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Borges Leibniz
Borges Leibniz
3
TO I, p. 523.
4
Cfr. TO II, p. 453. Per la biografia di Borges rinvio a D. Porzio, Jorge Luis Borges, Edizioni
Studio Tesi, Pordenone 1992. Per il cenno fatto all’episodio della scacchiera e dei paradossi di Ze-
none, cfr. ibi, pp. 50 ss. Si veda anche, in merito, F. Savater, Borges, tr. it. di F. Saltarelli, Laterza,
Roma-Bari 2003, pp. 19-20. Del testo di Fernando Savater cfr. in particolare il cap. 5 (Il sorriso
metafisico), pp. 97-119, dedicato alle relazioni di Borges con la filosofia.
5
Cfr. M. Blanchot, L’infinito letterario: l’Aleph, in Id., Il libro a venire, tr. it. di G. Ceronetti
- G. Neri, Einaudi, Torino 1969, p. 103. Quanto al racconto a cui si è fatto riferimento, intitolato
Pierre Menard, autore del Chisciotte, esso si trova in Finzioni, TO I, pp. 649-658.
9
J.L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, TO I, pp. 700-701.
10
GP VI, p. 363; SF II, pp. 395-396.
Rinvio, sul tema, alla mia monografia Erudizione e teodicea, cit., capitolo 3, pp. 403-470.
11
Cfr. anche S. Givone, Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Einaudi, Torino 2005.
3. Il possibile e l’ucronia
Una conseguenza mette conto rilevare: quella per cui nella storia,
nel romanzo di Dio venuto ad esistenza, per Leibniz, non c’è spazio
per l’ucronia, intesa nell’accezione di colui che ha coniato il termi-
ne, Charles Renouvier (1815-1903), il filosofo francese autore – oltre
che di una Nouvelle Monadologie (1899) – di quella Uchronie (1857;
1876)13, contro cui si scaglierà l’ironia di Benedetto Croce in La sto-
ria come pensiero e come azione14, e che invece, in Italia, troverà in
Adriano Tilgher un estimatore15. No, la storia, per Leibniz, non si può
fare con i “se”, il tempo storico non è per lui un tronco dalle tante ra-
12
GP III, pp. 572-573.
13
C. Renouvier, Uchronie (l’Utopie dans l’histoire). Esquisse historique apocryphe du dé-
veloppement de la civilisation européenne tel qu’il n’a pas été, tel qu’il aurait pu être, ed. cit.
Fayard, Paris 1988. Sull’anti-storicismo di Renouvier e su Uchronie, cfr. A. Deregibus, L’ultimo
Renouvier. “Persona” e “storia” nella filosofia della libertà di Charles Renouvier, Tilgher, Ge-
nova 1987, in particolare la Parte II. Sul concetto e il significato di possibile rinvio a G. Zingari,
Speculum possibilitatis. La filosofia e l’idea di possibile, Jaca Book, Milano 2000.
14
B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1966, pp. 19-20.
15
Cfr. in particolare di A. Tilgher, Il casualismo critico, Bardi, Roma 19442. Una sintetica
ricostruzione della nozione di “ucronia” e delle dispute filosofiche cui essa ha dato luogo, si trova
nella Postfazione di G. De Turris, intitolata Tutti i futuri del mondo. Le ragioni del Possibile, al vo-
lume Se la storia fosse andata diversamente. Saggi di storia virtuale, a cura di J. Collings Squire,
tr. it. di M. Frassi, Corbaccio, Milano 1999, pp. 291-326.
mificazioni, per quanto sia il più ricco e il più vario possibile, poiché
espressione del migliore dei mondi. Solo il tempo prima del tempo,
il tempo in mente Dei, non ancora passato nel “setaccio metafisico”
degli incompossibili, come si è detto, presenta simili ramificazioni.
