Business Plan La Guida Definitiva (Italian Edition)

You might also like

Download as pdf or txt
Download as pdf or txt
You are on page 1of 72

BUSINESS PLAN

---
Sommario
Sommario
Introduzione
1 - Perché Business Plan?
1.1 L’importanza di scrivere un buon piano
1.2 La funzione del Business Plan: 3 domande per 4 fattori chiave
1.3 La duplice valenza del Business Plan
1.4 La carta geografica del nostro business
1.5 Le differenti tipologie di Business Plan
2 - Il futuro è delle startup
2.1 Che cos’è una startup
2.2 Lo scenario mondiale
2.3 Lo scenario italiano
3 - I segreti del successo
3.1 Apologia del fallimento
3.2 Il giusto mindset
4 - L’idea
4.1 La ricetta infallibile per un’idea disruptive
4.2 Differenziazione e valore aggiunto
4.3 Tre modi per capire se la nostra idea può funzionare davvero
4.4 Il Business Model
4.5 Case histories di successo
5 - Cominciamo a scrivere il business plan
5.1 Tecniche di scrittura
5.2 Concetti chiave per instillare fiducia nel lettore
5.3 La copertina ed il sommario
5.4 Executive Summary
5.5 Descrizione dell’attività
6 - Analisi di mercato
6.1 Ciclo di vita del mercato
6.2 Analisi imprenditoriale
6.3 Analisi dei competitor
6.4 Analisi del cliente e segmentazione
7 - Organizzazione aziendale & struttura societaria
7.1 L'importanza di costruire un team vincente
7.2 Management
7.3 Organigramma aziendale
7.4 Risorse esterne
7.5 Forma giuridica
7.6 Licenze
8 - Plan Operativo
8.2 La localizzazione
8.3 La logistica
8.4 La produzione
9 - Marketing Plan
9.1 Come vendere il nostro prodotto
9.2 Obiettivi di marketing
9.3 Marketing mix - Le leve di marketing
9.4 Le 3 tipologie di media e le loro funzioni
10 - Piano finanziario
10.1 Prevenire le preoccupazioni del lettore
10.2 Fonti finanziarie
10.3 Capitale investito, bilancio e fabbisogno
10.4 Pareggio di bilancio
10.5 Piano di ammortamento
10.6 Remunerazione del capitale
11 - I soldi: quanti ne servono, come trovarli, da chi ottenerli
11.1 Come reperire i capitali necessari
11.2 Il Financing Cycle
11.3 Crowdfunding
11.4 Startup competition
11.5 I player in gioco: Incubatori, Business Angels, Venture Capitalist,
Private Equity
12 - Post Business Plan
12.1 Passare all'azione – Attività e prioritizzazione
12.2 Controllo di gestione
12.3 Ritorno sull'investimento (ROI)
13 - La strada verso il successo
13.1 La crescita verso il successo: da startup a scaleup
13.2 Exit: ovvero il Trionfo: farsi comprare da un colosso
13.3 Exit strategy: ovvero la via verso il Trionfo
Conclusione
Introduzione
In questo periodo di crisi globale e generalizzata, sempre più persone
abbandonano, o non riescono a trovare, un lavoro tradizionale, spesso di tipo
dipendente, a cui erano invece abituate le generazioni passate, e si tuffano
alla ricerca di un'idea che gli possa permettere di mettersi in proprio e
ricercare autonomamente la via del successo e della stabilità economica.
In questi casi la redazione di un documento operativo, che metta nero su
bianco le linee guida del business che si ha in mente, e che prima di tutto
guidi il neoimprenditore attraverso le scelte di mercato, ma che sia al tempo
stesso un manifesto della propria idea, da mostrare a potenziali collaboratori,
dipendenti o finanziatori, è fondamentale affinché si possa raggiungere il
successo.
Questo è il Business Plan.
Nel primo capitolo definiamo il Business Plan una carta geografica del nostro
business, che indicherà all'interno dello scenario di mercato: dove siamo al
momento, dove vogliamo arrivare, quale strada vogliamo seguire e qual è lo
scenario in cui intendiamo muoverci.
Quindi, che voi lettori vi troviate nella situazione del piccolo imprenditore
che intende lanciare da zero una startup, o in quella dell'affermato manager di
una grande azienda che vuole dare una svolta ai propri affari, il Business Plan
sarà per voi uno strumento fondamentale.
E grazie a questo libro imparerete non solo quali argomenti trattare all'interno
del piano, ma anche in che modo e con quale approfondimento, perché, come
vedremo insieme, il loro contenuto varierà a seconda di quello che sarà
l'obiettivo finale del Business Plan.
In questo manuale vi seguiremo passo passo attraverso la preparazione, la
redazione ed il controllo del Business Plan.
Dopo un paio di capitoli introduttivi sul significato del Business Plan (cap.1)
e sulle startup (cap.2) inizierà la parte operativa del manuale, che si divide in
tre macrosezioni. La prima sugli aspetti da tenere preventivamente in
considerazione prima della scrittura, quindi il giusto mindset da mantenere
durante la nostra avventura imprenditoriale (cap.3) e come concepire e,
soprattutto, valutare, l'idea alla base del nostro business (cap. 4). La seconda
in cui vi guideremo passo dopo passo nella redazione del piano (cap. 5, 6, 7,
8, e,10) e l'ultima parte (cap. 11, 12 e 13) in cui valuteremo tutti gli aspetti
post Business Plan, quindi reperimento fondi, controllo del piano e strategia
di exit.
Per “Exit” intendiamo la vendita delle quote da parte dell'imprenditore, che
potrà avvenire, come vedremo, in due modi; questa cessione rappresenta la
tappa finale della scalata al successo.
Prima di lasciarvi alla lettura del libro è bene però fare una precisazione. La
redazione di un buon Business Plan è un punto di partenza essenziale per un
imprenditore per ottenere successi nel proprio business, ma non rappresenta
di per sé una garanzia. Come vedremo, è statistico che chi ha esplicitato le
proprie linee guida, e riesce a seguirle pedissequamente, ha più probabilità di
riuscita rispetto a chi invece naviga a vista e si affida solamente alle proprie
sensazioni. Ma è anche statistico che l'80% delle startup fallisca entro i primi
12 mesi di vita.
Riassumendo, un buon Business Plan è un ausilio importante per
l'imprenditore ma non è un antidoto sicuro contro il fallimento. Nel terzo
capitolo leggerete però un’apologia del fallimento. Si, perché è proprio
fallendo che aumenterete il vostro bagaglio di esperienza e riuscirete in futuro
ad evitare gli errori che non hanno permesso alla vostra proposta di
funzionare.
Quindi niente paura, tenacia e sotto con la scrittura.
Buona lettura!
1 - Perché Business Plan?

1.1 L’importanza di scrivere un buon piano


Se vi approcciate a questo manuale probabilmente avete avuto quella che
considerate “l’idea della svolta” della vostra vita e volete farla fruttare. In
questo caso la vostra prima sfida è quella di redigere un buon Business Plan.
Prima di tutto: cos’è un Business Plan? Si tratta di un documento operativo
che vi permetterà di fissare quello che è il vostro piano d’azione, analizzare
tutte le componenti in gioco, sfruttare ogni opportunità, e, si spera, vi
consentirà di schivare ostacoli e insidie. Che siate il fondatore di una piccola
startup unipersonale, o il manager di una grande azienda con migliaia di
dipendenti, il Business Plan sarà il vademecum operativo della vostra attività.
Ma se queste cose sono già chiare nella vostra mente, perché scrivere un
Business Plan? Perché perdere tempo nella scrittura di un documento, quando
la vostra idea aspetta solo di essere messa in pratica per farvi cambiare vita?
Beh la prima risposta è: per evitare di fallire. Si perché la storia è piena di
imprenditori che hanno provato a sfondare, ma la linea di demarcazione tra
chi c’è riuscito e chi ha fallito spesso è stata proprio questa. Un piano
performante, aggiornato, che tracci la strada e permetta di monitorare il
percorso intrapreso, ha spesso permesso alle aziende, piccole e grandi, startup
o consolidate, di avere successo; chi ha navigato a vista sovente ha fallito.
Certo non è questa l’unica utilità del Business Plan, e nel corso di questo
libro ne impareremo tutte le funzioni e le tecniche di scrittura.
Una delle sue utilità è anche di tipo psicologico: un piano ben scritto
aumenterà la fiducia all’interno del vostro team, e, se saprete essere
persuasivi, sarà anche uno strumento di convincimento, per potenziali
investitori, manager, o figure terze all’azienda, per concedervi i fondi di cui
avrete bisogno. E, come vedremo nel capitolo dedicato, il reperimento dei
fondi è uno degli aspetti chiave del business.

1.2 La funzione del Business Plan: 3 domande per


4 fattori chiave
Quindi dal paragrafo precedente possiamo dire che la funzione principale del
Business Plan sia quella di presentare al meglio la nostra idea di business.
Per scrivere un buon piano dovremo quindi convincere i lettori, sia quelli
esterni da cui cerchiamo finanziamenti o collaborazione, sia quelli interni,
ovvero i nostri soci e/o dipendenti se ne abbiamo, che la nostra soluzione sia
la migliore e che meriti i loro sforzi e/o i loro investimenti. Vedremo più
avanti come il contenuto sia da adeguare a quella che è la funzione primaria
del piano, ma prima di ciò possiamo individuare alcuni aspetti chiave,
indipendentemente da quale sia la nostra mira.
Quali sono i punti di forza che il nostro prodotto ha rispetto ai
competitor?
Quali problematiche specifiche del cliente il nostro prodotto/servizio
va a risolvere?
Quale tipologia di comunicazione può spingere i clienti a scegliere la
nostra soluzione e non quella dei concorrenti?
Per creare un Business Plan performante dovremo trovare risposte
convincenti a queste tre domande, e nel farlo dovremo concentrarci sui 4
fattori fondamentali del business:
1. Le persone: chi sono le persone coinvolte, quali saranno i loro ruoli,
perché dovrebbero credere nel nostro progetto.
2. L’opportunità: perché la nostra idea dovrebbe essere migliore delle
altre, e perché il volume del business dovrebbe crescere e diventare di
proporzioni interessanti.
3. Il mercato: è importante delineare una fotografia globale dell'ambiente
in cui vogliamo andare ad operare e spiegare perché dovrebbe essere
ricettivo alla nostra proposta.
4. I rischi connessi: è importante conoscere quali potrebbero essere i
rischi nell’entrata nel business che abbiamo scelto, in modo che se le
cose non dovessero andare per il verso giusto il nostro Team possa
essere pronto a reagire.
Quanto più riusciremo ad essere esaustivi in queste ricerche, tanto più il
nostro Business Plan acquisirà valore.

1.3 La duplice valenza del Business Plan


Un Business Plan è normalmente articolato in due macro-sezioni, una più
qualitativa ed una più quantitativa, che corrispondono alle due fasi di
pianificazione dell’attività.
Una parte descrittiva: in cui andremo a sviscerare tutti gli aspetti sulla
valutazione del business, le analisi di mercato, la strategia di
posizionamento dell’azienda con i conseguenti piani operativi e di
marketing.
Una seconda parte economico-finanziaria: in cui andremo a
sviluppare i nostri calcoli di redditività e sostenibilità finanziaria del
progetto, sulla base degli schemi economico-finanziari.
Di seguito vado a proporvi quella che potrebbe essere una struttura tipo del
Business-Plan, che andremo poi ad analizzare, punto per punto, capitolo per
capitolo, all’interno di questo manuale.
Pagina di copertina: con nome del progetto e informazioni di
contatto.
Sommario: degli argomenti trattati.
Executive Summary: in pratica una spiegazione del nostro business in
termini formali.
Descrizione dell’attività: quella che è la nostra idea, e come si
articola.
Analisi di mercato: sui trend del settore in cui ci vogliamo lanciare, i
potenziali clienti e sulla competizione che andremo a trovare in esso.
Team: una presentazione del Management della nostra azienda e dei
nostri dipendenti (se ne abbiamo).
Piano operativo: pianificazione delle attività produttive e delle attività
giornaliere.
Piano di marketing: tutte le strategie che metteremo in atto per
promuovere il nostro servizio, sia online che offline.
Piano finanziario: l’analisi dello stato finanziario della società e le
prospettive di rendimento nel corso del tempo.
Eventuali allegati per fornire informazioni più dettagliate sul nostro
progetto.
Come detto precedentemente questa è solo una possibilità su come strutturare
il nostro Business Plan, ma la sua articolazione, ed il peso che dovremo
riservare alle singole parti, dipenderanno molto dallo scopo che vogliamo che
il nostro piano persegua.

1.4 La carta geografica del nostro business


Se vogliamo affidarci ad una metafora, il Business Plan può essere inteso
come la cartina geografica relativa al nostro business.
All’interno del nostro piano dovremo chiaramente evidenziare dove siamo,
come i classici bollini “voi siete qui” all’interno delle mappe. E con questo
intendo una fotografia approfondita della nostra azienda, della sua storia, ma
anche del mercato stesso, soprattutto se siamo una neonata startup, che sarà
identificato da tutte le parti della cartina esterne alla nostra posizione.
Dopodiché dal business plan dovrà evincersi dove vogliamo arrivare. Questa
è la dimensione strategica del piano, che rappresenta l’ideale
dell’imprenditore e la direzione che egli vuole intraprendere per dare uno
sviluppo ai suoi obiettivi.
Per arrivare alla meta finale la nostra mappa (il nostro Business Plan) dovrà
quindi guidarci all’interno dell’ambiente (il mercato), raffigurato all’interno
della cartina. E qui entrano in gioco tutte le dinamiche operative del piano:
azioni da intraprendere, campagne di comunicazione e conseguente
implementazione nel piano operativo d’impresa.
E come la cartina ci evidenzierà dove passare, essa ci segnerà anche quali
strade evitare, perché pericolose, disagevoli o perché allungheranno il nostro
percorso. Come abbiamo visto è importante che il nostro business plan
evidenzi quali sono i passi da non intraprendere ed i potenziali rischi, per
evitare prima di tutto il fallimento, ma anche per mostrare ai potenziali
investitori che la materia è saldamente in mano nostra e abbiamo valutato
tutto quello che dovevamo valutare.

