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Appunti CINEMA E NUOVI MEDIA

Ci si occupa delle nuove forme del cinema in rapporto alle tante declinazioni che attraversano il
circuito dei media, In questi ultimi anni il cinema è stato oggetto di innumerevoli trasformazioni,
soprattutto sulla diffusione. Ricadute anche sulle pratiche di consumo. Nuove forme di
contaminazione, videogioco, televisione, computer, e anche si dissemina sui nuovi media, forme
ibride che nascono e vivono principalmente sul web, si modellano sulle caratteristiche delle nuove
piattaforme. Mash-up, remix, manipolazioni audiovisive che riplasmano il materiale
cinematografico in maniere imprevedibili. Individuare elementi di interesse in questi odierni
scenari mediali. Cinema nelle sue diverse ramificazioni. Manipolazioni, recycle cinema. Diciamo
che nella prima parte del corso affronteremo questi argomenti da una prospettiva strettamente
cinematografica, poi allargando alle nuove forme dell’audiovisivo. Seconda parte, una tipologia di
video, il videosaggio, sviluppano percorsi critici sfruttando le possibilità dell’audiovisivo. Ha
acquistato una larga legittimazione culturale, strumento di ricerca con elementi innovativi.
Didattica mista, in aula e online. Parte più laboratoriale. Progetto videosaggio. Progetti molto
dettagliati. EDITING VIDEO, pratico. Situazione generale perdura, reintrodurre attività più
laboratoriali. Seconda parte sull’editing fornisce gli strumenti pratici per elaborare un montaggio.
Il progetto progettato con Di Donato verrà realizzato e portato in sede d’esame come prova. Non è
obbligatorio, ma chi lo produce ha un programma più ridotto. Non per fare differenza frequentanti
non frequentanti, ma chi fa un lavoro gli deve essere riconosciuto. Il progetto dovrà avere ad
oggetto un videosaggio o un mash up, ma queste cose ce le mostrerà in lezione. Comunque sul
cinema. Regista, una fase ecc. Si può lavorare in gruppo, iniziate a pensarci, film o registi o generi o
comparazioni fra diversi film. ESAMI finché non rientra l’emergenza, si fa sulla piattaforma exam.
Cosa intendiamo però per nuovi media??????
Ci si riferisce ai mezzi di comunicazione che nascono nella rivoluzione digitale/informatica.
Etichetta generale che si oppone a quella di vecchi media (tv, radio, telegrafo, dittafono, i barattoli
col filo). Quindi i media digitali in contrasto con gli analogici. Cos’è un medium? Comunicazione
non faccia a faccia. Zoom è un medium. Affinché ci sia la comunicazione faccia a faccia i due
soggetti devono trovarsi nello stesso posto allo stesso momento. Ma anche la scrittura ci consente
di superare questi limiti. I media sono dispositivi di mediazione.

I media non sono però semplici vettori dell’informazione, la plasmano, la strutturano e la


condizionano. Medium is the Massage Message. Dal vivo posso fare una faccia per far capire uno
stato d’animo, Al telefono no. Devo parlare. I media portano a modulare la comunicazione
secondo le caratteristiche del mezzo. Individuare però precise caratteristiche per ogni nuovo
media non è facile. Radio e tv hanno precise caratteristiche. Il computer rende le cose più
complicate. Un cinefilo vede il computer come il metodo per guardare film. I sistemi digitali come
computer e smartphone sono sistemi aperti. Hanno mille funzionalità. Già differenza sostanziale
con i vecchi media, che avevano una fruizione e delle caratteristiche molto specifiche. Radio e tv
erano quasi elettrodomestici, spingi un tasto e fanno tutto da soli. Poi, nuovi media e rapidità dello
sviluppo tecnologico. Tv di trent’anni fa. Se pensiamo ai computer o agli smartphone devono
essere cambiati costantemente, sempre aggiornamenti ecc. Difficoltà di definire con precisione il
circuito dei nuovi media. Più che tentare di fornire una tassonomia o classificazione, che sarebbe
provvisoria e incompleta è meglio intenderlo come un proceso che ha riconfigurato le nuove
modalità comunicative. Prospettiva più ampia per rendersi conto dei cambiamenti anche dei
media tradiizionali sotto questa lente (in particolare per noi il Cinema). Percorso ci porterà ai
confini del cinema, zona liminare con intrecci e contaminazione. Si sconfinerà negli altri campi
dell’audiovisivo (web, videogioco, videoarte). L’dentità e specificità dei media si attenua.
CONDIZIONE POST-MEDIALE. Contaminazioni sui linguaggi ed estetiche. Il cinema è inserito in
questo contesto, con una serie di conseguenze. Se il cinema è stato nel campo dell’audiovisivo il
luogo preposto per l’avanguardia e l’innovazione (tutte le nuove espressioni dell’audiovisivo
hanno le radici nel cinema). Ora questo primato il cinema non ce l’ha più ovviamente. Le
sperimentazioni provengono da tutte le parti, web, nuova televisione, videogioco, youtube. Il
cinema incorpora queste sollecitazioni ovviamente, ma per studiare il cinema di oggi tocca
allargare lo sguardo, le prospettive e il campo dei nuovi media. Iniziamo il percorso iniziando dal
cinema, il nostro oggetto privilegiato di attenzione. Introduciamo questi temi partendo da come il
cinema li ha elaborati, sul pipano visivo e narrativo tematico. Per vedere come il Cinema ha
inglobato questi temi c’è una prospettiva particolare, il cinema di fantascienza. È chiaro che
l’industria cinematografica è sempre stata all’avanguardia sul piano tecnico. Cinema di
fantascienza è sempre stato privilegiato come laboratorio per innovazione estetica. Poi presenta
un ulteriore elemento di interesse per questi temi, perché parla dei mutamenti sociali che
vengono con i cambiamenti tecnologici, con l’innovazione. Critica e sociologica sulle ricadute delle
innovazioni tecnologiche. Per introdurre questi temi, c’è un passaggio nella fantascienza di questi
ultimi anni, cyberpunk, che parla proprio di informatizzazione e digitalizzazione, quindi anche dal
punto di vista tematico affronta questi argomenti. Sviluppa una riflessione autoreferenziale sulla
transizione al digitale. (Jurassic Park, Minority report). Cinema di Fantascienza è il primo che
incorpora la rivoluzione digitale delle immagini tramite gli effetti speciali.Dagli anni 90 si sviluppa
una riflessione su questi cambiamenti. Strange days, Nirvana, Matrix, Existenz. Incorporano
procedimenti digitali nell’estetica, ma riflettono anche sulla loro natura ibrida.
Gli effetti speciali. Tra i film che affrontano questi temi in maniera più esplicita e spesso
pessimistica e distopica, abbiamo sicuramente quelli che affrontano il tema della realtà virtuale.
Cinema di fantascienza dà una prospettiva interessante perché veicola una nuova estetica del
cinema.
TRON:
Primi esempi di computer grafica 1982, steven lynsberberegereg con Jeff bridges. Gran parte di
scenografie sono creazioni digitali, su cui vengono sovrapposi gli attori con il chroma key. Però.
Trama. Protagonista, programmatore di videogiochi, per un incidente viene “scomposto” e
trasferito dentro al programma da lui creato. Scopre questo mondo popolato da creature digitali
che conducono una vita propria. Il punto è che il personaggio si trova dentro al computer.
Il mondo digitale di tron è confinato all’interno della macchina. Bisogna entrare direttamente nel
computer, in un’avatar che ricostruisce le fattezze. Sono realtà però del tutto separate, il mondo
reale e la macchina. Poi arrivò La donna esplosiva. Due riescono a dare vita a un personaggio
digitale che se ne va in giro nel mondo reale. I confini sono precisamente delimitati. Qualità
differenziale si manifesta sul piano visivo innanzitutto. Linee geometriche scarne, non umane,
richiamano l’estetica dei videogiochi dell’epoca, cromatismo alterato. Contrario dell’uso odierno
della computer grafica, manifesta apertamente la sua natura elettronica, l’immagine non vuole
essere una ricreazione della realtà. Anche le riprese reali, gli attori vengono truccati, si lavora
sull’immagine anche in pellicola per farla sembrare più computerizzata. Anche le tecniche
tradizionali vogliono perseguire una filosofia digitale. Adesso la cgi vuole sempre di più puntare al
realismo e all’imitazione del cinema tradizionale. TRON esplora in duplice modo le possibilità
offerte dall’elaborazione del digitale. Intanto dal punto di vista visivo: primo film con scenografie
digitali. Allo stesso tempo ne fa il suo oggetto narrativo, si parla direttamente di un mondo
digitale. Si promuove la nuova tecnologia, la mette in scena, e ne parla a livello tematico
mettendola al centro della narrazione. Ebbe uno scarso successo. Rimane un unicum, anche il
sequel ad anni di distanza. Passaggio importante perché è il primo esperimento di questo tipo.
Queste tematiche ancora non hanno la rilevanza che avranno da lì a un paio di anni. Anche in
letteratura, Gibson scrisse Neuromante nel 1984.

1992. Film abbastanza modesto, ma che è il primo film a mettere in scena in modo esplicito il tema
della realtà virtuale con un’interazione più realistica dell’uomo con la simulazione digitale. Stiamo
parlando de IL TAGLIAERBE.
Poi, Strange Days. Registratore totale, lo Squid cattura tutti gli stimoli sensoriali e li riproduce.
Esperienze vissute in maniera totalizzante. Clip archiviate su dei dischetti simili a cd. Propone
un’esperienza passiva, non modificabile, ma comunque realtà virtuale. Nel corso del film. Più volte
ci viene offerta l’esperienza, tecniche visive particolari (POV insistiti, grandangolo, glitch
audiovisivi)
Soggettivizzazione del cinema. Certo, sono già esistiti film in soggettiva. Dark Passage, the woman
in the lake? Di Robert Montgomery. Halloween. Però in Strange Days la tecnica è utilizzata per
evocare una dimensione visive non necessariamente cinematografica, ma più vicina all’estetica del
videogioco. Si iniziano a diffondere giochi in prima persona come DOOM. Nuove forme visive
entrano largamente nell’immaginario. È legato a queste forme visive, procedimento di
soggettivazione che Strange Days utilizza perde le connotazioni cinematografiche e si “ri-media”
sotto queste nuove coordinate.

Nuove sfumature che i nuovi media attribuiscono alla “vecchia tecnica” cinematografica della
soggettiva. Il resto del film ha un’impostazione visiva tradizionale. Le clip dello Squid sono
apertamente momenti non cinematografici, come dei corpi estranei all’interno del film. Audio poi
a 360 gradi, audio che corrisponde alla sua posizione. Nel cinema le voci vengono diffuse dal
canale centrale. Usciamo dalle clip la configurazione del suono torna normale. Sia piano visivo che
sonoro, le clip sono trattate in maniera diversa. Dialettica fra reale e virtuale. Strange Days è
importante perché contrappone il cinema alla realtà digitale, sul piano dell’estetica e del
linguaggio, e ad un certo punto un personaggio lo dice proprio ad alta voce. Tell, don’t show. I film
sono meglio del playback perché sai sempre dove inizia e finisce la rappresentazione e dove
ritorna la realtà. Lettura critica e distopica. La simulazione digitale può imitare in maniera fin
troppo perfetta la realtà. Il virtuale rischia di generare una confusione patologica fra il piano della
realtà e quella dell’illusione. Il virtuale può ingannare, e nel giallo di Strange days ci si basa su
questo. Sulle FACC NIUSS. Faith (la roscia) ci dice che la linea di confine realtà illusione è troppo
blurry, nel cinema è molto più chiara. È un’elaborazione della realtà autodichiarata. Quindi è
meglio, ha più dignità artistica. Almeno stando a Strange Days.

Riflessione fra il cinema e i rapporti con le nuove forme dell’audiovisivo. Nuovo mondo dei media.
Temi del cinema cyberpunk. Pervasività dei media contemporanei che sempre di più incidono sul
nostro modo di rapportarci col mondo. Si sostituiscono addirittura alla realtà fenomenica, come
suppone Baudrillard ne Il delitto perfetto. Sterminio de reale. Istaurarsi della Illusione radicale.
Definitiva assenza da sé stessi

.
Tema postmoderno della crisi di nozione di realtà, confine sempre più labile, e non solo nella
fantascienza.

Il film che ha maggiormente contribuito al discorso nell’immaginario su questa confusione è


sicuramente Matrix. La Matrice è la simulazione globale che imprigiona tutti quanti. Non c’è un
doppio registro come in Strange Days o Tron, che stabilivano un confine fra le due dimensioni
proprio a livello di messinscena. In Matrix non corrisponde uno scarto stilistico e visivo. Sono due
dimensioni indistinguibili. La premessa è che la simulazione è talmente perfetta che riesce a
dissimulare la sua natura virtuale. È la narrazione che stabilisce la gerarchia Vero/Falso, per il resto
i due mondi sono indistinguibili.
Matrix mostra una commistione sofisticata fra film e rielaborazione in computer, per entrambe le
realtà. Anche sotto questo profilo c’è un avvicinamento fra mondo analogico e digitale che poi,
anni più avanti, avrebbe preso definitivamente il sopravvento. In Matrix c’è questa contraddizione,
da una parte avvento del virtuale come minaccia (processo di digitalizzazione che sta
trasformando il mondo, cambiamenti epocali e irreversibili, processo che inizia ben prima, ampio
dibattito pubblico, politico oltre che culturale, mondo del lavoro, nuove professioni, nuove
competenze e spariscono alcune di quelle precedenti, esplosione del Web, diffusione di massa del
computer, smottamenti e rivolgimenti nell’industria dell’intrattenimento, Il file sharing e le
conseguenze disastrose nel mercato musicale). La fantascienza e il cinema intercettano queste
tensioni. Il digitale crea una discontinuità forte con la pellicola e il cinema tradizionale. Crisi
dell’identità stessa del cinema. Matirx cade in contraddizione, retorica antitecnologica, reale
compromesso, liberarsi dalle catene, poi però è estremamente affascinato dal digitale sul piano
estetico spettacolare, ma anche narrativo e drammatico. Esaltaxzione spettacolare della matrice,
abbigliamento glamour, un senso del cool. Il virtuale p più affascinante del mondo reale. Sul piano
visivo c’è un’esaltazione estetica del virtuale. Quindi il medium contraddice il testo. Quante volte è
successo. Vocazione spettacolare. Anche in questa conflittualità irrisolta vediamo l’effetto di una
rivoluzione digitale in atto. Inquieta ma affascina.
Dialettica reale e virtuale, Existenz di Davide Cronenbergo. Uscito sempre nel 1999. I protagonisti
si sottopongono volontariamente alla simulazione, al contrario di Matrix. I giocatori sono connessi
tra di loro con dispositivi biosintetici chiamati Game-pod.
Jennifer Jason Leigh infila simil cordoni ombelicali dentro a Jude Law. Opinione personale, ma
Jennifer Jason Leigh degli anni 90 è irresistibile.
Non c’è una volontà ingannatrice, la simulazione è dichiarata, ma è anche stavolta indistinguibile
dal mondo reale. Radicalizza il dubbio iperbolico di Matrix, tutto ciò che sappiamo è in discussione.
C’è un “demone ingannatore” che dà ai nostri sensi sensazioni ingannatorie. Bisogna uscire da
questa impasse, per Cartesio era il cogito ergo sum, per Matrix era pillola blu e pillola rossa, un
Deus ex machina. Dimensione vera e dimensione falsa. Non c’è un demone ingannatore però qui, i
giocatori sono consapevoli di entrare in una realtà simulata, ma il dubbio si radicalizza, una volta
entrati non sai più se puoi uscirne o se ne sei effettivamente uscito, se la realtà è reale o se è il
gioco, se è tutto un gioco ecc. Dentro il mondo del gioco ti puoi introdurre in un altro gioco,
Simulazioni dentro simulazioni. Giochi di specchi da cui è difficile liberarsi. Dimensione
apparentemente innocua del gioco, che però è pericoloso perché ci fa perdere il contatto con la
realtà. È quello che diceva Faith in Strange Days. In Existenz non c’è un villain come in Matrix. C’è
un piano di esistenza condiviso che crea un piano mutevole perché condizionato e influenzato
dalle stesse decisioni degli utenti. Equilibreio fra forze contrapposte che plasmano gli equilibri di
questo multiverso. Due fazioni, i “realisti” che cercano di sabotare la simulazione, e i “giocatori”,
ma anche i realisti potrebbero essere personaggi di una simulazione. Existenz restituisce il
dibattito dell’epoca, fra apocalittici e integrati. Poi ovviamente i connettori sono di carne perché è
Cronenberg, ibridi corpi e protesi tecnologiche, biosintetiche. Breve incursione del digitale, scarto
visivo dall’estetica del film. Insinuare il dubbio nello spettatore che anche il mondo dei
protagonisti sia irreale. Il taglio visivo è molto diverso da Matrix. Film molto rappresentativi,
rappresentano una grande influenza nell’immaginario dell’epoca, Matrix ed Existenz punti di
riferimento.
In Matrix niente differenza percettiva, la differenza avviene solo nel piano narrativo, solo la
narrazione ci consente di orientarci in questa duplice diegesi, perché la rappresentazione non ci
dice niente a riguardo. Se però in Matrix esiste la soglia, la pillola come metafora, un’entrata e
un’uscita dal monto, in Existenz il dubbio è accentuato, non c’è un punto di accesso, ci sono più
mondi, un multiverso che impedisce uno sguardo da fuori. Si inizia a usare la realtà virtuale come
metafora delle nuove tecnologie e la pervasività del mondo dei media, che influenzano sempre di
più la realtà e il modo in cui la vediamo. E ce ne sono tanti, nirvana, the island, 13 floor, Avalon.
Poi anche senza realtà virtuale, Truman Show. (poi mulholland drive, strade perdute, shutter

island ecc)

