HEGEL

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HEGEL

VIDA Y OBRAS
Born in 1770 in Stuttgart, Hegel spent the years 1788–1793 as a student in nearby
Tübingen, studying first philosophy, and then theology, and forming friendships with
fellow students, the future great romantic poet Friedrich Hölderlin (1770–1843) and
Friedrich von Schelling (1775–1854), who, like Hegel, would become one of the
major figures of the German philosophical scene in the first half of the nineteenth
century. These friendships clearly had a major influence on Hegel’s philosophical
development, and for a while the intellectual lives of the three were closely
intertwined.
After graduation Hegel worked as a tutor for families in Bern and then Frankfurt, where
he was reunited with Hölderlin. Until around 1800, Hegel devoted himself to
developing his ideas on religious and social themes, and seemed to have envisaged a
future for himself as a type of modernising and reforming educator, in the image of
figures of the German Enlightenment such as Lessing and Schiller. Around the turn of
the century, however, under the influence of Hölderlin and Schelling, his interests
turned more to issues arising from the critical philosophy initiated by Immanuel
Kant (1724–1804) and developed by J.G. Fichte (1762–1814). In the 1790s the
University of Jena had become a center for the development of critical philosophy due
to the presence of K.L. Reinhold (1757–1823) and then Fichte, who taught there from
1794 until his dismissal on the grounds of atheism at the end of the decade. By that
time, Schelling, who had first been attracted to Jena by the presence of Fichte, had
become an established figure at the university. In 1801 Hegel moved to Jena to join
Schelling, and in same year published his first philosophical work, The Difference
between Fichte’s and Schelling’s System of Philosophy, in which he argued that
Schelling had succeeded where Fichte had failed in the project of systematizing and
thereby completing Kant’s transcendental idealism. In 1802 and 1803 Hegel and
Schelling worked closely together, editing the Critical Journal of Philosophy, and on the
basis of this association Hegel came to be dogged for many years by the reputation of
being a “mere” follower of Schelling (who was five years his junior).

By late 1806 Hegel had completed his first major work, the Phenomenology of Spirit
(published 1807), which showed a divergence from his earlier, seemingly more
Schellingian, approach. Schelling, who had left Jena in 1803, interpreted a barbed
criticism in the Phenomenology’s preface as aimed at him, and their friendship abruptly
ended. The occupation of Jena by Napoleon’s troops as Hegel was completing the
manuscript restricted the activities of the university and Hegel departed. Now without a
university appointment he worked for a short time, apparently very successfully, as an
editor of a newspaper in Bamberg, and then from 1808–1815 as the headmaster and
philosophy teacher at a gymnasium (high school) in Nuremberg. During his time at
Nuremberg he married and started a family, and wrote and published his Science of
Logic. In 1816 he managed to return to his university career by being appointed to a
chair in philosophy at the University of Heidelberg, but shortly after, in 1818, he was
offered and took up the chair of philosophy at the University of Berlin, the most
prestigious position in the German philosophical world. In 1817, while in Heidelberg he
published the Encyclopaedia of the Philosophical Sciences, a systematic work in which
an abbreviated version of the earlier Science of Logic (the Encyclopaedia Logic or
Lesser Logic) was followed by the application of its principles to the philosophy of
nature and the philosophy of spirit. In 1821 in Berlin Hegel published his major work in
political philosophy, Elements of the Philosophy of Right, based on lectures given at
Heidelberg but ultimately grounded in the section of the Encyclopaedia Philosophy of
Spirit dealing with objective spirit. During the following ten years up to his death in
1831 Hegel enjoyed celebrity at Berlin, and published subsequent versions of the
Encyclopaedia. After his death versions of his lectures on philosophy of history,
philosophy of religion, aesthetics, and the history of philosophy were published.