Quale sia la ragione di ciò, lo documenta eloquentemente un pas-
so dello scritto De libertate, contingentia et serie causarum atque de
providentia ove il filosofo, evocando in che modo nel corso della sua
riflessione si era affrancato dalla tentazione del necessitarismo, relega
l’ipotesi dei mondi paralleli all’immaginazione dei poeti, ai romanzi,
scartandone la co-creazione in nome della salvezza della contingentia
mundi, inscindibilmente legata, per lui, alla «bellezza dell’universo» e
alla «scelta delle cose».
All’interno di tale pagina, in quel «qualcuno» che, nella vastità in-
finita di spazio e tempo, immagina esistere alcune «regioni dei poeti»
(regiones poetarum) dove si vedono muoversi i personaggi dei roman-
zi, si potrebbe identificare proprio Borges, che finirebbe così per tro-
varsi in una singolare quanto scomoda prossimità nientemeno che col
Renato Cartesio dei Principia Philosophiae, da Leibniz ritenuto a sua
volta non lontano – quanto alla tesi della ricezione in successione, da
parte della materia, di tutte le forme possibili – dallo stesso panteismo
di Baruch Spinoza:
niverso e qualsiasi scelta delle cose; per tacere ora di altre considerazioni, dalle
quali si può evincere il contrario»16.
16
A VI, 4 B, pp. 1653-1654; SF I, pp. 422-423.
17
M. Blanchot, op. cit., p. 102. Per il cenno fatto alla distinzione aristotelica tra poesia e
storia, mi limito a rinviare allo studio di G. Lombardo, L’estetica antica, il Mulino, Bologna 2002,
pp. 102-104 e alla relativa bibliografia.
corso dell’iter italicum, tra il maggio e l’autunno del 1689, per Theodor
Althet Heinrich von Strattmann (Entwurf einer Bibliotheca Universalis
Selecta; cfr. A I, 5, pp. 428-462).
Eppure il filosofo, nato, come anche Borges amava dire di sé, in
una biblioteca e, in modo affine allo scrittore argentino, bibliotecario di
mestiere22, rifiutò l’identificazione tra Libro e Universo. Nel frammen-
to sull’Apokatastasis (1715), il rifiuto dell’identità fissata da Borges
(Libro=Universo) risulta evidente23. Così come evidente appare anche,
come ha scritto Umberto Eco, che «di Biblioteche di Babele ne sono
state sognate anche prima di Borges»24.
Una di queste si prospetta proprio nel tardo scritto leibniziano. Che
dire – vi si legge – se il tempo dei libri, delle Historiae, si esaurisse e se,
22
Borges, dopo avere lavorato in una modesta biblioteca municipale dal 1938, momento
segnato anche dalla morte del padre, fu direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires dal
1955 al 1974, anno nel quale si dimise dall’incarico per ragioni politiche, legate al ritorno al gover-
no dei peronisti. Ma, come per Leibniz, prima ancora, decisiva fu la biblioteca paterna: «Mi sarà
permesso di ripetere che la biblioteca di mio padre è stata il fatto capitale della mia vita? La verità
è che non sono mai uscito da essa, come mai uscì dalla sua Alonso Quijano» (J.L. Borges, Epilogo
a Storia della notte, TO II, p. 1115).
23
Rinvio alla mia traduzione e analisi del frammento: G.W. Leibniz, Storia universale ed
escatologia. Il frammento sull’Apokatastasis (1715), a cura di R. Celada Ballanti, Il Melangolo,
Genova 2001, e al capitolo 4 della mia monografia, Erudizione e teodicea, cit., pp. 509-555, che
riprende e riformula il saggio contenuto nel volume prima citato.