Tutti questi film ci restituiscono una sensibilità che è quella della nostra epoca. Film più recenti che
presentano cambiamenti di una condizione differente, in cui la rivoluzione digitale è compiuta e il
digitale è pienamente integrato nel cinema, convivono riprese dal vero con paesaggi e personaggi
realizzati in computer grafica. Poi mica viene usata solo per ricreare mondi fantastici, si pensi a
Titanic.
Però, Avatar. Film importantissimo. Perché? È uno dei film che più ha incassato nella storia del
cinema. Enorme influenza sull’immaginario (e qui potremmo dibattere). Solo Avengers Endgame
poi lo ha superato. Avatar è un punto di svolta per l’impiego dell’immagine digitale nel cinema, e
punto di riferimento per la computer grafica integrata al cinema. Certamente fu anche questo un
fattore di richiamo, la proposta di uno spettacolo avanzatissimo. In questo film non c’è una
dialettica fra reale e non reale in realtà. L’avatar è un corpo reale in cui la coscienza di Jake? viene
trapiantata. Compagnia cattiva vuole sfruttare risorse del pianeta di indigeni buoni e in comunione
con la natura. Capitalismo cattivo, facciamo milioni di dollari su questo concetto. Noi siamo una
compagnia buona, non come quei cattivi che vogliono il petrolio. Anzi, neanche le corporazioni
sono cattive cattive, i veri cattivi sono i militari. L’avatar era in origine il dio incarnato, come sa
chiunque abbia visto Avatar Tla. Lui scopre la bellezza della natura del modo di vita sano e li salva
in quanto bianco salvatore della razza meno privilegiata, che è subito più bravo degli indigeni in
tutto quello che fanno. Avatar, termine che fa da tramite. Processo con una matrice tecnologica,
c’è una macchina di mezzo, cyberpunk. Anche la scelta del titolo risultò fuorviante, ambigua. Ci
induce a leggere fra le righe una serie di riferimenti alla cultura digitale che il film presenta.
Intanto sottolineiamo una cosa. Si fronteggiano due mondi, umani e Naavi. Non c’è una diegesi
multipla, ma c’è una dialettica visiva che caratterizza il mondo dei Naavi dal mondo degli umani.
Due ambientazioni con caratteri marcatamente diversi. Ci sono le ambientazioni degli umani che
sono caratterizzate da un’estetica fotorealistica, e poi c’è il mondo di Pandora, quasi interamente
una creazione virtuale.

Qui c’è una soglia ben chiara fra i due spazi.


Scelta intenzionale quella di rimarcare lo scarto fra le due ambientazioni. Scarto che riflette la
differenza e la distanza fra il mondo degli umani e quello dei naavi di perfetta armonia con la
natura. Il carattere duale e amfibolico della messinscena ha il risultato di creare quello che è quasi
un film di animazione, almeno per la parte Naavi. È evidente che si tratta di un’immagine
realizzata con delle cgimages.

Quindi due tendenze: cgi alla Revenant (ricreiamo cose vere in maniera fotorealistica, Lion King)
oppure quella che sticazzi, facciamo i pupazzetti (Pixar, Tintin ecc). è quasi la stessa differenza fra
la Disney delle origini e Max Fleischer. Effetti concepiti per tendere al fotorealismo, dare corpo in
maniera verosimile a immagini, soggetti e fenomeni di fantasia. In questo senso prosegue lo scopo
dell’effettistica tradizionale. Dare corpo a quello che reale non è, pure la testa che esplode di
Scanners, E.T. ecc. L’efficacia è proporziale a quanto poi gli effetti sono fatti bene e quanto
rispondono ai codici di verosimiglianza. Costruite in maniera di sembrare reali anche quando
ricreano cose che non hanno un corrispettivo reale. Poi ovviamente ci sono i film Pixar, Frozen in
cui la natura digitale autoreferenziale è dichiarata, non cercano di illuderci sull’artefatto. In Avatar
ci sono entrambe le cose, queste tendenze sono giustapposte. Digitale realistico quando ci sono gli
umani e gli spazi che essi abitano, cgi esagerata colorata e artefatta quando stiamo dai Naavi.

Videogiochi, videogiochi multiplayer online, hanno largamente sviluppato questo mondo fantasy,
elfi, creature alate, foreste incantate, tavolozze di colori molto accesi. In Strange Days c’era il
riferimento del first person shooter, Doom e cose del genere. In Avatar c’è il Mmorg. Estetica dei
giochi di ruolo online. Poi sono giochi in terza persona, vediamo il personaggio che controlliamo. I
naavi che corrono nella foresta, è il classico punto di vista in terza persona da videogioco, vengono
seguiti dalla telecamera virtuale. Elementi di corrispondenza visiva con questo tipo di giochi.
Riferimento a questo immaginario non si limita all’aspetto iconografico. Per esempio, il percorso
che fa il protagonista, quano prende possesso del corpo, all’inizio non si muove bene, come il
giocatore che man mano prende confidenza e impara a controllare i movimenti del personaggio.

Anche il suo percorso formativo di acquisizione di skills, abilità ha il suo corrispettivo nel gioco di
ruolo online. Fondamentale per questo processo di crescità è incrementare le abilità per
affrontare sfide sempre più impegnative anche per specializzarsi. Il viaggio dell’eroe ricalca questo
tipo di processualità. Altro aspetto del film che richiama il mondo dei videogiochi. In questi giochi
virtuali, la componente sociale è fondamentale. Far parte di una comunità ci consente di crescere
più rapidamente, un po’ come la protagonista aliena fa con il protagonista, introducendolo alle
regole del gioco. Missioni comuni, aiutare gli altri giocatori a “crescere” ecc. Infine, ultima
considerazione. Avatar mette in scena le nuove frontiere della spettatorialità. Se prendiamo Rear
Window, Avatar fa la stessa cosa con la figura del giocatore. Protagonista paraplegico che
collegandosi, attraverso un avatar, può fare cose, proprio come un giocatore, che sta fermo e fa
cose dalla sua sedia. Nuove frontiere della fruizione digitale.
Altra questione, che riguarda il conflitto che Avatar ci racconta fra umani e alieni.

Il film va letto anche in relazione alla sua epoca. Eravamo post-bush, e primo anno di
amministrazione Obama, disimpegno in afghanistan e accento sul problema del cambiamento
climatico. Endorsement/celebrazione del nuovo corso politico. Vocazione Ambientalista ecologista
è molto evidente; multinazionale che vuole sfruttare il pianeta e indigeni buoni che rifuggono la
tecnologia e vivono in simbiosi con la natura. Termini molto chiari e esposti in maniera manichea.
Però, oltre alla morale ecologista. I naavi hanno la facoltà di connettersi con altre creature
attraverso una rete, un World wide web organico. Da sottolineare che presentando la rete come
estensione organica il film suggerisce che la rete in qualche modo possa ricreare questa
connessione fra gli individui, rete come architettura di un nuovo mondo sostenibile, in
contrapposizione con l’industria pesante che sfrutta il territorio. In questi anni i temi ambientalisti
trovano nella rete un nuovo strumento di aggregazione. I miti libertari della rete si intrecciano con
le tematiche ambientaliste, e Avatar intercetta queste tematiche in maniera celebrativa.
Anche la scelta di tracciare una linea fra i due mondi in maniera visiva è molto eloquente. Mondo
degli umani, carnale e realistico, e mondo di Pandora, irrealistico e impalopabile. Lo scontro finale
è fra creature in carne ed ossa e creature digitali e eteree. In Avatar l’ingresso nella rete biologica
dà una consapevolezza nuova, un rapporto più autentico col reale, conosce l’empatia, le tematiche
ambientaliste. Avatar quindi celebra questo mondo dei Nativi digitali.

Ma poi il discorso è che bisognerebbe abbandonare un po' sta mentalità di dover studiare solo
"capolavori" (che poi, fosse una categoria determinabile in maniera obiettiva e assolutistica). Blair
Witch Project per esempio è un film che rimane divisivo e odiato da tantissima gente, eppure è
uno dei film più importanti degli ultimi vent'anni ed è impossibile tralasciarlo in un eventuale
discorso sull'evoluzione del cinema nel nuovo millennio. Poi ci sono i giudizi soggettivi, tipo
personalmente a me Ready Player one ha fatto cagare, ma trovo comunque interessantissimo
studiare il modo in cui rappresenta tendenze sociali e culturali dei nostri tempi

Ready Playerone. Avatar super importante per raccontare i mondi del virtuale ma senza parlarne
direttamente. Playerone invece parla proprio di quello apertamente, riprende i temi tradizionali
del Saiber panc. Dimensione di realtà fisica che si contrappone a quella del virtuale. C’è un gioco,
sofisticato di realtà virtuale.
Multinazionale con giocatori mercenari per recuperare le chiavi che porteranno ad ereditare
l’impero virtuale di halliday. Protagonisti cercano le chiavi, sicari che cercano di uccidere i giocatori
nel mondo reale. C’è un romanzo di Ernest cline alla base. Aspetto del romanzo che il film valorizza
è un citazionismo debordante; riferimenti a tutti i campi della cultura popolare “nerd”, fumetti,
videogiochi, film, serie, giochi di ruolo ecc. Caccia al tesoro anche per lo spettatore, cogliete tutti i
riferimenti nelle pieghi delle immagini. Altra caratteristica di Playerone è uno sguardo molto retrò
e vintage. Gran parte delle citazioni riguardano il passato, in particolare gli anni ’80. Motivato
narrativamente, halliday era giovane in quegli anni, ma al di là di questo come operazione
Playerone si inserisce in un filone di revival degli anni ’80 significativo negli anni ’10 del 2000. A
parte questo, il racconto è quello di un mondo futuribile che guarda al passato. In particolare,
forte impronta che riporta agli anni ’80, infatti la rivoluzione digitale nasce in quegli anni, primi
videogiochi, console, nasce la fantascienza cyber punk. Nei nostri anni poi, la pratica del retro-
gaming. Giocare ai vecchi videogiochi. Anche le aziende sono venute incontro a questa esigenza, si
torna ai primissimi videogiochi super pixelati dal design retrò. Rievocazione di quegli anni tramite
la tecnologia. Si chiama “Tecnostalgia”:

In Ready Player One poi viene rappresentata la tecnologia in maniera retrò. I collegamenti con il
mondo di Oasis sono piuttosto tradizionali. Nel Cyberpunk in genere la connessione ha delle
interazioni dirette, connessioni neurali, corpo e macchina. In Playerone ci sono visori, tutine e
guanti. Si torna alla materialità dell’interfaccia, il che ci riporta al presente e al passato della VR.
Visori che assomigliano molto a quelli del film, non come quelli di Existenz ecc. Quindi in realtà
Ready playerone ha l’ambixzione di parlarci del presente. Il film vuole radicare il mondo della
diegesi al nostro mondo. Poi altra differenza rispetto agli altri film che abbiamo visto:

Esempio più eclatante di questa tendenza è existenz, in cui non c’è nessuna differenza. Mondi
virtuali così perfetti da essere autentici, sembrare veri. Playerone segue una strada diversa, anche
più ovvia volendo. Il mondo reale con attori veri, mondo virtuale ha un’estetica apertamente
digitale, che è ovvia ma poco perseguita finora dal cinema. Playerone è spaccato in due, le
immagini sono diversissime. La parte con le simulazioni ha un’impostazione visiva completamente
differente. Il precedente quindi è più Avatar che Matrix, Existenz, Nirvana ecc. Avatar anche è un
film “spaccato a metà”, per tre quarti è un film di animazione, ed è grossomodo ciò che succede in
Playerone. Anche perché adesso la cgi è evoluta a sufficienza per poter sostenere sta cosa dal
punto di vista visivo. Avatar fu nella sua epoca la punta più avanzata, la scelta sul piano estetico è
legata agli sviluppi della computer grafica. Ma non solo, anche perché siamo sempre più abituati e
a contatto a quell’altro tipo di immagine, e il cinema se ne può appropriare senza più destare
stupore. Ai tempi di Matrix non c’era ancora la cultura visiva necessaria per poter permettere di
introdurre mondi digitali completi senza creare spaesamento. A differenza di Avatar però,
Playerone riconduce il registro estetico a una motivazione narrativa esplicità. Il mondo di Oasis è
effettivamente un mondo digitale, non come il mondo di Pandora che era più un virtuale
“metaforico”.

Nella ovvietà dell’operazione Spielberg offre uno spaccato molto realistico. Le sezioni in Oasis sono
quasi quelle più realistiche. Questo “realismo” non si ferma solo al piano visivo. Quali sono i
riferimenti al videogioco?

È di nuovo il mondo del MMORPG ovviamente e quello dell’universo condiviso da più giocatori.
Personaggio cresce, progredisce ecc. Sono giochi che non si esauriscono in una partita. È un
mondo persistente, quello che facciamo lascia una traccia. È questo che rende i giochi così
“durevoli”. Gente che ha vissuto nel mondo virtuale per anni, una “second life”. Questa
caratteristica alimenta la caratteristica sociale, luoghi di incontro, aggregazione e scambio. Queste
dinamiche sociali poi entrano nel gioco, contrasti e cose che entrano in gioco. Esistono ricerche
che studiano le economie che si sviluppano anche spontaneamente in questi giochi. Oggetti con
valore particolare. Si crea un’economia di scambio e un vero commercio. L’idea poi della
compagnia che paga i suoi dipendenti per giocare non è così folle poi, ci sono compagnie vere che
lo fanno. Vendere un personaggio con certi set of skill, c’è voluto tempo per svilupparne le

capacità.
Quindi Playerone risulta senz’altro la più realistica di queste rappresentazioni del mondo virtuale.
La messinscena è diversificata in maniera dichiaratissima sul piano estetico. Incipit del film illustra
in modo chiaro le regole del gioco.
Primo segmento; elemento di diversificazione fra i due mondi è il piano cromatico. Tinte plumbee
e uniformi per il mondo reale, mondo di oasis ha colori molto accesi e contrasti accentuati. Altro
aspetto però, due sezioni hanno un’impostazione visiva molto diversa. Prima sezione in live action,
movimenti di macchina discendenti, verticali. Scenografie verticali, le torri di baraccopoli ecc. In
Oasis il movimento diventa “penetrativo”. Quindi dialettica fra verticalità e profondità. Natura
delle due ambientazioni è sottolineata dall’aspetto grafico e visivo. Mondo reale è sottolineato da
questi elementi materiali e concrete, scale, tralicci, materialità e gravità. Oasis ha un movimento
fluttuante, non c’è alto e basso, movimento sganciato da ogni obbligazione materiale.
Allontanamento dagli scenari cupi degli anni ’80. È il mondo della libertà e delle opportunità.
Dialettica fra reale e virtuale come dialettica fra cinema e nuovi media. Prima sezione ci sono
richiami molto chiari al cinema e al suo linguaggio. Riferimento in parte alla Finestra sul cortile,
articolato movimento di macchina che ci mostra attraverso le finestre la quotidianità dei vicini di
casa. La finestra evoca l’inquadratura, com’è noto. Infatti sono tutte finestre in 1.85:1. È
significativo che la prima parte di Playerone evidenzia il tema figurativo della finestra, mentre
entrando in Oasis il tema figurativo viene completamente abbandonato, si vuole alludere a una
dimensione che non è più cinema, un’immagine che non allude al cinema, movimento che vuole
proiettarci nell’immagine, eliminazione di quel diaframma che tiene separati i due mondi fra
spettatore e immagine. Esperienza visiva che si discosta dai modelli del cinema tradizionale.
Dialettica realtà e simulazione diventa proprio la dialettica fra cinema e nuovi media. Altro
elemento chiave del cinematografico. Il montaggio. Nella prima parte, montaggio analitico
tradizionale. 17 inquadrature con raccordi tradizionali, mentre nella parte di Oasis non ci sono
tagli. Molto significativo, il montaggio è l’elemento di base del cinematografico. Montaggio inteso
come interruzione della continuità dell’immagine, that is. Varietà di scorci e scenari che cambiano
in continuità. Articolazione visiva che cambia continuamente, c’è ovviamente un’idea di montaggio
ma non c’è nel senso letterale, non ci sono tagli. Sono solo “modulazioni visive”.

Minecraft, manipolazione dell’ambiente virtuale, caratteristica duttile della simulazione.

Sequenza di Shining. Entrare dentro a un film, cinema e videogioco entrano in contatto.


