowitz e se da sempre era stato molto stimato e amato dall'amico di infanzia Artur Rubinstein. In Unione Sovietica, invece, intorno al suo nome ¢’t un’aura di leggenda ¢ di adorazione. Negli ultimi anni, gli anni del «disgelo», Ja sua classe era frequentata non soltanto da allievi provenienti dai paesi socialisti, ma anche da francesi, italiani e americani. Musicisti celebri, di passaggio a Mosca o in occasione del concorso Cajkovskij, andavano a fargli visita. Da giovanissimo, nel 1908-09, si stabili a Firenze, sui lungarni, ¢ dette concerti a favore dei tertemotati di Mes- 7 sina; nello stesso periodo suond anche in Germania e in Austria. Dopo la rivoluzione, Neuhaus suond soltanto in Unione Sovietica. Mi & capitato di ascoltarlo in occasione dei suoi settant’anni, nell’aprile del 1958; poco dopo ab- bandona lattivita concertistica, petché i disturbi ad una mano si erano aggravati. Spero che col tempo arrivine, an- che in Italia, i suoi pochi, ma bellissimi dischi. I pit anziani, che hanno ascoltato Neuhans in piena forma, mi hanno raccontato che era dotato non soltanto di un suono affascinante, e di straordinarie capacita interpre- tative, come si sente ancora nelle registrazioni, ma anche di brio virtuosistico e di fuoco, Neuhaus aveva una cultura molto vasta e profonda; conosceva Ia musica di tutti i tem- pi, in tutte le sue forme; suonava non soltanto da solista, ma anche come camerista, in duo col figlio Stanislav, in trio con vari musicisti e anche come accompagnatore di cantanti. Dall’infanzia conosceva molte lingue, aveva buo- ne cognizioni di filosofia, di storia dell’arte ¢ nella sua ec- cellente memoria conservava nozioni in ogni campo, utili a lui, e di riflesso a noi, per orientarsi nell’attualita e nella nuova musica, per distinguere senza errori cid che & valido cid che non Io &, Per prima cosa, esigeva che fossimo mu- sicisti culturalmenie preparati. Dal mio primo incontro con Neuhaus, mi caddero ad- dosso tante esigenze di studio personale che ancora oggi mi perseguitano, Nel corso della prima lezione, quasi quattro ore dedi- cate a me, pianista principiante, ci occupammo della Sona- ta in mi bemolle op. 7 di Beethoven; davanti a me si schiu- sero all’improvviso e per sempre le porte della vera musica E difficile descrivere come si svolse questa prima lezione; ricordo solo che fui costretto a prendere coscienza delle mie debolezze: scoprii che conoscevo in maniera inadegua- ta la struttura musicale, l’armonia, la storia della musica ¢ che exo davvero incapace di suonare in modo «polifoni- & vo», cio’ regolando la variet& nel? intensita sonora, nei te- pistri e nei timbri. A poco a poco, assistendo a tutte le lezioni di Neu- haus, ripresi coraggio e cominciai a lavorare con impegno © con costanza, come tutti gli altri, non soltanto esercitan- domi al pianoforte, ma anche frequentando le sale di con- certo, ascoltando infinite volte composizioni di tutti i ge- neri, e ascoltando anche diversi pianisti: Sofronickij, Rich- ter, Gilels, Yudina, Vedernikov. Studiare signified anche fare letture, andare a teatro ¢ alle mostre, spesso anche in- sieme con l'amato maestro: in una parola, studiare signifi- cd vivere realmente ]'Arte. Ci precipitammo tutti insieme al teatro d’opera speri- mentale quando gli studenti vi rappresentarono la Duedia di Prokof’ev, oppure andavamo a tiunioni NSO (associa zione studentesca) dove si poteva ascoltare una nuova composizione, talvolta rarissimi dischi occidentali; oppure andavamo in gruppo alle prove di una nuova sinfonia di Sostakovié. Neuhaus trovava il tempo per chiunque volesse essere ascoltato, e una volia toccd al giovane Vladimir Ashkena- zy. Del resto Neuhaus andava regolacmente ai concerti di Ashkenazy, perché seguiva con interesse la travolgente car- riera di questo straordinario talento, Un’altra volta fu il turno di Richter che voleva sottoporgli la sua interpreta- zione del Concerto #. 2 di Bartdk alla prima esecuzione in Unione Sovietica: Richter esegui il concerto nella versione per due pianoforti, in classe, insieme col giovane Ashkena- zy che sbalordi il professore e tutti noi per la sua straordi- naria capacita di lettura a prima vista. Gli ex allievi anda- vaho a trovate Neuhaus, Rostropovit e Richter gli sottopo- nevano la loro interpretazione delle sonate di Beethoven. Nessun importante avvenimento culturale sfuggiva all’at- tenzione di Neuhaus, ¢ tutti volevane conoscere il suo au- torevole parere su quel che avveniva. In breve, non si potra mai esprimere nemmeno in pic- 9 cola parte il ricordo di questo grande uome, di questo mae- stro di musica che ha rappresentato il pit importante even- to della mia vita e non solo durante gli anni di studio. Ho avuto occasione di stare con lui molto a lungo, non solo in classe, ma anche in casa sua, da solo o con amici, dato che Neuhaus era molto ospitale. Che felicita tiunirsi una volta all’anno nell'apparta- mento di Neuhaus, intorno alla sua grande tavola comune! Non permetteva che ci occupassimo della cena e di proble- mi matetiali, ma provvedeva di persona a tutto. Che felici- t& trovarsi al suo fianco al concerto, sentire le sue reazioni ad una buona esecuzione ¢ a una bella mmsica! Oppute leg- gere con lui i versi dei poeti che amava: Blok, PuSkin, Pa- sternak. Ci incitava a leggere poesie e ce ne correggeva la pronuncie ¢ Pintonazione. Alcuni miei ricordi di Neuhaus sotio troppo intimi ¢ non voglio parlarne. A volte mostrava qualche stanchezza, ¢ allora, per un ragazzetto come me, eta difficile consolate un uomo cos grande, anziano e saggio. E stato anche mol- to difficile aiutarlo nel suo grande dolore per la perdita del miglior amico, Boris Pasternak. IL maestro ne conservd il Iutto per lungo tempo; sognava di possedere l’opera com- pleta di Pasternak pubblicata in Occidente ¢ io mi gettai nelPimpresa rischiose di trovare questi libri. Per un certo petiodo Neuhaus fu costretto a vivere nell’appartamento di Svjatoslay Richter; non dimenticherd mai le poche visi- te nelle quali cbbi mado di incontrate insieme il maestro € Lallievo, Neuhaus era sempre circondato da persone interessan- ti, perché tutti accorrevano intorno a lui. La nostra classe diventava spesso una sala di concerto in cui si trovavano non solo gli allievi, ma anche studenti di altre classi, ex al- Hievi di Neuhaus, ospiti ¢ modesti sconosciuti. I sistemi di insegnamento di Neuhaus erano molto va- tii: esemplificazioni immediate, nei limiti consentiti dalle sue possibilita fisiche di quel periodo, gesti, direzione, de- 10 clumazione di poesie a memoria, metafore e paragoni sor- prendenti. Ascoltando nella sala buia la prova della mia in- terpretazione della Sonata op. 109 di Beethoven, quasi