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Corso di Laurea magistrale in Economia e

Gestione delle Arti e delle attività culturali

Tesi di Laurea

Graffiti Writing e Street Art: il nuovo


capitolo dell’arte contemporanea.

Analisi storico-artistica di un movimento


rivoluzionario, in Italia e nel mondo.

Relatore
Ch. Prof. Nico Stringa
Correlatore
Prof. Stefania Portinari
Laureando
Giulia Corvatta
Matricola 835014

Anno Accademico
2013/2014
INDICE

INTRODUZIONE Pag. 4

1. IL GRAFFITI WRITING AMERICANO Pag. 8

1.1 La nascita del Graffiti Writing. Gli anni Sessanta e la prima generazione Pag. 10

1.2 New York e la seconda generazione Pag. 12

1.3. Nascono gli stili Pag. 17

1.4 La lotta contro la MTA Pag. 21

1.5 La terza generazione e il Syntetic period Pag. 23

1.6 Le unions e le prime mostre Pag. 24

1.7 Gli anni Ottanta Pag. 26

1.8 Gli artisti Pag. 31

1.8.1 Futura 2000 Pag. 31

1.8.2 George “Lee” Quinones Pag. 32

1.8.3 Lady Pink Pag. 34

1.8.4 Rammellzee e il Panzerismo Iconoclasta Pag. 34

1.8.5 Martha Cooper, Henry Chalfant e Subway Art Pag. 36

1.8.6 Gli “Outsider”. Haring, Basquiat e gli altri “big”. Pag. 38

2. DAL GRAFFITISMO ALLA STREET ART Pag. 48

2.1 Graffitismo vs Street Art Pag. 49

2.2 Stencil Art Pag. 58

2.1.1 Blek le Rat Pag. 61

2.1.2 C215 Pag. 62

2.3 Poster Art Pag. 65

2  
 
2.3.1 Shepard Fairey Pag. 68

2.3.2 JR Pag. 73

2.4 Sticker Art Pag. 76

2.5 A mano libera Pag. 78

2.5.1 Gli Italiani Pag. 79

2.6 Altri esempi di Street Art Pag. 83

2.6.1 Street Art brasiliana Pag. 83

2.6.2 Le installazioni Pag. 86

3. LA STREET ART ENTRA NEI MUSEI E NEI VARI MERCATI Pag. 98

3.1 Il fenomeno Banksy Pag. 100

3.2 Le gallerie, le mostre, i musei Pag. 105

3.3 La brandizzazione della Street Art Pag. 109

4. IL MOVIMENTO IN ITALIA Pag. 117

4.1 La legislazione in Italia Pag. 117

4.2 Nascita e diffusione del Graffiti Writing in Italia. I treni e le fanzine Pag. 120

4.3 I luoghi Pag. 123

4.3.1 Milano Pag. 124

4.3.2 Bologna Pag. 128

4.3.3 Roma Pag. 132

4.3.4 Il resto d’Italia Pag. 135

4.3.4.1 Rimini, pilastro del Graffiti Writing italiano Pag. 136

4.4 Le manifestazioni di Arte Urbana in Italia Pag. 141

CONCLUSIONI Pag. 153

BIBLIOGRAFIA Pag. 157

3  
 
INTRODUZIONE

 
Il 14 febbraio 2008, un’opera di Banksy, Keep it spotless (2007, vernice spray su tela, cm 214 x
305), viene venduta da Sotheby's New York a 1.870.000 $, a sette volte la stima.1 Mai prima d’ora
uno street artist aveva raggiunto valori così alti.
In Italia, opere di Street Art sono presenti nelle collezioni permanenti di musei come il MACRO
(Museo d’arte contemporanea) di Roma o il Museo del Novecento di Milano.
Il Graffiti Writing, invece, è ormai presente nei manuali di storia dell’arte.
Questi due movimenti, appartenenti alla grande famiglia della cosidetta “Arte Urbana”,
termine con la quale si indica ogni tipo di intervento artistico realizzato nel tessuto urbano, sono le
correnti artistiche più rappresentative del periodo a cavallo tra i due secoli. Sviluppatisi sul finire
del Novecento, Graffiti Writing e Street Art, stanno dominando i primi decenni degli anni Duemila
e possono essere considerate le forme artistico-espressive più attuali dell’arte contemporanea.
Questa tesi verte sull’analisi storico-artistica dei due movimenti, ripercorrendo la loro storia,
le evoluzioni stilistiche e le tecniche, attraverso anche i loro protagonisti e le principali esperienze
curatoriali atte allo sviluppo e la diffusione di queste espressioni artistiche.
Inizialmente si analizzerà il Graffiti Writing, movimento controverso e radicale, odiato o
amato, che non prevede vie di mezzo. Il Graffiti Writing è un fenomeno che nasce nelle culture
underground, si tratta di un movimento fortemente indipendente e semi-clandestino. Nel corso degli