Invenzione di sceneggiatura voluta da spielberg parrebbe. Per conquistare le chiavi nascoste
bisogna risolvere indovinelli e sfide, alcune riguardano la biografia di Halliday. La soluzione di uno
di questi potrebbe riguardare un film che halliday aveva visto da giovane.
Cinema e videogioco entrano in contatto in maniera eclatante. Piccola notazione a margine. Gioco
basato su Shining. Duke Nuk’em, in cui, un po’ come nel film, ci si può aggirare per l’Overlook
Hotel. Varie location per creare una topografia esplorabile. Viene ricostruito il bagno. Non è la
prima volta quindi. Registro autoriflessivo e metacinematografico quindi è super dichiarato.
Interessante vedere a come ci si arriva a questa confluenza di immaginari e di media. C’è un
cinema, dall’aspetto retrò, come l’albergo. Grande schermo della sala, now showing ecc. Eentrano
nell’atrio, anche l’atrio è vuoto, sembra un museo:
Il trauma della sala chiusa, deistituzionalizzazione del cinema con l’emergere dei nuovi ambienti
mediali. Immagine di un cinema deserto che sintetizza in maniera icastica la perdità di centralità
della sala, spazio museale, la memoria del cinema. Quando i protagonisti entrano non c’è la platea,
entrano direttamente nel film. Anche la preparazione della sequenza invita a una lettura molto
chiara. Serie di passaggi che invitano a pensare a come è cambiato il cinema. C’è anche il vhs che
rappresenta il primo passaggio di questa de-istituzionalizzazione della sala. La sequenza riassume
una serie di passaggi tecnologici, l’approdo è un cinema sganciato dall’esperienza tradizionale
della sala. Lettura in chiave metacinematografica è apertamente suggerita dal film. Incontro fra
questi media viene messa in scena in maniera ludica. Estetica del cinema tradizionale in cui
vengono inseriti i pupazzoni di Oasis. Il gioco di Oasis simula straordinariamente il mondo
cinematografico, ricostruzione fedele. In altre parole, Oasis è un “metamedium”.

Il computer fa’ le veci di tantissimi altri medium. Radio, cinema, tv, ecc. Oasis è un metamedium
particolarmente potente, ovviamente derivata dal computer. Ricostruzione fedele di un’immagine,
anche l’estetica analogica del film, la grana della pellicola.

L’immagine cinematografica, una volta nel computer, è una sequenza di dati, e come tale può
essere riprogrammata. Entità fluida e manipolabile come diretta conseguenza di questo processo.
Prendiamo la sequenza del sangue. Intanto Spielberg prende gli elementi di Shining che più sono
entrati nella memoria collettiva.
Spielberg lega le scene, operazione di “sintesi”, anche la sequenza del labirinto. Comprime in
un'unica sequenza, e crea una continuità spaziale fra questi ambienti. Vediamo che nel citare
queste due scene. Spostamento del punto di vista, prolungamento dello spazio, esiti differenti
dalla scena del sangue dall’ascensore, una panoramica ci mostra anche il resto del corridoio.
Estensione dello spazio filmico di Shining, stessa cosa accade anche nella scena del bagno.
Inquadratura originale ricostruita, controcampo però ci mostra il lato opposto. Completa e chiude
la topografia della stanza, si visualizza un’area che in Shining non ci veniva mostrata. Opera un
cambiamento rispetto alla configurazione della scena originale. Torrance si ferma sulla soglia del
bagno e non entra, il suo controcampo è ancora nella camera da letto. In Playerone il personaggio
entra completamente nell’ambiente, spazio chiuso e suturato. L’intento qual è?

Rappresentazione tridimensionale di uno spazio virtuale. Il film è un’ambiente praticabile e


esplorabile. Non è più uno spazio bidimensionale. Lo puoi percorrere, lo puoi esplorare, ha una sua
estensione, ancorché virtuale. Altro decoupage.

Il remix del film. Il culto e l’amore per il cinema si manifesta anche tramite la ri-appropriazione del
cinema, approfondimento del cinema e del suo senso. Spielberg stesso sta facendo la stessa cosa,
manipolazione creativa dissacrante, sensibilità che ritroviamo in una serie di manipolazioni di
spirito ludico (shining come sitcom) che richiama le forme di rielaborazione del web e le legittima.
Il cinema forse può acquistare una nuova vita sul web. Post-cinema, formula che richiama molte
forme che poi approfondiremo, ma si allude a una galassia espansa che ha la sua radice nel
cinema, pratiche che espandono il perimetro del cinema e del suo immaginario.

Inviare una mail all’indirizzo: cinemaenuovimedia@gmail.com

Ready Player One


Diamo uno sguardo a una delle ultime sequenze del film, ulteriori stimoli di riflessione. Battaglia
immane contro la multinazionale che vuole recuperare le chiavi con l’inganno per acquisire la
proprietà di Oasis.
Anche in questo caso battaglia conclusiva come in Avatar; quali sono gli eserciti? La compagnia
privata cattivissima da una parte, gli utenti di Oasis dall’altra, che si coalizzano spontaneamente
per proteggere l’utopia di Oasis. Stessi utenti si sentono depositari dello spirito autentico e
scendono in campo per difenderne i valori dalla compagnia che vuole solo sfruttarla
commercialmente. Osserviamo anche che questa sequenza è rappresentante di un universo
convergente, fumetti, televisione, celebrazione dell’universo post-mediale, universo dove c’è una
confluenza fra media e immaginari contingenti.

RPO rispecchia temi, questioni complesse che caratterizzano l’orizzonte dell’audiovisivo


contemporaneo, nuove dinamiche di circolazione del film. Punto di partenza ricco di stimoli che si
ramifica in mille direzioni diverse. Prime incursioni del cinema nel cyberspazio, questi film incitano
una riflessione autoriflessiva, metacinematografica, come in Strange Days. Nella gran parte però di
questi film, cyberpunk cinematografico anni ’90, questi universi vengono visti in chiave distopica,
inquietudine che investe anche il destino del cinema, identità che rischia di smarrirsi. Nei film più
recenti questa sensibilità cambia, da Avatar in poi. C’è un conflitto ma anche un ribaltamento,
celebrazione del web e dei nuovi metodi di scambio. Avatar poi è un film che incorpora l’estetica
digitale, RPO ha una concezione dualistica ancora più smussata, il mondo virtuale prolunga il reale,
integrazione fra questi due piani. Questo cambiamento di prospettiva investe anche il piano
autoriflessivo: infatti in Strange Days si celebrava ancora il cinema, in RPO si celebra un universo
orizzontale, non gerarchico, evocando anche la manipolazione del cinema che ne conferisce nuova
vitalità, remixing del film. Questa è una prima chiusura del discorso. Il film ci offre numerosi spunti
di riflessione, e ci apre a una serie di discorsi. Vecchi e nuovi media collidono, produttori e
consumatori interagiscono in maniere imprevedibili, diceva Jenkins.
Ci sono tre elementi cardiine che emergono:
Intelligenza collettiva, condivisione possibile dalla rete.
Audiovisivo sul web, entità nuove di condivisione audiovisiva. Sono forme nuove, youtube, tik tok,
instagram. Si modellano sui meccanismi di funzionamento di Internet. Netflix implementa una
pratica di consumo che è legata alla diffusione di consumo del web, il binge watching. Pratica che
già evidenzia l’insofferenza dei consumers con la fruizione tradizionale, i tempi e ritmi della
televisione ecc. File sharing, file subbing, velocità, dare la possibilità di far circolare questi episodi
senza dover aspettare i tempi editoriali di dvd e broadcasting televisivo. Netflix e Amazon sono
espressioni di questa nuova cultura nata in opposizione alle distribuzioni tradizionali. Esplosione
dell’audiovisivo sul web rappresenta un cambiamento epocale. Un tempo l’intrattenimento
audiovisivo apparteneva al cinema e alla tv, i canali di diffusione “istituzionali”. Oggi non è più così.
Youtube, 2005, evocativo di questo nuovo mondo. Ovviamente circolazione audiovisiva avviene
prima di Youtube, è legata a fattori tecnologici, potenza di rete ecc. youtube però è il simbolo della
rivoluzione: è una piattaforma di distribuzione, ma è anche e soprattutto un Social Medium;
favorisce scambio, diffusione di contenuti. Poi, piattaforma di distribuzione immediata e globale,
che si sviluppa al di fuori dei canali di distribuzione tradizionali; il video di un blogger può fare più
“ascolti” di una fiction rai. L’apertura di questo nuovo circuito cambia molte cose; nuovi soggetti
possono entrare nel gioco, ponendosi al di fuori delle logiche produttive dei media tradizionali,
entrando in competizione con le forme tradizionali dell’entertainment. Contenuti brandizzati,
sponsorizzati, influencer possono dare enorme visibilità a aziende anche tradizionalmente escluse
dal circuito dei media tradizionali. Nuovi soggetti produttivi che mettono in difficoltà i media
tradizionali. Ci sono blogger che fanno anche informazione che hanno un seguito maggiore dei
canali istituzionali, anche una maggiore capacità di influenzare l’opinione pubblica:
La centralità del Web e dei social esprime una trasformazione che rappresenta un cambiamento di
Paradigma culturale, con una serie di importanti ricadute. Se l’appartenenza ai grandi marchi di
comunicazione non è più una condizione per raggiungere le masse, adesso anche i “dilettanti” o i
non professionisti possono guadagnarsi lo stesso credito dei professionisti.

Cos’è questo continuum di cultura partecipativa?


Parliamo di Fan fiction. Star Trek, fin dagli anni ’60 ha alimentato questo circuito, Fanzine, riviste
amatoriali ecc. Oggi la Fan fiction, grazie a youtube e altre piattaforme (reddit) conosce grande
vitalità, e raggiunge a volte anche più che discreti livelli qualitativi. Renegades, sempre nel caso
Star Trek. Prodotto particolare, realizzato in crowdfunding. Poterono anche coinvolgere troup
professionali, con anche attori professionisti della serie. Creò dei problemi di diritti, infatti. Però
rende l’idea di rimescolamento delle categorie. Valori produttivi elevati, estetica allineata a un
prodotto televisivo medio-professionale. Si riconfigurano le categorie di ufficialità e non ufficialità.
In casi come questi le categorie di professionalità e dilettantismo, e ufficialità dei prodotti si fanno
più labili. Sono oggetti borderline, ibridi, anche giuridicamente. Intrattengono con i detentori dei
diritti rapporti non idilliaci. Delineare un atteggiamento unitario è difficile, poi, dal punto di vista
legale. Finanziata in crowd funding, senza licenza ufficiale. Per fare un caso più vicino a noi,
adattamento di Dylan Dog, Vittima degli eventi, uscito sotto l’etichetta dei “The Jackal”. Festival
del cinema di Roma e tutto. Fatto col benestare non ufficiale della casa editrice Bonelli (che fra
l’altro aveva ceduto i diritti alla Miramax). Perché le major tollerano queste “violazioni” dei
copyright? In parte perché è sempre più difficile monitorare queste violazioni, in parte perché
potrebbe essere impopolare agire contro comunità di Fan. In parte perché se ne possono ricavare
dei vantaggi. Possono diventare veicoli pubblicitari. Le fanfiction stimolano l’interesse, diffondono
i valori del franchise. Partecipazione che coinvolge sia l’industria che il pubblico. Non c’è una logica
solo verticale, i valori vengono condivisi attivamente con il pubblico. Non sono le aziende che
creano il Fandom, le fandom reagiscono in maniere poco prevedibili alle finalità delle aziende.
Infatti numerose sono state le lotte fra fan e compagnie. Si veda la petizione per rifare l’ultima
stagione di Got.

I Fan studies costituiscono una parte importante degli studi della ricezione, anche nel settore
dell’audiovisivo. Per fare qualche riferimento, contrasti di questo tipo sono contrasti delle
comunità dei fan nei casi di Star Wars e Star Trek, che si sono mobilitati per contrastare le aziende
che si occupavano del franchise qualora trovassero che queste compagnie avessero tradito lo
spirito del franchise. È un po’ quello che si vede in RPO, comunità unite nel contrastare la
compagnia che va contro gli ideali dell’universo condiviso. I rapporti si sono molto modificati. Star
Trek è un caso importante e interessante, marchio che dura dagli anni ’50. Già come impresa
produttiva attraversa varie epoche. Negli anni ’70 c’era un atteggiamento molto protettivo nei
confronti del marchio; col passare del tempo questo atteggiamento è cambiato, fino ad arrivare in
seguito all’istituzionalizzazione del fandom come elemento chiave per creare interesse intorno al
marchio.
Sono forme di incontro e negoziazione fra alto e basso; si abbandona sempre di più il movimento
verticale e si sfrutta sempre di più il modello partecipativo. La tecnica adesso è quella di far
germinare all’interno di comunità già esistenti un interesse per un nuovo prodotto, abilià di
inserirsi in una comunità già coesa. Le strategie di marketing tendono a corteggiare le comunità di

appassionati, toccare le corde giuste dei fan.


Basti pensare l’importanza assoluta della Comic-on di San diego per presentare film, progetti dei
brand cinematografici. Ormai è un passaggio istituzionale nella promozione di un film. Altro caso,
quello della serie True Blood, HBO, creata da Alan Ball. La campagna promozionale fu organizzata
da Campfire, che fra i suoi creativi aveva quelli che già avevano sfruttato il web per promuovere
BLAIR WITCH PROJ. Messaggi mirati a quelli che vengono identificati come “opinion leaders”,
personaggi attivi sui social, già considerati “autorevoli”. A queste persone vengono inviate una
serie di sollecitazioni mirate, indovinelli, mail con indizi, lettere con fiale di sangue finto?? Lol.
Quindi estremamente personalizzata, diversa dalla solita promozione che si basa su una diffusione
generalizzata sui media. Al contrario, l’idea è che saranno gli stessi utenti coinvolti a diffondere le
informazioni, come in un Pyramid scheme. Informazioni e contenuti diffusi riguardano il mondo
finzionale. I media tradizionali iniziano a interessarsi a questo fenomeno proprio per l’interesse
generato dai fan, quindi indirettamente. Nel momento in cui la rete diventa abbastanza ampia, a
questo punto Campfire inizia la campagna più tradizionale. Risultato: primo episodio 6 mln di
spettatori.

Esempio di come questi due mondi possono interagire nel nuovo panorama mediale creando
alchimie impensabili fino a poco tempo fa; ci sono studi, come quello di Kristin Thompson su LOTR,
che analizzano il fenomeno. Sono strategie di marketing, fenomeni che vengono sollecitati in base
alle dinamiche del web. Poi ci sono fenomeni spontanei, che non nascono dalla pianificazione. Per
esempio: Susan Boyle.
2009, nel programma Britain’s got talent, donna inglese di mezza età. Solita sceneggiata da talent,
inizio un po’ di scetticismo, risatine dal pubblico, inquadrature che accentuano il disagio, lei fa un
po’ il soggetto, ma poi canta e OHH CHE SORPRESAA NON ERA PER NIENTE PREPARATO
Comunque, viene visto da un BOTTO di persone su youtube e su altri canali. Video virale. Da
questo momento in poi, i media tradizionali iniziano a parlare di Susan Boyle che diventa il
fenomeno musicale del momento. Un programma analogo statunitense, american Idol, fa una
cifra enorme di share, 37 mln, che comunque sono molto meno del video su youtube. La tv non
può più raggiungere lo stesso livello. Il processo che sostiene Susan Boyle è del tutto autonomo,
non è motivato da strategie di marketing. Jenkins usa questo esempio per mettere in discussione il
luogo comune per cui la diffusione non autorizzata di contenuti danneggi l’industria. Il disco della
Boyle vendette 700.000 copie nella prima settimana. Popolarità dovuta al web. Jenkins mette in
evidenza un’altra cosa. Il successo discografico della Boyle è planetario, mentre la trasmissione era
solo britannica. Questa diffusione non autorizzata in violazione del copyright genera un mercato
inaspettato e imprevedibile (e non previsto dal broadcast). Si crea un’audience in eccedenza,
imprevista dal produttore.

Incapacità dei media di rendere i contenuti disponibili si incontra con la “debolezza morale” del
pubblico che cerca i contenuti per vie non strettamente legali.
Il modello di business era strettamente legato a quel paese, il web lo porta al di fuori dei confini
della Gran Bretagna, e riesce ad estendere il fenomeno all’intero pianeta. Jenkins tocca un punto
sensibile, ossia l’inefficienza e incapacità di rendere subito disponibili i contenuti.
Forme della cultura partecipativa:

Processo di cooperazione e co-creazione. Intelligenza collettiva.


Si abbatte, sia
tecnologicamente che culturalmente, il divario fra produttore e consumatore. Banalmente, un
contenuto sul web viene visto da tanta gente se tanta gente lo rilancia e lo condivide. Rilanciare un
contenuto costituisce un interesse Attivo, promuovere il contenuto nella propria comunità. La
diffusione di un contenuto passa attraverso una serie di comportamenti attivi.