alla line, dopo le «luminose vette» dei trilli, Neuhaus fece al- cui gesti di preghiera che mi spiegarono per sempre il si- ghilicato profondo di questa musica. Un’altra volta, men- Ire prepatavo il Concerto 2, 5 di Beethoven, perché io otte- tessi una sonorita il pit possibile gioiosa nel finale, mi spicgd che dovevo pensare ad un parco di divertimenti con le giostre ¢ con una quantita di giochi divertenti, in un giorno di festa in una qualche cittadina tedesca o austriaca. Quando ci capitava di affrontare con il professore una qualsiasi composizione di Bach, di Mozart, di Brahms, di Chopin, di Schumann o di Skijabin, ci stupivamo sempre della sua profonda conoscenza di questa musica; tuttavia la percepiva con immutata freschezza, come se la scoprisse ogni volta. Chiunque suonasse e in qualsiasi modo suonasse, Neu- haus non ammetteva neanche un suono casuale, non si stancava mai di esigere da ognuno di noi la massima pene- trazione nei testi dei grandi autori e [a massima incisivita nelPinterpretazione. Ogni lezione cra come una vita: tutto suonava come nuovo. Le spiegazioni erano nuove, perché Neuhaus visse fino al ultimo con passione e con generosi- 14, condividendo con noi i] suo talento, il suo dono divino di tespirare musica. Neuhaus, malgrado l’eta avanzata, ci trasmetteva la sua enetgia e il suo amore per la vita, ed era positivo in tutti i suoi atteggiamenti. Non dava mai l’impressione di essere un vecchio, malgrado i suoi folti capelli fossero da tempo incanutiti; semplicemente non fece in tempo a di- ventare vecchio e scomparve a settantasei anni, quando meno ce lo saremmo aspettati e quando tutti avevamo an- cora vetamente bisogno di lui. Per me, come per tutti i suoi allievi, nessuno escluso, non é stato soltanto un mae- stro di Musica, ma @ stato anche un maestro di Vita. Non dW a caso nella sua classe studiavano soltanto persone oneste ¢ assolutamente rette. La disonesta gli ripugnava e la sua autentica rettitudine ci ha aiutato a formarci convinzioni solide nella nostra vita privata. Quando atrivava Pestate, € doveyamo separarci fino all’autunno, io e tutti i miei con- discepoli avevamo nostalgia di Neuhaus. Allora gli scrive- vamo lettere «con dichiarazioni d'amore», secondo hu. Ma era implacabile ¢ severo quando lo meritavamo. Peccato, se non siamo riusciti a. soddisfare del tutto le sue aspettative e le sue speranze. Peccato, se non siamo riusciti a ptendete da lui ancora qualcosa. Peccato, se non siamo riusciti a imparare ancora qualcosa da lui. VALERY VoskoBojNIKOV Aywuxrmza: Le note a pit di pagina con asterisco sono dellaurore salvo ecceaioni, I rinvii numerati nel testo si siferiscono alle note del curntore raccoite in appendice. 12 PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE Il mio libro 2 stato scritto con molta lentezza, nelle pause del mio lavoro (€ il lavoro era l’insegnamento e l’at- tivit concertistica), ¢, prima di pubblicarlo, ha accoreiato quanto scritto riducendolo all’essenziale, tanto che alla fi- ne é stato stampato solo un po’ pit di meta del mio mano- sctitio. Ora mi rincresce un poco perché quello che non ho pubblicato era, forse, la parte pit sincera, personale di quanto avevo scritto. Ma a questo punto non mi sento la forza di rimaneggiare e completare il libro — che esca pure in quella forma «incompleta» in cui & venuto alla luce e, abimé, in cui ha inevitabilmente sollevato non poche di- sapprovazioni (tante, del resto, quante sono state le Lodi). Inizialmente non pensavo affatto di pubblicare i miei appunti; si irattava semmai di una libera chiacchierata con i miei conoscenti, con gli allievi; di qui, probabilmente, una certa incongruenza fra lo stile ¢ il tono det mio libro, e quello che ci si aspetta di solito dai lavori metodologici; in esso mancano alcune qualita che invece possiedono i corposi tomi di Steinhausen, Breithaupr, Jaéll, Deppe, Er- win Bach’, ed altri *, Ma confesso in tutta sincerita che non sono mai stato un metodologo teorico, ¢ che non lo sard mai. Adesso parlerd di alcune ripercussioni del mio libro. Nella « Literaturnaja Gazeta», numero cinquantaquat- tro del 1959 apparve una recensione benevola al mio libro, * Negli ultimt tempi in Bulgaria sono apparse due opere metodologiche, che io ritengo miglioti di tutte quelle menzionate: sero L'arée det pianiste di A Stojanov, ¢ Liante det pianisia di Tamara Jankova. 13 che, naturalmente, mi fece piacere. Vi viene detto, fra I'al- tro, che 1a sfera delle questioni in esso sollevate ¢ molto pitt ampia di quanto si possa giudicare dal titolo, e che si sarebbe dovuto intitolare Comprendere ed eseguire la musi- ca. Un titolo simile sarebbe stato, certo, migliore e pid completo se questo libro, oltre a parlare della musica e del- Pesecuzione in generale, avesse parlato della mia professio- ne di pianista in senso stretto ed espresso il mio parere su di essa. Mi sono fermato sul titolo L’arte del pianoforte, perché la parola arte mi permetteva di parlare de! piani- sino, Se fossi stato un direttore d’orchestra, un violinista (non solo un ex pianista}, un trombonista, ecc., avrei po- tuto di certo, con molto pitt dititta, intitolare il mio lavo- ro come mi suggeriva la bellissima proposta della « Litera- turnaja Gazeta», Comprendere ed esegnite la musica, visto che in effetti @ proprio questo il mio argomenty prin- cipale. Nel numero cinque di «Sovetskaja muzyka» det 1959 @ uscita una recensione severa e citcostanziata di Lev Aro- novit Barenbojm*. Alcune obiezioni di Barenbojm sono as- solutamente fondate. Per esempio, avrei potuto parlare molto pit: particolareggiatamente del «quatto elemento», vale a dire !’esecuzione davanti agli ascoltatori; io invece patlo solo di «tre elementi»: la musica, lesecutore e lo sttumento come componenti dell’esecuzione al pianoforte, senza calcolate e descrivete in modo sufficiente quello che «!'inserimento nel mondo» comporta per quanto viene eseguito. Del resto, in diversi punti del libro di questo ar- gomento si parla a sufficienza, anche se, come sempre, in breve; da un punto di vista metodologico si sarebbe potu- to, forse, aggiungere un «quarto elemento» ai miei tre. Perché allora non I"ha fatto? Ma perché fra mille persone, che amano Ia musica e che sanno suonare i] pianoforte, tro- veremmo difficilmente quattro o cinque pianisti che ci pia- cerebbe davvero ascoltare. Quando ho patlato della “tri- elementarit” dell’esecuzione al pianoforte, aveva pitt che 14 alli in mente un fare musica disinteressato, possibilmente tut cliletLantesco, ¢ non un’esecuzione «di fronte a terzi». lu yalevo soltanto dare un orientamento sulle regole pitt avniplici di tale modo di fare musica, giacché la chiarezza In siesta questione aiuta