1.5 Le differenti tipologie di Business Plan


Un Business Plan può avere differenti scopi, che corrispondono alle differenti
fasi di vita di un’azienda.
Per esempio una start-up avrà necessità di avere denaro liquido per entrare
nel business di riferimento, quindi avrà finalità più vicine alla valutazione di
investimento o al reperimento di fondi. Viceversa un’azienda consolidata
mirerà di più a delle finalità di valutazione del proprio operato, oppure ad
analisi di mercato mirate ad una pianificazione strategica per evidenziare
eventuali buchi in cui inserirsi.
Un’azienda che invece avrà già individuato questi settori, sarà più interessata
ad una finalità di budgeting e di pianificazione operativa per andare ad
aggredire il segmento identificato.
Nella tabella seguente proverò a darvi un’idea di quanto siano importanti le
singole parti del piano che abbiamo enumerato prima, in relazione a quelle
che potrebbero essere le nostre finalità. Il numero 5 indicherà gli aspetti di
maggiore rilevanza, che andranno a scalare fino all’1 degli aspetti più
trascurabili.

Descrizione Analisi Team Piano Piano di Piano


dell’attività di operativo marketing Finanziario
mercato
Fattibilità 5 3 2 4 2
dell’investimento
Richiesta di 5 5 3 4 2
finanziamento
Analisi di 3 5 3 3 2
mercato
Valutazione 4 4 5 3 4
dell’azienda
Pianificazione 5 5 4 4 5
strategica
Budgeting 5 2 3 5 5
Pianificazione 4 2 5 5 5
operativa
2 - Il futuro è delle startup

2.1 Che cos’è una startup


Se siete arrivati ad acquistare questo manuale è probabile che siate un
manager, o che abbiate intenzione di creare una startup.
La startup è un’impresa con ambizioni completamente diverse rispetto
all’impresa di tipo tradizionale. Il modello di business di questa tipologia di
azienda si basa infatti su tre fattori ben precisi:
a) Ripetibilità nel tempo. La startup deve ottenere, attraverso
l’erogazione dei propri servizi o la vendita dei propri prodotti, ricavi
continui nel tempo, senza essere soggetta a mode o cambiamenti di
scenario.
b) Scalabilità. Il business della startup deve crescere senza che i costi di
gestione crescano di pari passo con essa. In altre parole questa tipologia
di impresa deve essere in grado di crescere da 10 ad 1.000.000 di
clienti o fruitori, senza che questo comporti un’eccessiva spesa.
c) Profittabilità. Lo scopo di ogni startup è quello di monetizzare il più
possibile, massimizzando il rapporto tra ricavi e costi.
Paul Graham, Venture Capitalist e cofondatore di Y Combinator, definisce le
startup come “imprese ideate per crescere in fretta”. E identifica proprio in
questo la differenza con le imprese tradizionali: un barbiere, un ristorante
oppure un idraulico non sono startup, proprio perché, in quanto dotati di
bacino d’utenza limitato, non possono crescere oltre una certa soglia.
Da qui si evince la funzione fondamentale della Rete nell'ambiente startup,
che permette di raggiungere capillarmente il mondo intero, senza moltiplicare
i costi a causa della distanza.

2.2 Lo scenario mondiale


Malgrado le startup siano viste come simbolo della modernità, in realtà nel
mondo sono una metodologia di fare business consolidata da tempo.
L’eldorado delle startup è la Silicon Valley americana. Qui già dalla metà del
secolo scorso l’ambiente scientifico e tecnologico è fiorito, creando imprese
passate dallo status di startup a quello di colosso mondiale come Apple,
Google, Twitter, Facebook e tanti altri nomi di applicazioni che utilizziamo
nella nostra quotidianità.
L’ecosistema della Silicon Valley fa sì che oltre al terreno fertile
rappresentato dagli studenti universitari, vi sia anche una pletora di
collaboratori, investitori e aziende pronte a collaborare in vista di un futuro
inglobamento, che permettono ai piccoli potenziali imprenditori di trovare le
risorse che necessitano per partire con il loro business.
Questi successi sono stati il motore della fioritura a livello globale delle
startup. Basti pensare che ad oggi il tasso di crescita del mercato mondiale
delle tecnologie digitali è superiore al tasso di crescita economica mondiale.
Si stima che l’andamento dell’economia digitale influenzerà sempre
maggiormente i trend di crescita dell’economia mondiale, fino a quando, in
un tempo non molto lontano, i due concetti arriveranno quasi a coincidere.

2.3 Lo scenario italiano


In Italia il boom di internet vi è stato a metà anni ’90. Durante il decennio
sono molti i casi di startup di successo, che sono state poi vendute a colossi
del settore, rivelandosi una miniera d’oro per i propri fondatori. È il caso per
esempio di Vitaminic, piattaforma per l’acquisto di musica in formato Mp3,
poi acquistato da Buongiorno, o di venere.com, sito per la prenotazione di
alberghi e B&B poi acquisito da Expedia.
Nel 2012, a seguito del numero sempre crescente di nuove startup, il Governo
Monti ha creato un quadro normativo di riferimento per le cosiddette “startup
innovative”. È stata istituita una sezione speciale per questa tipologia di
aziende nel Registro delle Imprese e negli anni successivi il quadro
normativo è stato ulteriormente ampliato, potenziando i vantaggi nel
costituirsi a livello di startup innovativa.
Oggi in Italia nascono ogni anno nuove startup, che raccolgono in sé alcune
particolarità, che ci possono permettere alcune analisi sul nostro contesto.
Innanzitutto il Belpaese ha la più alta percentuale europea (55%), assieme
alla Francia, di imprenditori con background di studi scientifici e tecnologici,
segnale che forse l’accesso a questa tipologia di impresa è ancora visto come
un po’ “elitario”.
Il 74% degli italiani fonda le proprie startup in team, uno dei dati più alti
d’Europa, segno che la paura di investire e perdere tutti i propri risparmi è
ancora ben radicato tra i nostri imprenditori.
Infine è interessante anche notare come solo il 15% delle startup è di modello
B2C, quindi vende o eroga direttamente al cliente finale, mentre più dell’80%
è di genere B2B, e ha quindi come destinatarie del proprio business altre
aziende.
Finora vi abbiamo descritto l’universo startup come un mondo dorato, ma
l’Italia, purtroppo, non è la Silicon Valley. Gli investitori sono pochi,
convincere i collaboratori della bontà delle proprie idee è sempre difficile, e
si stima che quasi 8 nuove aziende digitali su 10 fatichino a superare il
proprio primo anno di vita.
E allora come fare per avere successo? Non temere il fallimento, provarci e
affidarsi a buoni strumenti e ad una pianificazione che riduca al minimo i
rischi. Che è proprio ciò che imparerete arrivando in fondo a questo manuale.
3 - I segreti del successo

3.1 Apologia del fallimento


Questo è il capitolo del libro in cui dovrei dirvi “Cari lettori, il mondo del
business è duro, ma se seguirete i miei consigli su come preparare un buon
business plan, e farete vostre tutta una serie di caratteristiche e atteggiamenti
mentali, state sicuri che non fallirete”.
Invece vi dirò esattamente il contrario, e ve lo dirò con le parole di Elon
Musk: “Se non fallisci non stai innovando abbastanza”.
Per partire con la mia “apologia del fallimento”, voglio citarvi un paio di case
histories.
A tutti voi sarà capitato di prenotare un alloggio con Airbnb. Le comodità di
questa piattaforma sono evidenti: mette in comunicazione direttamente
proprietario e cliente, permette di trovare alloggi ad un prezzo minore rispetto
a molti siti web come Booking e Trivago e fornisce la garanzia finanziaria sui
pagamenti. Ebbene nel 2008, quando venne lanciato sul web, Airbnb
ricevette oltre 600 no di potenziali investitori, prima di trovare in Sequoia
Capital il proprio mecenate.
Ancora, tutti voi avrete fatto nella vostra vita almeno un acquisto su Amazon.
Ma forse quasi nessuno di voi ricorda il lancio di “Le aste di Amazon”.
Racconta Jeff Bezos, CEO del colosso americano: “Pensavo fosse ottimo, ma
lo ha usato solo mia madre e forse neanche lei. Dopo che il suo lancio è
miseramente fallito ci abbiamo lavorato per anni, modificandolo, fino a
trovare la formula giusta: ‘Amazon Marketplace’”.
Ecco due grandi benefici per i quali vi auguro di incorrere in fallimenti
durante i vostri tentativi: il fallimento aumenta la perseveranza, grazie alla
quale busserete ad ogni porta convinti della vostra idea, come i fondatori di
Airbnb, e porta conoscenze, grazie alle quali affinerete la vostra offerta, cosa
in cui Bezos è stato maestro.
Ma non solo: fallire, a patto poi di rialzarsi, ritentare, e magari avere
successo, ha grandi benefici a livello psicologico, temprando il carattere e
aumentando la fiducia in sé stessi.
In Italia viviamo ancora ancorati su una concezione negativa del fallimento.
Oltreoceano, soprattutto in America, la visione è diametralmente opposta. I
fallimenti fanno parte del curriculum dell’imprenditore e vengono esibiti con
fierezza, come una prova di esperienza, e vengono ugualmente valutati con
serenità e rispetto dagli interlocutori.

3.2 Il giusto mindset


Quindi, soprattutto se la vostra intenzione è quella di creare una startup (che
come abbiamo visto è un modello con un’incidenza molto alta di fallimento),
preparatevi ad accettare i vostri primi fallimenti con serenità e a farne buon
uso.
Oltre a questo voglio comunque segnalarvi alcuni atteggiamenti mentali che
sono chiave per un imprenditore di successo, e che si rivelano determinanti
già dalla fase di stesura del business plan.
Atteggiamento positivo. Sarà fondamentale per convincere sia i
membri del vostro team che i potenziali investitori. Dovrete essere
bravi a instillare in chi vi ascolta il sentimento che la vostra idea è
buona e può portare a grandi risultati. La positività ed il credere in sé
stessi diviene fondamentale in questa fase.
Capacità di focalizzazione. Abbiamo visto nel precedente capitolo
come la sostanza del business plan cambi a seconda dello scopo che ci
prefiggiamo di ottenere. Per questo motivo è sempre bene mantenere il
proprio target ben chiaro, in modo da andare ad approfondire quanto
necessario e non annoiare il nostro interlocutore con informazioni
trascurabili.
Proattività e tensione al futuro. Questo è importantissimo, in quanto,
come vedremo nel prossimo capitolo, moltissime delle idee di successo
sono nate dall’aver intuito un disagio dell’utenza ed aver risposto con
un’idea che ne soddisfacesse i bisogni e al tempo stesso andasse a
prevedere le esigenze future.
Pazienza. Il web è pieno di presunti guru e tuttologi, pronti a darvi
lezioni su come riuscire nel vostro business in poco tempo e
guadagnare milioni. Nulla di più falso: il successo vale sudore. Quindi
se avete intenzione di iniziare un’attività imprenditoriale, preparatevi
ad essere pazienti.
Capacità di delegare. Per quanto sia un desiderio di qualsiasi
imprenditore tenere sotto controllo tutti gli ambiti del proprio business,
è impossibile fare tutto da soli, o quanto meno comporterebbe uno
scadimento della qualità della nostra offerta. Napoleone diceva che un
grande imperatore è quello che sa scegliere al meglio le sue truppe, e
questo dovrete imparare a fare con il vostro team.
Fate vostre queste cinque caratteristiche mentali e vedrete che la vostra
ascesa sarà di molto facilitata.
4 - L’idea
4.1 La ricetta infallibile per un’idea disruptive
Alla base del business plan deve esserci un’idea. Il concetto di un bene o di
un servizio che risolva un problema e che crei un nuovo mercato tra gli
utenti. Si definisce disruptive proprio un’innovazione capace di creare un
bisogno e quindi aprire una nuova nicchia di mercato.
Come possiamo farci venire un’idea disruptive? La “ricetta” è molto
semplice.
L’ingrediente principale è un problema. Un problema che deve essere reale e
sentito. La maggior parte dei fallimenti sono causati dall’aver voluto risolvere
problemi che nessuno aveva, che nessuno sapeva di avere o del quale a
nessuno importava di risolverli.
Piuttosto che cercare un problema all’esterno conviene focalizzarsi su quelli
che sono invece nostri e magari riscontriamo ogni giorno. Come vedremo
nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, molte delle idee di maggior successo
sono nate proprio così.
I condimenti necessari sono visione e competenza. Per risolvere il problema è
necessario essere degli esperti, oppure allearsi con chi lo è. Se non siete
esperti di nulla oggi è facile diventarlo: il web e l’accesso alle informazioni
sono alla portata di tutti, e con un po’ di studio riuscirete sicuramente a
spadroneggiare la materia che desiderate in breve tempo.
Al tempo stesso sarà importante guardare al mondo con occhi nuovi, perché
pur con tutto il know how possibile, se non si hanno immaginazione e
capacità di vedere aldilà, sarà impossibile concepire qualcosa di nuovo
A fare da legante al piatto la tecnologia. Si, perché, come abbiamo visto nel
capitolo sulle startup, sarà importante offrire il nostro prodotto/servizio ad un
pubblico più ampio possibile, ed in questo la tecnologia digitale sarà al nostro
fianco.
Amalgamiamo bene il tutto, cuociamo a fuoco lento, ed il nostro piatto
capolavoro sarà pronto!