anni sono stati evidenziati diversi nomi per cercare di etichettare o quanto meno inquadrare
all’interno di un ambito artistico questo movimento così sfuggente. Il termine “graffiti” è stato
menzionato per la prima volta dai giornalisti americani, con un’accezione dispregiativa, in riguardo
alle prime tag sparse per la città di New York. Gli storici dell’arte più tradizionali definiscono
questa corrente: “Graffitismo”2, termine utilizzato poichè il supporto viene considerato come punto
focale del movimento. Infatti: “la materialità artificiale della città costituisce per l’uomo di oggi,
altrettanto artificiale, ciò che la pietra naturale ha costituito agli albori della civiltà: una “tabula” su

                                                                                                               
1
http://www.arteconomy24.ilsole24ore.com/quotazioni/artisti.php?id=565
2
Si veda come riferimento: Alinovi F., (da un progetto di), Arte di Frontiera: New York graffiti,
catalogo a cura di Marilena Pasquali e Roberto Daolio, Milano, G. Mazzotta, 1984; Barilli R.,
L’arte contemporanea, Milano, Feltrinelli Editore, 2007; Bonito Oliva A. (a cura di), American
Graffiti, Roma, Panepinto arte, 1998.
4  
 
cui esprimersi. Ed anche l’enigmaticità degli antichi segni somiglia all’enigmaticità di quelli
presenti.”3
Il termine risulta accettabile per le prime analisi su questo fenomeno, in riferimento alla scena
newyorchese degli anni Ottanta, sebbene si vedrà in seguito come molti artisti attribuiti al
Graffitismo, in realtà non hanno nulla a che vedere con i giovani che lavorano sul tessuto urbano.
Al giorno d’oggi questo termine risulta ormai riduttivo e leggermente passatista. Associato a
“Graffitismo” talvolta è possibile trovare anche l’espressione “Graffiti Art”. Questa definizione
risulta ancora meno corretta della prima, poichè gli iniziatori del movimento non erano interessati al
mondo dell’arte e decisamente non si ritenevano artisti. Il fenomeno, infatti, è iniziato come forma
espressiva di comunicazione e solo successivamente è approdato nella sfera artistica.
Meglio allora utilizzare il termine “Writing”, termine scelto dagli stessi protagonisti (i writer
appunto) che esplicita la cifra caratteristica del movimento, ossia la scrittura. In questa tesi verrà
utilizzato il termine “Graffiti Writing”4 perchè si è voluto accorpare il termine accademico a quello
di uso corrente e tenere in considerazione, così, tutta la storia del movimento, dagli inizi degli anni
Settanta a oggi.
Il Graffiti Writing verrà analizzato ripercorrendo le sue origini, approfondendo quindi la scena
americana, in particolare quella newyorchese. Nel primo capitolo si ripercorrerà la sua storia, dalle
origini negli anni Sessanta, all’assalto dei vagoni della metropolitana negli anni Settanta, fino ad
arrivare al riconoscimento da parte del mondo artistico negli anni Ottanta. Verranno in seguito
esaminati i principali esponenti di questo movimento.
Con l’avvento del nuovo millennio si impongono nello spazio urbano nuove forme
artistiche. La Street Art in tutte le sue declinazioni diventa padrona indiscussa delle strade. Il
Graffiti Writing e la Street Art diventano le espressioni artistiche più diffuse in tutto il pianeta:
risulta quasi impossibile, infatti, trovare delle città urbanizzate totalmente prive di qualche forma di
Arte Urbana. Edifici abbandonati, muri periferici, facciate di palazzi, segnali stradali..nell’Arte
Urbana, tutto il tessuto cittadino viene considerato come una candida tela su cui dipingere,
riuscendo anche nell’intento di trasformare i non-luoghi in luoghi5.
Verranno in seguito approfonditi i principali sotto-generi della Street Art con i loro rispettivi artisti
più rappresentativi: Stencil Art, ossia una delle prime espressioni di Street Art, con il suo pioniere