a suonare, e migliora la qualita. (eitu, se una graziosa fanciulla suona «per Ponomastico di zln Manja» (espressione del defunto Nikolaj Seménovit Linlovanoy)', il gaarto elemento & gia evidente. Mi dispiace ill non aver menzionato nelle mie riflessioni questo caso fiportante. Kd ecco un altro rimprovero serio di Barenbojm, con- slivino, del resto, da molti che me l’hanno espresso a voce: hop parlo quasi mai dei miei colleghi (fra questi dell’ inesti- tnabile mio patente Felix Michajlovit Blumenfel’d’), del- Yambiente in cui layoro, non ho citato vari musicisti im- portunli, ecc. Batenbojm riporta addirittura un lungo elen- vn di miei ex allievi (effettivamente straordinari) di cui hon ho parlato; parlandone avrei notevolmente “riscalda- to" In mia opera; in compenso parlo troppo spesso, quasi lino alla noia, di Svjatoslay Richter; Richter merita certa- mente tutte Ie lodi possibili, ma qui ¢ un po’ troppo! Il professor Stojanov di Sofia nel suo libro L’arte det Plinista aggica questa difficolt2 in modo assai semplice, ri- portando, quasi in stile de notiziatio, i nomi di un'enorme spuuitita di pianisti, soprattutto bulgari; in tal modo soddi- nlu Vesigenza di «menzionare »; tuttavia a me sembra che un simile elenco sarebbe pid opportuno in un’enciclopedia, vhe in un libro sull’arte pianistica. Per clencare le varic ¢ interessanti caratteristiche di molti pianisti, si sposterebbe in accondo piano lo scopo principale del libro che & quello li trattare dell’arte del pianoforte per trame conclusioni pratiche. Ho riflettuto a hango sulle catatteristiche dei miei colleghi, pet lo pitt musicisti straordinari, ma pot ho deciso «ll non parlarne perché altrimenti il mio libro si sarebbe umpliato in modo innaturale e difficilmente avrebbe soddi- niatto i lettore, Per di pid, le persone delle quali avrei do- 1s vuto parlare, sono gid state immortalate in vari atticoli ¢ monografie, ¢ mi sembrava indegno di loro scriverne in modo sommario ¢ supetficiale. Per questo motive «ho di- menticato di menzionare » molti di loro. Quanto alla “fastidiosa” citazione di Richter, mi per- metto di ticordate che i] mio libro non & un resoconto uffi- ciale, non é la relazione di un pubblico ufficiale, le cut va- lutazioni e i cui giudizi devono restare nell’ambito di un prudente «equilibrio». Quelto che ho scritto & soprattutto una conjessione personale. A ogni scritiore, anche al pit modesto, concesso di avere i propri entustasmi, tanto pit se pud dimostrarne la fondatezza, Potrei dare questa dime- strazione, ma non voglio stancare il lettore. Richter in vir- tt delle sue qualits ¢ del suo talento é diventato Iavveni- mento pit importante della mia vita di musicista ¢ di inse- gnante. Devo forse nascondere, tacere, o camuffare sotto la maschera di un'obiertivita «benintenzionata» e fittizia questo fatto? Un noto critico musicale di Budapest dopo un concerto di Richter ha scritto: «In sostanza ci sono due pianisti: Franz Liszt e Svjatoslav Richter. Il primo non Tho sentito. I secondo lo conosco». Non artivo a questa divertente formulazione, mi ba- sta la formula «feudale » (scusate!): pritus inter pares. Ma non mi diffonderd oltre su questo tema irritante. Ancora un timprovero. Barenbojm e alcuni altri riten- gono che io faccia male a usare tanta spesso parole ed esptessioni stranicre. Forse hanno ragione: tutto si sarebbe potuto dire in russo senza danneggiare il lavoro. Cid di- pende, ahimé, dallo stile colloquiale dei miei appunti: poi- ché conosco dall’infanzia diverse lingue e sono abituato ad usare alcune espressioni in una data lingua, non ho esitato a tiportare tali espressioni come mi venivano in mente. In realta, ogni dichiarazione sulla propria espetienza petsona- Je (e di questa il mio libro abbonda) é inevitabilmente au- tobiograjica, e proprio |’autobiografismo & stato la ragione 16 tel mio spregevole vodapik *. Naturalmente avrei cercato ili evilarlo, se avessi scritto una vera e propria opera lette- varit, priva dell’clemento autabiografico; ma non ci ho Newnche pensato dal momento che, sinceramente, non mi tousidero un letterato. Ho solo voluto raccontare Ja mia tnpericnga di vita ¢ contemporaneamente vi ho riflettuto. Un qualsiasi professionista, che tenda a raggiungere pura- inente il proprio scopo, ha diritto a fare questo, senza esse- te assolutamente un letterato. Il carattere «colloquiale» del mio libro spiega anche §u presenza, in esso di alcuni termini scherzosi presi dalla viii quotidiana, che mi sono stati rimproverati da qualche lettore, Ma allora nan si pud mai scherzare, allora & vietato amt volta per tutte rdendo dicere severnm? Ma quanti con- alpli ¢ osservazioni privi di rilievo, espressi con tremenda ncrieta ¢ schiacciante boria, potete leggere in qualsiasi libro di: metodologia! Barenbojm ha assolutamente ragione di protestare contro la confusione avventata (ascientifica) dei concerti di ainconscio» ed «emozionale» nel primo capitolo del mio lilo; anche se preciso di adottare questi termini «conven rionulmente patlando» (Bareabojm nella sua recensione omette queste parole), limprecisione resta imprecisione. E vero che il significato della mia affermazione & chiaro a tutti (questo & provato), tuttavia nella presente edizione ho modificato questa frase in modo adeguato, Mi sono assolutamente incomprensibili i rimproveri € i “sermoni” («annotare il pedale spetta... - esptessivi pun- tini di sospensione - a Beethoven»), che mi sono stati ri- volti dal recensore riguardo a quanta detto nel paragrafo el mio libro dedicato al pedale. Evidentemente ha letto mule, oppure non ha capito quanto da me affermato. (Quanto affermo cotrisponde a quello che dice lui: e il reci- * Volepak significa lerzeralmente lingua del mondo, da wordd « speech in luglese. Fu uina specie di esperznto, irwentato da Johann Mottin Schleyer nel IHN, 11 risultate fir deludente e i! volspik non cbbe akcuna diffasione (N.d.CJ. v7 tativo, cio, va suonato con un unico pedale, come ha sctitto Beethoven, Nel mio libro viene detto che Schnabel trattiene il pedale us quarto di pit: del necessario, ¢ lo tie- ne durante la pausa, conseguenza di questo & che nell’ulti- ma nota del recitativo - il fa - si ottiene un suono sporco (si veda I’es. 88), La nota che appartiene alla triade distonica, urta con- tro la dominante; io sostengo che «il rombo sotto le volte» deve scomparire, echeggiare nella penultima nota del reci- tativo — sol — e basta. Non c’8 ragione di farmi la predica e qualsiasi vero musicista sara d’accordo con la mia osser- vazione. Probabilmente, rispettabile censore, Lei ha trovato fa- stidioso che mi rivolgessi con tanta «dimestichezza» a un grande ¢ famoso pianista, Il Suo