JOVEN HEGEL

Figlio di un funzionario statale, Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce a Stoccarda il 27


agosto 1770. Subito dopo la sua uscita dal seminario protestante di Tubinga (lo Stift),
avendo rifiutato di intraprendere la carriera ecclesiastica, diventa precettore, dapprima
in Svizzera (dal 1793 al 1796) e poi a Francoforte (dal 1796 al 1799). In questi anni
le sue riflessioni ruotano attorno al problema delle profonde lacerazioni che attraversano
il presente (la Rivoluzione francese e i suoi sviluppi), ma di cui egli cerca l’origine nel
lontano passato, nelle vicende del cristianesimo.
A tale scopo compone, tra l’altro, due saggi rimasti a lungo inediti: La positività della
religione cristiana e Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. In essi considera Gesù
portatore di un messaggio di liberazione da una vita mutilata e deforme, rappresentata
dai farisei, esponenti di uno spirito arrogante e formalistico. Gesù avverte il carattere
opprimente di una religione diventata “positiva” (ossia imposta, sclerotizzata, priva
delle motivazioni che l’hanno fatta sorgere). Nello scontro con le autorità religiose egli
esce sconfitto, perché non riesce a persuadere il suo popolo ad accettare la legge
dell’amore e del perdono. Si trova così davanti al dilemma tra l’adeguarsi al destino di
rassegnazione del popolo ebraico, compromettendo in tal modo lo slancio collettivo
verso una vita migliore, e il respingerlo per conservare intatta la “buona novella”. Gesù
sceglie consapevolmente di percorrere il secondo itinerario: una via crucische lo
condurrà alla morte, ma che gli permetterà di perpetuare il suo messaggio. Morendo,
infatti, egli trasmette ai secoli venturi la speranza in una esistenza non più legata
all’osservanza formale della legge, ma dotata di una pienezza che si manifesta quale
impulso costante verso il cambiamento e l’ampliamento della vita
3.2 La Fenomenologia dello spirito
Dopo la morte del padre nel 1799, con l’eredità ricevuta, Hegel può lasciare il mestiere
di precettore e tentare la carriera accademica. Aiutato da Schelling, suo più giovane e
brillante collega nello Stift di Tubinga e ora cattedratico a Jena, giunge nel 1801 come
docente in quella università.
Nello stesso anno pubblica due lunghi saggi (Sulla differenza tra il sistema di Fichte
e quello di Schelling e Fede e sapere) dove prende posizione in favore dello
stesso Schelling e afferma di considerare “la scissione fonte del bisogno di filosofia”: la
filosofia non scaturisce né dall’aristotelica meraviglia, né dal lockiano “disagio”, bensì
dal dolore e dalle contraddizioni di un’epoca.
Con una serie di abbozzi sulla logica, la filosofia della natura e dello spirito e con
ricerche sull’etica, la politica, il diritto naturale, durante la sua fase
jenense Hegel prepara in privato la fioritura delle sue maggiori opere successive: una
fase che si conclude con la Fenomenologia dello spirito, pubblicata nel 1807. Come dirà
a vent’anni di distanza dall’uscita dell’opera, quando gli viene proposto di ristamparla –
magari con qualche aggiunta o correzione –, essa ha rappresentato per lui un “viaggio di
scoperta”, una esplorazione da “non rielaborare”. La scelta di non ristamparla non
dipende dal fatto che Hegel veda la Fenomenologia come un immaturo lavoro
giovanile, ma dalla convinzione che nel suo viaggio egli fosse ormai giunto a scoprire
un nuovo continente.

La struttura della Fenomenologia dello spirito

La Fenomenologia dello spirito (1807) è la prima grande opera di carattere


sistematico pubblicata da Hegel, un’opera che egli considera propedeutica al sistema
vero e proprio della filosofia. In essa egli espone una sorta di storia della coscienza
umana nel suo progressivo manifestarsi, dallo stadio iniziale di coscienza naturale,
caratterizzato dalla certezza dei dati sensibili, fino allo stadio finale del sapere assoluto,
del sapere filosofico vero e proprio. In questo suo manifestarsi la coscienza sperimenta
di volta in volta l’incompletezza e inadeguatezza delle proprie conquiste,
riconoscendole come forme di sapere solo apparenti (“fenomenologia” deriva dal greco
“fenomeno”, “ciò che appare”), che tuttavia non devono essere rimosse, ma “superate” e
conservate nelle forme di sapere successive.
Scopo della Fenomenologia, come Hegel illustra in un’ampia prefazione all’opera, è
permettere a chi la legge, in quanto individuo, di ripercorrere le tappe compiute
dall’umanità nel suo complesso, dall’”individuo universale” in quanto “spirito
autocosciente nel suo processo di formazione”. “Il singolo deve ripercorrere i gradi di
formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello
spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata”.
Questo processo graduale è espresso nella triade hegeliana dell’essere-in-sé, essere-
per-sé, essere-in-sé-e-per-sé; con essa si indica dapprima l’universalità astratta
dell’oggetto come contrapposta alla realtà (essere-in-sé), quindi il passaggio con il
quale l’oggetto diviene oggetto per una coscienza (essere-per-sé), infine l’approdo
del movimento dialettico nel quale oggetto-in-sé e oggetto-per-sé coincidono
(essere-in-sé-e-per-sé).
In questo “processo”, nell’appropriarsi dell’assoluto da parte dell’individuo è
implicita una presa di posizione di Hegel contro le pretese di un certo romanticismo di
poter cogliere l’assoluto mediante un unico atto intuitivo o, peggio ancora, mediante
“l’oracolo interiore del sentimento”, che “calpesta la radice dell’umanità”.
Questo percorso della coscienza verso l’assoluto si articola, al contrario, in passaggi
principali, esposti nelle sei sezioni che compongono la Fenomenologia dello spirito,