                                                                                                               
3
Balderi I, Senigalliesi L., (a cura di), Graffiti Metropolitani – Arte sui muri delle città, con testi di
A. Abruzzese, G. Dorfles, D. Origlia, Costa & Nolan, Genova, 1990, p. 11.
4
Termine utilizzato anche in Mininno A., Graffiti writing: origini, significati, tecniche e
protagonisti in Italia, Milano, Mondadori, 2008.
5
Per il concetto di non-luogo si rimanda a Augé M., Nonluoghi: introduzione a una antropologia
della surmodernità, Milano, Elèuthera, 2009.
5  
 
Blek le Rat e con una delle sue figure più attuali, C215; Poster Art, tecnica preferita dei due tra i più
brillanti street artist degli anni Duemila, ossia, Shepard Fairey e JR; poi ancora Sticker Art e le
opere di pittura murale a mano libera, con un’attenzione particolare agli italiani Blu e Ericailcane;
infine si esporranno gli altri principali esempi di Street Art, come quelli della tradizione brasiliana o
le installazioni.
Dopo aver descritto le peculiarità tecnico-stilistiche e la concezione artistico-culturale su cui
si fondano i movimenti del Graffiti Writing e della Street Art, si analizzerà l’influenza che questi
movimenti hanno avuto nel mondo dell’arte, in particolare sull’andamento delle quotazioni di
mercato, sulla nascita di gallerie specializzate e sulla tendenza a realizzare mostre e manifestazioni
specifiche per lo sviluppo e la diffusione di queste espressioni artistiche. A questo scopo, sarà
necessario approfondire la figura di Banksy, uno dei più – se non il più – conosciuti street artist a
livello mondiale. Con l’avvento di Bansky e dei suoi trasgressivi interventi, tutti i media hanno
iniziato ad interessarsi di Graffiti Writing e di Street Art: i giornali pubblicano articoli sui due
movimenti, nascono siti internet specializzati per la diffusione e per la tutela delle opere di arte
urbana e vengono anche realizzati numerosi documentari6.
Il Graffiti Writing e la Street Art si espandono in maniera tale che invadono anche altri settori e altri
mercati. Il campo che più viene influenzato dalle culture underground è quello della moda e alcuni
street artist decidono così di reinventarsi imprenditori ottenendo successi travolgenti. Ne sono un
esempio le esperienze di Obey Clothing e Eckō unltd.
L’ultima sezione della tesi sarà dedicata al movimento del Graffiti Writing e della Street Art
in Italia. Nel territorio italiano, come in tutto il mondo, il Graffiti Writing è il movimento che si
sviluppa prima rispetto alla Street Art. Il Graffiti Writing americano, dopo aver viaggiato in Europa,
approda in Italia sul finire degli anni Ottanta e si espande a macchia d’olio in tutte le principali città
italiane. Lo stile americano, già contagiato dalle influenze europee, trova in Italia un terreno molto
fertile e si evolve in uno stile nazionale del tutto peculiare. Milano, Bologna e Roma sono i centri
con più fermento, dove si sviluppano i primi stili ed emergono i primi writer.
Dieci anni più tardi si accostano al Graffiti Writing le prime opere di Street Art e in poco tempo gli
street artist nostrani raggiungono le vette della Street Art mondiale, dimostrando uno stile unico,
che unisce innovazione e tradizione. Artisti come Lucamaleonte, Orticanoodles, Ozmo e Sten &
Lex sono invitati a partecipare nei festival di Arte Urbana più importanti a livello internazionale e
sono inseriti nei principali volumi specializzati in Street Art.