24
U. Eco, Tra La Mancha e Babele, in Id., Sulla letteratura, Bompiani, Milano 2002, p. 115.
Nel medesimo testo cfr. anche Borges e la mia angoscia dell’influenza, pp. 128-146. Alla bibliote-
ca leibniziana, nonché alla dottrina dell’apocatastasi, Eco dedica alcune fini pagine in La ricerca
della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 289 ss. Di Eco, sugli
stessi temi, ricordo anche lo scritto De Bibliotheca, in Id., Sette anni di desiderio, Bompiani, Mila-
no 1995, pp. 237-250. Sulla biblioteca nella letteratura si veda l’agile volumetto di R. Nisticò, La
biblioteca, Laterza, Roma-Bari 1999, che alle pp. 67-83 sosta su Il nome della rosa (1980) di Eco,
romanzo al centro del quale, com’è noto, sta una labirintica biblioteca, e sulla Biblioteca di Babele
di Borges. Il nesso Eco-Borges propizia l’evocazione di almeno altri due scrittori italiani del No-
vecento memori sia dello scrittore argentino quanto di Leibniz, e che in questo senso appartengono
a una storia delle monadologie letterarie del XX secolo: Italo Calvino e Carlo Emilio Gadda.
Sull’argomento rinvio allo studio di R. Paoli, Borges e gli scrittori italiani, Liguori, Napoli 1997.
Inoltre, su Gadda: G.C. Roscioni, La disarmonia prestabilita. Studi su Gadda, Einaudi, Torino
1995 (con interessanti riferimenti a Leibniz); R.S. Dombrosky, Gadda e il barocco, tr. it. di A.R.
Dicuonzo, Bollati Boringhieri, Milano 2002; E. Raimondi, Barocco moderno. Roberto Longhi e
Carlo Emilio Gadda, Bruno Mondadori, Milano 2003. Cenni su Gadda e Calvino in prospettiva
leibniziana si trovano in R. Cristin, La camera oscura. Implicazioni e complicazioni del soggetto
in Leibniz, cit., pp. 176 ss. Ricca di suggestioni è anche la conferenza di José Ortega y Gasset del
1935, La missione del bibliotecario, tr. it. di A. Lozano Maneiro - C. Rocco, SugarCo Edizioni,
Carnago 1994. Si veda inoltre L. Canfora, Il copista come autore, Sellerio, Palermo 2002, con fini
riferimenti a Borges (pp. 15 ss.).
a un certo punto, quasi i fili che innervano il textum, l’ordito del testo,
si pietrificassero in atomi di numero finito, le stesse cronache, gli stessi
libri ritornassero? Così suona l’esperimento mentale proposto nel fram-
mento sull’Apokatastasis. Il numero delle lettere alfabetiche – argomen-
ta Leibniz – è finito, perciò finite, per quanto numericamente sterminate,
sono anche le loro combinazioni. Supposto che il genere umano perman-
ga sulla terra un numero di anni sufficiente a realizzare tutte le storie
universali annuali, contenute in un’ipotetica e poderosa Biblioteca sto-
rica universale, verrà un giorno in cui le stesse cronache, gli stessi libri
si ripeteranno, sia riguardo alle cronache pubbliche che a quelle private.
Il tempo del libro è, dunque, sin qui, un tempo anulare, ricurvo su
stesso, statico, i cui atomi-lettere, cabalisticamente o per ars combina-
toria, esauriscono le possibilità originali e, a un certo punto, finiscono
per ripetersi. Sembra qui anticipato il finale della Biblioteca di Babe-
le borgesiana, anch’essa circolare, eterna perché periodica, nella quale
alla fine si ritrovano gli stessi libri nel medesimo ordine-disordine:
«Chi lo immagina [il mondo] senza limiti, dimentica che è limitato il numero
possibile dei libri. Io m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è
illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione
qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono
nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa ele-
gante speranza rallegra la mia solitudine»25.
25
TO I, pp. 688-689.
Qui, la ricerca di una parola vera, che sia il senso di tutte le altre, è
senza approdo e senza speranza, e l’uomo è come il cercatore del Graal o
Don Chisciotte perduto in una selva oscura di combinazioni ortografiche.