4.2 Differenziazione e valore aggiunto


Sono due gli aspetti molto importanti che determineranno il successo della
nostra idea: la differenziazione ed il valore aggiunto.
Quando approcceremo il problema che vogliamo risolvere sarà importante
porsi alcune domande: è un problema mio o è un problema comune? Non
esiste sul mercato una soluzione o sono io che non sono riuscito a trovarla?
Cosa c’è di più vicino alla mia idea tra l’offerta dei competitor?
Partendo da queste analisi andremo quindi a rilevare quale è la reale
differenza tra la nostra idea e ciò che è al momento reperibile sul mercato, e
questo concetto sarà alla base del nostro business plan. Nel caso in cui ci
accorgessimo che non c’è reale differenza, o è limitata, potremo sempre
rivedere e rimodulare l’idea in funzione di una maggiore differenziazione
rispetto all’offerta esistente.
Secondo fattore chiave: il valore aggiunto. Un consumatore usufruirà della
nostra offerta solo se questa riuscirà a soddisfare un suo bisogno, farlo sentire
meglio e risolvergli un problema. Il nostro prodotto/servizio dovrà quindi
rappresentare un valore aggiunto rispetto all’offerta già esistente sul mercato:
dovrà migliorare la vita dei nostri clienti.
Questo sarà un altro concetto cardine per il nostro business-plan, sia per
quanto riguarda il convincimento dei finanziatori, sia, soprattutto, per il
marketing plan, che dovrà essere incentrato sul veicolare queste informazioni.
In tutto ciò non dimentichiamoci di tenere sott’occhio il mercato. Alcuni
settori saranno più ricettivi, altri meno, malgrado necessitino di innovazione
anch’essi. In generale è bene guardare ai grandi settori e individuare quali
non siano stati toccati da notevoli cambiamenti.
Un buon esempio può essere il settore bancario, che dopo decenni di
predominio di player quasi coercitivi verso i clienti (che quindi hanno fatto
nascere dei bisogni), vede ora la fioritura di una serie di nuove società come
Revolut, la fintech dei viaggiatori, Monese, Widiba e molte altre.

4.3 Tre modi per capire se la nostra idea può


funzionare davvero
Diciamo che un’idea sta iniziando a prendere forma nella nostra mente. Ma
ancora non abbiamo dati per capire se effettivamente questa potrà funzionare
e avere successo. Per una valutazione di questo tipo possiamo passare
attraverso tre prove.
La prima vedrà noi, e solo noi, protagonisti. Si tratta di prendere il nostro
prodotto ed esserne il maggior critico. Dobbiamo immaginare di essere dei
clienti che ne hanno usufruito e ne sono rimasti insoddisfatti. Cosa è andato
storto? Quali sono le pecche? Cosa poteva essere migliorato?
Questo ci aiuterà ad affinare la nostra offerta, e quando non troveremo più
motivi per cui l’esperienza potrebbe essere andata male allora si, sapremo che
la nostra idea può davvero funzionare. La seconda prova è sottoporre la
nostra idea agli altri. Si tratta di organizzare un focus group, di 8-10 persone,
esporre loro la nostra idea, e raccoglierne l’opinione.
I focus group sono considerati un metodo scientifico di rilevazione degli
atteggiamenti nella fase di consumo e come tali godono di un’aspettativa di
affidabilità molto alta. Va però tenuto conto dei profili coinvolti. Amici e
parenti non saranno il target migliore, in quanto cercheranno di non deludere
le nostre aspettative, quindi va scelto un gruppo affidabile.
Un piccolo trucco potrebbe venirci in soccorso: non chiedere ai componenti
se comprerebbero il nostro prodotto o utilizzerebbero il nostro servizio, ma
piuttosto se hanno già comprato o utilizzato in passato qualcosa del genere.
Terza e ultima prova potrebbe essere la commercializzazione di un Minimum
Viable Product, o Prodotto Minimo Fattibile. Da non confondersi con il
prototipo, che è in tutto e per tutto uguale al prodotto finale, ma non è
destinato alla vendita, il PMF è un qualcosa che ha in sé tutte le
caratteristiche base del prodotto/servizio finale e solamente quelle, ossia il
minimo per farlo funzionare.
Potremo provare a commercializzare un PMF, vedere la risposta del mercato,
e a quel punto decidere se vale davvero la pena commercializzare il
prodotto/servizio finito con tutte le sue caratteristiche.
4.4 Il Business Model
Una volta che avremo ben chiara l’idea di partenza, e ci saremo convinti che
può funzionare, inizieremo a buttare giù un business model. Questo, da non
confondere con il Business Plan, del quale è uno strumento preventivo, è un
documento che descrive come l’azienda agisce e si organizza per risolvere i
problemi dei propri clienti.
Nel Business Model vengono analizzate e catturate visivamente tutte le
componenti essenziali dell’azienda e del mercato. Questo genera una
fotografia dello stato attuale in cui ci troviamo, molto utile per spiegare al
nostro team a che punto siamo e dove vogliamo andare.
Esistono differenti schemi in circolazione, ma il più utilizzato in assoluto è il
Business Model Canvas.

fonte: https://coachcity.it
Questo schema individua e prende visivamente in esame 9 componenti in
gioco:
1. Key Partners: chi sono i nostri partner chiave, i nostri fornitori, quale
valore aggiunto otteniamo da loro.
2. Key Activities: di quali attività chiave ha bisogno la nostra offerta.
3. Value Propositions: quale valore offriamo al nostro cliente, quali
problemi risolviamo, in che modo possiamo soddisfarlo.
4. Customer Relationship: quale relazione il nostro cliente si aspetta
che noi si stabilisca con lui?
5. Customer Segments: che tipo di persone sono i nostri clienti, a quali
profili è destinata la nostra offerta.
6. Key Resources: che tipo di risorse chiave necessita la nostra offerta:
fisiche, intellettuali, finanziarie.
7. Channels: con che tipo di canali vogliamo raggiungere i nostri
clienti. Quale canale funziona meglio.
8. Cost Structure: quali sono i costi più importanti del nostro business e
quali attività o risorse sono le più costose.
9. Revenue Streams: per cosa pagano i clienti, con che medium e come
migliorare l’esperienza d’acquisto.
Utilizzando questo modello riusciremo a schematizzare fruttuosamente la
nostra idea, identificare punti di forza e debolezza, ed intervenire dove
richiesto.

4.5 Case histories di successo


Ora vorrei darvi la controprova di quanto è stato l’assunto base di questo
capitolo, ossia che le migliori idee nascono da dei problemi, il più delle volte
patiti in prima persona dagli sviluppatori. Lo farò raccontandovi alcune case
histories di successo.
Abbiamo già parlato di Airbnb. Il suo co-fondatore Joe Gebbia ha raccontato
che l’idea è nata dal fatto che il suo padrone di casa decise di aumentare
l’affitto dell’appartamento abitato da lui e dal suo coinquilino, che non
potevano permettersi il nuovo canone. Visto che a San Francisco, città dove
vivevano, stava per iniziare un grande evento, i due decisero di affittare gli
spazi vuoti dell’appartamento per ricavare i soldi necessari a pagare ed
evitare lo sfratto. Da qui l’idea di mettere in comunicazione diretta
proprietario e ospite e la nascita della piattaforma.
Frédéric Mazzella ha fondato BlaBlaCar, la più grande community al mondo
di viaggi in auto condivisi. A Natale 2003 doveva recarsi al pranzo in
famiglia, in una abitazione fuori Parigi, ma in treno non trovò più un posto
libero. Dovette così chiedere alla sorella di passare a prenderlo. Durante il
tragitto, si accorse che la maggior parte delle auto in circolazione viaggiava
con soltanto una persona a bordo. È lì nacque l’idea di BlaBlaCar.
Una fredda sera di dicembre 2008 Travis Kalanick e Garrett Camp avevano
appena partecipato a Paris Le Web e cercavano un taxi per tornare a casa, ma
all’orizzonte non se ne vedevano. Travis butto lì: “parliamo tanto di come la
tecnologia stia cambiando il mondo, chissà perché non possiamo chiamare
una macchina schiacciando un bottone”. Garrett tra il serio ed il faceto
rispose: “Compriamo 10 Mercedes classe S, assumiamo 20 autisti, troviamo
dei garage dove tenere le auto, poi facciamo un’app, così quando abbiamo
bisogno di una macchina dobbiamo solo schiacciare un pulsante”. Questa fu
la genesi di Uber
Musixmatch è il più grande archivio online di testi musicali, con oltre 60
milioni di utenti. Massimo Ciotola, il fondatore, ha raccontato: “Ho osservato
che nelle stringhe di ricerca su Google la parola più scritta dopo Facebook e
Youtube era lyrics (testi). Abbiamo così pensato di creare una app che
permettesse agli utenti di consultare su smartphone ogni testo di cui avessero
bisogno”.
5 - Cominciamo a scrivere il business
plan

5.1 Tecniche di scrittura


A questo punto tutto è pronto e possiamo cominciare a scrivere il nostro
Business Plan. Prima di tutto una considerazione preliminare: lo scopo del
piano è quello di spiegare perché la nostra proposta è la migliore in un
contesto di business, e persuadere di ciò il nostro lettore.
Prima di tutto dovremo spiegare tutti i concetti chiave in una forma concisa
ma esaustiva. Avere il dono della sintesi sarà un pregio che i nostri lettori
apprezzeranno, anche perché come già detto molti dei soggetti coinvolti
leggono migliaia di Business Plan all’anno, e non vorranno sprecare il loro
tempo con qualcosa di eccessivamente pesante.
Un punto importante sarà la chiarezza espositiva. Quindi cercheremo di
evitare vocaboli poco trasparenti, e quando saremo costretti ad inserirli
ovvieremo ponendo la loro spiegazione in note a piè di pagina, oppure
inserendo un glossario al termine del Business Plan.
La presentazione sarà poi importantissima: dovremo creare un documento
che sia la controprova della nostra professionalità. Quindi, in caso di
presentazione in formato cartaceo, sceglieremo fogli di qualità per la stampa,
una bella rilegatura curata e ci preoccuperemo che l’impaginazione e la
definizione dei caratteri di stampa siano adeguate allo scopo. Ricordiamoci
che la presentazione è la prima forma di impatto nei confronti
dell’interlocutore, il contenuto arriva in un secondo momento.
Ultimo accorgimento, in caso che il nostro documento fosse destinato ad
essere divulgato a livello internazionale. Se questo fosse il nostro progetto
dovremo impostare la dimensione della pagina in modo che possa essere
stampata sia in formato A4, format di base europeo, che in formato lettera
americana.
5.2 Concetti chiave per instillare fiducia nel lettore
Lo abbiamo detto in incipit di capitolo, il business plan ha scopo persuasivo,
quindi è importante che man mano proceda nella lettura, la fiducia del lettore
nei nostri confronti aumenti.
Esistono quattro concetti guida che devono trasudare dal nostro business plan
per far sì che questa fiducia cresca.
Veridicità. Il Business Plan deve fornire una fotografia reale e
completa dell’azienda. Dovrà quindi illustrare senza nessuna remora i
punti di debolezza del progetto e le azioni pensate per eliminarli.
Obiettività di analisi, senso di responsabilità e consapevolezza sono
elementi cardine per costruirsi una credibilità aziendale.
Accuratezza. Trattare anche il più piccolo degli argomenti con
superficialità può generare un senso di inattendibilità verso l’intero
progetto. Se crediamo che un argomento sia poco significativo meglio
ometterlo piuttosto che fare la figura dei pressapochisti.
Visione d’insieme. Trattare determinati argomenti con
approfondimento eccessivo (a meno che non siano specificatamente
richiesti) a scapito di altri può fare pensare al nostro interlocutore che si
sia persa la visione d’insieme del progetto. È importante mantenere ben
chiaro il quadro complessivo della nostra indagine e la puntuale
interdipendenza di tutte le sue componenti.
Priorità del lettore. Sappiamo già come la struttura del Business Plan
cambi a seconda dello scopo che ci prefiggiamo. Le priorità del lettore
sono un altro punto significativo da valutare nella fase di stesura del
piano, soprattutto per quello che riguarda i sommari iniziali, che sono
la prima cosa ad essere letta.

5.3 La copertina ed il sommario


Il nostro business plan si apre con la copertina ed il sommario degli
argomenti trattati.
La copertina è la nostra presentazione. Dovrà essere bella, curata, ben
rilegata, essenziale e non ridondante ed avere una grafica accattivante che
colpisca il destinatario.
Le informazioni da inserire nella copertina sono:
Nome della società
Logo della società
Sito internet della società
Titolo dell’opera
Proprio contatto
Data di termine e presentazione del lavoro
Numero di release
La trasmissione di documenti riservati è una questione molto delicata. Per
evitare che questi vengano divulgati senza il nostro consenso potremo
pensare di numerare ogni copia del nostro Business Plan. In questo modo,
qualora circolasse una fotocopia del documento, potremo risalire senza
difficoltà a quale originale essa corrisponde.
Dopo la copertina inseriremo un sommario che non sarà altro che un elenco
dei punti che tratteremo. Per la titolazione useremo un linguaggio il più
possibile chiaro, in modo che il lettore possa agevolmente identificare la
sezione di suo interesse

5.4 Executive Summary


L’Executive Summary è la prima parte discorsiva che andremo ad inserire nel
nostro Business Plan, e ci troviamo di fronte già da subito ad uno degli
elementi più importanti dell’intero piano.
Si tratta di un breve sommario, 2-3 pagine massimo, in cui introdurremo il
nostro interlocutore al nostro progetto e alle nostre richieste.
L’Executive Summary è il primo elemento di valutazione da parte di chi
legge, e dal quale scaturisce quindi la sua prima impressione, ma non è solo
questo. Proprio perché si legge velocemente è spesso l’unica sezione che
viene letta, soprattutto se non solletica l’interesse dell’interlocutore che
quindi rifiuterà di collaborare con noi.
Sarà quindi importantissimo catturare la sua attenzione e spiegare perché la
nostra idea è destinata ad avere successo e quale formula magica abbiamo
preparato per riuscire in questo intento.
L’Executive Summary deve toccare i seguenti punti:
Mission aziendale: di cosa si occupa la nostra azienda, che filosofia e
che valori guidano il nostro operato e come pensiamo il nostro futuro.
Descrizione del settore e del business in cui intendiamo inserirci.
Unicità della nostra proposta. In cosa consiste l’unicum che vogliamo
offrire al settore di cui sopra.
Vantaggi e benefit del potenziale fruitore rispetto all’offerta dei
competitor.
Resoconto finanziario. Potenzialità economiche ed eventuali rischi,
con note su come aggirarli.
Team. Quanti siamo e quali sono le nostre mansioni.
Informazioni sulla nostra azienda. In che punto del nostro ciclo di vita
siamo, come siamo strutturati, qual è il nostro stato finanziario.
Cosa stiamo chiedendo. Ossia lo scopo della nostra richiesta e
l'ammontare delle cifre di cui necessitiamo.