                                                                                                               
6
Interessante a questo proposito è il film di Banksy del 2010: Exit Through the Gift Shop. Si tratta
di un mockumentary, ossia un film realizzato con uno stile finto-documentaristico, sulla Street Art.
Nel film appaiono anche gli artisti Shepard Fairey, Invader e lo stesso Banksy.
6  
 
Negli ultimi anni le amministrazioni locali italiane hanno rivalutato l’importanza dell’Arte Urbana
all’interno dell’ambito cittadino e hanno iniziato a incentivare manifestazioni di Graffiti Writing e
Street Art, per la riqualificazione e lo sviluppo di aree urbane.
Il Graffiti Writing e la Street Art sono i movimenti artistici più influenti degli ultimi
trent’anni. Hanno influenzato il mondo dell’arte e molte altre sfere del nostro vivere quotidiano.
L’obiettivo di questa tesi è proprio quello di dimostrare che possono essere considerati a pieno
titolo le correnti artistiche caratterizzanti degli inizi del nuovo millennio.

7  
 
CAPITOLO 1. IL GRAFFITI WRITING AMERICANO

“I didn’t go out premeditating to inspire anyone. I don’t blow my own horn, but, in retrospect i
guess i’d have to say that we did inspire people. We started something without the slightest notion
that it would get to this point. We didn’t realize the baby that we bore”.7
Lee 163D!

I graffiti contemporanei sono un grande paradosso. Come superficie per l’esecuzione di queste
espressioni artistiche viene utilizzato un supporto resistente e duraturo, eppure il graffito
contemporaneo è effimero, transitorio, poichè a causa della sua accessibilità o della sua illegalità,
può scomparire anche dopo un breve lasso di tempo, cancellato o coperto. Inoltre i graffiti sono
eredi di una grande tradizione di decorazione parietale, ma sono spesso soggetto di fraintendimenti:
arte pubblica per alcuni, mero vandalismo per altri; un sentimento idiosincratico verso i graffiti
accomuna i cittadini e inizialmente anche il mondo dell’arte. Ma tutto ciò ai creatori di queste opere
non importa. La loro produzione è un punto di rottura nell’ordine urbano, sociale e artistico.
Gli stessi writer (ossia coloro che verrebbero apostrofati, dai non addetti ai lavori, come “graffitisti”
o “graffitari”), inizialmente, non la considerano arte, ma una disciplina, che possiede una storia,
prevede uno studio e delle regole e pretende passione e costanza. Il risultato è un’espressione
comunicativa realizzata all’aperto, sui muri, attraverso segni grafici ed componenti figurative.
Questi elementi estetici, evolvendosi, traducono la manifestazione comunicativa in una forma
artistica. Il Graffiti Writing, ossia la pratica di dipingere sui muri, solitamente con la bomboletta
spray o con dei pennarelli, è un’espressione artistico-culturale democratica e proletaria, contestata e
allo stesso tempo lodata. Per tutte queste caratteristiche, si può definire un’arte dinamica e viva.

“Il graffito è contro l’arte, quella ufficialmente conosciuta come tale. È contro Thanatos, quel fantasma di
morte che aleggia sull’opera d’arte tradizionale, il quadro, la scultura, l’affresco, destinati a durare e a
distribuire godimenti, raffinate estesie, al pubblico, nei secoli. Il graffito non è il surgelato dell’opera da
museo, da galleria, da collezione o da esposizione. Se pensiamo che una gran parte della comunicazione
artistica ufficiale è uccisa nella misura in cui viene imbalsamata per una eterna sopravvivenza di
conservazione, è chiaro che il graffito murale non si preoccupa di vita lunga o breve, e può dare il
massimo di sè nell’attimo fuggente, non nel mortifero “attimo fermati perchè sei bello”. La sua