maestro, Blumenfel’d, «sbuffava», letteralmente, dall’indignazione ascoltando nella piccola sala del Conservatario i Davidsbindler di Schumann nel]’esecuzione di Schnabel, ¢ io lo capivo mol- to, molto bene. Nel paragtafo dedicato alla tecnica pianistica faccio un'affermazione decisamente sbagliata (a partire dalle pa- role: «Ancora due parole sulle ottave...»). In quel punto —e mi scuso ~ ho semplicemente « mentito» e lo confesso apertamente. Ho mentito ne! senso in cui un poeta’ inter- preta questa parola: mentire significa aggiungere il superfluo, piuttosto che ingannare, dire il falso. Spiegherd questo fe- nomeno increscioso: ho sofferto talmente per Je dita «com- partecipanti» (le dita intermedie che sfiorano i tasti collo- cati fra il primo e il quinto che prendono un’ottava), che ho esagerato il significato di «cerchio» e, a scapito della ptatica, ho sottovalutato la posizione della mano, che deve essere Jeggermente sollevata. Suonano cosi tutti i pianisti, me compreso. La mia esagetazione, la «bugia» & nata per il desiderio di.cvitare fa cacofonia prodotta dalle dita inter- medie; ma Tesagerazione eccessivaha prodotto una posi- 18 aione semplicemente sbagliata. Prego di leggere questa pa- ninn con le necessarie rettifiche. ‘Una lacuna del mio libro non voluminoso consiste nel- In scarsita degli esempi ¢ delle riflessioni ¢ dei consigli ad legati, i fatto & particolarmente evidente nei capitoli nil ritmo e sul suono, ma anche in quelli sulla tecnica. In tealtd si sarebbero potuti riportare ancora centinaia ¢ cen- tinala di esempi ricavati dalla pratica, che sarebbero stati si una certa utilita per I’allievo. Ma se il lettore vi ha fatto caso, ho mitato piuttosto a furlo riflettere anche in modo autonomo; ho spesso rite- tutto che il mio lavora, che non chiamo neanche libro, ma uchizzo di un libro, deve e pud soltanto indirizzare chi leg- xe... A giudicare da molti pareri in una certa misura ho ot- tenuto questo scopo, anche se probabilmente hanno ragio- ne quei critic’ che, come Barenbojm, mi rimproverano di «scivolare sulla superficie». Provate a non scivolare, quan- do il tema & tanto vasto, ¢ il libro & solo di trecento pagi- te! Ma io ritenevo fosse meglio essere troppo sintetici, che Iroppo magniloquenti. Allora dovevo scrivere per forza co- ane Erwin Bach? Il lavoro di Jozsef Gatt’ La tecnica del pianoforte & un buon libro, esauriente, ma mi domando se sono di reale aiuto per il lettore Je interminabili sequenze cinematografi- che, le fotografie delle mani di diversi pianisti, ecc. Nono- stante, per principio, un simile lavoro sia il risultato di una lndevole perseveranza, non sono riuscito a leggerlo per in- lero, me ne & mancato il cozaggio, La ragione @ che non sono mai riuscito a capire come si possa separare del tutto In tecnica pianistica dall’arte stessa, ciot dalla musica, ¢ sctiverne a parte. E vero, esistono libri specifici sulla poe- tica, che elencano tutte le forme metriche che si incontra- no in poesia, ma i poeti non li studiano; studiano invece € conoscono la poesia stessa ¢ di rado si servona di prontua- ri. Libri del genere, probabilmente, hanno suggerito a Ma- 19 jakovskij di dichiarare con sdegno che, come Onegin *, non eta mai stato in grado di distinguere un giambo da un trocheo. Naturalmente ha «mentito» anche lui come men- tono i poeti. Nessuno dubita che fosse in grado di distin- guere in modo eccellente non solo i trochei dai giambi, ma anche gli anfibrachi dagli anapesti, e cosi via. Tuttavia il senso della sua bugia & chiaro, e non vale fa pena di soffer- marvisi a lungo, Devo confessare di aver «mentito» an- ch’io, quando ho trattato con sufficienza i movimenti di flessione e di estensione; in realta la fisiologia del nostro Javoro mi interessa molto, e i miei allievi passono confer- mare che, quando & necessario, le dedico molta attenzione. Intendevo solo dite che si possono conoscere perfettamen- te tutte le leggi del lavoro pianistico da un punto di vista fisiologico e ruttavia non sapere quasi nulla del pianismo in quanto arte. Si considera un ulteriore difetto del mio libro if fatto che non vi chiarisco i] mio atteggiamento verso la musica moderna ¢ modernissima, limitandomi a citare di sfuggita Prokof'ev, Sostakovit, Szymanowski e vari altri. Nella no- stra epoca vorticosa con i suoi ritmi sempre pit veloci (in particolare nella scienza), é molto difficile arrivare a con- clusioni definitive, anche per se stessi, senza pretendere di giungere a conclusioni generali. I! mio modo di percepite i diversi fenomeni, le mie opinioni su di essi, sono straordi- nariamente contraddittori. Per esempio, la dodecafonia e Ia musica seriale per i loro principi metodologici mi appaio- no per lo pit simili a un complesse ¢ interessante solitario. A tratti questa musica riesce a procutatmi un particolare piacere, ma solo a tratti (ad esempio in Webern). Nel caso dei seguaci meno capaci di questa teoria non tiesco a non pensare che essa rappresenti per costoro una possibilita di comporre musica (o meglio, qualcosa di simile alla musica), pur non possedendo nessun talento, ¢ talvolta * Protegonista del romanzo in versi Eogeuii Onegin di Ateksands Pudkin. heppure un orecchio musicale. Grazie ai mecenati, alla propaganda e alla pubblicita, essi raggiungono nel mondo una posizione che altrimenti non raggiungerebbero. Del re- nio ta questione della dodecafonia, strettamente legata a molti problemi generali della musica del XX secolo, & assai complessa ¢ - lo dico sinceramente - a me non & ancora chisra fino in fondo, Ancora qualche parola sul modo in cui & stato scritto il mio libro. L’ho scritto approssimativamente ... per tre xeltimane al?anno! Di solito d’estate, quando andavo in vacanza. D'inverno, quando ero oberato dall’insegnamento ¢ davo molti concerti ai quali mi dovevo preparare, non uvevo né tempo né voglia di dedicarmi all’esposizione delle mie opinioni sull’arte pianistica, tanto pit’ che ne parlavo ogni giorno, in un modo ¢ in un altro, durante il lavoro in classe, Adesso in effetti la situazione & cambiata; una malat- tin progtessiva alla mano — conseguenza di una grave poli- nevrite — due anni fa mi ha imposto di smettere completa~ mente di suonare. Perfino a casa, per conta mio, non suo- no pid: & troppo triste per me che la mano non funzioni pitt; tuttavia la musica si pud leggere con gli occhi, ¢ Ja si pud ascoltare alla radio ¢ dai dischi. Per dire la verita, si- tengo che adesso sia controindicato per me anche T’inse- gttumento; percid penso di andare presto in pensione. Stu- diare con i pianisti solo come direttore, visto che non sono pitt in grado di materializzare le mie opinioni e i miei con- sili con la dimostrazione al piano, come facevo