Il virus è qualcosa che ci contagia, senza che noi siamo d’accordo. Lo subiamo passivamente.
Un’idea per cui, quando diffondiamo un contenuto, è come se lo facessimo spinti da una sua
“oggettiva qualità virale”, come se fossimo veicoli di contagio. Ma più che viralità dovrebbe essere
una “spreadability”, una diffondibilità, potenziale di diffusione di un contenuto, che non risiede in
una misteriosa qualità virale, ma nell’interesse che l’audience ha a diffondere un contenuto. Quel
contenuto poi può sfuggire dalle mani del creatore, perché il messaggio è nelle mani attive del
diffusore.
Il contenuto viene stravolto per venire incontro a intenzionalità comunicative diverse, se non
opposte, da quelle originarie. I MEME
La diffusione di un contenuto risponde alle ewsigenze comunicative delle audience. Le audience
partecipano alla diffusione di un contenuto se esso risponde alle loro esigenze comunicative, o in
caso possono modificarlo per adattarlo alle loro esigenze.

I contenuti sul web si prestano ad essere utilizzati come Enunciati, quando pubblico un video lo
faccio perché voglio dire qualcosa. I contenuti che circolano sono utilizzati in questo modo, dicono
qualcosa che a una audience interessa rilanciare. I contenuti virali si prestano ad essere utilizzati
come enunciati, più si prestano ad essere utilizzati in una conversazione, in un dialogo, più sono
diffondibili.
Il pubblico partecipa se ha interesse comunicativo nel farlo, e gli interessi sono molteplici,
circoscritti a gruppi e comunità spesso diverse. (anche qui, l’analogia del virus non si presta,
perché una cosa diffondibile in una comunità non lo sarà in un’altra).
I casi di video che hanno successo e che provengono dai circuiti dei media tradizionali sono spesso
soggetti a pesanti manipolazioni. Mentre un contenuto generalista per essere indirizzato a una
comunità specifica deve essere adattato, i video che già nascono dentro una comunità non sono
soggetto di manipolazione, perché nascono già in quella comunità e già mirati a quella comunità
specifica. Quindi è più probabile che un film, una serie, venga manipolata, rispetto a un video dei
The pills e simili. Molti dei contenuti che hanno successo hanno una forte impronta IDENTITARIA.
Sono idiosincratici, molto specifici come target. Dialetti, gerghi giovanili. Non è solo un fatto di
identificazione come nel cinema, è un rispecchiamento, trovare gente che la pensa come me, che
frequenta gli stessi posti. Diversa dall’identificazione cinematografica, che si basa sulla distanza fra
mondo reale e mondo cinematografico. Questo si vede molto bene nei contenuti narrativi che
nascono sul web; si privilegia una forma di comunicazione e narrazione diretta. Lonely girl, una
delle prime web series di successo.
WHAT THE HELL WAS THAT??
Dal 2006 al 2008 che solleciterebbe altre riflessioni, finzione ma non dichiarata come tale, vicenda
sempre più misteriosa, all’inizio la serie si spaccia come Vlog di una ragazzina. Forme di
comunicazione diretta, personaggio che si rivolge verso la webcam ecc. Serie di Joss Whedon con
Neil Patrick Harris.

Anche nella fiction nata per il web nascono fenomeni simili, indirizzarsi verso comunità specifiche.
Siamo nei primi anni di Youtube, c’è “the guild”, una delle prime fiction di youtube, realizzata da
attrice professionista, Felicia Day. Anche autrice e produttrice, sceglie Youtube come canale di
distribuzione. Molti cineasti vedono youtube come occasione di distribuzione. The Guild ha una
connotazione identitaria molto forte, parla di un gruppo di giocatori online, giochi altamente
immersivi che creano dipendenza.
Che si parli di comunità online o di ragazzi molto caratterizzati a livello culturale, le produzioni
grassroots si indirizzano a categorie poco o per niente rappresentate dai prodotti mainstream. Le
Black series, o anche serie indirizzate a persone che non si identificano in un sistema binario di
genere. Talmente specifico è il target che sarebbe improponibile in una tv generalista.
Ora, nell’audiovisivo in rete la forma dominante è quella seriale. Lo stesso vale anche per i
contenuti non narrativi, video di unboxing, tutorial ecc. Perché
l’audiovisivo sul web ha sposato la forma seriale? Molti commentatori individuano una
continuazione della serialità televisiva, che si è “ri-mediata” sul web. D’altra parte, la spinta alla
serializzazione sul web non si può spiegare solo come fenomeno imitativo.
L’esplosione della serialità sul web si verifica soprattutto con Youtube, ed è nei meccanismi di
funzionamento della piattaforma che si possono trovare le motivazioni di questo fenomeno.
Youtube è più di un semplice archivio:
La modalità interattiva, social, di youtube. È un canale, ma è più accostabile a un profilo social.
Molteplicità di contenuti tenuti assieme dal fatto di essere condivisi da una sola persona. Poi, il
ranking, importanza del numero dei contatti come misurazione dell’audience, ma è solo uno dei
fattori. Numero di iscritti, che influenza poi la visibilità dei contenuti.

Si diventa un marchio, c’è una ricorrenza stilistica negli autori di videosaggi per esempio. Se vedo
Everyframe a painiting conosco già il tipo di analisi che farà, lo stile del montaggio ecc.
Riconoscibilità, brandizzazione, e dunque serializzazione di contenuti. Poi Youtube è un luogo di
partecipazione. È un Social Medium, e i canali funzionano quando diventano canali di aggregazione
di una comunità; l’aggiornamento costante crea una comunità che si ritrova nella sezione
commenti.

Poi il produttore di contenuti orienta la sua offerta con il genere di interazione che ha con il suo
pubblico; una cosa frequente è che i canali vengano usati per chiedere partecipazioni, crowd
funding, fare appello alla comunità. La dimensione partecipativa si attualizza sulla diffusione, e
quindi vediamo che la crescente importanza del web nell’audiovisivo determina un cambiamento
epocale: si passa dalla distribuzione verticale a un movimento più complesso:

Prossima lezione: Il post-Cinema.

Post Cinema

Tornando alla famosa sequenza di RPO, perdita di centralità della sala cinematografica. Formula
che riassume questi fenomeni è il “Post-Cinema”. Processo che spinge il cinema al di là del suo
perimetro tradizionale, processo di “dispersione” che porta il cinema a migrare su una pluralità di
piattaforme e devices differenti.
Questa formula di “cinema espanso” è tornata attuale, un’universo ampio e magmatico al cui
centro c’è il computer. Cinema si riposiziona nel panorama mediale, ci sono diverse prospettive di
interpretazione. C’è chi interpreta in maniera espansiva (il cinema si sta allargando, sta
espandendo le sue potenzialità) per altri si tratta di un processo di superamento del cinema, la fine
del cinema come ambito specifico. La Morte del cinema, discorso che circola, anche nel cinema
d’autore. Queste visioni apparentemente in opposizione raccontano in realtà la stessa cosa, ossia
uno smarrimento dell’identità. Questo è il tema di fondo. Il primo elemento identitario è la sua
base tecnologica. L’idea di cinema e l’immaginario che evoca va ben oltre la dimensione
tecnologica, ha conseguenze che coinvolgono le competenze, le tecniche, i lavori ecc. Pellicola,
cinepresa, moviola ecc. Anche da questa base tecnologica si stabilisce un perimetro del cinema
separato dagli altri media audiovisivi. Cos’è cinema e cosa non lo è? Se è girato in pellicola è film,
se è in video no. Magari fosse così semplice.

Jean Luc Godrird (no scherzo non ho capito come si chiama) distingue fra apparato tecnologico dal
dispositivo, che invece definisce gli effetti che la visione effettua su uno spettatore. Il dispositivo è
come un ingranaggio composto da diverse rotelle che interagiscono producendo un determinato
effetto. Il dispositivo pone le reazioni emotive dello spettatore al centro della sua definizione.
Spettatore è un pezzo dell’ingranaggio. Metz dice che l’esperienza cinematografica è la sala, la
disciplina dello sguardo che la sala impone, il buio, la stimolazione percettiva. Questo apparato
teorico fa parte di un assetto che adesso si è modificato, proprio perché si sono moltiplicati i
devices su cui vedere i film. L’esperienza della sala. La polemica sull’accettare o meno film di
piattaforme ai festival. Contrappone gli interessi della distribuzione in sala e le nuove forme di
fruizione. Però appunto, il discrimine sembra essere la sala. Se esci in sala, sei cinema. Sennò no.
Again, magari fosse così semplice. Sono due modelli di business, blocchi di interesse economico
contrapposto. La questione si gioca sulla sala come elemento identitario del cinema. Cosa è
Cinema? Se anni fa il confine era più delineato, adesso è tutto in discussione. Questo porta a
rilanciare delle domande che si pensavano superate, come che cos’è un film. Al di là delle diverse
posizioni, è chiaro che oggi possiamo certificare un processo di de-istituzionalizzazione della sala, il
cinema adesso passa per la maggiorparte su piattaforme non tradizionali.
Seconda declinazione del concetto, il “riallestimento” degli ambienti della visione. Il cinema si può
riprodurre in contesti che replicano per approssimazione l’esperienza della sala. Il più vicino,
l’home theatre, cerca di replicare la stessa immersione. C’è la rifunzionalizzazione dell’ambiente
domestico per ricreare un’esperienza immersiva. Altro esempio di re-setting riguarda la
conversione del cinema tradizionale nei sistemi più sofisticati di realtà virtuale. Guardare i film con
un casco di realtà virtuale. Scomodo, ma si può simulare uno schermo di grandi proporzioni. Tutti
questi sistemi ripropongono l’esperienza cinematografica con il filtro della realtà virtuale; non
interagendo con l’immagine, la simulazione riguarda proprio la sala cinematografica, lo schermo e
la relazione con lo schermo. Con il casco ti ritrovi all’interno di una sala cinematografica virtuale e
ti vedi un film al cinema. Poi puoi chiacchierare con la gente, ricreare la dimensione sociale.
Simulazione di drive-in ecc. Lettura nostalgica dell’esperienza della sala di proiezione. Nell’ambito
della progettazione degli home theatre, c’è un architetto che ricrea in forma miniaturizzata le
sale cinematografiche più lussuose , in un ambiente casalingo.
C’è addirittura la simulazione dell’home theatre, praticamente una simulazione di una
simulazione.
La VR di Netflix:
Ricrea un ambiente casalingo, comodo, niente design futuristico, interfaccia comodo, immaginario
più consueto, Netflix & Chill. È un sostituto della sala, ma la sala è sempre il riferimento, sia
nell’home theatre che nella VR. L’esperienza del cinema si riloca in rapporto allo spazio più che al
contenuto della visione. Puoi riprodurre contenuti anche non cinematografici. Video di youtube,
partite di calcio, ecc. l’idea di cinema sopravvive nell’esperienza, che è quella della sala. Ma la
rilocazione riguarda anche un altro aspetto:

Vedere un film in contesti e ambienti che non c’entrano nulla con la sala, (aerei, autobus ecc). è lì
l’esperienza cinematografica è quella del FILM e non più quella della sala. C’è un corto di Atom
Egoyan, Artaud Double Bill, in cui due amiche vanno al cinema, e mentre vanno al cinema si
scambiano commenti col telefonino. È tratto da à chaucun son cinéma.
Anna guarda Vivre sa vie, Nicole guarda un film di Egoyan, the adjuster. Entrambi i film presentano
scene in cui si vedono personaggi che guardano un film. Film nel film nel film. M I S E E N A B Y
ME
La struttura si complica, perché si messaggiano, situazioni analoghe, connessioni. Le donne
all’interno di entrambi i film che le ragazze guardano vengono abbordate da qualcuno mentre
guardano il film. Anche questo è una sorta di mash-up tutto sommato. Alla fine del film, si
annuncia il rogo di Giovanna, ma si passa all’immagine dell’altro film che ci mostra un incendio.
L’immagine di un film si estende nell’altro film. Poi c’è una sovrapposizione, l’immagine del
telefono e quella della sala, montaggio interno. Poi dopo la parola morte, le fiamme sembrano
prendere anche la sala stessa. La fine della sala, morte del cinema. Difatti la parola morte torna
con l’immagine di Anna Karina in lacrime. Il fulcro del corto sta nella figura dello spettatore;
riflessione sulle diverse forme di spettatorialità, il rapporto che si produce fra la protagonista del
film di Godard Vivre Sa vie e la spettatrice che la sta guardando. Due spettatrici protagoniste di
due ere diverse del cinema e della spettatorialità; Anna Karina corrisponde all’idea di uno
spettatore la cui attenzione è interamente rivolta al film, con un adesione emotiva e affettiva
totalizzante; lo spettatore rispecchia una disciplina dello sguardo che comporta una fruizione
“passiva” (non passiva perché ingenua o superficiale, ma perché è del tutto “introiettata”), che
corrisponde all’assetto tradizionale del dispositivo. Introiettiva. Al contrario, l’esperienza della
Anna del corto di Egoyan è tutta proiettata verso l’esterno, attenzione multitasking, si dirama
verso più direzioni. Lo schermo è solo uno di queste esperienze. La visione di Anna è più distratta
per certi versi, ma coordina stimoli differenti, dà luogo a pratiche differenziate, visione, scambio,
manipolazione dell’immagine. È una visione più “distaccata” rispetto al pathos del film, dettagli
che portano fuori dalla partecipazione drammaturgica e concettuale del film (la bellezza di Artaud)
ma è comunque un’esperienza complessa, perché moltiplica i centri d’attenzione e sono
comunque rivolte al film, il cinema diventa un moltiplicatore di discorsi. Nel corto rivediamo ciò
che accade oggi, quando vediamo film coordinando l’esperienza della visione con più cose che ci
stanno attorno. Poi la dimensione comunicativa e partecipativa, condividere i pensieri su un film
su twitter mentre guardiamo un film in tv. Molteplici esperienze, quella partecipativa e
comunicativa è una parte essenziale del film. I meme, l’audiovisivo che entra in uno scambio
conversazionale. Nel corto Anna prende un frammento del film e lo “piega” alle sue esigenze
comunicative; decontestualizzazione dell’immagine; Anna manipola il film per comunicare, e per
certi versi lo fa anche Egoyan, che crea una specie di remix dei film. La riflessione riguarda anche la
sala, che brucia in un rogo catartico alla fine del corto. La sala è uno spazio chiuso per Godard;
Anna e Nicole vivono in uno spazio interconnesso; anche in una sala siamo connessi alla rete.

Le nuove modalità di fruizione video ci spingono sempre più a creare interconnessioni fra più fonti
audiovisive; anche quando passiamo mezz’ora su youtube creiamo un personale “montaggio”. Il
modo in cui fruiamo l’audiovisivo ci porta sempre a connessioni che portano altrove; tutte queste
cose che ci suggerisce Egoyan sono rese possibili perché si moltiplicano i devices di riproduzione
dell’audiovisivo. Con una certa approssimazione si può ricreare una visione tradizionale anche su
un iPAd, ma quando l’audiovisivo inizia a circolare altrove, gli oggetti iniziano a possedere
determinate “affordances”.

Softwarizzazione del cinema: nel momento in cui il film entra nei circuiti digitali, diventa un
oggetto “usabile”, modificabile. Sono solo dati, informazioni, bit, pixel. Si possono riarrangiare
come vogliamo. Le sue “affordances” sono molteplici.
Abbiamo shining con Jim Carrey protagonista. Il Deep fake, immagini “falsificate”. Ci sono su attori,
politici. Adesso sta subendo interventi di regolamentazione, anche per la facilità d’usa. Altissimo
grado di ambiguità di queste immagini. E stanno diventando più disponibili anche a chi non ha una
grande sapienza tecnica. Esempio efficace della sempre maggiore “duttilità” del cinema.
Numerose possibilità, si moltiplicano sempre di più. Il mash-up, materiali etereogenei con tenore
ludico-giocoso. Esempio tipico e originale di remix, ri-organizzazione per creare una nuova catena
causale e nuova narrazione.
Estrema diffusione di programmi di montaggio ha consentito una proliferazione di questi
contenuti; creando una spontanea differenziazione di contenuti e generi, gli honest trailers ecc.
Diffusissimo il falso trailer. Uno dei primi mai circolati, Shining, del 2005.

https://www.youtube.com/watch?v=h4M6qoQmmDU&ab_channel=GumpStudio
Qui la manipolazione è più avanzata, come nel film di Spielberg si creano nuove articolazioni dello
spazio, si interviene dentro all’immagine.
Stralci di film protetti da copyright senza autorizzazione. Videosaggi, c’è il fair use tecnicamente.
Post-cinema. Come definire questo fenomeno?
Non è una cosa definita, è una galassia di equilibri mutevoli in cui entra in gioco lo sviluppo
tecnologico, le nuove modalità di fruizione e di produzione video. Contaminazione di linguaggi ed
estetiche differenti che hanno una matrice comune nel cinema ma che poi vanno in direzioni
sempre più differenti. Shining, non ci viene più in mente solo il film di Kubrick, ma tutto il discorso
audiovisivo che gli si è creato intorno. Movimento dispersivo, dal cinema alle varie direzioni dei
nuovi media. Ora, movimento centripeto; tutte queste direzioni tornano al cinema. Esce dalla
porta ed entra dalla finestra; i videogiochi che si rifanno al cinema. Ibridazioni estetiche,
l’orizzonte della post.medialità, i confini fra media sono sempre più deboli e permeabili. Due
prodotti audiovisivi di questo percorso centrifugo e centripeto del cinema; un film e un
videogioco. La leggenda di Beowulf (2007) di Zemeckis, e L.A. Noire, videogioco palesemente
ispirato da L.a. confidential e simili. (con tanto di sembianze digitali di attori veri). Un film che
sembra un videogioco e un videogioco che sembra un film. Sort of.