ciascuna a sua volta suddivisa in altri momenti:


1) Coscienza
La prima sezione è dedicata all’analisi della certezza sensibile, è il momento in cui il
soggetto è passivo, riceve semplicemente i dati della realtà esterna. Hegel mostra però
come tale passività sia solo apparente e come la ricezione dei dati sensibili sia in realtà
mediata dal pensiero (il “qui” e l’”ora” con cui la  coscienza classifica i fatti sono in
realtà concetti universali che permangono anche se cambiano i contenuti della
coscienza). Al livello della coscienza, Hegel colloca inoltre la percezione, che ci
permette di cogliere nell’oggetto una molteplicità di proprietà, e l’intelletto, che pensa
questa molteplicità e la “spiega”. È, quest’ultimo, il livello tanto del modo di pensare
comune quanto della scienza moderna, ma per Hegel è imperfetto e deve essere
superato.
2) Autocoscienza
Dopo l’intelletto Hegel pone così l’autocoscienza, la coscienza che l’uomo ha di se
stesso (attraverso un processo che Hegel definisce “alienazione”, che indica l’uscita
della coscienza da se stessa) e che è mediata dal rapporto con altre autocoscienze. In
questa sezione l’attenzione si sposta dal mondo degli oggetti esterni a quello dei
rapporti interumani. Il soggetto può riconoscere se stesso, può realizzare la propria
identità solo nel riconoscimento da parte di un altro soggetto: è la “lotta per il
riconoscimento” che caratterizza il rapporto tra signoria e servitù e che si conclude con
l’affermazione della superiorità del servo sul padrone. Attraverso il proprio lavoro,
infatti, il servo raggiunge un livello di libertà maggiore di quella del suo padrone e,
modificando gli oggetti naturali, educa nello stesso tempo se stesso a liberarsi dagli
istinti. In questo modo l’autocoscienza si proietta in una dimensione spirituale, nella
quale si ritrova però nello status di “coscienza infelice” (tipica del cristianesimo
medievale), che proietta l’assoluto in Dio, ma lo nega a se stessa.
3) Ragione
Nello stadio successivo, quello della ragione, l’autocoscienza riporta l’assoluto dentro
di sé, attraverso tre tappe:
a) ragione osservativa (l’autocoscienza osserva la natura e se stessa);
b) ragione attiva (l’autocoscienza attua se stessa in modi diversi, nella ricerca del
piacere, nell’attuazione della “legge del cuore” o tentando di affermare una virtù
astratta);
c) individualità reale (l’individuo agisce concretamente, incontrando così altri
individui).
In quest’ultimo livello la ragione si fa legislatrice ed “esaminatrice di leggi”.
4) Spirito
L’attenzione di Hegel si sposta, con il quarto stadio, dall’azione dei singoli allo
sviluppo dei popoli nelle varie epoche della storia, nelle quali si affermano:
a) l’eticità, caratterizzata da un’armonia di fondo tra individuo e società;
b) la cultura, che si realizza nell’Illuminismo, sfociando però nella “libertà assoluta” e
nel “terrore”;
c) la moralità, caratteristica per Hegeldell’”anima bella” e rivolta solo all’interno
dell’individuo, proiettata verso una dimensione ideale e incurante del reale.
5) Religione
È lo stadio in cui si realizza l’unità tra divino e umano. Ripercorrendo le tappe della
religione Hegel distingue:
a) la religione naturale;
b) la religione cosiddetta “artistica”, che ha il suo momento più alto nella civiltà
greca;
c) la religione rivelata, quella cristiana del “Dio-uomo”.