prima, renderebbe I’insegnamento umiliante e spiacevole, non po- trebbe soddisfare me né, tanto meno, i miei allievi. Mi tor- nano alla mente «gli inizi e i punti d’artivo», Ma dopo il congedo dal piano (naturalmente non dalla musica) e par- ziulmente anche dall’insegnamento, mi manca la voglia di xerivere di tutto cid. Nel mio libro (come del testo nell’in- segnamento) ho teso soprattutto a suscitare amore per la musica, Non so in che misura ci sia riuscito, ma ho deciso 21 comungue di non aggiungere niente di importante al mio fibro e di pubblicare una seconda edizione pit o meno ana- Joga alla prima (« incompiuta»), correggendo solo alcuni er- rori. In fin dei conti su questi argomenti & stato scritto tanto ~ e tanto bene - che il fatto che ci sia un libro in pid © in meno non avra nessun significato. Mi metto I’anima in pace con il provetbio latino leg- germente cambiato: (non) fect quad potui, faciant meliora potentes. Del resto adesse sto preparando un nuovo libro, € mi auguro che questo sara pil «compiuto» del prece- dente *, Hewrich Nevraus * La vita di Gentich Gustavovié Nelgmuz (questa @ la trascrizione tussa, con Paggiunta del pattonimico, def nome ¢ cognome origineriemente tedeschi di Nevhaus) si @ interrotta il 10’ ottobre 1964; egli non rinsct quindi a reslizzare fira in fondo il suo nuove progetto lerteratio. Tutte quello che ha fatto a tempo a scrivere & stato pubblicazo nel libro G.G. Neigaaa, Riflessioni, ricondi, diart. Ar. coli scebi, Lettre ai penitori, Mosce 1975. Le serea e !a presente (quatta) edi ne del sua libro Larte del pienojorte con delle piccole rettifiche riprodvce le se- cards edizione controllata dall'autore (1961) (Nota redazionale alls quarta edi- zione). 22 L’ARTE DEL PIANOFORTE COME INTRODUZIONE Per cominciare esporrd alcuni semplici prineipi, che svilupperd in seguito; 1. Prima di iniziare a studiare uno strumento, chi studia - sia un bambino, un adolescente o un adulto - de- ve essere gia spiritualmente in possesso di un patrimonio musicale; deve, per cosi dire, custodire la musica nella me- motia e nel cuore, deve sentirla col proprio orecchio, II se- greto del musicista dotato di talento ¢ di genio consiste nel fatto che la musica é gia viva nel suo cervello prima di sfio- ture per la prima volta un tasto o una corda; ecco perché fin da piccolo Mozatt si mise «subito » a suonare i] piano- forte ¢ il violino. 2. I problemi dell’esecuzione saranno aggetto princi- pale di questi appunti. Ogni esecuzione & formata da tre clementi fondamentali: la musica da eseguire, l’esecutore e lo strumento che serve all’esecuzione. Solo la completa pa- dronanza di questi tre elementi (in primo luogo della musi- cn) pud gatantire una buona esecuzione artistica. L’esem- pio pid semplice di «triplicitt» & naturalmente nell’esecu- zione di un'opera per pianoforte da parte di un pianista (0 di una sonata per violino solo, violoncello, ecc.). Questi semplici principi vanno ripetuti, perché nella pratica pedagogica le esagetazioni nell’uno o nell’ altro sen- so sono straordinariamente frequenti, per cui viene inevi- tabilmente a soffrirne uno dei tre elementi: in pacticolare {e questo é il caso pit triste} si tende a sottovalutare il con- tenuto, cioé la musica stessa (diremo lo «specifico artisti- co»), con una prevalente tendenza al possesso «tecnico» 25 dello strumento. Un altro errore, in realta molto pit raro presso gli strumentisti, consiste nel sottovalutare Ia diffi- colta ¢ la portata del compito di impossessarsi tecnicamen- te di uno strumento, privilegiando, per cos’ dire, la musica stessa *; anche questo errore porta inevitabilmente a un’e- secuzione «musicale», ma imperfetta, con un tocco di di- lettantismo, priva di una doverosa professionalita. 3. Qualche parola sulla tecnica. Quanto pitt chiaro é To scopo che ci si prefigge (contenuto, musica, perfezione dell’esecuzione), tanto pitt chiari appaiono i mezzi adatti a tale scopo. Questo assioma non richiede prove. In seguito tornerd su questo argomento pitt di una volta. It cosa de- termina il come; ma in ultima analisi il come determina il cosa (legge dialettica). Il metodo delle mie lezioni, in bee- ve, fa s\ che l’esecutore ebbia chiaro al pit presto (dopo una conoscenza preliminare della composizione ¢ la sua as- similazione anche se per sommi capi) cid che chiamiamo Jo «specifico artistico», cio® il contemuto, il significato, Pes- senza poctica della musica: in questo modo lo studente & in grado di farsi un’idea precisa di quello che ha davanti {dare un nome, spiegare), partendo da posizioni musicali teoriche. Una volta compreso con chiarezza questo obietti- vo, chi suona ha fa possibilita di tendere ad esso, di rag- giungerlo, di attuarlo nelPesecuzione: sono proprio questi i problemi «tecnici» da risolvere. Visto che nei miei appunti si parler’ spesso di «conte- nuto» come del principio gerarchico fondamentale nell'e- secuzione, ptevedo che la parola «contenuto» (0 « specifi- co artistico», o «senso poetico», ecc.) potra, a una sua ri- petizione troppo frequente, irritare il giovane pianista; mi song immaginato la sua possibile replica: «E tutto “conte- nuto”, “contenuto”! Se sard capace di eseguire bene tutte le terze, le seste, le ottave ¢ le altre difficolta virtuosistiche nelle variazioni di Brahms su un tema di Paganini, senza * Cick prevale levoluzione musicale su quella tecnico-professionale. 26 timenticare la musica, allora avrd rispettato il “contenu- ". se invece fard pasticci ¢ note false, non ci sari nessun “contenuto” ». Perfettamente giusto! Parole d’oro! Uno scrittore in- telligente serisse a proposito degli scrittori: « Perfezionare lo stile significa perfezionare l'idea. Non c’t salvezza per chi non condivide questi prineipi! » Ecco ta giusta interpretazione della tecnica (dello «sti- le»)! Ricordo spesso ai miei allievi che la parola « tecnica» deriva dalla parola greca techné, ¢ techné significava arte. Qualsiasi perfezionamento della tecnica 2 perfezionamento dell’arte stessa; vale a dire, contribuisce alla rivelazione del contenuto, del «significato recondito», in altre parole & la materia, 'incarnazione reale dell’arte. I guaio & che parec- chi pianisti con Ja parola «tecnica» sottintendono soltanto agilita, velocita, uniformiti, bravura, a volte soprattutto «fuoco e fiamme»; ma questi sono singoli clementi della tecnica, e non & da tecnica nella sua interexza, come Ja inten- devano i greci e come la intende un vero artista. La tecnica ~ techné - 2 qualcosa di assai pit complesso e difficile, II possesso di qualita, come T’agilita, la pulizia e, persino, un’esecuzione musicale corretta, ece., di per sé non garan- tiscono ancora un’esecuzione artistica; ad essa conduce esclusivamente un lavoro serio, approfondito, ispirato, Ec- co perché per le persone molto dotate & cos! difficile segna- re un limite preciso fra il lavoro tecnico ¢ i! lavoro musica- Je (anche se capita loro di ripetere cento valte uno stesso punto); per queste persone si tratta di un tutto unico. La vecchia verita, «la ripetizione 2 madre dello studio », é leg- ge sia per i talenti pia deboli, sia per quelli pit forti; in questo senso tutti si trovano su posizioni di parit’, benché i risultati del lavoro, certo, siano differenti. E noto che a Liszt capitava di ripetere cento volte qualche passaggio particolarmente difficile. Quando Svjatoslav Richter mi suond per la prima volta la Sonata 1. 