Grizaffi, postmediale, dispense+videosaggio per chi lo vuole fare. Chi non lo vuole fare, Fuori di sé,
identità fluide nel cinema contemporaneo.

25/3/21
Nella scorsa lezione abbiamo parlato del post-cinema, dinamiche di rilocazione del cinema,
migrazione su nuove piattaforme e pratiche di consumo che esse sollecitano. Orizzonte post-
mediale in cui si attenuano i confini fra i diversi media. Diramazioni del cinema nel nuovo
panorama mediale, riciclo dell’immagine cinematografica che dà origine a forme ibride che
comunque hanno al loro centro il cinema. Forme dispersive da una parte e centripete dall’altra. Il
cinema esce dalla porta e rientra dalla finestra. Oggi parliamo del movimento centripeto, nuovo
immaginario, come impatta sul cinema. Peter Greenaway:

Altri media si sono modellati sul linguaggio cinematografico, a partire dalla tv. Ora il primato non è
più del cinema. Un tempo tv e cinema erano mondi non comunicanti, quando star del cinema
passava alla tv era come un passaggio in serie B. Oggi anche questo confine è molto permeabile,
attori che lavorano al cinema che vanno tranquillamente a fare tv di prestigio. Sul piano estetico
linguistico anche la tv ormai è sempre più vicina al cinema. Le piattaforme web poi consentono di
fare esperimenti di nicchia impensabili nella tv generalista. Molti settori che presentano un forte
apporto di sperimentazione. Ultimi decenni, sempre più registi viene da quel mondo, o anche
registi di prestigio che si prestano alla tv. Poi il web, sempre più sperimentazione. I video a 360
gradi, spettatore può scegliere cosa guardare. Le gopro, action cam in cui vengono mostrate
acrobazie incredibili, che un tempo erano solo predominio del cinema. Per esempio l’apertura di
strange days, oggi non è più niente di che, le action cam sono molto accessibili per prezzo e per
uso. Poi, film realizzati con i motori grafici dei videogiochi. Poi i mash up,remix ecc. Oggi il cinema
si trova nella situazione di dover importare l’innovazione più che produrla. Il cinema appare
maggiormente esposto alla contaminazione delle forme audiovisive che gli sono più vicini, come i
videogiochi. Travaso che avviene anche nelle strutture narrative, la cosiddetta “gamification” del
cinema. Sliding Doors, Groundhog’s day, e di conseguenza Edge of tomorrow.

Sviluppare serie di variazioni sul tema. Circolarità riflesso del videogioco, ripetere lo stesso quadro
e cercare di risolverlo. In Edge of tomorrow e Source code il meccanismo è ancora più esplicito.
Sul piano visivo, forme visuali che migrano da un medium all’altro. Le contaminazioni appaiono
scontate fra le forme dell’audiovisivo dell’intrattenimento. Poi però ci sono transit meno scontati e
immediati. Ad esempio, le formulazioni audiovisive che provengono dal campo dei video medici, o
di esercitazioni militari, videosorveglianze, webcam. Dr House, incursione dentro al corpo di un
personaggio. Diffusione di immagini con le quali abbiamo ormai familiarità, ecografie, conoscopie,
offre al cinema un nuovo materiale visivo con cui raccontare le storie. Nucleus media, specializzata
proprio in questo tipo di immagini mediche. Spettacolarizzazione di queste immagini, anche
indipendentemente dal cinema. Incursione nel corpo non è solo per motivi attrazionali, è inserita
nella narrazione. Vediamo cosa scatena la reazione del personaggio, in una logica legata alla
progressione causale del racconto. Immagini che rivelano plot point, non aggiunte spettacolari.
Anche l’interno del corpo diventa percorribile per la narrazione per immagini. Possibile
un’immagine di questo tipo solo perché siamo stati esposti a questo tipo di immagini.
Grandma reading glass, albori del cinema. Bambino che gioca con una lente di ingrandimento.
Quindi il cinema da sempre ha cercato di emulare altre forme visive. Il cinema da sempre si è
rapportato ad altre forme visive. Immagine presa dal binocolo, (all’epoca si utilizzava il mascherino
davanti alla cinepresa). Il cinema si confronta con le nuove forme visive. Quello che rende più
complesso il rapporto fra il cinema e le nuove forme, il cinema le può incorporare senza
mediazione nel tessuto visivo. Redacted di de palma, film che ha sollevato molte polemiche. Atto
di violenza dei militari americani che irrompono in casa dei civili e commettono violenza. Film
costruito in maniera visualmente non convenzionale, patchwork di segmenti non etereogenei.
Non è un ricalco, si è usato, senza mediazione, quella tecnica per dare autenticità. Tecniche che
non sono cinematografiche. Narrazione si sviluppa attraverso un collage di elementi etereogenei
che mantengono la loro qualità extracinematografica. Ad esempio, immagini effettivamente
ottenute con telecamere di sorveglianza. Non è una simulazione, ma un’incorporazione, che dà
molte altre forme di ibridazione. Poi, i desktop films, Unfriended. Film più divertente da vedere su
un laptop che non in sala. Intreccio con moltissimi stereotipi del genere horror, unito a
un’impostazione di messinscena dichiaratamente non cinematografica. Cinema mantiene la
caratteristica di rifunzionalizzazione, tramite il montaggio.
Ruggero Eugeni, nella Condizione post-mediali parla di figure post-mediali, che non corrispondono
a un medium specifico, ma che sono per loro natura trasversali. Per spiegare questa cosa parte da
una figura, First person shot. Figura stilistica caratteristica dei medium tradizionali, e non
possiamo attribuirla per forza a un solo medium. La ritroviamo un po’ dovunque. Partiamo da un
esempio significativo, clip di presentazione dei Google glasses, nuovi dispositivi. Clip girata
interamente in prima persona.
Progetto poi accantonato da Google. Ma interessante vedere che aspetti vengono messi in risalto.
Cosa suggeriscono queste immagini? Intanto che questo dispositivo consente di condividere la
propria esperienza, in prima persona e in diretta, non troppo diversamente dallo “squid” di
Strange Days. Altro aspetto, l’interazione con una serie di funzioni che il computer ci mette a
disposizione; altro aspetto importante, chiara percezione di un’esperienza tecnologica, siamo
sempre consapevoli di guardare tramite un’interfaccia. Simbiosi tra corpo e macchina, sinergia fra
organico e macchinico, immagini che dichiarano l’esistenza di un corpo, un dispositivo tecnologico,
e la simbiosi fra questi due elementi. Prevale un punto di vista dinamico e relazionale. Si aprono e
si chiudono pop-up, finestre. Si manifesta uno sguardo mobile che ci fornisce la percezione di un
corpo “esperiente” tramite il filtro del dispositivo. Se dovessimo identificare un corrispettivo nel
linguaggio del cinema sarebbe una soggettiva. Però ci sono una serie di implicazioni, dimensioni
che il cinema non possiede. La parte tecnologica, l’interazione, la sinergia tecnologia-corpo, tutto
questo il cinema non lo dice. MA se dovessimo cercare dei precedenti, li troviamo tranquillamente
nel cinema. Troviamo in tutte le espressioni dell’audiovisivo contemporaneo, figura stilistica post-
mediale. Ogni fenomeno ha un’origine. Dark Passage, The woman in the lake. Soggettiva stilistica,
Io-camera. Perché nasce la necessità di una definizione? Perché non è una soggettiva tradizionale.
Nella soggettiva classica abbiamo una sintassi, quel che attribuisce all’immagine uno statuto di
soggettività è il collegamento fra l’immagine oggettiva di colui che guarda e la soggettiva proprio,
ossia quello che sta guardando. Questo ci aiuta a collegare un immagine con il personaggio, anche
perché così vediamo la faccia del personaggio, quello che prova mentre guarda quella cosa. Le
soggettive così invece hanno una dimensione enigmatica, ci mostrano tutto ciò che vede il
personaggio ma non il personaggio, variabile essenziale. Infatti in molti casi serve per nasconderci
delle informazioni, ad esempio la faccia del personaggio, proprio come in Dark Passage. Immagini
che non hanno la funzione di sollecitare un’identificazione col personaggio; tutt’altro, la
ostacolano. Infatti viene spesso circoscritta a passaggi particolari.
Volendo trovare un precedente, il cinema ce lo offre. Al di là della distanza temporale fra un Dark
Passage e la clip di dimostrazione dei Google Glasses, c’è un’altra differenza. In Dark passage non
c’è un’interfaccia, anzi, la visione è im-mediata, riferibile direttamente allo sguardo del
personaggio come se fosse un nostro. Nel caso della clip dei google glasses, sappiamo che c’è un
dispositivo di mezzo. Dovendo individuare dei passaggi tecnologici che ci portano al first person
shot, il cinema ha un ruolo importante. Vediamoli un po’; intanto, anni ’70, l’invenzione della
1)Steadycam. Immagine particolarmente fluida, risolve il problema di stabilizzazione
dell’immagine che rendevano troppo riconoscibile la macchina a mano. Inventata da Garret
Brown. Primo film a utilizzarla è Bound for Glory, di Hal Ashby, del 1976. Primi utilizzi della
steadycam sono quelli di produrre movimenti molto articolati, e per accentuare il rapporto
relazionale fra il protagonista e lo spazio. Nuova tecnologia che consente un nuovo modo di
rapportarsi con lo spazio. Esempio di GOodfellas ecc. Avvicinamento al first person shot, sia dal
punto di vista visivo, ma anche per un’altra ragione, nel senso che è un dispositivo “indossabile”,
che si collega direttamente al corpo. Shining, torna sempre nei discorsi delle nuove forme visuali,
film seminale per tante ragioni. Sfrutta appieno le nuove potenzialità della tecnica. Famosa
sequenza dei corridoi (quale delle tante) in cui seguiamo Danny col suo triciclo.
Poi, il grandangolo. Linee verticali incurvate, caratteristica ricorrente delle action cam e dei
dispositivi di ripresa molto maneggevoli come go-pro ecc. Quella dell’inizio di Shining, che
soggettiva è? Chi è che guarda, un uccello? No, ma c’è comunque uno sguardo, un’entità. Sguardo
sovrannaturale. Movimento si avvicina all’automobile, ma poi si sgancia, quindi c’è l’intenzionalità
di uno sguardo. Come avviene poi anche nel triciclo. La telecamera non è “agganciata” su Danny,
ogni tanto va più lenta, ogni tanto più veloce. Non è uno sguardo neutro; per via delle marche
visive che porta impresse, è uno sguardo che appartiene a qualcuno. O QUALCOSA.
Scarto rispetto al tipo di sguardo tradizionale; evoca una mediazione. Potenzialità tecniche di
un’immagine che offre nuove potenzialità espressive. Poi sì, goodfellas, halloween ecc. La
steadycam entra presto in tutti gli ambiti dell’audiovisivo.
Citando nuovamente un film che abbiamo già evocato, usa questa tecnica con un collegamento
esplicito con le nuove tecnologie. Strange Days. Sequenza che apre il film, volutamente ambigua
appunto, perché è in first person shot e non vediamo il protagonista. Da quel momento in poi il
film si divide a metà stilisticamente, consentendoci di identificare questa immagine come mediata
da un dispositivo, nel caso del film lo squid. Si sfruttano le peculiarità visive per alludere a una
mediazione tecnologica. Visione soggettiva riconducibile a un personaggio, ma in cui si legge
anche l’operatività del dispositivo. Stiamo condividendo uno sguardo che 1 - non è
cinematografico, e 2 - non è uno sguardo naturale come in Dark passage, ma è uno sguardo
mediato da una tecnologia.
2)La seconda innovazione tecnologica che gioca un ruolo importante è legata alla diffusione di
telecamere leggere. Rivoluzione che inizia con le cam-corder, continua elaborazione, telecamere
sempre più piccole, dispositivi che hanno rivoluzionato tutto, anche il mondo dell’informazione, il
citizen journalism, chiunque può documentare qualcosa. Tema anch’esso riportato da Strange
days, che a quel tempo rifletteva quello che era successo a Rodney King. Documentazione
estemporanea di eventi, partecipazione e condivisione. Fiorire di mockumentary, da BWP a
Cloverfield. Estetica amatoriale che richiama le nuove estetiche digitali. Telecamera portatile.
Continua a riprendere, anche se non ci viene mostrato capiamo che è coinvolto nell’azione.
Percezione di una mediazione tecnologica. Restituzione in presa diretta degli eventi, immediatezza
ed estemporaneità delle nuove possibilità di ripresa. Sguardo che sta dentro l’azione, quindi
condivisione di un’esperienza. Ciò che ci comunica questo tipo di immagine è un percorso di tipo
esperienziale. Familiarità che abbiamo con questi tipi di ripresa, quindi sappiamo che sono
provenienti da una mediazione tecnologica, perché li sappiamo ricondurre a una serie di
dispositivi. 11 settembre, grande diffusione nell’immaginario, i footage del disastro che
circolarono nei giorni dopo l’incidente, espressioni di documentazione diretta della realtà.
3)Miniaturizzazione dei dispositivi di ripresa, che li rende indossabili. Connubio fra corpo e
macchina che ci raccontava anche il video di Google. Helmet-cam, fine anni ’80. Fino ad arrivare a
riprese dei percorsi in bici. Go-pro. Proliferazione di questo tipo di footage, che hanno l’esplicita
funzione di farti vivere in prima persona cose che altrimenti non faresti, tipo buttarti da una rupe
ecc. Soprattutto questi video ci mostrano un’esperienza soggettiva di interazione con il mondo e lo
spazio, che avviene tramite una simbiosi fra corpo e dispositivo, indossato da chi filma. Anche in
questo caso, esempi filmici che richiamano questi dispositivi. Uno dei casi più famosi è Hardcore.
Altro esempio, Elephant di Gus Van Sant. Il film rievoca in maniera diretta e immediata l’estetica
da videogioco. L’architettura del film si basa sul tema visivo del videogioco, steadycam a seguire
sui personaggi, lunghi corridoi con geometrie regolari (sempre Doom), camminamenti con
prospettive geometriche lineari. Rielaborazione puramente cinematografica però
Film Doom, tratto proprio dal videogioco. Intera sequenza che richiama apertamente la
configurazione visiva dei first person shooter. La visuale in prima persona non è esclusiva dei
videogiochi in cui si spara, still. Poi ovviamente la versione più sofisticata è la 4)realtà virtuale.
Quindi, configurazione visiva che nasce da più medium. Noi abbiamo il punto di riferimento del
cinema, certo. Ma la spettacolarizzazione di queste tecniche avviene anche indipendentemente
dal cinema. È un fenomeno dovuto alla condivisione social dell’audiovisivo. Altre piattaforme
rendono le immagini “spettacolo”. Abbiamo visto anche le imprese acrobatiche girate in go-pro
ecc. Anche ambiti nati in ambiti non spettacolari. 5)Il videogioco, ci sono mille video di game-play,
registrazioni di sessioni di gioco. Il videogioco non diventa solo qualcosa da praticare, ma anche da
guardare. Certo, anche funzione informativa, o far vedere una performance particolarmente
virtuosa (giant steps any speed run). Il videogioco quindi diventa spettacolo. Pensate a Fortnite,
che ha una modalità spettatore.
Cinema interattivo, scelte narrative interattive. Non sono una cosa nuova, sin dagli anni ’90 si è
cercato di fare sta cosa.
First person shot, incontro fra campi e finalità differenti (simulatori di volo come i videogiochi,
software per elaborazione delle cgi, raffinare le costruzioni del corpo umano ecc). Come definire in
ulimo il first person shot:

Dunque non si tratta di una semplice soggettiva cinematografica. È chiaro che questa figura ha
delle peculiarità vere e proprie. Anche quando sta nel cinema, porta su di sé tutte queste
stratificazioni di senso, è quindi una figura trasversale e post-mediale. Sia che la troviamo nel
cinema o nel videogioco mantiene un’autonomia di senso rispetto al medium che la ospita.