6) Il sapere assoluto
È lo stadio finale dello sviluppo della coscienza, nel quale sono conservati e superati
tutti gli stadi precedenti, in cui “lo spirito si sa come spirito”. È raggiunta qui
quell’identità di soggetto e oggetto che rappresenterà il punto di partenza dellaScienza
della logica.

Analitica e dialettica
in questa prospettiva, laFenomenologia rappresenta una sfida al divieto kantiano di
abbandonare il solido terreno dell’esperienza, l’analitica in senso aristotelico (il dominio
della verità, della scienza e della certezza), per avventurarsi nell’oceano della dialettica
(il regno dell’apparenza, dei fenomeni e dell’incertezza), dove si è inevitabilmente
destinati al naufragio.
Quello che Hegel scopre è che c’è verità anche nell’apparenza (nei fenomeni) e che,
dunque, non esiste, in linea di principio, alcun conflitto tra apparenza e verità, tra
dialettica e analitica: egli, anzi, cambia completamente il senso e il valore dei due
termini, trasformando l’analitica in una verità frammentata e separante tipica
dell’intelletto, e la dialettica in un processo dinamico e dissolutore dei concetti isolati
tramite la ragione, in uno sviluppo mediante contraddizioni.

Filosofia come sapere effettivo


Per Hegel, il sapere è inerente non solo alla meta, ma all’intero processo: in ciò egli è
fedele al suo programma, secondo cui la filosofia deve rinunciare al suo nome di amore
del sapere per diventare “sapere effettivo”, “scienza dell’esperienza della coscienza”. Il
fenomeno non è illusione, ma è verità in cammino, che non è necessariamente destinata
al naufragio. La “esperienza”, in tedescoErfahrung, viene da lui intesa
etimologicamente secondo la propria radice: Fahrt, cioè “viaggio”, “itinerario della
coscienza naturale, la quale urge verso il vero sapere”.

Si tratta, dunque, di percorrere un cammino scandito da una serie di tappe (o


“figure”, Gestalten) che porteranno dall’opacità della “coscienza sensibile” (dal credere
che il “qui” e l’“ora” siano la verità) al “sapere assoluto”, ponendo le premesse per una
conoscenza che potrà svilupparsi più liberamente dopo aver metabolizzato le sue
premesse.

3.3 Il passaggio a un mondo nuovo


Nel periodo tumultuoso in cui scrive la Fenomenologia dello spirito Hegel è convinto
di vivere in un’epoca in cui un mondo si dissolve per dar vita a un altro, non ancora
completamente formato, ma di cui si colgono i segni premonitori. Per questo,
concludendo il suo corso di storia della filosofia all’università di Jena, può dire agli
studenti, il 18 settembre 1806: “L’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che
abbiamo avuto fino ad ora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come
un’immagine di sogno”. Del passato restano tracce sbiadite e il futuro si manifesta come
inconsapevole aspirazione al nuovo, come “sentimento d’ignoto”.
Per avanzare verso il nuovo occorre diventare consapevoli della natura dei
condizionamenti caduti, delle “catene del mondo”, guardare in faccia l’“assoluta
devastazione”, ripercorrere le tappe del lungo cammino attraversato, soffermandosi su
ciascuna di esse.
Questo è necessario per diventare contemporanei di se stessi, per poter contemplare la
figura del nuovo mondo che sorge nel “sapere assoluto”, ab-solutus, sciolto da ogni
condizionamento, libero da quelle “catene” del passato che ancora imprigionano gli
uomini nelle rappresentazioni, nei concetti e negli atteggiamenti etici, intimamente
indeboliti ed oscurati, ma ancora in grado di esercitare una residua spinta inerziale.