9 di Prokof’ev (a lui peraltro dedicata) mi scappd detto che un passaggio molto a7 difficile, polifonico, molto vivace (nel terzo tempa, in tut- to una decina di battute), gli «riusciva come si deve». Richter mi rispose: «Ma questo passo Vho studiato ininter- rottamente per due ore». Ecco il metodo giusto, che da ot- timi risultati. I pianista deve lavorare per raggiungere il risultato migliore, senza rinviarlo a pit tardi, In un collo- quio con un’allieva, che stava lavorando con indolenza € perdeva molto tempo, ricarsi alla seguente metafora quoti- diana: «Immagini di voler portare a ebollizione una pento- la d’acqua. Occorre mettere Ja pentola sul fuoco, € non to- glierla finché [’'acqua non bolle. Lei invece porta la tempe- ratura 4 quaranta o cinquanta gradi; poi spegne i! fuoco, si occupa di qualcos'altro; poi si ricorda di nuovo della pen- tola, ma Pacqua nel frattempo si sara gid raffreddata; allora comincia tutto daccapo, ¢ cosi varie volte; alla fine, tutto questo l’avra stancata, ¢ lei avra sprecato il tempo necessa- rio a far si che ]’acqua bolla. In questo modo lei ha perso un’enorme quantita’ di tempo e ha abbassato in misura considerevole il suo “tono lavorativo” ». La «maestria> di un artista nell’apprendimento di un’opera (¢ questo @ uno dei criteri sicuri con cui giudicare la maturita raggiunta da un pianista) caratterizzata dalla sua continuita ¢ dalla sua capacita di non perdere tempo a vuoto. Quanto pid rientrano in questo processo la volont’ (perseveranza) ¢ J’attenzione, tanto pit consistente sara il tisultato. Quanto pit: si sara passivi e inerti, tanto pid si allungheranno i tempi dell’ apprendimento e, quasi inevita- bilmente, s’indebolira Pinteresse. Tutto questo & risaputo, ma rammentarlo sara sempre utile (per la tecnica vedi il quarto capitolo, e molte altre pagine di questo libro, Ab- biamo infatti gia convenuto che fechnd é l'arte stessa). 4. Per parlare ¢ avere il diritto di essere ascoltati, & necessario non solo saper parlare, ma innanzi tutto avere qualcosa da dite. E chiaro, come due pit due fa quattro, ma @ anche facile provare che centinaia, migliaia di esecu- tori violano costantemente questa regola. 28 Diceva uno studioso che in Grecia tutti sapevano paz- lure bene, mentre in Francia tutti sanmo scrivere bene. Ep- snire gli otatori greci ¢ gli scrittori francesi realmente gran- ili si possono contare sulle dita, e a noi interessano solo questi. Anton Rubinitejn (non senza una sfumatura di ce- luta tristezza) diceva che ai nostri tempi «tutti» sanno suo- nare bene. Beh, dopotutto non é male: meglio che «tutti» sappiano suonare bene piuttosto che suonare male. Ma le purole di RubinStejn con Ia loro triste ¢ scettica sfumatura, ton hanno perduto il loro significato. Quando ero giovane, e anche oggi, avverto una sensa- vione precisa: a ogni incontro con un grande artista, sia uno scrittore, un poeta, un musicista, un pittore, Tolstoj o Pudkin, Beethoven o Michelangelo, io so che per me l'im- portante 2 soprattutto che quest’uomo sia grande; so che attraverso l’arte vedo la sua grandezza ¢ in una certa misu- ra (convenzionalmente parlando) mi & indifferente che si esprima in prosa o in versi, col marmo o coi suoni. Quando avevo quindici anni, rimpiangevo il fatto che Beethoven non avesse «timacinato » la sua musica in filosofia, perché pensavo che tale filosofia sarebbe stata migliore di quella kantiana e hegeliana; sarebbe stata pii profonda, pit veri- tiera e pil) umana *. Adesso vi racconterd di una mia fantasia infantile, che coincise con i «pensieri» che ho appena esposto (allora avevo circa quindici anni). Riflettendo sull’arte ¢ sulla scienza, sui loro reciproci legami e contraddizioni, arrivai chiss& perché alla conclusione che la matematica e la musi- ca si ovano ai poli estremi dello spizito umano, delimitato da questi due antipodi, ma determinanti per tutta l’attivits spirituale creativa dell'uomo, ¢ che fra di essi si calloca tut- to cid che J’umanird ha creato nella scienza e nell'arte. » B inutile dire che allora conoscevo Kam e Hegel (in particolare) in mo- do essolutamente supetficiale, mentre conoscevo Beethoven piuttosto bene. 20 Quest'idea mi attird cost tanto, che presi a scrivere una specie di «trattato» sul tema. Ail’inizio mi sembrava persi- no di esporre cose nuove e non prive d’interesse, ma venni molto presto alla giusta conclusione: che avevo assat poche cognizioni, che la mia mente mancava della disciplina ne- cessaria ¢ che, percid, non dovevo nemmeno tentare di ac- costarmi ad un simile argomento psicologico, e, forse, an- che gnoseologico. Di questo libretto incompinto (e, a pto- posito, smarrito) si poteva solo dire, con le parole di Febo tratte da un epigramma di Pudkin: «La voglia c’é, ma & po- co il cervello... datemi una verga!». Ho riportato questi pensieri infantili perché... (chiedo condiscendenza al letto- re) mi sembra tuttora che la matematica ¢ Ja musica costi- tniseano i poli opposti dello spirito umano, e, forse, se la mia vita avesse avuto un diverso corso, avrei continuato a riflettere € a fantasticare su questo tema. Tenendo conto che questo solo un delirio infantile, esso contiene comunque una parte di verita e "ho riportato solo perché, adesso, grazie alla mia enorme esperienza d’in- segnamento, so fin troppo bene quanto spesso anche stu- denti capaci, in grado di assolvere al proprio compito, non sospettano con quale grande manifestazione dello spirito abbiano a che fare. $i capisce che questo non Favotisce il carattere artistico della loro esecuzione; nel caso migliore essi restano impantanati al livello di un buon mestiere. E che non mi si sospetti, leggendo le parole «immen- so», «gtande», di carlylismo *. La vecchia teoria dell’eroe e della folla & morta insieme con molte idee illusorie del passato; sappiamo fin troppo bene che il cosiddetto «supe- Tuomo» & un prodotto del suo tempo, come ogni altro, ma sappiamo inoltre che tale «prodotto», si chiami Pu’kin o Mozart, appartiene a quanto di