5.5 Descrizione dell’attività


Prima di passare alle sezioni analitiche, la parte iniziale del nostro Business
Plan si conclude con un altro breve sommario, la descrizione della nostra
attività.
Si tratta di una panoramica sul business che proponiamo, o vorremmo
proporre, e che va ad approfondire quanto appena citato nell’Executive
Summary. In questa sezione andremo ad esaminarne i dettagli e le
caratteristiche, sviscerandone tutte le potenzialità, in modo da rendere chiaro
al lettore cosa facciamo e quale è il nostro valore aggiunto.
Andremo anche a spiegare nello specifico come funzionano i nostri prodotti
e/o servizi, soprattutto se avremo esposto nel sommario precedente un
qualcosa di talmente innovativo da aver potenzialmente spiazzato i nostri
interlocutori.
Dalle nostre parole dovrà delinearsi come il nostro business sia scalabile,
come potremo crescere in futuro e verso quali mercati intendiamo espanderci.
6 - Analisi di mercato

6.1 Ciclo di vita del mercato


Dopo le parti introduttive del Business Plan, passiamo ora alla parte analitica
del piano, in cui andremo a esaminare il mercato in cui vogliamo andare ad
inserirci, individuando competitor e potenziali clienti.
Prima di addentrarci nella nostra analisi è bene tenere a mente che, anche il
mercato, come le aziende, ha un proprio ciclo di vita, e ad ogni stadio
corrispondono opportunità diverse con conseguenti differenti metodi di
entrata.
Analizziamolo assieme.
1. Nascita. Vi sono poche aziende, pionieristiche, nel settore. L’area è
caratterizzata dalla creazione di nuovi prodotti, per i quali la domanda
è ancora bassa. La novità può essere riferita al prodotto ma anche al
mercato, con l’introduzione di un bene già maturo in altri contesti. Per
l’azienda un mercato di questo tipo rappresenta una grossa occasione
per la carenza di competitor, ed il maggior investimento dovrà essere
operato su marketing e comunicazione, in modo da creare domanda e
farla crescere. La scarsa conoscenza delle dinamiche di settore
aumenta però il rischio imprenditoriale.

2. Sviluppo. Superata la fase di nascita il mercato cresce e aumenta il


proprio bacino d’utenza. Questo meccanismo crea anche un’attrattiva
che porta molte aziende a tentare l’ingresso nel settore e al
conseguente aumento del numero di competitor sulla piazza. Se
decideremo di aggredire un mercato in fase di sviluppo i nostri
investimenti dovranno essere equamente divisi tra le attività di
marketing e comunicazione e quelle di ricerca e sviluppo del prodotto.

3. Maturità. Il mercato è stabile, la domanda non cresce più, ed i


competitor possono essere affermati. Il rischio di penetrare il mercato
in questa fase è che non vi siano più quote da poter rosicchiare ai
concorrenti. Se proprio vorremo tentare la sorte dovremo investire
pesantemente sulla ricerca e sviluppo del prodotto, per offrire
qualcosa di diverso dalla concorrenza, che proporremo con politiche
di prezzo molto aggressive, rischiando però di abbassare il nostro
margine e quindi il nostro profitto.

4. Declino. Il mercato è in declino, a causa di nuove tecnologie, di una


carenza di domanda o per un cambiamento nelle modalità di consumo.
I pochi player ancora in gioco faranno leva su economie di scala e
abbasseranno i loro prezzi di vendita. Entrare in un mercato in declino
non avrebbe alcun senso.

6.2 Analisi imprenditoriale


La sezione del nostro Business Plan riguardante l’analisi del mercato inizierà
con la valutazione del potenziale della nostra idea all’interno del settore di
mercato.
Sulla base di quanto abbiamo visto finora dovremo andare a spiegare
dettagliatamente se intendiamo lanciare un prodotto/servizio per il quale vi è
già richiesta oppure è destinata a crescere velocemente e in quale stadio del
proprio ciclo di vita si trova il mercato di riferimento.
Chiaramente un investitore sarà molto più attratto da un mercato nella sua
prima fase di sviluppo, per i motivi che abbiamo appena analizzato.
All’interno di questa analisi andremo a toccare differenti punti
Ciclo di vita del mercato. A che stadio si trova.

Crescita del mercato. Quanto stimiamo possa crescere il mercato, con


quali tempistiche e quali sono le ragioni empiriche che ci fanno credere
che questa crescita avverrà veramente.

Panoramica del settore. A seconda del contesto in cui ci troviamo (nel


nostro caso italiano) andremo brevemente a valutare quanta
competizione abbiamo nel settore di mercato (che andremo a esaminare
nel dettaglio più avanti) e a quale target si rivolge.

Tendenze emergenti. Andremo ad esaminare quali sono le tendenze, i


gusti e i movimenti della domanda all’interno del settore, con dati
statistici e pareri autorevoli di esperti.

Il punto di forza del nostro prodotto. Detto quanto sopra andremo


adesso a spiegare perché il nostro prodotto dovrebbe essere ben
accettato dal mercato, identificando i punti di forza che lo rendono
preferibile al resto dell’offerta.

Potenzialità del mercato internazionale. Se il nostro obiettivo futuro


è quello di espanderci verso l’estero questo è lo spazio per analizzare
quali altri mercati potrebbero essere profittevoli e perché.

Barriere all’ingresso. Questo è il punto in cui specificheremo se


l’ingresso al settore di mercato è libero e semplice, o se vi sono degli
ostacoli (brevetti, certificazioni, requisiti di capitale…)
Ricordiamoci sempre che il nostro obiettivo è convincere l’interlocutore, ma
lo scenario che andremo a dipingere deve fornire una fotografia il più
possibile aderente alla realtà, pena lo scadimento della considerazione del
nostro interlocutore e quindi il rifiuto a contribuire alla nostra causa.

6.3 Analisi dei competitor


I competitor sono per definizione quelle aziende all’interno dello stesso
settore di mercato che offrono il nostro medesimo prodotto o servizio, e che
quindi vanno ad intercettare una parte della domanda.
La procedura di classificazione dei competitor va ad analizzare quali sono i
bisogni del cliente che le loro offerte vanno a soddisfare e distinguono in
concorrenti diretti, se soddisfano lo stesso identico bisogno (per esempio un
ristorante, con la nostra stessa offerta gastronomica, nel nostro stesso
quartiere), e concorrenti indiretti, nel caso in cui varino alcune caratteristiche
(es: un ristorante in un quartiere limitrofo, o nello stesso quartiere ma con
un’offerta gastronomica diversa).
All’interno di questa analisi andremo a delineare chi sono i nostri competitor
più pericolosi, e quale minaccia essi ci portano nella nostra strada verso il
successo. Sarà importante rispondere ad alcune domande:
Quali e quanti sono i nostri competitor? Quali quote del mercato stanno
gestendo al momento? Sono diretti o indiretti?

Quali sono i loro punti di forza e le loro debolezze? Quali strategie di


marketing hanno adottato per evidenziare i primi e mascherare le
seconde?

In cosa ci differenziamo dai concorrenti? Perché la nostra proposta


dovrebbe essere preferibile alla loro?

Le previsioni sui concorrenti: quali sono destinati a crescere, e quindi


rappresentano per noi una minaccia, e quali sono invece sulla via del
declino?
Per rispondere a queste domande andremo ad analizzare dettagliatamente
ogni singolo competitor, creando un punto per ognuno di essi all’interno
dell’analisi.
All’interno del profilo del competitor approfondiremo i medesimi concetti
elencati sopra e creeremo delle tabelle comparative anche in base alla loro
classificazione tra diretti ed indiretti.
Lo scopo è rendere agevole un confronto trasversale tra i singoli competitor,
in modo da identificarne e renderne evidente la pericolosità.
Questa analisi è molto utile sotto due punti di vista.
Da una parte permette di capire le caratteristiche dell’offerta, spiare i
competitor esistenti e potenziali, individuare i migliori canali distributivi e di
approvvigionamento. Questo ci può dare un’idea del ruolo e del
posizionamento che la nostra azienda andrà ad occupare all’interno del
settore.
Dall’altro lato ci permette di avere ben chiare le insidie o le opportunità di
business. Se riusciremo a identificare un buco di mercato lasciato aperto
dall’offerta dei nostri competitor, e saremo bravi a adattarvi la nostra offerta,
sarà una freccia molto importante al nostro arco in chiave strategica e
prospettica. Analizzando il comportamento dei nostri competitor riusciremo
inoltre a non farci cogliere impreparati da eventuali mutamenti interni al
nostro settore di riferimento.

6.4 Analisi del cliente e segmentazione


L’analisi del cliente, ultima parte della nostra analisi di mercato, parte da tre
domande fondamentali:
Chi sono i nostri clienti?

Quali sono le esigenze dei nostri clienti ed i loro comportamenti


d’acquisto?

Perché dovrebbero acquistare proprio il nostro prodotto?


Si definisce “target market” un gruppo di consumatori specifico, che possiede
caratteristiche simili sotto differenti punti di vista (demografico, psicologico,
decisionale) e al quale la nostra offerta sarà rivolta.
Per individuare i gruppi di consumatori target dovremo andare a segmentare
il bacino d'utenza del settore di mercato sulla base di differenti variabili.
Vediamo quali sono.
Segmentazione socio-demografica. Questa tipologia utilizza variabili
sociali e demografiche per cercare di identificare comportamenti
comuni nell’acquisto dei beni.
Variabili principali di questa segmentazione sono: età, sesso, reddito,
provenienza geografica, classe socio-professionale, livello di
educazione, nucleo familiare.

Segmentazione psico-fisica. Classifica i consumatori sulla base dello


stile di vita, delle loro abitudini e dei valori in cui credono. Variabili
principali di questa segmentazione sono: religione, etica personale,
hobby, vacanze, sport praticati, interessi, abitudini alimentari, passioni
politiche.

Segmentazione sulla base dei vantaggi perseguiti. Questa


segmentazione considera i benefici che un prodotto va a portare
all’acquirente. Le variabili in questo caso sono i benefici, per i quali
viene chiesta ai consumatori una valutazione che ne permette il
raggruppamento.

Segmentazione comportamentale. Questa indagine va a segmentare


l’utenza sulla base del comportamento d’acquisto e delle leve che
portano a finalizzarlo. Variabili principali di questa segmentazione
sono: tipologia di utilizzatore, utilizzo occasionale o regolare, grado di
fedeltà, sensibilità agli elementi di marketing.
Una volta effettuata un’efficace segmentazione del nostro bacino d’utenza
riusciremo a formulare un’offerta specifica per ogni segmento e saremo in
grado di entrare capillarmente all’interno del mercato.
Lo scopo finale di questa analisi sarà convincere gli investitori che grazie alla
nostra offerta è pensabile che la risposta del mercato, in termini di acquisti
del nostro prodotto/servizio, sia tale da giustificare l’onere economico che gli
stiamo chiedendo di affrontare.
7 - Organizzazione aziendale &
struttura societaria

7.1 L'importanza di costruire un team vincente


Se dovessimo chiedere a molti investitori avvezzi alla lettura dei Business
Plan, quali sono le parti del documento che leggono per prime, probabilmente
al secondo posto tra le sezioni più gettonate, dopo l'Executive Summary, ci
sarà la sezione relativa all'organizzazione dell'azienda.
Questo perché solo con un team vincente, ricco di know-how e con una
studiata omogeneità tra le conoscenze portate dalle singole parti, la nostra
proposta di business si potrà tradurre da concetto astratto a solida realtà.
Questa è quindi una parte molto importante del nostro Business Plan in cui
andremo ad individuare:
Il Management dell'azienda
L'organigramma aziendale
Le risorse esterne all'azienda
La forma giuridica della nostra azienda
Eventuali licenze per l'accesso al mercato

In questa sezione sarà importante convincere il lettore del nostro Business


Plan che il team che abbiamo costruito è un gruppo armonioso e collaudato,
in grado di portarci al successo.
Dovremo andare a delineare quali sono i punti di forza all'interno del nostro
organigramma, ma anche riconoscere quali sono le debolezze del gruppo e
spiegare come abbiamo intenzione di sopperire a queste carenze; se a tal fine
ci avvarremo dell'ausilio di risorse esterne lo andremo a esplicitare nel
paragrafo relativo.
In questo capitolo del Business Plan deve emergere la nostra filosofia
aziendale. Dovremo sviluppare una serie di linee guida, che saranno poi
incarnate dal nostro Management e che saranno chiara espressione dei valori
dell'azienda. Ed il trattamento che riserveremo ai nostri impiegati, e
soprattutto ai nostri clienti, dovrà sempre essere guidato da questa filosofia.