Rapporto signoria-servitù
Ciò che Hegel fa è ripercorrere la storia già trascorsa riorientandone il senso: egli
strappa dal loro contesto le singole categorie, o figure, della tradizione filosofica e le
inserisce in un nuovo orizzonte. Un esempio in questo senso è il celebre rapporto
signoria-servitù, dove la posta in gioco è la conquista dell’autocoscienza nel processo di
riconoscimento.
Nel rapporto tra signore e servo, in un primo momento solo il padrone è da
considerarsi libero; egli gode del frutto del lavoro del servo, diventandone però, in
questo modo, a sua volta dipendente, cosicché sarà proprio il servo, e non più il signore,
che, grazie al proprio lavoro, sarà più libero e indipendente. “La verità della coscienza
indipendente – scrive Hegel – è di conseguenza la coscienza servile”. Nel momento in
cui ci si riflette nella coscienza dell’altro si smette dunque di essere dipendenti, e la
servitù si emancipa dalla sua signoria.
La trattazione fenomenologica hegeliana si sviluppa, certo, sul piano “astratto”
dell’autocoscienza, ma ciò non impedisce che Hegel abbia in mente casi storici e
posizioni teoriche che, appartenendo a situazioni che si sono dissolte, hanno lasciato
delle tracce nella formazione dell’autocoscienza. E se non è indifferente che nella storia
tale stadio di servitù sia stato attraversato o meno, soltanto alcuni popoli – come gli
europei moderni e, in particolare, “i popoli germanici” – sono riusciti di fatto a
raggiungere una condizione in cui “tutti sono liberi”.

Per Hegel è libero chi, rifiutando l’istinto animale di autoconservazione, si innalza al di


sopra della vita. Nel far questo egli si riferisce a un’antica e consolidata concezione,
rinverdita dalla parola d’ordine della Rivoluzione francese “Libertà o morte!”. La libertà
è una rischiosa conquista. La merita soltanto chi mette in gioco la propria vita e
preferisce la morte alla sottomissione al volere altrui. È una decisiva prova del fuoco
che seleziona gli uomini e li divide in chi è capace di dominare e chi soltanto di
obbedire. Merita, invece, di servire chi per incapacità o per viltà, vuole conservare la
propria vita, barattando la libertà con la sopravvivenza. È il conflitto estremo, la guerra
o (secondo il modello già riscontrabile nell’Iliade) il duello mortale a stabilire una
gerarchia di valore tra gli uomini.ç

La Scienza della logica


L’invio all’editore del manoscritto della Fenomenologia dello spirito avviene
nell’ottobre del 1806, proprio nei giorni in cui i Francesi, sconfitti i Prussiani a Jena,
entrano in città. È in questa occasione che Hegel vede passare Napoleone, di cui
scriverà: “È in effetti una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui,
concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina”.
Per tanti motivi, la permanenza a Jena è ormai diventata precaria e Hegel accetta,
quindi, per un anno (dal 1807 al 1808) di dirigere un giornale a Bamberga, la
“Bamberger Zeitung”. Curioso degli avvenimenti del mondo, vi scrive cronache
puntuali e acute. Nell’autunno del 1808 si trasferisce quindi a Norimberga come rettore
di un famoso ginnasio, dove svolge anche il compito di insegnante di filosofia e impara
a rivolgersi ai ragazzi con un linguaggio più piano (il risultato di questo insegnamento,
che comprende anche la pedagogia, è contenuto nella Propedeutica filosofica, del 1808-
1812).
Tra il 1812 e il 1816 Hegel porta a compimento a Norimberga la sua più monumentale
opera, la Scienza della logica, il cui scopo fondamentale è quello di rifondare
l’ontologia, vale a dire di mostrare come le categorie del pensiero non siano astrazioni
soggettive, ma vincolino l’«essere» (on) al «pensiero» (lógos).