                                                                                                               
7  “Non uscivo con l’intenzione di dare l’ispirazione a qualcuno. Non per menarmela, ma
retrospettivamente mi sembra di dover dire che abbiamo ispirato diverse persone. Abbiamo dato
inizio a una cosa senza aver la minima idea di dove sarebbe arrivata. Non ci rendevamo conto di
che razza di bambino avessimo generato.” Lee 163D! in Style: writing from the underground:
(r)evolutions of aerosol linguistics, Stampa alternativa/Nuovi equilibri, Viterbo, 1996, p. 14.
8  
 
accessibilità totale senza orari è contro il godimento ad ore fisse del museo, è contro quella eutanasia
dell’arte che è la museificazione.”8

Questo concetto è già caro anche al filosofo John Dewey (1859-1952), il quale, nel suo saggio del
1934 L’Arte come esperienza, afferma che l’arte non deve essere segregata in un mondo appartato,
fuori dalle condizioni di esperienza umane, entro le quali invece questa è nata, poichè l’opera d’arte
è il modo in cui il prodotto opera con e nell’esperienza.9
Il Graffiti Writing è un fenomeno che nasce spontaneo, in strada. Si tratta di un processo messo in
atto da gruppi di ragazzini, una guerrilla urbana evoluta poi in tendenza artistica. Una linea sottile
divide il Graffiti Writing tra fenomeno di strada e processo artistico e non sono mai mancate le
disquisizioni su quale fosse il suo ambito di appartenenza. Come asserisce anche Barilli:

“Nasceva anche il problema connesso di stabilire dove, in tutto ciò, si fermasse la pressione del fenomeno
popolare, immediato e spontaneo, ovvero il graffitismo che una folla di operatori anonimi vergava ogni
giorno sui vagoni della metropolitana o sugli immobili cittadini; e dove invece iniziasse a manifestarsi un
processo di scelta, di sfruttamento abile e intelligente da parte di chi, malgrado tutto, aveva mangiato la
foglia.”10

La città di New York è la culla di questo fenomeno. In questa città il Graffiti Writing è cresciuto, è
maturato e si è arricchito. Achille Bonito Oliva precisa l’importanza di New York come incubatrice
del movimento:

”Il graffitismo è un fenomeno antropologicamente autentico, sincrono alla realtà urbana americana, in
particolare quella di New York, in quanto effetto di una realtà multirazziale, ma anche di una memoria
culturale, legata all’Europa e ai linguaggi delle avanguardie storiche. La sintesi delle arti, parola, musica,
danza, architettura, scenografia, movimento, già teorizzate da Kandinskij e Marinetti, assume un senso
nuovo nel contesto urbano di New York, dirompente.”11

In una città caratterizzata dal melting-pot di razze, culture e tradizioni, il Graffiti Writing si
appropria inconsciamente delle varie correnti artistiche, creando così qualcosa di pre-esistente, ma
completamente nuovo nel contesto, rivoluzionato. Dall’Europa verrà assorbito l’Informale,
                                                                                                               
8
Origlia D., in Graffiti Metropolitani – Arte sui muri delle città, con testi di Abruzzese A., Dorfles
G., Origlia D., Genova, Costa & Nolan, 1990, p. 26.
9
Dewey J., L’Arte come esperienza, Firenze, La Nuova Italia editrice, 1966.
10
Barilli R., “Il Graffitismo dal passato al futuro”, in Barbero L. M., Iovane G. (a cura di), Pittura
dura. Dai graffiti alla Street Art, Milano, Electa, 1999, p.13.
11
Bonito Oliva A., “Il ragazzo raggiante”, in Gruen J., Mercurio G., Panepinto M., Keith Haring,
Milano, Electa, 2001, p. 31.  
9  
 
Dubuffet sopra tutti, dal Messico si imparerà la cultura e la tecnica murale e sarà forte l’influenza
degli espressionisti astratti americani. In questo crogiolo di stili si sviluppa un movimento nuovo,
dirompente, con una sua propria cultura, per poi diventare, in pochi anni, un fenomeno globale.