Cambiamenti che hanno dei riflessi nel modo in cui possiamo studiare il cinema. Arriviamo al
cuore della questione; il videosaggio. I film sono dati, è riprogrammabile e manipolabile. Possibilità
di diffondere attraverso le piattaforme web. Elemento di novità dato dal fatto che il videosaggio
può parlarci del film senza mediazioni, mostra direttamente il film. Accostare più film,
inquadrature, ecc. Cerchiamo di inquadrare la questione dal punto di vista teorico, non solo
innovazione tecnologica. Il videosaggio può essere un nuovo modo di pensare il cinema? Anche il
videosaggio rientra nel campo del post-cinema; cultura partecipativa, social, quello è il paradigma
culturale. Solleviamo delle questioni che riguardano l’analisi filmica tradizionale, in forma scritta.
Raymond Bellour:

Il problema nasce dal fatto che lo studioso non poteva “possedere” i film, e i mezzi per la sua
riproduzione. Nel 75 Bellour scrive “il testo introvabile”. Il testo cinematografico è “altrove”, un
po’ perché non lo puoi possedere, sta in sala e basta, un po’ perché non lo puoi allegare alla
pagina scritta. Da una parte gli studiosi affermano l’importanza di una dimensione testuale, ma nel
momento in cui si riconosce bisogna fare i conti con il fatto che lo studioso non può avere in
“mano” il testo. Bellour distingue fra “opera” e “testo”. Opera è oggetto chiuso e finito che hai fra
le mani. Lo studioso del cinema non ha la disponibilità dell’opera. Ma l’analisi ha bisogno
dell’opera. Bellour fu fra i primi a ricorrere alla ripresa dei fotogrammi per l’analisi. Quindi il
fotogramma non è più una semplice illustrazione, ma fa parte del percorso interpretativo.
Inevitabilità di utilizzo, ma è consapevole che congelare un frammento del film è trasgressivo,
attenta all’integrità dell’immagine in movimento:

Il cinema inizia a rilocarsi in altre piattaforme. Televisione, video. Vhs, dvd, streaming. Tecnologie
che sembrano risolvere le contraddizioni di cui parlava Bellour. Finalmente pieno possesso del
film. D’altro canto, il problema posto da Bellour non riguarda solo il problema dei limiti tecnologici
del ’75, il problema è il rapporto fra lingua scritta e natura del testo filmico. Impasse superata in
due ordini di questioni. Approccio semiotico dei primi anni dell’analisi filmica viene superata, testo
non finito, dimensione interdiscorsiva e esperienziale del cinema, cambiamento dei paradigmi
teorici. Poi c’è un altro piano, nei momenti in cui si affermano i supporti digitali il cinema entra
nelle aule universitarie. Vhs, dvd, a lezione si può parlare assieme all’immagine. Diventa alla
portata di tutti. Elemento centrale sulla didattica del cinema. Il Dvd integra poi una serie di
discorsi, audio commento del regista, interviste, scene alternative, scene tagliate. Evidente il fatto
che la possibilità di ragionare sull’immagine attraverso l’immagine è molto più praticabile. Si può
“navigare” nel film.

Tutta riflessione sulle conseguenze del cambiamento del paradigma tecnologico fra film e digitale.
Il digitale secondo alcuni interrompe la catena causale, decodifica la realtà, sensore scompone
l’immagine con un codice numerico. Interessante invece che la Mulvey lo consideri un modo per
creare un’intimità maggiore con l’immagine. Si moltiplicano le possibilità di interazione con il
testo. In molti casi poi, i contenuti speciali, il commento del regista, di uno studioso, ricrea
l’esperienza di una lezione universitaria, film school in a box, lezione universitaria fuori
dall’università. Serie di criticità e problematicità. Alison trope sottolinea la dimensione di
marketing più che didattica dell’integrare i contenuti speciali. Il taglio analitico poi spesso è legato
a un approccio esclusivamente cinefilo che esclude analisi più complesse. Poi il dvd comporta una
segmentazione del film, divisione in capitoli, il dvd incorpora la stessa segmentazione dell’analisi.
Sfrutta in genere le cesure narrative, stacchi, sequenze, scene. Il supporto ci indirizza verso quel
tipo di partizione. Questo supporto impone già autoritariamente un percorso interpretativo. Non
c’è solo il film, ma il film in cui viene impressa una lettura pre-confezionata. Discorsi che fanno
parte ormai di un’archeologia digitale, i dibattiti si sono attenuati ormai, insieme al declino delle
tecnologie di supporto. Il dvd è oggetto collezionistico. Ma interessante vedere come la rilocazione
del cinema interessi anche questo aspetto.
Ovviamente ci si è interessati di come nuove piattaforme potevano esplorare il cinema. Youtube si
è rivelata una risorsa incredibile. Reperibilità di materiali, cinema delle origini, cinema
sperimentale. Scuola di Brighton, materiale su youtube. Fino a poco tempo fa era molto
complicato. Youtube fornisce nuovo orizzonte di possibilità. Poi, problematicità, intanto filologico.
Chi ci dice che quello che troviamo è inalterato? Processo di sedimentazione spontanea dei
materiali, immessi senza controllo. Quindi, utilissimo sotto mille aspetti, didattico, diffusione ecc.
Ma come strumento di ricerca va usato con cautela. C’è da discutere però dei meccanismi di
funzionamento in relazione alla cultura cinematografica. Archivio è una definizione che va
problematizzata. Archivio

Meta-archivio. Non c’è la collocazione fisica dell’oggetto, c’è l’oggetto stesso. Youtube ha una
natura adattativa, funzione di ricerca si adattano al nostro metodo di ricerca.
Risultati e suggerimenti, percorso per analogia e correlazione, un po’ come in Netflix e Amazon,
algoritmo. IL sistema ci invita a navigare nei contenuti con criteri di somiglianza e associazioni,
basate poi sulle nostre preferenze. Logica di funzionamento che influenza il nostro modo di
pensare le immagini. Idea della democratizzazione della cultura, celebrazione del web ecc, vanno
prese con cautela; piattaforme non sono neutre, plasmano pesantemente la circolazione dei
contenuti. Non è che non esistono delle regole gerarchiche; non tutti i contenuti infatti hanno la
stessa visibilità. Quali sono gli effetti? Intanto queste piattaforme marginalizzano l’importanza
delle istituzioni culturali, e questo mette in crisi l’idea di canone di storia del cinema. Se si
prescinde dalle istituzioni, ognuno può tracciare una sua personale storia del cinema prescindendo
dal canone culturale. Come si stabiliscono gli strumenti critici allora?
Fino a che esisteva il mercato dell’home video, era piuttosto facile reperire i grandi film della storia
del cinema, del canone. Oggi se vogliamo vedere un film di Godard e Wilder può diventare un
problema, offerta limitata sul cinema del passato. Mubi è una realtà piccola. Produzione
grassroots, di cui i videosaggi fanno parte, che espande e definisce le pratiche dell’attuale cinefilia.
Campo di pertinenza del videosaggio. Elementi che favoriscono l’emergere di queste pratiche.
Attendance e Performance, secondo Casetti. Nascono con la nascita della fruizione di tipo
performativo. Attendance è la condizione dello spettatore tradizionale, particolare condizione
dell’esperienza e i riti della sala, situazione di immersione e passività. La rilocazione crea uno
slittamento fra attendance alla performance. Questo accade anche prima della rilocazione,
Greenaway diceva che fosse accaduto con l’invenzione del telecomando, sala di montaggio
alternativa; lo spettatore può fare il suo montaggio slegandosi dall’organizzazione originale del
testo; non subiamo più il flusso delle immagini, ma ne influenziamo il percorso. (che era anche il
tema del corto di Egoyan).
Riflessione del cinema attraverso il cinema non è nuova, vediamo i precedenti delle attuali forme
del remix, e che tipo di continuità c’è stata. Mo’ senza fare una storia, fra i primi esempi c’era la
pratica di appiccicare insieme i film dei lumiere, però prendiamo i punti di riferimento: il film
saggio e il found footage. Il primo, si risale già agli anni ’20, sulla spinta del fenomeno dei cineclub.
Il film sul cinema può andare dalla forma più convenzionale di documentario, a quella che Aprà
definisce il “crito-film”. Possibilità di usare le possibilità del cinema per interpretare l’opera d’arte.
Si distingue dal documentario per creare un’analisi visiva. Recupero di questa forma serve ad
indicare un tipo di elaborazione che sfrutti la tecnica audiovisiva per studiare e interpretare il film.
Cosa si intende invece di found footage:

Modelli di riferimento per il videosaggio sono principalmente due, found footage, utilizzo di
materiali di repertorio.
Ciascun frammento, indipendentemente da come è stato ripreso e dalle sue finalità originarie
viene legato a un altro, con la finalità di ricostruire uno sguardo complessivo. Questo nel
Compilation film, le riprese vengono però dallo stesso piano della realtà. Non tematizza
l’operazione di montaggio in sé, come invece avviene nel collage, nel compilation film si asseconda
l’omogeneità sul piano del pro-filmico, documenti dello stesso evento, indipendentemente dalla
sorgente. Frammento da una troup professionale, altri da un telefonino, eterogeneità visibile delle
fonti, ma il montaggio lega questi frammenti in maniera che linearmente ci venga restituito questo
fenomeno. Si vuole riprodurre uno sguardo sul reale, estetica realista:
Questo non vuol dire che sia priva di filtri; si possono usare questi eventi anche con finalità
politiche. Per esempio nel film di propaganda, Why We Fight, le ragioni dell’intervento bellico.
Film realizzati/supervisionati da Frank Capra, completamente con materiale di repertorio, preso
nelle circostanze più diverse. Molte delle scene prelevate da notiziari, film del nemico, nazioni
unite ecc. Appunto il montaggio ci mostra la rappresentazione del fenomeno. Film composto da
materiale eterogeneo, logica di fornire una rappresentazione fattuale. In questo caso della
situazione internazionale, al di là delle finalità comunicative il modello del compilation film utilizza
il montaggio per ricostruire fra i vari frammenti un rapporto fattuale (presunto), avvenuto nella
realtà.
Poi c’è il collage-film, in cui gli accostamenti possono essere più arditi e stravaganti, siamo nel
territorio del cinema sperimentale e d’avanguardia, immagini eterogenee, montaggio si manifesta
con tutta la sua evidenza nella sua funzione significante; nel collage l’immagine viene
completamente decontestualizzata, è il montaggio che costruisce un significato del tutto nuovo.
Nel compilation film il montaggio è più self-evident, trasparente. Altro elemento di differenza, nel
compilation film i frammenti richiamano un dato di realtà. Nel collage film si manifestano
apertamente come spezzoni che provengono dall’industria culturale, il collage film rimanda alla
cultura mediale, riflette sulla costruzione dell’immagine popolare stessa, terreno dell’avanguardia,
espressione di un’estetica modernista, modernità del cinema, metalinguaggio, problematizzazione
del rapporto fra cinema- realtà. Film di uno dei maestri del found footage, Bruce conner, A movie.
La scritta iniziale, Bruce Conner, dura fin troppo a lungo, quindi non è solo a titolo informativo.
Segni con una funzione più tecnica, poi ci sta un countdown che però si ferma al 4. Costruire delle
attese per poi andare altrove. Tutte cose che preparano lo spettatore. Immagine successiva,
donna che si spoglia, vecchia pellicola a luci rosse. Natura di collage, assemblaggio,
inequivocabilmente preesistente. Oltre al tema della violenza, c’è quello del sesso, tutta la parte
centrale rievoca in maniera inequivocabile il tema sessuale. Anticipazione di un altro tema, come
un nucleo. Conto alla rovescia, the end, anche se il film è appena iniziato. Titolo al contrario, segni
grafici, scritte sulla pellicola sincronizzate con la musica. Primo segmento caratterizzato da una
manomissione delle attese spettatoriali. Accostamenti bizzarri, ci riportano alla materialità della
pellicola, tutto il primo segmento. Nuovo segmento con immagini tratte da film western, nuovo
campo tematico, caratterizzato da una certa omogeneità, orizzonte molto preciso. Ulteriore
elemento di collegamento, direzione del movimento da sinistra a destra, collegamento formale fra
le inquadrature, come se ci fosse una folla di persone che vanno nella stessa direzione, finché non
si arriva a un altro tipo di immagine, un camion di pompieri, che ne contraddice la direzione
interrompendo l’uniformità direzionale, contraddizione tematica e dell’immagine. Elemento di
continuità però, la corsa del cavallo. Gioco delle associazioni si allarga a un campo più ampio, tema
del cavallo in corsa. Prosegue nell’inquadratura successiva. Inserimento di altra inquadratura fuori
contesto, elefante che corre verso l’obbiettivo, e si allarga il campo tematico; adesso stiamo
parlando del moto degli animali in corsa. Slittamento del senso complessivo, c’è sempre un filo di
collegamento. I procedimenti di Conner seguono dei meccanismi precisi, conflittualità su un piano
e continuità su un altro. Accade qui, arriva un animale che non c’entra niente, elemento forte, ma
c’è elemento di continuità, in questo caso la direzione. Si inizia a scorgere un principio
compositivo, slittamento su un piano e continuità su un altro. Elementi di continuità che creano
gioco di associazioni che creano un filo fra le immagini. Rimodulare il campo tematico
allargandolo; il tema è legato alla corsa di animali; poi però, ulteriore slittamento, locomotiva a
vapore. Allora la velocità, dagli animali ai veicoli moderni; serie di slittamenti con inquadratura che
spostano il significato con una serie di rime. Tema è diventato la velocità, idea indifferenziata di
velocità. Finché non viene introdotto l’elemento dell’incidente. Lo scontro. Veicoli che si ribaltano.
Nuova associazione, rapporto causale fra le immagini, come se l’esito delle corse sia l’incidente, la
caduta rovinosa. Sorta di parodia di un film narrativo, causa-effetto, stabilito un principio di
causalità. Segmento si chiude con un’automobile che si schianta in un burrone. Associato ad esiti
rovinosi, fenomeno incontrollato. Il segmento si chiude con la scritta The end, marca la chiusura
del segmento, pausa di nero, riproposizione del titolo che diventa una sorta di punteggiatura. Si
passa al terzo segmento, cambiamento significativo della musica, inquietante e oscura. Prima
immagine di questo segmento mostra due donne polinesiane che portano in equilibrio dei totem,
momento di nero e titolo, le immagini di un dirigibile in volo, poi di nuovo momento di nero.
Inquadrature, microscene che possiedono una relativa autonomia, incapsulate in questi scarti di
nero, siamo più cauti, si procede lentamente con principi associativi più enigmatici. Dopodiché,
due acrobati che camminano su un filo steso fra i palazzi. Si delinea un tema allora, immagine che
sintetizza quello che compare nelle immagini precedenti, l’equilibrio. Donne col totem in testa-
equilibrio, dirigibile- altezza, funanboli- equilibrio + altezza. Poi, aereo in picchiata, immagine che
viene seguita da un elemento di turbamento, equilibrio precario, prefigura esiti infausti e rovinosi.
Tornano le scritte, titolo e autore, funzione evidente di creare una punteggiatura. Inquadratura
successiva ci mostra un sottomarino. Tema che tornerà, quello dell’acqua, del mare. Momento più
scanzonato del iflm, successione di immagine di un marinaio che guarda dentro al periscopio e
donna in bikini, che sembra la soggettiva del marinaio. Quindi è una gag, costruita tramite il
montaggio, sottotesto sessuale e natura dell’accostamento irriverente, immagini tratte da filmato
ufficiale dell’esercito e film per adulti. Tema sessuale su cui il film indugia, siluro che parte dal
sottomarino e procede verso la donna, mantiene la direzione del movimento. Eccolo lì, porta
avanti l’allusione a rapporto sessuale e orgasmo (fungo atomico). Quella fra l’altro è un’immagine
presa da una sperimentazione effettuata nell’atollo di Bikini nel 1946. Questa parentesi crea una
serie di associazioni, esplosione che crea una specie di onda d’urto, mare in tempesta, onde, che
sembrano provenire dalla forza d’urto dell’esplosione nucleare, quindi dal sottotesto sessuale si
passa a un diverso tenore di immagini, dalla tempesta a attività sportive contrastate dal mare, ma
il tono si fa più inquietante. Il tema centrale torna ad essere quello dell’incidente, dello scontro,
culmina con l’immagine di un motoscafo che si scontra con la riva. Cadute rovinose quasi
conseguenza dell’onda d’urto nucleare. Elemento di preparazione che anticipa gli spostamenti,
sistema di rime. Ulteriore elemento di contrasto, associazione fra azioni buffe con musica quasi
trionfale, contrappunto ironico alle immagini. Da queste attività si passa senza soluzioni di
continuità a immagini di imprese sportive più virili e convenzionali, conclusione affidata
all’immagine di un incidente, aereo che cade. Breve sospensione, stacco di nero, immagine del
presidente Roosevelt, immagine che esprime aggressività, minaccia. Si inizia a delineare un
discorso tematico articolato, aggressione, minaccia, sessualità, associazione fra sessualità e
aggressività. Poi invece viene associata l’aggressione alla politica. Serie di devastazioni, quasi
avvenute a causa del discorso di Roosevelt. Nuova pausa, inizia a scorrere il terzo movimento dei
Pini di Roma. Lungo crescendo, inizia con suoni cupi e percussivi, poi sempre più potente, cesura
che ci porta dal segmento precedente a questo, brusco calo dinamico della musica. Serie di
immagini che ci portano a uno scenario di guerra, apertamente militarista, tema dell’aggressione
prende una fisionomia precisa, flusso di immagini collega temi diversi, che si stratificano e si
intrecciano, creano una traiettoria, una direzione. Sessualità, guerra, politica, sport, manifestazioni
generate da un comune impulso di aggressività, di competizione. Bombe che esplodono. Poi un
altro cambio, due biplani che volano con le piramidi sullo sfondo, e inizia una parte piuttosto
enigmatica e inizialmente meno decifrabile. Vulcano in eruzione, cerimonia religiosa, poi di nuovo
devastazione. Prime tre associazioni, stessa tecnica di prima, spostamento nel campo tematico e
continuità visiva, qui a garantire la continuità è l’aereo. Quella dopo le piramidi sempre presenta
una continuità, piramidi che diventano vulcani, continuità grafica. Quello successivo è il
movimento, lo zoom in avanti, ripetuto per tre inquadrature. Nel momento in cui il nesso è meno
intuitivo, l’assonanza si trasferisce sul piano formale. Elemento di continuità è quello, ma tende un
filo fra le immagini, ci spinge a trovare un nesso fra le immagini, gioco di rime e variazioni,
comunica sempre una intenzione organizzativa, anche se enigmatica e misteriosa, accostamenti
con sistema di concordanze, differenze. Portato a cercare un senso, gioco funziona perché emerge
sempre un’intenzionalità significante. Quindi vediamo il discorso procede su basi formali, e mentre
procede allarga il campo tematico e stimola una serie di più ampie interpretazioni, il tema sembra
farsi più chiaro, disastro naturale e bellico, la religione, si allarga il campo interpretativo. Al
termine della sezione ricomincia il tema della velocità. Sistema delle rime, riproposizione di motivi
figurativi riproposti per dare organicità all’interno di un corpo filmico così stravagante. Immagine
di un paracadutista, associazione in positivo, paracadute offre protezione. Apparentemente
perché poi nell’inquadratura successiva, mongolfiera in fiamme, volge di nuovo in negativo;
mongolfiera richiama il paracadute. Poi, strana pausa, scene di natura, panorami e scorci esotici, si
interrompe il tema della violenza. Pace, armonia, momento particolarmente enigmatico che
sembra creare una sospensione, la quiete prima della tempesta, perché poi arriveranno i momenti
più violenti. Ponte scosso da un terremoto, fiamme, scene di devastazione, e mentre la musica
cresce, crescendo musicale. Immagini brutali di guerra, violenza, intensificazione, corpi morti,
appesi, crescendo di violenza che procede in parallelo col crescendo musicale, e che culmina di
nuovo con un’esplosione nucleare, distruzione globale e definitiva. Inquadrature successive
ripropongono immagini di sofferenza, connotate nel richiamare l’africa, il terzo mondo. Anche i
panorami esotici acquistano un senso. Scenari associati a un’immagine di morte, devastazione,
brutalità della guerra. Crescendo sempre più potente, si arriva poi all’ultimo segmento del film,
che è il momento in cui il film si mantiene su uno stesso tema. Immagini subacquee che mostrano
un sommozzatore, mentre vengono alternate scene di vita sottomarina. Sub sembra esplorare dei
relitti, richiamano le immagini della tempesta, rime e ripetizioni, nessi causali fra le immagini.
Immagine mostra il sole che filtra nell’acqua, immagine di speranza, rinascita, palingenesi.
Sviluppa un percorso di senso. Conquista, competizione. Manifestazioni che sembrano originate
da una stessa pulsione autodistruttiva e di morte. Però, al di là dell’interpretazione, che può
essere anche soggettivo e libero. Quello che interessa è il modo in cui si costruisce il discorso.
Particolare attenzione a procedimenti di montaggio, serie di accorgimenti, catena di associazioni,
immagini molto diverse, mantiene un filo che tiene lo spettatore su registri anche molto diversi
Differenziazione tematica e continuità formali che aiutano a creare senso.