pid prezioso abbia genera- to la nostra peccaminosa terra. Inoltre tale «prodotto» + Thomas Carlyle (1795-1881), storico ¢ critico inglese, autore, fra Maltzo, del opera GU erai e if culto degli erai (NAT. 30 quanto di pid complesso esista al mondo - & pid comptes- so della formazione delle galassie o del nucleo di un atomo. Con questa desidero sottolineare quanto sia importante in- culeare in ogni allievo, fin dall’inizio, con che prezioso ma- teriale avra a che fare nella vita, se si dedicher& a servire Varte. Non mi abbandona mai la sensazione del «miraco- lo» quando spiego agli allievi le creazioni geniali dei grandi tusicisti, o quando tentiamo insieme, con le nostre misere forze, di esplorarne la profondita, di penetrarne i segreti, di comprenderne le leggi, di innalzarci alla loro altezza. So che questa sensazione di « miracolo» e la conseguente gicia di percepitlo e di comprenderlo da senso alla mia vita ¢ mi obbliga, come insegnante, a lavorare molto di pitt di quan- to richieda il ruolo; mi obliga a sacrificarmi senza aleun rimpianto. Tenterd di esporre le mie opinioni sui singoli elementi dell’esecuzione al pianoforte, nell’ordine in cui si presenta- no aj trattatisti: «specifica artistico» (ovvero sulla musica stessa), ritmo, suono, diversi asperti della tecnica. 3 x SPECIFICO ARTISTICO DELL’OPERA MUSICALE Confesso che questo titolo desta in me qualche per- plessita anche se esprime un concetto comunemente accet- tato ¢ anche se sottintende qualcosa di affatta razionale, comprensibile e reale. Questo «specifico artistico» dell’o- pera musicale & la musica stessa, viva materia sonora, di- scorso musicale con le sue regole e i suoi elementi, chiama- ti melodia, armonia, polifonia, ed altro, che hanno una de- tetminata struttura formale, un contenuta emozionale ¢ poetico. Quante volte ho sentito opere di grandi composi- tori interpretate da allievi che non avevano frequentato una vera e propria scuola musicale € artistica, cio non ave- vano ticevuto un’educazione estetica ed erano musicalmen- te poco evoluti! Il discorso musicale non eta chiaro: invece del discorso si aveva un balbectio; invece di un pensiero chiaro, solo miseri frammenti; invece di un sentimento for- te, sforzi senza senso; invece di una logica profonda, «con- seguenze senza cause»; invece di immagini poetiche i loro ptosaici avanzi. Parallelamente, anche Ja cosiddetta tecnica era insuf- ficiente *. Si tratta di un’esecuzione in cui lo «specifica artistico» viene alterato, non ha una posizione di rilievo, © forse @ addirittura inesistente. Diametralmente opposto a un simile atteggiamento, * Una volta nella mia classe avvenne il seguente episodio. Uno studente ~ che in segaite abandon’ la musica e divenne un eceellente ingeonere ~ esegu cos] inespressivamente € prosaicamente le due ultime «grida sconvolgenti» della prima ballata di Chapin, che io gli dissi senza volere: «Suona come se ura di quelle ragazze col berretio rosso actdette alla metropolitana di Mosca gridasse: “State loncano dal bordo del marciapiede!” », 33 pet esempio, ¢ quello di Svjatoslay Richter. Legge a prima vista qualsiasi cosa: una composizione per pianoforte, un’opera, una sinfonia, o qualunque altra cosa; ¢ la esegue subito quasi alla perfezione, tanto su! piano della interpre- tazione quanto su quello del contenuto e della maestria teenica (in questo caso é tutt’uno). Che cosa voglio dire con questa contrapposizione? In pritto luogo: tutto quanto & stato dette ed @ stato scritto sullo «specifico artistico» (ad eccezione di alcune dichiarazioni di persone straordinarie}, @ per lo pit desti- nato ad un certo tipo medio comune {immaginario) di allie- vo; sappiamo invece per esperienza che studiano la musica (ciot devono lavorare su uno «specifico artistico ») sia pet- sone poco dotate, sia persone dotate di genio, vive, reali; nella realtA sono presenti tutti i livelli e le gradazioni fra ia maneanza di talento e il genio (e come sono presenti), con centinaia e migliaia di varianti e deviazioni in questa © quella direzione, secondo le qualit’ personali del singolo. La conclusione @ chiara: in ciascun caso il lavoro sulle «specifico artistico» avra un aspetto difference. In secondo ivogo: quanto pit grande & il mrusicista, quanto pit: le musica per [ui un libre aperto tanto minore (meno significative) diventa il problema del lavoro sullo «specifico» fino a ridurlo quasi a zero; per quelli come Richter tutto il «lavoro» consiste in effetti nell’imparare il pezzo. Ma proprio a questo punto inizia quel lavoro ehorme, approfondito e appassionate, che non a caso é no- to nella vita dei grandi artisti sotto la denominazione di «tormenti della creazione ». Viubel’? disegnd quaranta yol- te la testa det demone, proprio perché era geniale ¢ non perché mancava di talento Mi si chiedera senz’altro: perché parlo di Richter, ta- lento unico, quando noi inseguanti che abbiamo un meto- do dobbiamo orientatci sullo studente medio, ¢ forse an- che pit: in basso, ¢ non dobbiamo occuparci dei Richter 34 che sono «forze della natura»? Io protesto decisamsente con- dro questo punto di vista. In questo moda, cullandosi con le parole «talento, «genio», «forza naturale» e cos) via, si evita vilmente il problema pil scottante, di cui si deve occupare in primo Juogo chi insegna in base a una ricerca ¢ a un metodo. So- no convinto che un metodo ¢ una scuola dialetticamente ponderati debbano comprendere tutti i fivelli di talento, da quello musicalmente carente (poiché anche questo deve studiare la musica; la musica & uno strumento di cultura pari agli altri) a quello spontaneamente geniale. Se il meto- do si concentra su un piccolo frammento di realta (la « me- diocrita»), allora & nocivo, insufficiente, privo di dialettica e percid inadatto. Se si vuole seguire un metodo (e chi se- gue un metodo & obbligato ad analizzarne Ia realtd), biso- gna seguitlo fino in fondo, abbracciare tutto lorizzonte, ¢ non girare nel cerchio incantato del proprio sistemino! E vero che & difficile, molto difficile! Ogni grande artista yappresenta per linsegnante. attento quello che |’atomo non scisso rappresenta per il fisico. Sono necessari molta energia spirituale, intelligenza, acutezza, talento ¢ cultura, pet penetrate in questo complesso otganismo. Ma proprio di questo si deve occupare la metodologia, per uscire dal bozzolo e smetierla infine di far sbadigliare chiunque sia effettivamente un pianista musicista. Qualsiasi metodologia attistica deve essere in una certa misura interessante © istruttiva, sia per il vero maestro sia per l’allievo, sia per il principiante, sia per Pallievo diplomando, altrimenti non ha ragione d’essere. Per comodita di esposizione, reprimo