1.1 La nascita del Graffiti Writing. Gli anni Sessanta e la prima generazione

The Faith of Graffiti è il titolo di un libro pubblicato nel 1974, che raccoglie una serie di saggi
scritti da Norman Mailer, scrittore beat, uniti a fotografie di Jon Naar. Si tratta del primo volume
mai dedicato alla scena del Graffiti Writing ed è tuttora considerato un elemento di studio
essenziale per un’iniziazione a questa cultura. Il nome è eloquente, poichè racchiudere il fenomeno
del Graffiti Writing sotto il termine di corrente, movimento o espressione artistica sarebbe riduttivo;
per i writer il graffito è una vera e propria fede. Con The Faith of Graffiti si legittima per la prima
volta l’azione di questi giovani, viene riconosciuto l’impatto delle loro opere sul piano artistico e
sociale e viene previsto il suo carattere di fenomeno globale:

“there was always art in a criminal act, but graffiti writers were somewhat opposite to criminals since
they were living through the stages of the crime in order to commit an artistic act – what a doubling of the
intensity of the artist’s choice when you steal not only the cans but try for the colors you want, not only
the marker and the color, but the width of the tip or the spout, and steal them in double amounts so you
don’t run out in the middle of a masterpiece. […] when the cops are out of sight and a train is coming in,
they whip out their stash of paint from its hiding place, conceal it on their bodies, get on the cars to ride to
the end of the line, where in some deserted midnight yard they will find their natural canvas which is of
12
course that metal of New York, […] metal as a surface on which to paint is even better than stone.”

Il Graffiti Writing si sviluppa negli Stati Uniti sul finire degli anni Sessanta. Fino ad allora ci si
limitava a scritte a sfondo politico – ad esempio contro la guerra in Vietnam – o comunque inerenti
ad un ambito socio-antropologico. Per la prima volta, verso la fine degli anni Sessanta e ancor più
                                                                                                               
12  “C’era
sempre arte in un atto criminale, ma i writer erano in qualche modo l’opposto di criminali,
dal momento che commettevano crimini allo scopo di compiere un atto artistico. L’intensità è
raddoppiata quando rubi non solo le bombolette, ma scegli anche i colori che vuoi, non solo i
pennarelli e i colori, ma anche la larghezza della punta o dello spruzzo, e ne rubi in doppia quantità,
così da non rischiare di esaurirli nel bel mezzo di un masterpiece. […] Quando i poliziotti sono
lontani e un treno si sta avvicinando, loro tirano fuori le loro scorte di bombolette dai loro
nascondigli, le nascondono addosso, salgono sui vagoni per arrivare in fondo alla linea, dove in
qualche deposito notturno deserto troveranno la loro tela naturale, che è naturalmente quel metallo
di New York, […] la cui superficie da dipingere è migliore rispetto alla pietra.” Mailer N., The
Faith of Graffiti, New York, Harpercollins, 2009, pp. 11-12. (traduzione mia).
10  
 
durante i Settanta, vi è una rottura: non si pensa più solo al contenuto, al messaggio da veicolare,
ma ci si interessa principalmente alla forma. In questi anni, il graffito si tramuta in una valvola di
sfogo per i giovani abitanti dei ghetti delle grandi megalopoli, un mezzo attraverso il quale
rivendicare la loro libertà d’espressione.
Il sociologo francese Jean Baudrillard (1929-2007), in un suo breve saggio riguardante i graffiti,
paragona la città, con i suoi muri, i suoi angoli, i suoi mezzi pubblici, ad un corpo. Sul corpo si
possono fare i tatuaggi e nelle società primitive i tatuaggi hanno una grande importanza rituale e
simbolica; senza tatuaggi, così come senza una maschera, un corpo si mostra così com’è: nudo e
inespressivo. I graffiti sono per i muri quello che i tatuaggi sono per il corpo. Tatuando i muri, i
writer li liberano dalla loro architettura e li ritrasformano in una sostanza socialmente vitale, nel
corpo vibrante di una città, di come era, prima di essere stigmatizzata dalle sue funzioni e
istituzioni.13
Il Graffiti Writing è un fenomeno estremamente legato al territorio, innanzitutto perchè i
writer considerano i muri e i treni le loro tele e le strade sono le loro gallerie. Inoltre, questo
fenomeno nasce, come già asserito in precedenza, dalla strada, dal basso. Nel corso degli anni i
graffiti si sono insediati nel territorio, dialogando con esso e caratterizzandone la struttura (spesso
sono presenti nelle zone industriali o periferiche). Questa forma espressiva può essere quindi
compresa nel genius loci di una città.
Le teorie sul luogo di nascita di questi graffiti contemporanei sono diverse: alcuni ritengono che il
fenomeno sia nato sulla West Coast, più precisamente a Los Angeles, da alcune gang, le quali
iniziarono a marcare il loro territorio scrivendo a chiare lettere il nome della gang sui muri
all’ingresso di ogni quartiere.
“Per distinguersi e salvaguardare la propria identità, le gang svilupparono stili calligrafici diversi. Il
primo stile a essere rielaborato fu quello legato all’alfabeto gotico, scelta dettata soprattutto dalla
forte influenza messicana. Le scritte […] avevano un valore puramente intimidatorio”.14
Altre teorie fanno nascere il Graffiti Writing in Canada attraverso i monikers15, altre ancora,
secondo la teoria più accettata e consolidata, nella East Coast, in particolar modo a Philadelphia.
Cornbread è un nome ricorrente sui muri di Philadephia ed è considerato uno dei primi, se non il
primo, writer conosciuto. [figura 1]