7.2 Management
In questo paragrafo andremo ad elencare il personale della nostra azienda
coinvolto in posizioni decisionali.
La sezione non dovrà contenere i curriculum vitae dei singoli componenti
(che potremo comunque andare ad allegare a fine piano per completezza), ma
citare in forma discorsiva e concisa le competenze e qualità che ciascuna
figura porterà in dote alla società.
Le informazioni che andremo a fornire riguarderanno:
● Esperienza del manager: dove ha lavorato, quanta esperienza ha nel
settore, quali contatti possiede nell'ambiente di riferimento.
● Risultati: che titolo di studio ha conseguito, quali risultati ha raggiunto
nelle sue precedenti mansioni.
● Abilità: quali conoscenze può portare all'azienda, quale valore aggiunto
ci aspettiamo da lui.
● Reputazione: come è considerato a livello lavorativo, quali feedback o
raccomandazioni abbiamo avuto su di lui.
● Profilo mentale: come ha preso la nostra proposta di business, quanto
crede nel progetto, che tipo di profilo, è una persona “cauta” o
“entusiastica”.
● Motivazione: cosa lo spinge e lo motiva in questa avventura, quali
benefici personali pensa di raggiungere unendosi a noi.
Nel farlo ci concentreremo sui benefici che ogni manager potrà portare alla
nostra azienda, ma se dovessero emergere alcune debolezze nella
preparazione o nell'esperienza del singolo, andremo a porre l'attenzione su
come le stesse siano compensate da altri manager o da risorse esterne che
abbiamo intenzione di coinvolgere nel nostro progetto.

7.3 Organigramma aziendale


L'organigramma aziendale dovrà essere una chiara espressione del processo
di suddivisione del lavoro, che dovrà a sua volta essere il più razionale
possibile.
Questo sarà importante prima di tutto per lo stesso personale aziendale, che
leggendolo dovrà avere ben chiari alcuni importanti aspetti quali la propria
posizione gerarchica, le proprie responsabilità, i compiti che dovrà svolgere e
gli obiettivi da portare a termine, nonché le figure alle quali dovrà rispondere.
Secondariamente per un interlocutore esterno, come un potenziale
finanziatore, perché esaminandolo sarà in grado di ben comprendere la nostra
struttura societaria ed il nostro sistema-azienda.
E terzo per lo stesso imprenditore, perché sarà così in grado di valutare
eventuali incoerenze organizzative, come la duplicazione di funzioni o le
eventuali assenze in ruoli chiave.
La struttura dell'organigramma può essere espressa attraverso differenti
criteri di classificazione:
● Per funzione o reparto di appartenenza.
● Per prodotto o servizio offerto.
● Per clientela: area di vendita o settore merceologico.
● Per stadi del processo produttivo o di vendita.

Per ogni posizione andremo ad identificare chiaramente il ruolo e ad


esplicitare mansioni, responsabilità ed obiettivi.

7.4 Risorse esterne


Dopo le risorse interne all'azienda, dovremo andare ad enumerare tutte le
risorse esterne delle quali ci avvarremo per il buon funzionamento della
nostra impresa. Si tratta di tutte quelle persone come avvocati, contabili e
fornitori, e tutte le figure di consulenza, che svolgeranno un lavoro
continuativo per la nostra impresa.
Come abbiamo visto precedentemente le risorse esterne saranno fondamentali
anche per ovviare ad eventuali lacune che abbiamo nel nostro organigramma.
In questa sezione del Business Plan dovremo quindi esplicitare che i
collaboratori esterni vanno proprio a colmare questi buchi, e spiegare perché
abbiamo scelto proprio la risorsa in questione e quale valore aggiunto siamo
convinti potrà dare al nostro team.
Un ulteriore punto da approfondire in questa sezione sarà anche la copertura
assicurativa della nostra azienda. Indicheremo, oltre alla/e società di cui ci
avvaliamo, anche i servizi (ed il loro costo) che ci verranno garantiti. E'
sempre bene in questa fase distinguere tra quelli che ci vengono richiesti per
legge e quelli invece che decidiamo di includere nostra sponte nel pacchetto,
per dare prova all'investitore di lungimiranza verso eventi o circostanze
inattese.

7.5 Forma giuridica


La scelta della forma giuridica della nostra impresa è molto importante, per
due motivi.
Prima di tutto permette di disciplinare i rapporti tra i soci, che vengono messi
per iscritto e sanciti da un regolamento interno, definendo ruoli e
responsabilità di ciascuno. Questo permetterà di evitare dissapori e lotte
interne all'azienda quando la crescita del business porterà all'aumentare della
complessità dei rapporti.
Secondariamente, aspetti fiscali e adempimenti amministrativi variano da una
forma societaria all'altra. Quindi nella fase dell'avvio societario dovremo
esaminare tutti i benefici e gli oneri di ciascuna forma per trovare quella a noi
più consona.
In questa fase ci potremo avvalere della consulenza tecnica di un avvocato o
di un commercialista: le spese che sosterremo sono da valutarsi come un vero
e proprio investimento in quanto l'adozione di una forma sbagliata potrebbe
portarci poi in futuro ad una serie di costi conseguenti molto più alti.

7.6 Licenze
L'esistenza e la facilità di ottenimento delle licenze sono il riflesso del grado
di accessibilità di un settore di mercato. In caso di accesso ad un mercato
molto regolamentato sarà necessaria una fase preventiva di studio volta ad
appurare quante e quali licenze dovremo ottenere per cominciare la nostra
attività.
Questo sarà il paragrafo del Business Plan in cui espliciteremo questo iter. In
particolare andremo ad enumerare:
● Quante e quali licenze regolano l'attività che abbiamo scelto.
● La natura e le caratteristiche delle autorizzazioni necessarie per
ottenerle.
● I requisiti e le richieste che la nostra azienda dovrà andare a soddisfare.
● Iter e tempi di rilascio delle licenze.
Questo è un paragrafo importante nel fattore di convincimento di potenziali
investitori perché l'aver ottenuto tutte le licenze necessarie sarà testimonianza
del fatto che siamo padroni della situazione e abbiamo valutato
coscienziosamente tutto ciò che andava valutato prima di approcciare il
mercato.
8 - Plan Operativo

8.1 Dalla dimensione strategica alla dimensione operativa


Fino ad ora abbiamo esplicitato la dimensione strategica del nostro piano.
Abbiamo spiegato la nostra idea, individuato come finanziarla, analizzato il
mercato e presentato il nostro team.
A questo punto dobbiamo andare a raccontare ai nostri interlocutori quali
sono le nostre idee per mettere in pratica tutto ciò che abbiamo in mente.
Per farlo, andremo ad analizzare quattro ambiti:
1. La localizzazione, dei nostri uffici commerciali e dei nostri locali
produttivi
2. La fase logistica
3. La fase produttiva, esplicitandone tutte le attività
4. Il marketing plan, individuando con quali mezzi e attività
intendiamo farci conoscere

8.2 La localizzazione
Il posizionamento dei locali è una scelta strategica molto importante qualora
l'oggetto del nostro business sia la produzione e/o commercializzazione di un
prodotto; minore o quasi nulla invece ne rivestirà se il nostro core sarà un
servizio, magari di cui poter fruire attraverso la rete.
Per quello che riguarda i locali commerciali, innanzitutto occorre distinguere
se il nostro prodotto sarà rivolto al consumatore finale (B2C) oppure ad altre
aziende (B2B).
Nel primo caso la scelta del locale deve essere rapportata prima di tutto ai
fattori interni (il budget che si dispone) e secondariamente ai fattori esterni,
ossia ai benefici derivanti dal flusso di consumatori previsto e dalla pubblicità
indiretta che si presume di avere dalla scelta di quella determinata posizione.
Per fare un esempio pratico: un locale di vendita all'interno di un grosso
centro commerciale di una grande città ci procurerà parecchi benefici legati a
fattori esterni ma ovviamente comporterà un investimento maggiore rispetto
ad un piccolo locale in un vicolo di un paesino, che sarà sì economico, ma
una pessima scelta a livello di pubblicità indiretta e di flusso di consumatori.
Un'azienda neonata può anche scegliere di privilegiare un aspetto di budget,
soprattutto all'inizio del proprio cammino, con l'idea poi di spostarsi una volta
consolidato il proprio volume di affari. Ma non bisogna mai sottovalutare
l'aspetto strategico pena l'impossibilità di questo consolidamento.
Nel caso di business B2B, invece, la vicinanza geografica alla clientela non
riveste un'importanza così essenziale, in quanto la stessa è ugualmente di tipo
aziendale e come tale la politica di acquisto nella stragrande maggioranza dei
casi non avviene di persona, ma tramite un processo di ordine ed invio della
merce.
In questo caso il focus si sposta sull'esistenza di infrastrutture vicino ai locali
che agevolino questo processo, come strade, autostrade e ferrovie. Più che il
singolo locale assume rilevanza l'area di posizionamento.
Per quello che riguarda i locali produttivi invece, il loro posizionamento
risponde ad esigenze diverse a seconda del prodotto da sviluppare.
In particolare sono due le variabili da tenere in conto: la vicinanza alle
proprie materie prime, e la facilità di reperire manodopera qualificata. Oltre a
queste poi andrà tenuta in conto la necessaria metratura per poter inserire i
macchinari utilizzati nell'attività produttiva e per l'eventuale magazzino dove
stoccare i propri prodotti prima della vendita, e le solite esigenze di budget.
La considerazione dei primi due fattori è però quella che guida la scelta dei
locali e può giustificare una scelta particolarmente onerosa per uno dei due se
il secondo viene particolarmente favorito.
Da un lato possiamo pensare alle tante aziende consolidate che delocalizzano
la propria produzione, soprattutto nell'Europa dell'Est, dove il costo del
lavoro è molto minore rispetto all'Italia. E quindi queste aziende vanno a
spendere maggiormente per il trasporto delle loro materie prime (e dei
prodotti finiti) ma riescono a equilibrare questo con i maggiori volumi
produttivi garantiti dal maggior numero di operai e quindi dall'incremento
delle vendite.
Dall'altro possiamo pensare alle aziende specializzate nel trattamento di
determinati tipi di materiali, per esempio il distretto del marmo nella zona
delle Alpi Apuane, che si radicano in paesi piccoli, con un ridotto bacino
d'utenza in termini di manodopera specializzata, che quindi devono importare
da fuori pagandola di più, ma che in caso di spostamento si troverebbero a
pagare cifre spropositate per la movimentazione della pesante materia prima.
Come detto questa sezione rivestirà un'importanza molto ridotta se
intenderemo commercializzare un servizio fruibile dal web, in particolare se
la nostra azienda fosse unipersonale o con un ridotto numero di dipendenti.
In questo caso ci limiteremo a citare dove andremo a posizionare l'ufficio
della nostra sede, andando ad evidenziare solo gli eventuali benefici della
stessa a livello di budget.

8.3 La logistica
In questo paragrafo, se siamo un'azienda produttiva, andremo a esporre come
intendiamo strutturare il flusso della movimentazione in entrata ed in uscita
dal nostro stabilimento produttivo, dall'arrivo delle materie prime alla
collocazione del prodotto sul mercato.
Per farlo andremo a trattare i seguenti punti:
Movimentazione: i mezzi di trasporto che intendiamo impiegare, le
risorse umane destinate a questa fase, grado di automazione dei flussi,
gestione diretta o indiretta delle spedizioni.
Magazzino: descrizione dei locali destinati allo stoccaggio delle
materie prime e dei prodotti finiti con informazioni sulla capacità, sulle
possibilità di ingrandimento e sulle risorse umane dedicate.
Distribuzione: analisi dei canali distributivi che intendiamo utilizzare,
e di come intendiamo diffondere il nostro prodotto a livello di mercato.
Questo paragrafo riveste un ruolo importante nella pianificazione strategica
di molti tipi di attività soprattutto a livello di budget. Quanto più riusciremo
ad ottimizzare il flusso delle merci in entrata ed in uscita tanto più riusciremo
ad essere efficienti in metriche quali la velocità nelle decisioni di riacquisto,
la riduzione dei tempi di consegna e la riduzione delle giacenze in
magazzino.

8.4 La produzione
In questa sezione andremo a dare un'idea del susseguirsi della attività nella
nostra azienda, illustrando le varie fasi dei processi produttivi.
Non servirà entrare troppo nel dettaglio, basterà un elenco delle attività della
normale giornata lavorativa, e potremo aiutarci utilizzando il layout dell'area
produttiva ed una schematizzazione del flusso produttivo. Soprattutto in caso
di produzione di beni ad alto valore aggiunto, l'utilizzo di schemi, grafici e
tabelle permetterà all'interlocutore una più facile comprensione della
dinamica tecnica dei processi.
I punti che andremo a trattare nel paragrafo sono:
● I macchinari che utilizzeremo. Molti investitori sono molto interessati
a conoscere la tecnologia che useremo ed il suo grado di attualità,
quindi ne descriveremo lo stato fisico, il grado di modernità ed il
controvalore in caso di liquidazione dell'investimento.