Difficile esprimere con maggiore poieticità lo smarrimento di un centro
nevralgico del reale e insieme l’esperienza del Tod Gottes dell’uomo con-
temporaneo. Difficile, anche, esprimere con superiore e più eccentrica
suggestione quel pensiero, antichissimo e venerabile, che dai Veda e dalle
Upanishad, da Sofocle e Parmenide, giunge fino a William Shakespeare,
a Calderón de la Barca, a Schopenhauer, del mondo come parvenza illu-
soria, come velo di Maya. In questo senso, l’espressione schopenhaueria-
na ricordata anche in Il tempo e J.W. Dunne27, leggibile in Die Welt als
Wille und Vorstellung – opera amata come poche altre da Borges28 – se-
condo cui «la vita e i sogni son pagine d’uno stesso libro»29, rappresenta
forse la cifra più appropriata alla poiesis borgesiana.
Il libro dove vita e sogno si confondono potrebbe essere uno degli
enigmatici volumi che popolano i relatos dello scrittore argentino: potreb-
be essere quel «gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro
completo delle pareti»30, che si rivela essere Dio, della Biblioteca di Ba-
bele. Oppure quel «volume ciclico, circolare [...] la cui ultima pagina fos-
26
TO I, p. 682. Sulla rivelazione in Borges, cfr. C. Magris, Borges o la rivelazione che non
viene, in Id., Itaca e oltre, Garzanti, Milano 1982, pp. 113-121.
27
Cfr. J.L. Borges, Altre inquisizioni, in TO I, pp. 924-928.
28
«Poche cose ‒ si legge nell’Epilogo dell’Artefice ‒ mi sono accadute più degne di memoria
del pensiero di Schopenhauer o della musica verbale d’Inghilterra» (TO I, p. 1267). Cfr. anche J.L.
Borges, Altre conversazioni, tr. it. di F. Tentori Montaldo, Bompiani, Milano 1989, p. 142, dove si
conferma la triade filosofica formata da Berkeley-Hume-Schopenhauer come quella prediletta dal-
lo scrittore argentino. Poco, tutto sommato, invece, ricorre nell’opera e nelle conversazioni borge-
siane il nome di Leibniz, che resta una presenza, per quanto sostanziale, più discreta e clandestina.
29
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, tr. it. di N. Palanga, Mursia,
Milano 1985, p. 54.
30
TO I, p. 681.
31
TO I, pp. 697-698.
32
TO II, p. 650. Borges ha legato il Castello di Kafka ai paradossi di Zenone, vedendo nel
romanzo del praghese una configurazione dell’antico problema, in Kafka e i suoi precursori, Altre
inquisizioni, TO I, pp. 1007-1009.
33
Cfr. TO I, pp. 857-862.
34
TO I, p. 671.
35
TO I, pp. 379-380. Su Borges e i paradossi di Zenone, cfr. P. Odifreddi, C’era una volta
un paradosso, Einaudi, Torino 2006, pp. 196-198 e Id., Un matematico legge Borges, in «Micro-
mega» 5(2002), pp. 46-57. Interessanti riferimenti a Borges si trovano in P. Zellini, Breve storia
dell’infinito, Adelphi, Milano 1996, e in A. Sani, Infinito, La Nuova Italia, Firenze 1988.
36
Cfr. TO I, p. 385.
37
TO I, p. 738.
38
TO I, pp. 384-385.
39
TO I, p. 385.
40
«Noi (la indivisa divinità che opera in noi) – recita l’intero brano – abbiamo sognato il mon-
do. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma
abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto»
(TO I, p. 399).
41
F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, 22: «Historia in nuce. La parodia più seria che io
abbia mai sentita è questa: “In principio era l’assurdo (der Unsinn), e l’assurdo era, al cospetto di
Dio, e Dio (divino) era l’assurdo”» [tr. it. di G. Colli - M. Montinari, Mondadori, Milano 1970].
Per un commento a questo testo rinvio ad A. Caracciolo, Nichilismo ed etica, Il Melangolo, Geno-
va 1983, pp. 63-64 (nuova ed. Il Melangolo, Genova 2002).
42
TO I, p. 1083.
43
TO I, p. 339.
44
TO I, p. 747.