                                                                                                               
13
Per questo concetto si rimanda a Baudrillard J., Kool killer, ou l’insurrection par les signes,
éditions Les partisans du moindre effort, 2005, p. 36.
14
Macchiavelli M., Spray art, Milano, Fabbri Editore, 1999, p. 6.
15
I monikers sono artisti che creano disegni con gessetti ad olio sui treni merci. Sono nati durante la
grande Depressione degli anni Trenta e la tradizione è viva ancora oggi. In Ganz N., Graffiti World:
Street Art dai cinque continenti, Milano, L’Ippocampo, 2006, p.18.
11  
 
Come descritto nel volume Graffiti kings: New York City Mass Transit Art of the 1970es, che
ripercorre tutta la storia del Graffiti Writing a New York, a metà degli anni Sessanta compaiono per
la prima volta graffiti su larga scala:

“Territorial graffiti started along the boundaries of ghettos and ethnically exclusive neighborhoods. Early
Philadelphia graffitists realized that public transportation vehicles would have a much larger audience
than any fixed location. They spread their linear graffiti, simple line-based letters, as opposed to the more
elaborate and stylized works that would soon appear in New York, along the public transportation routes,
with buses and subways the favorite targets. By the late 1960s, the buses and subway trains in
16
Philadelphia were saturated with graffiti, while in New York the trend was just beginning.”

I graffiti si spostano quindi dai muri ai mezzi pubblici e il supporto diventa dinamico. I mezzi di
trasporto pubblico saranno i supporti dominanti durante il periodo newyorchese.
Cornbread e il suo partner Cool Earl sono i capostipiti di questo fenomeno e vengono considerati
appartenenti alla prima generazione di writer, insieme ad altri giovani di New York come Tracy 168
o Julio 204. Questi writer utilizzano un lettering semplice e lineare, non sono interessati all’estetica:
il loro obiettivo è quello di marcare il territorio. Il termine stesso writer infatti, significa “scrittore”
ed è ciò che questi ragazzi intendono fare: scrivere il loro nome, sempre e ovunque.

1.2 New York e la seconda generazione

Nei primi anni Settanta i graffiti iniziano a invadere anche la città di New York. Si dà il via alla
seconda generazione di writer. Questa seconda generazione viene descritta da Stewart così:

“The second generation of writers began hitting the subway system during the summer of 1971. The
greatest number of famous writers, most of them only thirteen or fourteen years old, came from this
generation. Some didn’t even start until 1972. These imaginative writers pioneered the break with