● I processi produttivi. Importanti per la scelta del layout dei locali e la


quantità di forza lavoro da impiegare nei singoli step.
● La capacità di produzione. Che dovrà supportare il nostro piano
vendite e bilanciarsi con gli investimenti: una capacità troppo elevata
genererà eccessivi costi fissi, mentre una troppo modesta non sarà in
grado di generare un numero di prodotti bastevoli a supportare il
numero di vendite che intendiamo generare.
● Il magazzino. Qui inteso come capacità di giacenza di materie prime
atte a soddisfare i bisogni della produzione.
● La qualità. Quali politiche di controllo qualità intendiamo adottare per
soddisfare le richieste delle certificazioni ISO che intendiamo ottenere.
● Il know-how tecnico. Qui individueremo le fonti di know how tecnico
(per le realtà produttive) ma anche intellettuale (per le aziende di
servizi). E' importante che siano descritte tutte quelle competenze
distintive che rendono la nostra realtà, ed il nostro prodotto, migliore di
quello della concorrenza.
9 - Marketing Plan

9.1 Come vendere il nostro prodotto


Siamo arrivati ora ad una sezione fondamentale del nostro Business Plan in
cui, dopo aver mostrato all'interlocutore come sia organizzata l'azienda e
come intende pianificare la produzione, l'imprenditore deve ora implementare
un piano vendite e affiancargli tutta una serie di strategie commerciali e
comunicative che lo supportino negli anni a venire.
In questa sezione dovremo esplicitare come intenderemo informare il mercato
della presenza del nostro prodotto o del nostro servizio, come pensiamo di
persuadere i nostri clienti ad acquistarlo e che politiche metteremo in atto per
fidelizzarli e convincerli a tornare da noi per il prossimo acquisto.
Nel farlo dovremo sempre tenere a mente alcune peculiarità del nostro
prodotto o servizio e dei nostri clienti:
Che problema risolve il nostro prodotto/servizio e perché è preferibile a
quello della concorrenza.
Quali sono le modalità di acquisto del nostro prodotto o del nostro
servizio, attraverso quali passaggi se ne viene in possesso (acquisto
diretto, fruizione libera, fruizione dietro abbonamento...).
Qual è il comportamento dei nostri clienti, a quali fattori sono più
sensibili nella loro decisione d'acquisto.
Quanto è il valore di un cliente per il nostro Business? Esso varia dai
beni di consumo, il cui acquisto si protrae nel tempo, ai beni capitale,
che si acquistano occasionalmente nell'arco della vita, e con esso
varieranno anche le politiche comunicative.
L'obiettivo personale in termini di vendite e di budget per le campagne
marketing.

9.2 Obiettivi di marketing


Nel corso di questa sezione andremo ad individuare gli obiettivi di marketing,
per perseguire i quali utilizzeremo differenti leve di marketing e differenti
media. Gli obiettivi di marketing possono essere quantitativi o qualitativi,
anche a seconda del bene o servizio che intendiamo commercializzare.
Gli obiettivi quantitativi andranno a soddisfare target come il volume di
vendita e la quota di mercato, e sono particolarmente importanti in caso di
beni di consumo o servizi a larga diffusione, gratuiti o acquistabili a poco
prezzo.
Gli obiettivi qualitativi riguardano invece aspetti quali la qualità percepita dei
prodotti/servizi ed il branding dell'azienda o del marchio.
Questi aspetti saranno più importanti quanto più sarà elevato il costo del
nostro bene, perché convinceranno il consumatore a scegliere proprio noi per
un acquisto che non sarà poi ripetuto frequentemente e per il quale non
avranno magari le competenze tecniche per effettuare un acquisto
consapevole, dovendo quindi affidarsi al grado di fiducia che percepiscono
nei nostri confronti.

9.3 Marketing mix - Le leve di marketing


Le componenti del marketing-mix, dette anche leve di marketing, che
andremo ad utilizzare per perseguire gli obiettivi di mercato precedentemente
esplicitati sono quattro: le caratteristiche del prodotto/servizio, il prezzo, la
comunicazione e i canali di distribuzione e vendita.
Per quanto riguarda il nostro prodotto (o il nostro servizio) lo abbiamo già
ripetuto più e più volte nel corso dei capitoli: dobbiamo puntare le nostre
carte sul valore aggiunto che esso dà al consumatore o al fruitore rispetto a
quello della concorrenza.
Funzionalità, qualità, design, tecnologia utilizzata e altre caratteristiche
speciali, ma anche le prospettive di sviluppo futuro del prodotto o del
servizio, sono tutte informazioni che guideranno le nostre campagne
marketing e che permetteranno al mercato di avere un un'immagine chiara
della nostra offerta e sceglierla tra tante altre.
Le strategie di prezzo rappresentano una componente di grande rilievo
all'interno delle politiche commerciali dell'azienda. La determinazione del
prezzo deve equilibrare variabili esterne, come la elasticità della domanda, la
sensibilità alla componente-prezzo del mercato ed il prezzo di prodotti o
servizi analoghi della concorrenza, ad altre variabili questa volta interne
all'azienda, come la struttura dei costi, il volume di vendite atteso e la
marginalità richiesta per poter raggiungere il profitto desiderato.
Determinare il giusto prezzo per il proprio prodotto/servizio è una delle
questioni più difficili per un imprenditore, dovremo aiutarci con l'analisi di
mercato che abbiamo effettuato nel capitolo relativo, e più saremo dettagliati
in questo paragrafo, più daremo impressione al nostro lettore di avere
studiato il progetto in ogni minimo dettaglio.
L'area di comunicazione del marketing mix è molto ampia e comprende tutte
quelle politiche finalizzate a creare visibilità e promuovere sia il
prodotto/servizio che la nostra azienda in se.
Le politiche adottate, a seconda che gli obiettivi che stiamo perseguendo
siano qualitativi o quantitativi, potranno essere di tipo commerciale, quindi
dirette alla vendita del prodotto/servizio, informative, quindi atte ad
esplicitare il contenuto della nostra proposta, divulgative, se mirano a
trasmettere temi imprenditoriali, scientifici o accademici, oppure sociali, se
perseguiranno uno scopo benefico per la collettività.
I canali di distribuzione o di vendita variano a seconda della tipologia di
prodotto o di servizio che intendiamo commercializzare e dal tipo di utilizzo
che ne farà il consumatore.
Qualora questi canali rappresentino una particolarità o da essi derivi un
particolare beneficio per il cliente li utilizzeremo con finalità di marketing,
comunicandoli efficacemente.

9.4 Le 3 tipologie di media e le loro funzioni


Nell'esplicitare la comunicazione delle nostre leve di marketing ci avvarremo
di tre tipologie di media, che a loro volta perseguono finalità comunicative
differenti: Paid Media, Own Media e Earned Media.
I Paid Media, ossia Media a pagamento, sono tutte quelle attività di
comunicazione che l'azienda avvia sostenendo un costo. Ne fanno parte spot
televisivi, telemarketing, spazi promozionali su riviste, annunci a pagamento
su internet, banner e tutte le altre tipologie di pubblicità.
Lo scopo di questa tipologia di media è generare impressioni, ovverosia
visualizzazioni del proprio messaggio che dovranno attirare l'attenzione del
potenziale cliente e suscitare la sua curiosità.
Gli Own Media, o Media dell'impresa, sono tutti quei media gestiti
interamente dalla nostra azienda, il cui messaggio e contenuto è veicolato
direttamente da noi senza alcuna mediazione esterna. Fanno parte di questa
categoria il nostro sito internet, blog, profili social, newsletter, cataloghi,
brochure, e quanto altro possiamo pensare per pubblicizzare ciò che stiamo
facendo.
Questa tipologia di media ha finalità più divulgative rispetto alla precedente:
visto che gestiamo noi il messaggio dobbiamo spiegare i vantaggi della nostra
offerta, i benefici che essa porta al cliente, e convincere quest'ultimo ad
acquistare i nostri prodotti. L'ultima categoria è quella degli Earned Media, i
Media organici. Sono questi tutti quei media che diffondono il nostro
prodotto ed il nostro brand in maniera gratuita.
Si tratta ad esempio di giornali, riviste specializzate, opinion leader ma anche
lo stesso consumatore che consiglia ad altri consumatori un prodotto o un
servizio del quale è rimasto particolarmente soddisfatto. Lo scopo di questi
media è generare coinvolgimento nell'utilizzo dei prodotti o dei servizi
commercializzati e aumentare quindi la domanda da parte del mercato.
10 - Piano finanziario
10.1 Prevenire le preoccupazioni del lettore
In generale, ma soprattutto in un ambiente per natura diffidente come quello
italiano, quando si inizia a parlare di soldi l'interlocutore ascolta sempre con
un mix di scetticismo misto a timore.
D'altronde, che sia un potenziale finanziatore desideroso di avere un ritorno
sul suo investimento, una banca o un istituto di credito che necessita garanzie
sulla restituzione del capitale erogato, o anche solo la commissione
investimenti della propria azienda, a nessuno piace buttare via del denaro in
progetti il cui esito non convince.
Il capitolo sul piano finanziario servirà ad avere un quadro più completo sul
business che si sta proponendo, e nella sua redazione dovremo metterci nei
panni del lettore, anticiparne le potenziali perplessità, prevenirne le critiche, e
offrire una visione più dettagliata possibile dell'investimento richiesto.
Andremo a valutare, e quindi devono essere ben chiari nella nostra mente
prima di esplicitarli:
I nostri requisiti patrimoniali.
Le fonti di cui intendiamo avvalerci per soddisfarli.
Le ipotesi sul bilancio aziendale.
Le previsioni sul futuro del nostro business.
Le previsioni sul rientro e sul ritorno degli investimenti dei nostri
finanziatori.
Vediamo quindi nel dettaglio di quali sezioni si compone il piano finanziario

10.2 Fonti finanziarie


La nostra attività per esistere deve trovare adeguate fonti di finanziamento.
Come vedremo nel prossimo capitolo, sia che la situazione in cui ci troviamo
sia la fase di lancio di una start-up, oppure che la nostra azienda sia in una
fase avanzata del proprio ciclo di vita, il fabbisogno economico sarà sempre
molto alto e dovremo preoccuparci di scegliere i canali e le tipologie di
finanziamento più appropriate.
Il mix delle fonti finanziarie è composto dalle fonti interne e dalle fonti
esterne. Si intendono per fonti interne tutte quelle che arrivano dalla gestione
aziendale e da azioni dei manager. Quindi innanzitutto gli utili derivanti dalla
nostra attività, ma poi anche il capitale sociale, il versamento di liquidità nelle
casse societarie da parte dei soci e le modifiche strutturali ai bilanci esistenti.
Sono fonti esterne invece tutti quei capitali che vengono immessi nelle casse
societarie dopo un'interazione con il mercato o con l'ambiente esterno. Fanno
parte di questa casistica: finanziamenti commerciali, fondi pubblici, leasing,
prestiti ricevuti da banche o istituti di credito, collocamenti azionari e/o
obbligazionari (per le società quotate in borsa) e agevolazioni fiscali derivanti
da leggi specifiche.
La scelta delle fonti finanziarie da utilizzare sarà più efficace quanto più è
stata attenta l'analisi del business, del mercato e delle esigenze strategiche
dell'azienda. La struttura finanziaria deve essere ottimizzata sia sulla base
della quantità di fondi (se ne avremo troppo pochi non riusciremo nel nostro
business) che sulla loro composizione, in quanto ognuna avrà piani di
ammortamento o esigenze di liquidità differenti.
Nell'esplicitare le fonti finanziarie di cui intendiamo avvalerci sarà
importante quindi spiegare al nostro lettore sulla base di quali ragioni
abbiamo scelto determinate fonti e non altre.

10.3 Capitale investito, bilancio e fabbisogno


Il capitale investito corrisponderà all'ammontare complessivo delle risorse
necessarie alla gestione della nostra impresa. All'interno di un bilancio esso è
espresso dal totale delle attività.
La complessità di un bilancio aumenta di pari passo con l'aumentare della
complessità del business di un'azienda ma possiamo validamente
esemplificare la composizione di un bilancio con la schematizzazione che
segue:
● All'attivo: Attività correnti + Attività fisse
● Al passivo: Passività correnti + Passività fisse + Capitale netto
Analizziamo punto per punto. Le attività correnti sono quelle derivanti
all'attività aziendali e sono mutevoli: liquidità di cassa, depositi su conto
corrente, crediti commerciali (verso clienti) esigibili nell'arco di 12 mesi,
magazzino…
Le attività fisse sono invece quei beni materiali ed immateriali dell'azienda
che non mutano nel corso del tempo: veicoli, impianti, macchinari, licenze,
brevetti…
Le passività correnti seguono la stessa filosofia delle attività, ma con il
“segno meno”, quindi: debiti commerciali (verso fornitori), finanziamenti
rimborsabili nei 12 mesi, eventuali scoperti di conto… Le passività
consolidate sono invece tutti quei finanziamenti il cui rimborso avverrà a
lungo termine, oltre i 12 mesi.
Per capitale netto si intende infine il capitale sociale al netto di riserve
obbligatorie imposte per legge e utile/perdita dell'esercizio.
Seguendo questa classificazione la nostra impresa avrà quindi due tipologie
di fabbisogno:
● Fabbisogno corrente, che è determinato dall'aumentare delle attività
correnti ed è composto dalla liquidità, tutto ciò che è monetariamente
utilizzabile, e dalla disponibilità, ossia l'investimento per costituire il
proprio magazzino ed il valore delle materie prime, dei semilavorati e
del prodotto finito.
● Fabbisogno strutturale, ossia tutti quegli investimenti che
costituiscono l'azienda e la sua struttura e compongono le attività fisse.
Quindi tutte le immobilizzazioni di beni sia materiali che immateriali
che sono la base della nostra attività.

10.4 Pareggio di bilancio


Il punto in cui attività e passività appena citate vanno ad eguagliarsi è il
cosiddetto punto di breakeven, il pareggio di bilancio.Il breakeven
rappresenta un punto cruciale per ogni imprenditore perché determina il
momento in cui la propria creatura smette di essere in rosso e comincia a
diventare profittevole.
Soprattutto se il nostro caso è quello di una startup che sta cercando fondi per
iniziare la propria avventura sul mercato, per convincere i potenziali
investitori della bontà della nostra idea occorrerà non solo esplicitare il punto
di breakeven ma soprattutto prevedere in quanto tempo intendiamo
raggiungerlo e ci aspettiamo che la nostra azienda incominci a generare utili.