Altri esempi di compilation film, The atomic café, poi c’è appropriation film, usa come esempio il
videoclip di Man in the mirror. Equilibri intermedi fra i modelli, tre casi anche perché tutti e tre
contengono e riciclano una stessa immagine, fungo atomico, materiale che documenta il test
dell’Atollo di Bikini. Quindi vuole vedere come la stessa immagine assolva delle funzioni differenti.
The Atomic café, film dell’82 accolto con grande entusiasmo dalla critica, pietra miliare nel genere
found footage, documenta anni della guerra fredda, compliazione di filmati, notiziari, film
governativi, materiale per l’addestramento militare, materiale eterogeneo collocato fra gli anni ’40
e i ’60. Non solo documentare un’epoca, ma anche la narrazione dei media e il modo in cui
influenzano l’opinione pubblica. Test nucleare del ’46, forze armate fanno esplodere bomba
nell’atollo di Bikini, sequenza inizia con famiglie raccolte intorno alla radio ad ascoltare il
resoconto dell’evento, già dimensione mediale; sequenza successiva, preparazione ed esecuzione,
si sgombrano le persone dalla zona per effettuare il test.
A differenza di altri compilation films, qui non c’è voice-over. Solo articolazione del montaggio.
Però c’è un contrappunto particolare, ironico, nativi che cantano You are my sunshine nella loro
lingua sopra le scene della bomba. Montaggio finalizzato a rappresentare continuità dell’azione,
ricostruzione lineare di un evento a partire da elementi visivi e sonori eterogenei. D’altro canto si
gioca sul fatto che sappiamo che è materiale propagandistico, quindi guardiamo con un layer in
più. Siamo consapevoli che non guardiamo un documento neutro, ma immagine già mediatizzata,
con un suo scopo comunicativo. Atomic Café presenta questa natura riflessiva sulla natura delle
immagini, problematizza il rapporto con l’immagine, più che semplicemente ricostruire un evento.
Si torna a una rappresentazione oggettiva e documentaristica durante le scene della bomba,
natura testimoniale, documentazione di un evento che è accaduto lì in quel momento. Oscillazione
nel rapporto che il film instaura con le immagini; modelli che danno origine a sconfinamenti e
sovrapposizioni. Ultima delle categorie, quella dell’Appropriazione. Wease stesso propone un
esempio, il videoclip di Man in the mirror.
Primo, compilation film, documentazione, collage importanza del montaggio e criticità ed
elaborazione delle immagini, invita all’interpretazione. Ora, metodologia dell’appropriazione gioca
comunque sulla natura equivoca delle immagini, ma è priva della self awareness del collage film.
Man in the mirror, riciclo dell’immagine. Sul piano del montaggio non c’è mai collisione, il discorso
visivo è organizzato su una linea musicale, montaggio omogeneizzante, come in un impasto molte
cose diverse, tendenza alla dissolvenza, immagini eterogenee. Se nel collage film la
decontestualizzazione serve a produrre un flusso inindifferenziato in cui le immagini perdono la
loro specificità per creare una risposta emozionale e sensoriale. Sottolineare l’andamento della
musica e del testo, Cambiamento di immagine, scatto netto non per creare contasto, ma per
funzione ritmica, maggiore fluidità nell’articolazione visiva. Fasi della canzone. Wease si concentra
sulle immagini dell’atollo di Bikini, interroga sulla funzione. Atomic Café esempio borderline, ma
quelle immagini sono assemblate con la logica del compilation film, invece in A movie sono
montate per creare un discorso di senso associativo. In Man in the mirror invece sottolineano
l’elemento ritmico della musica e un cambio di tono nel campo delle immagini, oltre al cambio di
tonalità del brano. Da associazioni negative si passa a momenti positivi, risolutivi. Proprio alla
metà del video l’immagine dell’atollo diventa un turning point, il tema diventa il cambiamento,
che arriva mentre Michael jackson dice Make that… Chaaange (e cambia la tonalità). Quindi poi
tutte immagini positive molto anni ’80, Gandhi, strette di mano, Martin Luther King, si ribalta la
connotazione negativa delle immagini usate finora; l’immagine della devastazione dell’atollo non
assume una connotazione negativa, ma al contrario, in modo paradossale, segna una svolta in
senso ottimistico. Il punto però è che l’immagine viene privata di significato, è un elemento
ritmico, di interpunzione, slegata dal suo originale significato storico, al servizio dell’effetto
emozionale che il video vuole produrre. Nessuna preoccupazione per la loro connotazione storica,
pienamente nell’orizzonte del postmoderno, nella dimensione critica, dimensioni come pura
superficie, oggetto ed evento storico sostituito da simulacri. Se il compilation cita la storia, Man in
the mirror cita i media che hanno cancellato la storia, le citazioni vengono private di qualsiasi
connotazione e riciclate senza riguardo per il loro contenuto di verità. Che considerazioni
conclusive si possono fare. Tassonomia ci offre un orientamento, posizione critica nei confronti
della post-modernità. Postmoderno come dimensione unicamente ludica e superficiale, che è un
po’ harsh come giudizio, ma con le sue ragioni.

Una delle obiezioni che vengono fatte a Weasel è su quest’ultima categoria. Altra studiosa, Jaime
Baron è tornata sulla questione dell’appropriation film, è venuta meno la distinzione tradizionale
fra found footage e film d’archivio. Se i primi lavorano su materiali di scarto di una certa
provenienza, il film d’archivio ha invece un riconosciuto valore documentale.
Valore legato al fatto che lo spettatore li percepisca come appartenenti a un altro testo o
contesto, originaria intenzionalità comunicativa.
Immagine riciclata implica sempre un contesto di appartenenza e originaria intenzione
comunicativa. Possiamo vivere una distanza temporale o interpretativa rispetto a quello che
vediamo. È quello che succedeva con The Atomic Café, immagini apertamente appartenenti al
passato; poi percepiamo nelle immagini una finalità propagandistica che ci è distante, ed è da lì
che il film crea degli effetti grotteschi. Poi, i mash up, i remix. Baron mette in primo piano
l’esperienza dello spettatore.
Appendice sulle pratichen ludiche, prima di arrivare al videosaggio. Genere particolare il Re-cut
trailer. Forma di riscrittura interessante, procedimento di “variazione stilistica”, confezionare dei
trailer, falsi trailer, utilizzando esclusivamente materiale visivo di quei film, vari espedienti e mezzi
per creare un cambiamento di segno rispetto all’originale. Robert Ryan, 2005, Shining as a family
feel good comedy. Effetto ludico comico sta nella riproposizione di film completamente stravolti di
segno, capovolti nei significati, giocando con le immagini e con la memoria di noi spettatori.
Intanto, cos’è un trailer?

Micronarrazioni che non aspirano all’organicità narrativa. Strategie dei trailer sono diverse e
variegate; in quest’ambito anche si rintracciano modelli prevalenti. Ad ogni modo prodotto con
una propria specificità, ricorrenza nel formato e durata, finalità comunicativa e finale. Microtesto
con elementi ricorrenti. Marchio di casa di produzione in apertura, oppure disclaimer con il rating,
titolo del film e crediti alla fine. Forma che non rischia di confondersi nel flusso di contenuto
audiovisivi sul web, grado di riconoscibilità piuttosto forte, oggetto quindi privilegiato con cui
giocare. Poi è una forma breve, adatto alla circolazione su social media ecc. I trailer sono oggetti
ampiamente studiati. Sono dei paratesti, hanno specifica funzione promozionale. Cosa fa il
paratesto?
Il trailer ha la funzione di creare anticipazione. Il recut trailer funziona al contrario. Simula i
linguaggi del trailer, ma gioca sul fatto che il film lo conosciamo bene, scegliendo immagini
particolarmente riconoscibili. In shining avevamo visto il passaggio horror-commedia. Ora vediamo
l’esatto contrario, con Mrs Doubtfire. Operazione sofisticata, gioca con le convenzioni del trailer,
risorse espressive del film horror, montaggio serrato, crescendo musicale ritmico, uso di effetti
visivi che deformano l’immagine, sdoppiamento, accelerazioni, deformazioni cromatiche. Accanto
a questi cliché ci sono gli elementi intertestuali che favoriscono il successo dell’operazione.
Immagini che ricalcano alcune soluzioni visive di altri esemplari del genere thriller. Mentre nel
recut di Shining il trailer suggerisce lo sviluppo di una trama diversa dal film originale, in questo
caso si mantiene la trama originale sottolineandone gli aspetti più inquietanti, senza neanche
voice over. Se la prima parte del trailer seleziona immagini che richiamano il cinema horror,
nell’ultima parte, quando c’è questa accelerazione del montaggio, gli autori inseriscono immagini
volutamente buffe e fuori contesto, che richiamano le caratteristiche di commedia del film, e
questo crea uno scarto fra la drammaticità del montaggio e l’apparizione del registro originale del
film. Sviluppo ironico in chiave metadiscorsiva.
Trailer che giocano sulla dimensione autoriale. Dirty dancing. If david lynch directed Dirty dancing.
Sottogeneri, il brokeback trailer.Brokeback of the ring. Poi non trailer, ma Breaking bad se fosse
una sitcom. Riposizionamento di genere. Lettering dei crediti, poi il logo della abc. Saturazione dei
colori, illuminazione e contrasto, ricreare estetica dell’illuminazione delle sitcom. Poi le risate, che
sottolinea come le risate creino una reazione pavloviana. Perizia nella costruzione narrativa. Sigla
in stile anni ’90.
Col tempo sono cambiate le sigle, più importante fare qualcosa di astratto, creare marchio. Invece
anni ’90, più eloquente e didascalico. Presentazione ambientazioni e personaggi. Personaggio in
movimento, che compie delle azioni. Poi funzione di orientare il pubblico verso un genere. IN
questo senso il remix rielabora anche il registro, riconducendo la sigla a un tenore più leggero,
giovanilistico, impostato sulla coralità dei personaggi (come infatti era negli anni 90, Dawson’s
creek ecc.) la soundtrack è importante in questo. Poi, dato tecnico, colori desaturati, grana
impoverita. Versione anni ’90 di Got.
Il videosaggio
Oggi particolare fioritura, ha dei precedenti. Grazie al web, diffusione e accessibilità delle immagini
e possibilità di manipolazione, moltiplicazione esponenziale. Pratica con legittimazione culturale,
forma critica e riflessione sul cinema. Parallelamente, fiorire di studi sull’argomento, tentativi di
elaborare categorie, tassonomie ecc. Accelerazione, possibilità di scambio, software sempre più
semplici, grandissima espansione, contaminazioni, ibridazioni. Recut trailer, non videosaggio, ma
anche questi contenuti di natura più ludica hanno elementi di approfondimento e riflessione sulla
base. Nell’alveo del recycle cinema, contenuti che vengono rielaborati col riciclo di immagini,
avvengono ibridazioni, oggetti che non sappiamo come e dove posizionare. Mash up, remix,
oggetti ibridi.
Citiamo un paio di studi che offrono orientamenti generali, tecniche più utilizzate nel campo.
Christian Keathley, autore egli stesso di video-saggi. Keathley vede la categoria del video-saggio
come uno spettro, un campo, all’interno del quale abbiamo due orientamenti:
Explanatory/Poetic. La prima spesso si affida alla voice over, chiarezza della spiegazione, immagini
tratte dal film sono scelte e subordinate al discorso critico e analitico. Forma più tradizionale del
video-saggio dal punto di vista formale. Saggio di Ted Gallagher su Stagecoach di John Ford.
Percorso analitico, aperta finalità critica.
Altro versante, video-saggi con linguaggio poetico, senza necessaria finalità didattica, registro più
poetico. Keathley riprende un video di Paul Malcolm su Citizen Kane.
Riconoscere che ogni film è più di un oggetto, è un’esperienza con cui entriamo in contatto,
questo video saggio cerca di entrare in contatto con Kane sia come critica che come esperienza in
sé.
Vocazione critica non è quella principale. Secondo Keathley ottimo esempio della tendenza. Video
fa ampio ricorso a elaborazione dell’immagine, alterazione della velocità, zoom, sovrapposizioni.
Alla base c’è un’attenta selezione del materiale visivo. Le isola, crea connessioni fra loro. Qui al
posto della voce del video-saggio di Gallagher, qui è assente, abbiamo delle didascalie. Anche
audio originale del film viene usato in maniera marginale 3 linee di dialogo. Elmenti sonori
estrapolati e re-immessi in un tessuto sonoro dominato da una canzone, Sigur Rós, fra l’altro che
utilizzano una lingua finta, quindi quasi niente a livello verbale. Le scritte invece hanno
un’importanza fondamentale. Tema del video esposto, La casa in cui siamo nati sono
l’incarnazione dei sogni, senza di essa siamo dispersi. La poetica dello spazio, di Gaston Bachelard.
Casa come luogo fisico e della memoria. Fatto che non ci sia commento esplicativo, fruizione più
attiva; disporci a esperienza sensoriale ed emotiva. Non solo spiegazione del tema, ma
elaborazione con immagini e suoni. Il video riprende la scena della finestra, elaborazione visiva.
Figura astratta, intensificando l’idea della separazione dalla casa della sua infanzia. Poi, immagine
della palla di vetro, il globo che si rompe, oggetto frammentario, localizzabile tramite schegge di
racconti incompleti. Come molta arte concettuale c’è una componente critica da decifrare;
interpretazione. Ci offre e ci richiede un’interpretazione. Esempio calzante di una riflessione in
chiave poetica. Sollecitare esperienza di tipo poetico. Tornando al discorso, due estremi di uno
spettro con infinite gradazioni intermedie. Come osserva Keathley, entrambe le strade hanno
punti di forza e dei rischi. Quello poetico può avere più forza, creatività, ma poi risulta più criptico,
non apparire evidente. Forma esplicativa è caratterizzata da una maggiore chiarezza, immagini
subordinate al linguaggio, ma presentano minore creatività nell’elaborazione visiva. Strade
intermedie sono preferibili. Orientamenti generali, all’interno dei quali produrre equilibri
differenti. Altro lavoro. Cristina Alvarez Lopez e Adrian Martin, individuano nell’uso del montaggio
delle polarità e tendenze principali. Anche loro, oltre ad essersi occupati criticamente del video-
saggio, sono autori di videosaggi. Si parte dalle categorie elaborate da Keathley, due orientamenti,
ma la loro osservazione privilegia le funzioni espressive che il montaggio espleta nel video-saggio.
Possiamo partire da un montaggio di connessione fra le inquadrature, più in continuità con le
tecniche cinematografiche, connessioni fra le immagini, omogeneità fra opere di un autore,
oppure fra due film diversi per dimostrare la dipendenza di un film da un altro. Oppure
discontinuità. Nel lavoro su Kane l’accostamento fra le immagini serve a portare avanti un’idea.
Lopez e Martin elaborano una serie di riflessioni sul montaggio utili anche per il nostro lavoro, e
che sviluppano a partire dalla loro esperienza. Quando si monta un film narrativo, si lavora su
immagini già pensate per essere messe insieme. Video-saggio, materiale eterogeneo, non fatto
per essere collegato. Film differenti, lo si fa per evidenziare elementi di concordanza fra due film,
elemento di corrispondenza ecc. trattandosi di materiale eterogeneo, a fronte da un elemento di
continuità ce ne sono altri che invece sono in contrasto. La capacità è quella di evidenziare la
continuità di cui lo spettatore si deve accorgere, sapendo gestire quelli discontinui; sennò il rischio
è quello di perdere lo spettatore. Lopez e martin dicono questo: ogni immagine presenta molti
livelli simultanei; luce, scenografia ecc. Quando mettiamo insieme due inquadrature di due film
diversi, mettiamo insieme due blocchi eterogenei eternamente multipli. Creare una linea passante
fra le due; parallelismo con il missaggio audio; enfatizzare alcuni canali e mutarne altri
contemporaneamente, attenuare elementi di discontinuità. Elabora riflessione sul rapporto di
interpretazione del lavoro del cinematografaro. Se vogliamo mettere in evidenza la continuità fra
due film, possiamo descriverne i frammenti. Ma lì è una descrizione, possiamo modulare gli
elementi come ci pare; non si possono ignorare gli elementi che non ci interessano, gli elementi
sono tutti lì, anche quelli che non si adattano al nostro approccio. Quindi tocca lavorare sempre
con tutti gli elementi in gioco, attenuandoli o utilizzandoli in modo creativo.
Non si può lasciare suonare tutti i canali contemporaneamente, bisogna sapere cosa far emergere
e cosa mettere di sottofondo.
Quando poi si va a montare, vengono fuori elementi di raccordo che non si erano notati, o al
contrario forti discontinuità. Saggio da loro realizzato, Angst/Fear
Cosa scrivono sul loro lavoro: stessa situazione figurativa. Associazione con emozione estrema
vissuta da una donna. Poi si sono accorti di durate simili, pause, durate, uso del colore. Due film di
provenienza molto diversa. Cercare di accostare due segmenti, in maniera da non capire quale
immagine è di quale film. Aspetto nascosto di questi film; Fassbinder ci mostra lato più sinistro
della passione in Fear, Fear invece rivela che il vomito di Martha è a causa anche di fonte perversa
di piacere.