temporanca- mente il dubbio se sia cortetta l’espressione «lavoro sullo specifico artistico» ¢ la prendo per oro colato. In tal caso concentriamoci sulla seguente affermazione: il lavoro sullo aspecifico artistico» comincia subito, dai primi passi nello studio della musica ¢ dello strumento musicale. I nosiri 35 maestri migliori delle scucle musicali sanno perfettamente che, insegnando al bambino per la prima volta a leggete le note, essi devono, coi segni che I’allievo ha appena appte- so, comporre il disegno di una certa melodia (non di un arido esercizio), se & possibile gia nota (in tal modo & pid comodo conciliare quello che si sente con quello che si ve- de, conciliare Porecchio con l’ecchio), ¢ insegnare a esegui- re tale melodia sullo strumento. A questo «fare musica» iniziale, certo, si accompagnano i primi esercizi elementari, che perseguono lo scopo tecnico del prima impatto col pia- noforte: sono i primi passi sul lungo cammino per conosce- te € per impossessatsi dello sérumento. Insisto sulla triade dialettica: Ja tesi é Ja musica, l’antitesi & lo strumento, la sintesi @ I'esecuzione. La musica vive dentro di noi, nel no- stro cervello, nella nostra coscienza, sentimento, immagi- nazione, il suo «domicilio» si pud fissare com esattezza: & il nostro udito; lo strumento esiste al di fuori di noi, appar- tiene al mondo esterno oggettivo, che occorre conoscere € possedere, per sottometterlo al nostra mondo interiore, al- la nostra volonta creativa. UJ lavoro sullo «specifico artistico» deve cominciare insieme con lo studio iniziale del piavoforte * ¢ con Passi- milazione dei rudimenti musicali. Con cid voglio dire che se il bambino sara in grado di riprodurre la pid semplice delle melodie, & indispensabile ottenere che questa prima «esecuzione » sia espressiva, cio che il carattere dell’esecu- zione corrisponda esattamente al carattere («contenvto») della melodia; per questo viene particolarmente raccoman- dato di utilizzare melodie popolari, nelle quali il principio emozionale-poetico interviene con molta pil vivacitaé che non nelle migliori composizioni didattiche per bambini. Bisogna ottenete al pitt presto che il bambino suoni con tristezza una melodia triste, con vigore una melodia vigo- * Non intende affatto, naturalmente, che questo debba avvenire alla pric sma lezione; in ogai caso patticolare, Vinseanante sapra trovere con giudizio il momento adatto; & impottante, perd, che cid avvenga quanto prima possibile, 36 rosa, trionfalmente una melodia trionfale € cos via, ¢ che esprima con piena chiarezza le sue intenzioni artistico-mu- sicali. Insegnanti esperti delle scuole elementari conferma- no che i bambini mediamente dotati suonano con malta pid animazione le melodie popolari che il materiale didatri- co in cui si perseguono scopi puramente tecnici ¢ «intellet- tuali» (ad esempio, note bianche e nere, pause, staccati, le- gati, ¢ cost via). L’esecuzione di tali campiti sviluppa la mente ¢ le dita del bambino, la sua effettiva energia «lavo- rativa»; questi compiti sono assolatamente indispensabili e insostituibili, ma non toccano affatto Panima e Pimmagina- zione *. Tutto quanto sto dicendo qui & vecchio quanto [a mu- sica stessa e il suo studio, lo sanno tutti. Voglio semplice- mente chiarire alcuni dettagli della questione, mettere i puntini sulle «i», Noi tutti sappiamo che sviluppare le possibilita del pianoforte nella loro ricchezza, varieti, precisione ¢ sotti- gliezza, 8 indispensabile all’attista-pianista per rendere tut- ta la variet’ della letteratura per pianoforte esistente, in- commensurabilmente rica; e sappiamo che tutto cid si pud taggiungere soltanto con lo studio della materia, cioé della musica viva, concreta **. Quando il bambino esegue un esetcizio o uno studio puramente didattici, privi di conte- nuto artistico, pud suonare come vuole, lentamente o in fretta, forte 0 piano, con o senza sfumature. La sua esecu- zione sar’ inevitabilmente indefinita o arbitraria, generica, priva di un preciso scopo (suonate pet suonare € non per fare musica) e pnd essere definita in questo modo: eseguo * Stinsende che oltre alle melodie popolari_bisogna fare use delle tante semplicissine melodie di Hayca, Mozart, Weber, Cajkovskij, Glinka = alt, sen- 2a parlare poi deglt scracrdinari cicli di Schumann e di Cajkovslij, che sono dedi- ‘at in patticolare ai bambini e alla pioventh, a un livello di svifuppe soperiore, ¢ che hanno un velore puramente actistico. ¥* Ogni pianists cowcienaioso, naruralmente, troverd per conto proprio, a secondda delie necessiti, esereizi scenict speciali per superare particolar dilficolta pet impadronirsi dello stile dell'autore o dellopera: questo richiede una corret- ta riflessione deduttiva, 37 quello che mi riesce (spesso @ piuttosto quello che non rie- sce). Per far si che «riesca», ¢ perché questo lavoro techi- co-strumentale (voglio dire: il lavoro per impossessatsi del- lo strumento e |’esercizio dell‘apparato motorio) porti ef- fettivamente un vantaggio, @ indispensabile porre all’allic vo obicttivi chiari ¢ determinati, ¢ mirare rigorosamente a raggiungerli in pieno. Per esempio: eseguire uno studio 0 ‘un esercizio a una certa velocita, e non a utValtra, con una ceria forza, né minore né maggiore; se lo studio tende a sviluppare l'uguaglianza del suono, non bisogna consentire alcuna inflessione casuale, alcun rallentamento né alcuna acceletazione; se si producono, bisogna correggerli subito, e cost via (si suppone che un insegnante ragionevole non porra all’allievo compiti irrealizzabili). Che cosa succede, invece, se un bambino suena un pezzo non didattico, ma veramenite artistico anche se mol- to semplice? In primo luogo, il sue stato d’animo sari com- pletamente diverso, pit teso rispetto a quello in cui si tro- va durante Papprendimento di esercizi «utili» e di aridi studi (benché questi ultimi siano momenti decisivi nel la- voro), In secondo luge, dal momento che I'allievo sara pid disposto a comprendere i suggerimenti, sara pitt facile inse- gnargli quale suono, quale tempo, quali sfumature, quali rallentando ¢ accelerando (se sono previsti in un dato pez- zo) ¢, di conseguenza, quali «accorgimenti di esecuzione» saranno necessari per suonare un dato pezzo in maniera che risulti chiaro, comprensibile ed espressivo, ciot adegua- to al suo contenuto. T! lavoro del bambino su un’opera mu- sicale-artistico-poetica (cioé sullo «specifico artistico» e sulla sua realizzazione nel suono del pianoforte), corrispen- de, in forma embrionale, al lavoro ricco, determinato, fina- lizzato, preciso e vatio quanto ai metodi del quale parlavo prima, quando ho definito il lavoro del pianista-artista maturo. 38

You might also like