10.5 Piano di ammortamento


Dopo aver individuato le fonti di finanziamento di cui vogliamo avvalerci per
il nostro progetto e per raggiungere il breakeven e cominciare così a generare
utili, dovremo andare adesso ad indicare un piano di ammortamento, ossia la
nostra proposta di come restituire i finanziamenti esterni richiesti.
Soprattutto se l'obiettivo del nostro Business Plan sarà quello di ottenere dei
finanziamenti, dovremo informare dettagliatamente il nostro potenziale
investitore, non solo della somma che andremo a richiedere, ma soprattutto in
quanto tempo, e con quale interesse, intendiamo restituirgliela.
In generale è consigliabile informarsi preventivamente sulle prassi utilizzate
dal soggetto che intendiamo coinvolgere, così da presentare un piano di
ammortamento quanto più possibile aderente alle sue richieste standard.
Esistono due tipologie di piani di ammortamento, quello a rate costanti, anche
detto alla francese, e quello a rate decrescenti. Nel primo caso la rata si
mantiene invariata, ma al suo interno la quota capitale cresce nel tempo,
mentre gli interessi decrescono progressivamente.
Nel secondo caso invece la quota capitale si mantiene costante, ma sono gli
interessi a decrescere, perché applicati su una somma progressivamente più
bassa, e causeranno quindi anche l'abbassamento della rata totale.

10.6 Remunerazione del capitale


Come ultima sezione del piano economico andremo anche a inserire le nostre
previsioni sulla remunerazione del capitale, ossia sul ritorno economico che il
nostro investitore stimiamo possa avere rispetto al capitale che è stato
investito.
Andremo quindi ad allegare degli schemi di previsione delle vendite e dei
costi dell'attività che vadano a considerare sia il flusso di cassa sia i prospetti
di conto economico. Attraverso questo sarà quindi possibile determinare il
tasso di crescita del valore del capitale, per gli istituti bancari e di credito, e di
remunerazione dell'azionariato, per gli investitori.
La remunerazione del capitale avverrà quindi sotto due forme:
● quella esplicita, determinata dalla ridistribuzione degli utili;
● quella implicita, legata alla crescita del valore dell'azienda e quindi
delle quote azionarie detenute dai soci.
11 - I soldi: quanti ne servono, come
trovarli, da chi ottenerli

11.1 Come reperire i capitali necessari


Abbiamo parlato di plan finanziario ma resta ancora in piedi la questione più
spinosa: dove trovare i capitali necessari alla nostra impresa.
Come abbiamo visto, tra i vari utilizzi del nostro Business Plan c’è anche
questo: convincere i potenziali investitori a sposare la nostra idea e garantirci
il supporto economico necessario. In questo capitolo analizzeremo nel
dettaglio le figure a cui rivolgerci in base al nostro fabbisogno, che sarà
determinato dalla posizione della nostra azienda all’interno del suo ciclo di
vita.
Riguardo all’utilizzo di fondi personali vi sono due scuole di pensiero. Da
una parte chi, come Derek Silver di CdBaby, testimonia: “Non avere
investitori è stato un grande vantaggio per me: non ho dovuto accontentare
nessuno ad eccezione dei miei clienti, e mi sono potuto concentrare solo sul
mio business”. Dall’altro lato la ragion comune: i soldi che servono sono
tanti, e se proprio devo rischiare meglio utilizzare quelli di qualcun altro.
Nei prossimi paragrafi analizzeremo approfonditamente quali somme ci
serviranno durante il ciclo di vita della nostra azienda, quali opportunità
potremo sfruttare e quali player potremo coinvolgere.
Nel farlo ricordiamoci sempre che la forma a volte conta più della sostanza:
davanti a noi avremmo persone con poca voglia di ascoltarci e ai quali
vengono sottoposte migliaia di idee ogni anno. Dovremo quindi convincerli
della bontà della nostra, costruendole un vestito che abbia il massimo
dell’appeal possibile.

11.2 Il Financing Cycle


L’esigenza di reperire capitali per finanziare la nostra attività ci
accompagnerà per tutto il ciclo di vita della nostra azienda: nascita, sviluppo,
crescita, espansione, exit. È il cosiddetto “Financing Cycle”. Analizziamolo
in dettaglio.
La fase di nascita dura circa 12-18 mesi.
È il periodo in cui non esiste ancora un prodotto o un servizio, né tantomeno
un’impresa vera e propria; ciò per cui cerchiamo finanziamenti è la nostra
idea. È anche la fase in cui, come abbiamo visto, circa l’80% delle aziende va
a morire.
I canali più utilizzati per trovare i capitali sono l’autofinanziamento, il
crowdfunding, il ricorso ad incentivi o a competizioni per start-up, fino
all’entrata negli incubatori. Il denaro di cui necessiteremo, o seed, può
arrivare fino a 200.000 euro.
La fase di sviluppo si posiziona tra i 18 mesi ed i 3 anni di vita. L’azienda ha
ora definito il prodotto e il piano di marketing, ha avviato la produzione ed è
pronta a generare entrate. È il momento di lavorare sulla capacità di attrarre
nuovo capitale. Per lanciare e far crescere il business l’imprenditore sarà alla
ricerca soprattutto di competenze manageriali.
Entra in gioco un nuovo tipo di player, i Business Angels, figure che
analizzeremo dettagliatamente nel paragrafo dedicato. Il seed in questa fase
sarà tra il milione e i 5 milioni di euro.
La fase di crescita arriva dopo quella di sviluppo e dura mediamente fino ai 5
anni.
La nostra impresa è matura ora per consolidare la propria posizione
all’interno del contesto di business. Gli investimenti saranno mirati a grandi
cambiamenti espansivi: acquisizione di altre società, ingresso in mercati
stranieri, cambiamenti interni all’azienda.
Il seed si alzerà anche a più di 10 milioni, quindi come vedremo a breve non
basterà più la partnership dei Business Angels, disposti a rischiare una
quantità di denaro limitata. Potremo allora rivolgerci a fondi di Venture
Capital.
La fase di espansione segue quella di crescita e dura fino alla fase di exit
Siamo un’azienda consolidata, stiamo generando i primi profitti ed è arrivato
ora il momento di scalare il nostro business.
Necessiteremo di un intervento finanziario, anche fino a 10 milioni di euro.
I canali a cui ci rivolgeremo sono banche d’investimento e fondi di private
equity. Sono queste strutture che non investono in operazioni “a rischio”, ma
che possono essere attratte dalla solidità che la nostra azienda ha ora
acquisito. Questi finanziamenti saranno ripagati da quote della nostra società.
Arriverà un punto in cui l’azienda sarà matura, e, come abbiamo visto nel
secondo capitolo, verrà il momento di operare la nostra exit strategy.
Possiamo scegliere se cedere le nostre quote in borsa oppure essere acquisiti
da un’altra azienda. Il costo delle quote sarà direttamente proporzionale al
successo che avremo ottenuto.
Vi ho riempito la testa di attività e player e sarete un po’ confusi. Andiamoli a
scoprire uno per uno.

11.3 Crowdfunding
Il crowdfunding è la raccolta di denaro via internet per finanziare progetti
profit e no profit. Letteralmente si ci rivolge alla folla (crowd), disposta a
contribuire al nostro progetto con piccole somme.
Esistono 4 tipologie di crowdfunding:
1. Donation (Donazione). La tipica forma di crowdfunding utilizzata
dalle organizzazioni no profit per finanziare progetti umanitari.

2. Reward (Ricompensa). La forma di crowdfunding utilizzata dalle


aziende di prodotto, che premiano gli investitori con un campione della
propria offerta.

3. Equity (Partecipazione). Questa è una categoria di crowdfunding


particolare, dove non può accedere chiunque ma solo startup e PMI
che soddisfino determinati requisiti e che cederanno quote societarie in
cambio del finanziamento.
4. Lending (Debito). In questa forma di crowdfunding si configura un
vero e proprio prestito di denaro tra un privato e l’azienda,
regolamentato da una piattaforma online, che verrà restituito con un
interesse predeterminato.
Il crowdfunding permette di reperire un capitale limitato, non superiore ai 15-
20.000 euro nelle tipologie di Equity e Lending, molto minore nelle altre, e
come abbiamo visto potrà essere utilizzato solo nella fase di nascita
dell’azienda.

11.4 Startup competition


Fondazioni, multinazionali, enti internazionali, banche e fondi di
investimento spesso organizzano delle vere e proprie competizioni per
startup, al fine di scoprire nuovi talenti e trovare nuove idee da finanziarie.
Partecipare ad una startup competition, oltre a quello ovvio del premio in
denaro, può garantirci parecchi vantaggi: visibilità agli occhi della stampa,
branding, networking, sia con i player finanziari che con gli altri
imprenditori, formazione, contatti con consulenti e professionisti che ci
potranno essere utili in futuro.
Queste gare si svolgono per step successivi e diversi livelli selettivi. Ci verrà
richiesto di realizzare un pitch, ossia una breve presentazione di circa 3
minuti, in cui descrivere la nostra idea. In caso di vittoria verrà versata una
prima tranche del premio subito, ed un’altra ad obiettivi raggiunti. L’ente
organizzatore può anche poi decidere di scegliere una o più startup come
partner per il proprio reparto di ricerca e sviluppo, ed in questo caso
parleremo di open innovation.
Per scegliere la competition a cui partecipare dovremo valutare chi la
organizza e a chi è destinata, se possediamo i requisiti richiesti e se l’ambito e
la notorietà della competizione possono fare al caso nostro. Anche la startup
competition è indirizzata alla fase di nascita dell’azienda, ma rispetto al
crowdfunding è un sistema enormemente più remunerativo, visto che alcune
tra le gare più importanti offrono premi fino a 300.000 euro.

11.5 I player in gioco: Incubatori, Business Angels,


Venture Capitalist, Private Equity
Abbiamo precedentemente parlato di incubatori, Business Angels, Venture
Capitalist e Private Equity. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Gli incubatori sono delle società nate per velocizzare la crescita ed il successo
di una startup. Il loro compito è quello di affiancarci per lanciare la nostra
startup e permetterci di incontrare investitori ed imparare da professionisti del
settore.
Gli incubatori hanno accesso a fondi e sovvenzioni quindi, oltre alla funzione
prettamente di consulenza, saranno un aiuto in più a reperire i capitali
necessari durante la fase di nascita dell’azienda.
I Business Angels sono invece persone fisiche, solitamente imprenditori, ex
imprenditori o comunque figure con ampia esperienza manageriale alle
spalle. Queste persone investono, e rischiano, i propri soldi nella nostra
azienda, ed al tempo stesso ci forniscono consulenza e networking mirate allo
sviluppo del nostro progetto.
In genere il capitale che si può ottenere da un Business Angel è intorno ai
50.000 euro, e ogni Angel investe contemporaneamente in più società, in
modo da riuscire ad assorbire la perdita del proprio investimento generata da
un eventuale fallimento di una delle finanziate.
In cambio del suo contributo, il Business Angel ci chiederà una quota di
minoranza delle azioni societarie, di circa il 10%.
Il Venture Capital è l’apporto di capitale di rischio specializzato per la
crescita di un’attività in settori ad alto potenziale di sviluppo, ed i soggetti
che raccolgono questi fondi sono i Venture Capitalist.
Queste figure raccolgono denaro da privati, istituzioni e fondazioni e lo
investono scommettendo su un numero importante di startup, contando sul
fatto che qualcuna possa garantire un ritorno sull’investimento tale da
ripagare il fallimento delle altre.
Accedendo ai Venture Capital si inizia a parlare di cifre a sei zeri, ma questo
comporta una cessione di quote che può arrivare fino al 25%, con
l’inevitabile conseguenza di non essere più completamente padroni in casa
nostra ma di dover sottostare ai vincoli imposti dagli investitori.
Infine il Private Equity. Si tratta di un fondo come il Venture Capital, ma con
caratteristiche diverse.
Se infatti quest’ultimo divide i propri capitali in più aziende, il Private Equity
sceglie una società per garantire un rendimento ai suoi investitori e poi ne
esce dopo 3-5 anni. La scelta delle aziende su cui investire non è più quindi
una “scommessa”, ma si basa sui numeri e sulla storia delle stesse.
Per questo motivo è un’opzione percorribile solo in una fase più avanzata
della vita della nostra impresa, quando ci saremo già espansi e avremo
generato profitti notevoli.
12 - Post Business Plan

12.1 Passare all'azione – Attività e prioritizzazione


Il Business Plan è stato scritto, e, se abbiamo seguito bene tutti i passaggi,
abbiamo già chiaro in mente a chi rivolgerci per ottenere i finanziamenti di
cui abbiamo bisogno.
Adesso è il momento di passare all'azione. E' bene considerare che non si
tratta solo di una serie di attività, ma che le stesse vanno eseguite con un
preciso ordine di priorità.
Vediamo queste attività nel dettaglio:
1. Comunicazione del Business Plan → Il primo passo da fare è quello
di inoltrare il nostro piano a tutti i soggetti coinvolti. Questo
permetterà al nostro Business Plan di assumere la funzione di “guida”
da consultare e consentirà a tutti membri di allinearsi verso gli stessi
obiettivi.
2. Strutturazione della società → Questo vale sia che si stia parlando di
un'impresa con più dipendenti, sia in caso di startup unipersonale,
visto che comunque anche in questa seconda ipotesi non
potremo occuparci di tutto ma avremo bisogno di coinvolgere come
abbiamo visto delle risorse esterne.
I passi da compiere sono prima di tutto definire un organigramma
chiaro, secondariamente esplicitare per ogni componente del team
ruoli e compiti operativi, ed in ultimo redigere le procedure operative
per ogni componente/reparto, che permetteranno di coordinare tutte le
attività e ottimizzare il flusso delle operazioni.
3. Esplicitazione degli obiettivi → Una volta che la composizione dei
reparti e le loro funzioni sono state chiarite, passeremo ad elencare gli
obiettivi aziendali per ciascun soggetto coinvolto.
Gli obiettivi devono essere l'esplicitazione della strategia aziendale che
deriva dal nostro piano, essere trasparenti a tutta l'organizzazione e ben
chiari nella forma e nella durata temporale.
4. Ricerca dei fondi → Abbiamo parlato a lungo negli scorsi due capitoli
di come approcciare alla quantità di denaro necessaria alla nostra
attività. Ora è giunto il momento di darsi da fare per ottenerla.
5. Avvio degli investimenti → Una volta reperito il capitale inizieremo
ad investire su tutto ciò che ci serve per avviare la nostra attività, ossia
tutto ciò che rappresenta il nostro fabbisogno corrente ed il nostro
fabbisogno strutturale, che abbiamo analizzato nel capitolo 10.