Il pensiero e la realtà
Secondo Hegel, la realtà è per sua natura conforme al pensiero. Ciò non significa
attribuire coscienza alle cose, ma considerarle come orientate al pensiero, costituite da
“determinazioni di pensiero”.
Le cose hanno in sé una struttura razionale che il pensiero esplicita,  trasformandone
la singolarità in universalità attraverso i concetti. Resta però da spiegare come l’oggetto
si traduca nel soggetto e come il soggetto penetri nell’oggetto e ne decifri l’elemento di
universalità. A tale questione, dice Hegel, in un’epoca che ha proclamato la distanza
incolmabile fra soggetto e oggetto e l’inconoscibilità della “cosa in sé”, sanno
rispondere meglio gli animali dei filosofi: “nemmeno le bestie sono stupide come questi
metafisici, poiché si dirigono sulle cose, le afferrano e le consumano”. In questa “più
bassa scuola della saggezza” tutti gli esseri animati mostrano quale sia la “verità” delle
cose singole e la loro presunta autonomia e intangibilità di fronte al soggetto.
Tralasciando gli aspetti più propriamente tecnici e sistematici, è sufficiente osservare
che le “determinazioni di pensiero” esistono nella cosa allo stesso modo in cui nel seme
di una pianta sono contenute implicitamente radici, rami, foglie; non sono cioè presenti
in forma miniaturizzata, secondo le teorie biologiche preformiste, bensì come
“progetto”. Nella Scienza della logica Hegel sviluppa un’equiparazione tra il processo
di assimilazione e digestione da una parte e il pensiero dall’altra: a partire dai primi anni
di Jena il suo interesse per la fisiologia e per i processi della digestione è infatti
fortissimo; Hegel frequenta lezioni di fisiologia, progetta la traduzione tedesca
dei Nouvi elementi di fisiologia di Anthelme Richerand – un giovane allievo del
fisiologo francese Marie François Xavier Bichat (1771-1802) a cui si devono importanti
scoperte nel campo della fisiologia e dell’anatomia –, ma la sua fonte principale sono
gli Opuscoli di fisica animale e vegetabile di Lazzaro Spallanzani. Quel che Hegel crede
di aver appreso da lui e dalla moderna fisiologia dei processi digestivi è che l’organismo
assorbe immediatamente, in quanto potenza universale, il cibo ingoiato, ne “nega” la
natura “relativamente” inorganica e lo pone come identico a sé, lo assimila.
Le leggi dell’astronomia e della fisiologia non sono scritte sui corpi celesti o sugli
organi, ma trovano la loro espressione concettuale nella mente umana. Il pensiero è
diventato per l’uomo più che una seconda natura: si pensa come si digerisce, con lo
stesso automatismo inconscio, con la stessa istintività. Per questo,
sostiene Hegel nella Scienza della logica, è assurdo affermare che lo studio della logica
serva a imparare a pensare: “è proprio come se si dovesse imparare a digerire o a
muoversi solo con lo studio dell’anatomia e della fisiologia”.

Il metodo dialettico
In quest’opera, di non facile comprensione e dalla struttura molto articolata, Hegel
analizza la successione delle categorie logiche secondo un metodo – cosiddetto
“dialettico” – che viene solitamente identificato, in maniera impropria, con lo schema
scandito nei tre momenti di “tesi”, “antitesi”, “sintesi”: termini di cui Hegelnon si è mai
in realtà servito.

La Aufhebung
Il concetto chiave di questo metodo è laAufhebung, “superamento” degli opposti nel
senso del verbo latino tollere: si pensi in particolare all’espressione Ecce agnus Dei qui
tollit peccata mundi (“ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”), che
“toglie” i peccati nel senso che ne toglie il peso, senza, però, dimenticarne la causa e la
responsabilità. La Aufhebung è una negazione che nello stesso tempo conserva ciò che
ha tolto, mantenendo la sua base di verità. Si tratta insomma di una “negazione
determinata”.

Dalla logica alla storia della filosofia


Lo sviluppo delle categorie logiche mostra un certo parallelismo con lo svolgersi delle
filosofie, a partire dal primo pensiero puro (l’“essere” di Parmenide), e appare come un
automovimento, uno spontaneo dispiegarsi in cui il pensiero soggettivo fa da spettatore.
Questi temi troveranno un inquadramento storico nelleLezioni di storia della
filosofia berlinesi.

3.4 Da Heidelberg a Berlino: il progetto di enciclopedia filosofica


Nel 1816 viene finalmente offerta a Hegell’agognata cattedra universitaria, dapprima a
Heidelberg, e poi, dal 1818, a Berlino. A Heidelberg egli tiene, per la prima volta, un
corso di “enciclopedia filosofica” in forma sistematica, un modello che gli frutta la fama
di megalomane per aver preteso di spiegare tutto. Hegel basa le sue lezioni
sull’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, un’opera che pubblica a
Heidelberg nel 1817 e che si compone di una serie di paragrafi in forma di promemoria
a uso degli studenti. Il suo insegnamento si inserisce nel quadro di una materia
accademica obbligatoria, che aveva il compito di abituare alla coerenza argomentativa e
alla visione d’insieme dei problemi. Il professore è tenuto a illustrare a voce ogni
paragrafo (la cosiddettaGrande enciclopedia contiene anche questi commenti, ricavati
dagli appunti diHegel o da quelli degli uditori).