45
Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Opere di
Friedrich Nietzsche, vol. VI, t. 1, a cura di G. Colli - M. Montinari, Adelphi, Milano 1991, p. 30.
Sullo Zarathustra nietzschiano si legga il non benevolo giudizio di Borges, che lo accusa, se pa-
ragonato ai Vangeli, ancora “contemporanei” e “futuro”, di obsolescenza, in Altre conversazioni,
cit., p. 11.
46
TO I, p. 1005.
9. Il tempo e l’eterno
47
Cfr. TO I, pp. 1043-1046.
48
TO I, p. 1161. Sul tema dei nomi divini nelle diverse tradizioni religiose, cfr. il fine e docu-
mentato saggio di M. Laeng, I nomi di Dio, in «Studium» 5(2002), pp. 659-669, ora in Id., Scienze
Filosofia Religione. L’enigma nello specchio, La Scuola, Brescia 2003, pp. 151-162.
49
Cfr. J.L. Borges, La dottrina dei cicli, in Storia dell’eternità, in TO I, in particolare p. 577.
L’eterno ritorno accade dunque sul piano individuale. Due cose uguali
sono un’unica cosa – Leibniz docet –, due momenti uguali sono un unico
momento. È tale identità degli indiscernibili il fondamento di quell’apo-
calissi minima, di quell’eternità senza Dio e senza archetipi, sperimentata
di notte in un suburbio di Buenos Aires, descritta in Storia dell’eternità:
«Quella pura rappresentazione di fatti omogenei – notte in calma, muretto lim-
pido, odore provinciale della madreselva, fango fondamentale – non è sempli-
cemente identica a quella che ci fu in quello stesso angolo tanti anni fa; è, senza
somiglianza né ripetizioni, la stessa. Il tempo, se possiamo intuire questa iden-
tità, è un’illusione: la non differenza e la non separabilità tra un momento del
suo apparente ieri e un altro del suo apparente oggi, bastano per disintegrarlo»51.
si legge in J.L. Borges, Conversazioni, cit.: «Sta di fatto che il tempo è più reale di noi. Si potrebbe
anche dire, l’ho anzi detto più volte, che la nostra sostanza è il tempo, che siamo fatti di tempo.
Non sempre siamo fatti di carne e d’ossa: quando sogniamo, ad esempio, il nostro corpo fisico
non importa, quel che importa è la nostra memoria e le immagini che tessiamo con essa. Questo
appartiene evidentemente a un ordine temporale, non spaziale» (p. 31). Notazioni di Borges sul
tempo sono leggibili anche in C. Costantini, Jorge Luis Borges. Colloqui esclusivi con il grande
scrittore argentino, Sovera Multimedia, Roma 2003, in particolare pp. 18 ss.
53
TO I, pp. 1088-1089.
ABSTRACT
KEYWORDS
54
Il riferimento è a Funes, o della memoria, in Finzioni, TO I, pp. 707-715. Il personaggio
borgesiano di Ireneo Funes meriterebbe, a mio avviso, per la sua tragicità, di essere annoverato tra
le figure dell’“Idiota” della letteratura contemporanea, accanto al principe Myskin di Fëdor Dosto-
evskij, al Menuchim del Giobbe di Joseph Roth ecc. Sul tema si veda il contributo di S. Givone, La
figura dell’Idiota nella letteratura contemporanea. Da Dostoevskij a Singer e a Malamud, tenuto
al III Convegno della Sezione di Filosofia della religione della Fritz Thyssen Stiftung, svoltosi a
Santa Margherita Ligure nei giorni 5-6-7 maggio 1981 sul tema: Il problema della sofferenza “inu-
tile”, i cui atti sono stati raccolti nel fascicolo del «Giornale di Metafisica» IV, 1(1982) (il testo di
Sergio Givone è alle pp. 183-194). Nello stesso fascicolo cfr. anche la relazione di A. Caracciolo,
Figure della sofferenza fenomenicamente inutile, pp. 65-83, leggibile anche in Id., Nichilismo ed
etica, cit., pp. 31-52.