6. Entrata sul mercato → L'azienda si considera entrata sul mercato


quando avvia le vendite ed emette la prima fattura. A questo punto la
nostra creatura sarà finalmente operativa.
7. Monitorare le nostre performance → Anche se siamo diventati
operativi, i nostri compiti non sono certo finiti. Al fine di capire se
siamo sulla strada giusta occorre operare un controllo di gestione ed
una valutazione degli investimenti. Vediamo come nei prossimi
paragrafi.

12.2 Controllo di gestione


Per verificare e mantenersi aggiornato sull'effettivo andamento della propria
azienda, l'imprenditore deve dotarsi di efficaci sistemi di controllo di gestione
che saggino la validità delle azioni intraprese.
Il sistema di controllo di gestione si compone di due tipologie di controllo: il
controllo operativo, che è legato alle azioni gestionali, ed il controllo
economico-finanziario, che valuta la situazione finanziaria e reddituale
dell'azienda.
I criteri possono essere sia quantitativi, se si basano su dati e numeri (come
ad esempio vendite o situazioni finanziarie) che qualitativi, qualora
riguardassero la percezione personale (come ad esempio qualità percepita dai
clienti o la soddisfazione del personale aziendale).
Il controllo operativo a sua volta si struttura in tre parti:
● Controllo dei costi: che verifica l'efficienza della gestione finanziaria e
della struttura di business adottata.
● Controllo della qualità: che indaga sulla coerenza dei processi per
l'erogazione ottimale dei nostri prodotti o servizi all'utenza.
● Controllo commerciale: che misura l'andamento delle vendite e la
qualità dell'output aziendale, verificando che siano in linea con le
previsioni del management.
Soprattutto per quanto riguarda l'ultima parte sarà interessante per
l'imprenditore verificare quali azioni e leve di marketing messe in atto hanno
portato ad ottenere le vendite realizzate. Si tratta del cosiddetto ritorno
informativo e rappresenta un importante flusso di informazioni per le
strategie future.
Il secondo tipo di controllo è quello di tipo economico-finanziario e descrive
la situazione dell'azienda in questi delicati ambiti. Il metodo di controllo
classico si basa sui valori contenuti nel bilancio ed è espresso da numerosi
indicatori, che hanno valore predittivo differente a seconda delle grandezze
considerate e del lasso di tempo analizzato.
Alcuni dei più importanti sono:
● Liquidità primaria = (attività correnti – magazzino) / passività correnti
● Liquidità secondaria = attività correnti / passività correnti
● Velocità di erosione del capitale = disponibilità liquide / flusso di cassa
medio mensile
● Indice di rotazione dei crediti = (crediti netti / vendite) x 360
● Indice di rotazione del magazzino = (magazzino / vendite) x 360
● Indice di rotazione dei debiti commerciali = (debiti / acquisto di beni e
servizi) x 360
● Indice di indebitamento = indebitamento / capitale netto
● Indice di indebitamento su lungo periodo = (attivo immobilizzato –
capitale netto) / passività consolidate
● Ritorno sull'investimento = risultato netto di bilancio / capitale netto

12.3 Ritorno sull'investimento (ROI)


Il ritorno sull'investimento (o ROI) è il più classico degli indicatori, ed
esprime la performance reddituale dell'azienda.
Si tratta in assoluto dell'indicatore più completo, in quanto tiene in
considerazione quattro aree fondamentali della gestione aziendale:
● La gestione operativa, tipica ed accessoria
● La gestione finanziaria
● La gestione straordinaria, ossia quella atta a fronteggiare tutte le
situazioni inaspettate in cui può trovarsi l'azienda (scorpori, cessioni,
ristrutturazioni aziendali...)
● La gestione fiscale
La sua importanza è data dal fatto che rappresenta il tasso di redditività
conseguito in un determinato esercizio dai possessori di capitale di rischio,
soci e azionisti, che ovviamente più sarà alto più saranno felici.
12.4 Valutazione dell'investimento
Vi sono infine alcuni metodi di valutazione dell'investimento che permettono
all'imprenditore di integrare il proprio piano con dei risultati di performance
finanziaria.
Senza entrare troppo nel merito del loro calcolo ne citiamo alcuni:
Valore Attuale Netto: pone in confronto il costo iniziale
dell'investimento con i flussi di cassa da lui generati, indicando il saldo
finanziario del progetto. Progetti con un VAN positivo sono dunque
maggiormente meritevoli di attenzione da parte degli investitori.
Indice di Rendimento Attualizzato: come il VAN pone in confronto
il costo iniziale con i flussi di cassa generati dall'investimento ma
invece che su base assoluta lo fa su base relativa. L'adozione dell'IRA
rispetto al VAN quale criterio di giudizio dell'investimento è
consigliabile quando esiste la possibilità di investimenti concorrenti; in
questo caso l'imprenditore seguirà l'ordine delle opzioni
classificate su questa base, fino all'esaurimento del proprio budget.
Tasso Interno di Rendimento: Il TIR è quel tasso di sconto che rende
la somma dei flussi di ritorno sull'investimento pari all'investimento
iniziale. In altre parole è l'attualizzazione dei flussi che va ad annullare
il VAN.
Valore Economico Aggiunto: misura il ritorno di un investimento
attraverso la generazione di un ulteriore reddito che supera il costo del
capitale. L'EVA è uno strumento importante per la valutazione delle
performance di gestione dell'impresa, e la sua scomposizione nei vari
ambiti aziendali di contribuzione permette di individuare aree con
inferiori ritorni economici, che saranno oggetto di interventi correttivi.
Break-Even finanziario: ne abbiamo già parlato diffusamente, si tratta
di quel punto in cui l'azienda raggiunge il pareggio di bilancio e
comincia a generare utili. La sua utilità in questa fase è quella di
conoscere il periodo di tempo in cui il progetto inizia ad essere
redditizio e quindi ad avere capacità di autofinanziarsi, consentendo
una misurazione rapida del rischio di investimento.
13 - La strada verso il successo

13.1 La crescita verso il successo: da startup a


scaleup
Se siamo i fondatori di una startup, il nostro business plan ha funzionato, e ci
troviamo ora in una fase di crescita ed espansione, siamo diventati una
“scaleup”. Questo è il primo sintomo che siamo sulla buona strada verso il
successo.
Una scaleup è una realtà che possiede tre fattori ben precisi: un modello di
business solido, una platea di consumatori o utenti consolidata ed un team
altamente qualificato, in grado di garantire un valore aggiunto.
A questo punto i nostri piani cambiano, e dovremo stendere un nuovo
business plan, che si muova su tre vie:
1. L’espansione verso altri mercati. Se siamo diventati una scaleup, il
nostro mercato potrebbe essere diventato quasi saturo. Occorre ora
muoversi verso i mercati esteri per allargare ancora di più il nostro
bacino d’utenza. Le domande che dovremo porci in quest’ambito sono:
quali paesi possono essere più ricettivi alla nostra offerta? Come
possiamo muoverci verso di essi? Di quali risorse abbiamo bisogno?

2. La ricerca dei capitali necessari. Dopo aver individuato i mercati più


ricettivi a quel punto ci metteremo alla ricerca di potenziali investitori e
partner industriali. Le questioni che ci porremo sono ora inerenti al
progetto: quali caratteristiche possono essere più interessanti per il mio
destinatario? Come posso presentarlo al meglio?

3. L’accrescimento del Management. Lo abbiamo detto poc’anzi, nel


business è impossibile fare tutto da soli, bisogna affidarsi a persone
valide che con le loro capacità creino un valore aggiunto. In questa fase
andremo a domandarci: quali figure, o meglio ancora quali competenze,
mancano al nostro team originario? Quali manager possono permetterci
di fare il salto di qualità desiderato?
Tutte queste tre vie portano ad una sola direzione: l’internazionalizzazione
della nostra azienda e l’apertura di nuove sedi.
L’accesso ai mercati più ricettivi al nostro business ci permetterà di crescere
sempre più, e questa necessità si fa ancora più pressante in Italia dove
mancano gli investitori, considerando il fatto che molto spesso i finanziatori
stranieri richiedono la presenza di una sede nella propria città.

13.2 Exit: ovvero il Trionfo: farsi comprare da un


colosso
Ci sono tre “esiti” che la vita di una startup può avere. Il più probabile, come
abbiamo visto, è il fallimento nel giro dei primi 12 mesi di vita. Il secondo è
la trasformazione in azienda vera e propria, meno ricorrente per le
caratteristiche intrinseche del proprio sistema-startup, che abbiamo visto nel
capitolo precedente. La terza, e la più fortunata, è l’exit; se arriverete all’exit
avrete raggiunto il successo.
L’exit è tecnicamente la vendita da parte dell’imprenditore delle proprie
quote. Questo può avvenire con la quotazione in borsa e la conseguente
cessione delle azioni, oppure tramite la vendita delle stesse ad una società più
grande che assorbirà la startup.
Una exit è la via naturale quando la startup raggiunge la sua fase di massima
crescita. Gli investitori infatti non vorranno rimanere a vita nell’azienda, ma
pretenderanno un ritorno del proprio investimento, proporzionale a quanto
investito. Per l’imprenditore l’exit rappresenta quindi la possibilità di
garantire questo flusso di denaro ed al tempo stesso entrare in possesso di un
capitale personale che potrà servire per finanziare una nuova avventura o
anche solo che per ritirarsi a vita privata con una buona rendita.
Per effettuare una buona exit è importante sfruttare il momento giusto, quello
in cui la nostra startup è al suo punto massimo di crescita. Ma dopo quanto
tempo potremo pensare che l’apice sia stato raggiunto? Beh, dipende molto
dal nostro ambito di azione: per esempio startup di ambito farmaceutico
avranno bisogno del tempo necessario a svolgere test e ottenere certificazioni,
quindi avranno una durata media di 10-15 anni, invece startup digitali di
grande successo hanno una durata molto minore, ed un esempio ne è
WhatsApp, acquisita da Facebook dopo soli 5 anni di vita.
E chi ci aiuterà a capire se è arrivato il tempo della exit? Il nostro business
plan, che ci permetterà di avere una chiara lettura del mercato e del fatto se
abbiamo ancora margine di crescita oppure è arrivato il momento di vendere.

13.3 Exit strategy: ovvero la via verso il Trionfo


L'obiettivo è delineato, abbiamo deciso che è il momento della nostra exit.
Come ci comportiamo ora?
A seconda che il nostro obiettivo sia la cessione ad un’altra azienda oppure la
quotazione in borsa agiremo in maniera diversa.
Se vorremo intraprendere la strada della vendita industriale andremo a creare
la cosiddetta “bid war”, un’asta tra più player per l’acquisizione della nostra
azienda, in cui le parti in gioco saranno motivate ad essere aggressive e
formulare delle offerte più alte, a causa della combinazione tra la paura di
perdere l'asta e l’aspettativa di guadagno derivante dall'acquisizione.
Se invece opteremo per la vendita delle quote, occorrerà far schizzare ai
massimi livelli la notorietà della nostra azienda, in modo che gli investitori
siano attratti da essa. Per farlo ci avvarremo dei migliori professionisti su
piazza, perché, come recita un famoso adagio, “vincente chiama vincente”.
Per fissare il prezzo, infine, sarà importante fare una stima appropriata degli
asset societari. Molti in questo si affidano ad esperti come notai,
commercialisti ed avvocati, ma il rischio è che utilizzando professionisti non
avvezzi alla tecnologia, questi possano dare una valutazione errata. Meglio
servirsi di intermediari con già esperienza alle spalle, come società di
consulenza aziendale, venture capitalist, manager e altre figure simili.
Il prezzo finale sarà determinato da variabili dipendenti da diversi fattori:
Mercato: bacino d’utenza, fruitori acquisti, opportunità d’espansione,
canali di distribuzione, competitor
Reputazione: branding, finanziamenti chiusi, exit ultimate
Guadagni: ottenuti dalla nostra azienda nel periodo di vita
Prodotto: quali benefit offre rispetto ai competitor e quanta vita può
ancora avere sul mercato
Team: quali sono le competenze dei nostri manager e che valore
aggiunto offrono
Conclusione

Ed eccoci giunti alla fine del nostro manuale.


Siamo ora in grado di affrontare la completa scrittura di un Business Plan e,
sia che la nostra azienda sia una startup unipersonale appena nata, sia che
essa sia una realtà industriale consolidata da tempo, possiamo ora mettere
nero su bianco quella che abbiamo definito la mappa del nostro business.
Certo questo non ci garantisce che avremo successo, ma come abbiamo visto
è statisticamente provato che l'imprenditore che ha esplicitato le linee guida
che vuole dare alla sua attività è molto più favorito rispetto a quelli che non
lo fanno e navigano a vista nel mare magnum del mercato attuale.
Se questo non dovesse succedere e l'attività dovesse fallire (come abbiamo
visto succedere all'80% delle startup nel primo anno di vita), non demordete.
Il fallimento non è una macchia, ma un punto di partenza, un arricchimento
del proprio bagaglio di esperienza che sarà utile per non commettere gli stessi
errori.
A questo punto la palla passa a voi, lettori! Buona scrittura...

You might also like