Logica, natura, spirito


L’opera è divisa secondo la progressione canonica logica-natura-spirito: la parte sulla
logica riproduce sostanzialmente le tappe della Scienza della Logica; la seconda parte
ripercorre invece le caratteristiche della natura, dalle leggi meccaniche della materia
fino alla natura organica, sempre dominata dalla necessità.
La terza parte tratta infine dello spirito, scandito nei tre momenti di:
(1) spirito soggettivo, cioè la dimensione dell’uomo in quanto individuo, dotato di
anima, coscienza, spirito teoretico e spirito pratico;
(2) spirito oggettivo, quello dell’uomo nella sua relazione con gli altri uomini,
analizzata in base alle dottrine del diritto, della moralità e dell’eticità;
(3) spirito assoluto, che si esprime nelle forme dell’arte, della religione e della
filosofia.
L’Enciclopedia può (e deve) essere letta, nelle intenzioni di Hegel, dall’inizio alla
fine e viceversa: dato che il sistema è un “circolo di circoli”, non esiste un ingresso
privilegiato e il “cominciamento” potrebbe teoricamente situarsi ovunque.

La civetta della filosofia...


Questa immagine del sistema hegeliano come un sistema chiuso, che è stato fatto
corrispondere a un atteggiamento politico rinunciatario nello Hegel del periodo
berlinese, poggia anche sul fascino di alcune fortunate metafore, come quella – la più
nota – della civetta della filosofia (esposta nella “Prefazione” ai Lineamenti di filosofia
del diritto del 1821) che si innalza sul far della sera, quando il processo di formazione
della realtà appare ormai concluso. Si è sempre visto in essa il simbolo stesso della
vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte
diHegel: sembra, infatti, che egli affidi al pensiero il compito di registrare passivamente
una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nella notte della propria interiorità.

… e la talpa della storia


La rappresentazione della civetta trova un contrappeso in quella della talpa, presente
nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia. Diversamente dalla civetta della
filosofia, che è capace di vedere nel buio ma non di agire, gli occhi della talpa della
storia sono ciechi, ma il suo procedere e scavare sotterraneo, per quanto lento e
tortuoso, è sicuro ed efficace.
Il contributo della filosofia, della coscienza, al lavoro della talpa consiste (al pari
dell’intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) nel chiarire e
mitigare i conflitti. Acquista così un senso più pregnante la descrizione hegeliana dello
specifico campo d’azione della filosofia, come viene espresso in una lettera del 1808:
“Il lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più
che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà
effettuale non tiene più”.

Reale e razionale nella storia


In questa direzione è da intendersi anche la nota espressione, contenuta nella
“Prefazione” ai Lineamenti di filosofia del diritto, secondo cui “ciò che è razionale è
reale”. La “realtà”, in tedescoWirklichkeit, infatti, non è da intendersi come semplice
realtà empirica, Realität: essa è, piuttosto, la traduzione hegeliana della “verità
effettuale della cosa” di cui parla Machiavelli, in contrasto alla “immaginazione di
essa”. Wirken indica l’agire di ciò che s’imprime nel corso della storia; “razionale” è ciò
che nella storia avanza, producendo effetti, non ciò che nella storia viene colto
istantaneamente.

La disgregazione del mondo moderno e l’arte


Hegel interpreta la propria epoca come un’epoca di decadenza, di disfacimento, in cui
prevalgono “la prosa del mondo”, la burocratizzazione dell’esistenza, il dominio delle
astrazioni sull’immediatezza del vivere. In campo artistico i modelli più rappresentativi
del suo tempo – come risulta dalle magistrali pagine dell’Estetica – sono per
lui Rossini in musica, e Sterne in letteratura. Così comeAristofane raffigura, ridendo, la
disgregazione della pólis e così comeCervantes descrive, ridendo, la dissoluzione del
mondo feudale, allo stesso modo essi rappresentano con il lorohumour (il genere più
alto, superiore alla tragedia) la disgregazione del mondo moderno, da cui ne nascerà uno
nuovo, anche se Hegel non dice quale, convinto che il filosofo non sia un profeta.

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