Inizia tutto con un’idea, poi arrivano i dati stilistici, ma anche possibilità di utilizzo in chiave
narrativa; frammenti eterogenei per sovranarrazione. Martin e Lopez spiegano così:
è l’eterno sogno dei registi prendere pezzi di molti film e unirli per fare un'unica fluente
narrazione. Sorta di testo che evoca trame tipiche di tutto il cinema narrativo. Diversi videosaggi
lavorano in questa direzione, anche quello Angst/Fear volendo. Oggetto azione molto simile.
Esempio più bizzarro non è un video-saggio, ma film particolare, Dead men don’t wear plaid,
strana operazione. Lavoro notevole, predigitale, lavorare su luci, costumi.
Chiaro che si tratta di un divertissement. Sul piano tecnico, soluzioni interessanti. Non ha pretese
di approfondimento critico, ma emergono stereotipi, figure ricorrenti, quindi sguardo interessante
sul cinema classico, elementi tematici e strutturali di quel tipo di cinema, anche con
l’interpolazione di materiale girato ad hoc. Ricapitolando, Martin e Lopez individuano 3
orientamenti di fondo. Semantico/stilistico/narrativo. Tre funzioni: restando sempre ad
Angst/Fear, possiamo dire che presenti una compresenza dei tre registri. Come suggeriscono
anche gli autori, accostamento fra immagini introduce una correlazione semantica, producono
correlazioni di senso. Si stabilisce relazione narrativa, in questo intreccio si crea una
sovranarrazione. Infine, lavoro sulle corrispondenze stilistiche, tecniche di ripresa, movimenti di
macchina, composizione dell’inquadratura, colori ecc. In ogni videosaggio si trovano questi tre
registri. Osservazione sempre relativa al montaggio; non c’è solo la possibilità della
consequenzialità, sono anche utilizzate pratiche di stratificazione dell’immagine. Altro video-
artista, Harun Farocki, propone ulteriore riflessione fra montaggio hard e montaggio soft. IL primo,
consequenziale, basato sullo stacco e sulla successione delle immagini, soft invece, composizione
delle immagini anche all’interno dello stesso quadro. Immagine non prende il posto di quella
precedente, ma la integra, la interpreta. Nel caso del videosaggio sarebbe lo split-screen per
esempio, scopo comparativo il più delle volte; poi, possibilità di prelevare elementi di un’immagine
per impostarle in un’altra (per esempio il video Hitchcock/Kubrick). Poi la sovrimpressione.
Fotogramma tratto da un video di Cristin Grant, Sunrise e I know where I’m going di Powell e
Pressburger. Coesistenza sullo schermo, un’immagine in rapporto all’altra. Tutte possibilità che
appunto si offrono al videosaggista, due possibili orientamenti, sequenziale (stacco) e montaggio
soft, articolazione compositiva condensata in un’unica immagine. Discorso sul montaggio a partire
da riflessioni di video-saggisti. A questo punto, in considerazione le principali tecniche nella
elaborazione dei video-saggi. Tecniche espressive ed espositive, sono quelle che più
frequentemente la videosaggistica impiega. Il più tradizionale:
1) Voice-over. Keathley individua nella voice-over elemento principale dei Explanatory video
essays; può veicolare l’attenzione dello spettatore su particolari dettagli, senza dover
intervenire troppo nel video. Voice-over eredita caratteristiche tipiche del cinema
documentario, per esempio Bill Nichols chiama la voce dei documentari la “Voice of GOd”,
spesso disincarnata, impersonale, distaccata e autorevole. Voce che non sembra provenire
da un luogo o da un soggetto, quindi particolare efficacia comunicativa. Esempio di voice of
god che accade nei videosaggi, stessi videosaggisti che parlano. Generalmente nell’ambito
del video-saggio la voce appartiene all’autore del lavoro, ma non è detto. In ogni caso voce
che si dichiara autorevole. Forma più tradizionale, impostazione visiva più misurata, tanto
c’è la voce a guidare lo sguardo. Il montaggio quindi qui consiste nella successione di
immagini, scene, accompagna il parlato. Poi, non necessaria la chiave didascalica; esempio
riuscito e famoso è di Kogonada, ad oggetto il film Stazione Termini di De Sica de 1953.
Film prodotto da Selznick, ibrido particolare, interpretato da Montgomery Clift e Jennifer
Jones. Uno dei pochi video di Kogonada che usa la voice-over. Fulcro però sono le
immagini, il modo in cui vengono comparate. Voce con ruolo non preponderante.
Osserviamo come Kogonada non usi una voice of god, anzi, è la voce che introduce una
nota ludica, complice, non è neutrale. Scelta voluta dal fatto che la tesi del saggio non è
rigorosa dal punto di vista storico-critico. Il film non è un film neorealista, Stazione termini
è fuori dalla corrente. D’altra parte, altri elementi che fanno riflettere, differenze di
sensibilità. Tono informale di Kogonada che veicola approccio non rigoroso, ma anzi vuole
coinvolgere lo spettatore. Forza dei videosaggi, scoprire delle cose proprio nella fase di
montaggio.
Anatomy of a murder, pass the salt.
Keathley, ossessione per una scena in cui quello passa il sale.
Questo saggio è una via di mezzo fra poetic e explanatory, interpretazione personale, lato
criptico e esplicativo. Cerca una mediazione fra i due registri. Discorso dei “canali” di Martin e
Lopez, ogni immagine contiene tot canali, tocca saperli gestire e modulare, enfatizzare quello
che ci importa sottolineare. Rappresentazione quasi letterale dell’idea, alza, abbassa il volume,
zoomma, risalta ed enfatizza alcuni elementi a discapito di altri.

Logocentrica dell’analisi, come diceva bellour, sul videosaggio su M 1931 di Robert Santos,
qualcosa del genere. Rielaborazioni del tema di grieg, a un certo punto sentiamo anche il tema
del terzo uomo di Carol reed. Efficace dal punto di vista comunicativo. Commento, magari
meglio testo scritto che voice-over. Lavoro di Kevin Leigh, a proposito del film Abbasso le
donne, 1934, diretto da Ryan Enright, con coreografie di Busby Berkeley. Scritte
accompagnano il film individuando temi chiave. SI avvale solo di riferimenti testuali, in un
momento centrale interviene la voce, sottolinea intervento come un’intrusione. (Let forever
be, video di Gondry, rielaborazione del video)
Procedimenti ludici, scherzosi.
Affrontiamo il montaggio, con esempi, altre considerazioni di ordine tecnico/concettuale.
Montaggio hard/consequenziale e montaggio soft, composizione interna, immagine multipla,
split screen. Forme di articolazione visiva associate l’una a una visione sintagmatica del
montaggio, discorso per immagini, mentre composizione di schermo multiplo favorisce un
discorso comparativo, far dialogare le immagini, intertestualità. Split screen, parleremo dopo.
Adesso, quello sequenziale.
Messa in serie e messa in quadro
Voice-over, voce diventa principio ordinatore prevalente, presenza della voce guida la
comprensione di quello che vediamo. Molti casi però successione di immagini può accumulare
temi, figure, aggiungere casi che mettono un campionario più o meno vasto di ricorrenze.
Elemento che ricorre spesso nella filmografia di un autore. Soffermiamoci sui videosaggi che
utilizzano montaggio senza la voce, solo visivi. Videosaggi con montaggio che non viene usato
tanto nella logica sintagmatica, ma paradigmatica. Mettere a fuoco alcuni tratti stilistici di un
autore ecc. Esempio di Kogonada. Neorealismo eccezione, in genere lui non fa voice-over.
Tarantino From Below. Dal titolo già capiamo cosa intende. Elemento stilistico ricorrente. Wes
anderson, From Above. Simmetria. Segni grafici per indicare quello che vuole. Ultimo, sempre
di Kogonada, apprezzato molto e ruota intorno a figura ricorrente, cinema Hitchcockiano. Eyes
of Hitchcock. Non logica sintagmatica, accumulazione di campionario di figure per mettere in
luce elemento ricorrente. Evidenziamo subito che i montaggi con montaggio sequenziale,
senza voice-over, si concentrano su elementi molto specifici. Generalmente evidenziano
elemento preciso, focus su qualcosa, dichiarato subito nel titolo. Quale oggetto si vuole
mettere in evidenza. Con il voice-over si può spaziare, ci si sbizzarrisce. Invece solo
visivamente, tocca fare una cosa specifica. Super-cut. Montaggio molto rapido di frammenti
con stesso tema, stessa frase, stesso oggetto ecc. A volte possono essere usati per creare delle
sintesi, narrazione sintetica. I recap dei serial televisivi. Ci fermiamo qui. Ci si vede Giovedì.

Videosaggi con split screen, non solo comparativi, anche esaltare la differenza. Stabilire
corrispondenze di come si lavora sull’immagine.
Nelson Carvajal, videosaggio sul movimento nel cinema di Bong Joon Ho, mosaico, più cose
insieme. Gioca su quell’aspetto, visione generale, tanti frammenti, percorso personale fra le
immagini, esperienza multitasking. Come diceva Foucault:

Network, non più sequenzialità. Poi, passo di Lev Manovich, il linguaggio dei nuovi media:

Logica dell’addizione e della coesistenza; tempo spazializzato. Non cancellare nulla, computer,
informazioni non gerarchiche, come abbiamo visto con di Paola. Accumulazione di
informazioni e immagini. Schermo funge da veicolo della memoria. Tema della memoria nello
schermo multiplo, far coesistere diversi momenti della storia del cinema. Davide Rapp, lavora
sul remake, utilizza immagine multipla per mettere a confronto originale e remakes.
Oggetto, King Kong; originale, 1976 e 2005.
Analisi o strumento di analisi, efficace. Immagini squadernate, fa saltare agli occhi serie di
elementi; per esempio il lavoro sulla verticalità; immagine complessiva del grattacielo,
immagine senza stacchi, nel secondo inquadrature più strette, serrato, verticalità evidenziata
con angolazioni accentuate, terzo recupera l’idea della verticalità e della messinscena in
continuità, ritmo del montaggio di nuovo più disteso, movimento fluido, rimodula le
angolazioni e punti di vista, cinema contemporaneo, campi medi, totali ecc. Emergono altri
aspetti poi, versione del 1976 richiama il monster movie giapponese. Tema femminile del
gender, evidenzia cambiamenti significativi nel modo in cui viene rappresentata la figura
femminile. Nella prima è passiva e terrorizzata, nella seconda anche fa poco, ma c’è il tema del
legame affettivo che si crea fra King Kong e la donna, personaggio maschile attivo che cerca di
fare qualcosa per salvare King Kong. Nell’ultimo si ricrea questo elemento affettivo, ma
incorporando l’attivismo dell’uomo della versione precedente. Da una semplice operazione di
accostamento emergono aspetti stimolanti dal punto di vista critico. Pratiche non funzionali
solo all’esposizione di una tesi, ma proprio come strumenti di indagine. Sollecitare nello
spettatore sguardo critico e attivo. Qui il video non si limita ad accostare immagini fra di loro,
si isolano blocchi, elementi tematici, corrispondenze, lavoro di analisi approfondito e Minuz-
ioso. Sempre di Davide Rappa, video bello e interessante sulla spazializzazione dell’immagine,
buon esempio sulla composizione multipla dell’immagine come comparazione. Distribuzione
dei quadri sullo schermo per restituire la topografia. Film The Goat, Buster Keaton, oggetto
dell’analisi, sequenza che si svolge dentro al palazzo, spazio articolato. Spostamenti fra uno
spazio e un altro. Cosa succede, scambio di persone, Keaton scambiato per un criminale,
inseguimento continuo. Ragazza invita a casa per pranzo, il padre è il capo della polizia. Scatta
nuovo inseguimento per tutto il palazzo.
Moltissimi casi con tipi particolare di elaborazione dell’immagine. Split screen, immagine
multipla. Altra possibilità è la sovrimpressione. Immagini diverse, a differenza dello split screen
la sovrimpressione crea una dinamica complessa, che più che alla comparazione spinge alla
compressione. Urtext, Sunrise come Urtext di I know Where i’m going, rapporto derivativo,
evocazione fantasmatica, sovrimpressione assume una funzione tipica delle applicazioni del
cinema tradizionale, suggerire a un’immagine un’apparenza incorporea, oppure associare idee
a personaggi ecc, sovrimpressione efficacemente restituisce l’evocazione del pensiero e del
ricordo. Più che comparazione questa tecnica si presta a una funzione più evocativa, ricordo,
memoria del cinema, suggestione più che analitica.
3 domande aperte più videosaggio, piattaforma exam. Esame lo potremo sostenere prima o
dopo aver dato il videosaggio. Il voto sarà verbalizzato dopo che il videosaggio sarà
consegnato. Gli step per concludere l’esame sono tre: verifica scritta, quella con di Paola, poi
consegna del videosaggio. Al primo appello utile, verbalizzazione. Il voto sarà la media delle
prove. Importante che ci sia una lista di coloro che intendono realizzare il videosaggio.
Tipi di idee da sviluppare.
IMPORTANTE SAGGIO DI KEVIN LEE SULLA SPIELBERG FACE
Dialogo con le immagini
Idea unica, e poi in questa chiacchierata chiamati tutti a partecipare, riflessione collettiva. Idea
sul materiale bisogna avercela.

Luana Fedele
Technostalgia si occupa di forma, stile
Retromania, più a livello di contenuti. Fenomeno favorito dall’immediata e illimitata
disponibilità offerta dal web. Vecchi filmati, teche ecc. Questo è un fenomeno che caratterizza
il terzo millennio.
1984, anno del grande fratello. Effetti della sorveglianza e ecc.
Perché proprio gli anni ’80?

Avvento della società dell’informazione


Ma possiamo dire di aver visto Bandersnatch senza aver esplorato tutte le possibilità? La
modalità di visione esistono tutte contemporaneamente, non esistono più versioni di
Bandersnatch
Le storie di instagram per la loro natura, hanno potenzialità transmediale.
Nomofobia, paura di essere lasciati fuori.

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