                                                                                                               
16
“I graffiti territoriali iniziarono lungo i confini dei ghetti e nei quartieri etnici. I writer di
Philadelphia realizzarono che i mezzi di trasporto pubblici avrebbero avuto una maggiore visibilità
e maggior audience rispetto a località fisse. Essi sparsero i loro graffiti lineari, semplici lettere
basilari – l’opposto rispetto ai lavori più elaborati e stilizzati che sarebbero presto apparsi a New
York – lungo le linee di trasporto pubblico, con autobus e metropolitane come target prediletti. Alla
fine degli anni Sessanta gli autobus e i treni della metropolitana di Philadelphia erano saturi di
graffiti, mentre a New York la tendenza stava appena cominciando.” Stewart J., Graffiti kings: New
York City Mass Transit art of the 1970s, New York, Melcher Media, 2009, p.16. (trad. mia).
12  
 
traditional graffiti. Using spray paint, they hit the outsides of the subway cars with large masterpieces and
grand designs, making many of them legends and changing the meaning of graffiti.”17

Inizialmente si tratta di tag, ossia di firme, realizzate inizialmente con dei markers, dei pennarelli
indelebili a punta molto larga, ripetute ossessivamente dai giovani per far conoscere il proprio
nome. I writer non utilizzano il nome vero di battesimo, ma scelgono uno pseudonimo, un nome
d’arte, il quale spesso viene associato ad un numero, solitamente romano, che corrisponde al
numero della street, ossia della via, di appartenenza. In Graffiti kings si spiega che i nomi diventati
molto popolari vengono anche venduti per cinque dollari, a patto che il nome sia seguito dal numero
di discendenza. I ragazzi bianchi utilizzano solitamente il loro nome o soprannome, quelli afro-
americani scelgono spesso nomi derivati dallo slang di strada, come Super Kool, Stay high, Topcat,
o nomi africani. I ragazzi portoricani invece adottano nomi iper-americani, come Cola, Snake,
ecc…18
Per un giovane writer il nome è tutto. Bisogna onorare il proprio nome e rispettare quello degli altri:
“il nome personifica la tua esistenza e mancargli di rispetto è come un’aggressione alla tua integrità
fisica. Scrivere sopra a un altro writer, specialmente sopra a uno sconosciuto può portare tutta una
serie di conseguenze.”19 È essenziale acquisire uno stile unico, innovativo e soprattutto
riconoscibile, poichè la tag rappresenta la propria personalità e dalla firma dipende il rispetto del
gruppo e la stima degli altri writer.
I ragazzi che iniziano a “taggare”, o a “colpire” (hit)20 la città, sono tutti adoloscenti, spesso di
origini afro-americane o latino-americane e i motivi per cui iniziano a compiere queste azioni non
hanno a che vedere con motivazioni artistiche o politiche. Taki 183, uno dei pionieri del tagging
insieme a Julio 204, sulle motivazioni che lo hanno spinto a prendere il marker in mano e a iniziare
a marchiare la città con il suo nome, afferma: “I was bored, and i didn’t want to get involved with

                                                                                                               
17
“La seconda generazione di writer iniziò a colpire il sistema metropolitano durante l’estate del
1971. I writer più famosi, quasi tutti tra i tredici e i quattordici anni, appartengono a questa
generazione. Alcuni non iniziarono fino al 1972. Questi writer creativi furono i primi a rompere con
i graffiti tradizionali. Usando le bombolette, dipingevano sulle pareti esterne dei treni larghi
masterpiece e grandi disegni, diventando così delle leggende e mutando il significato di graffiti”.
Stewart J., op. cit., p. 41. (trad. mia).  
18
Ivi, p. 28.
19
A. vari, Style, writing from the Underground. (R)evolution of aerosol linguistic, Stampa
Alternativa in Association with IGTimes, Viterbo, Nuovi Equilibri, 1996, pp. 33-34.
20
“Quando scrivevi, facevi riferimento al tuo nome come a una firma e quando mettevi il tuo nome
o pensavi di metterlo in un determinato punto, questa azione diventava un colpo, stavi colpendo,
non taggando come dicono ora”. Phase II in Style, writing from the Underground. (R)evolution of
aerosol linguistic, cit., p. 26.
13  
 
drugs, so i started writing my name around”21 In Spraycan art, uno dei principali libri dedicati
all’argomento dell’Aerosol Art, pubblicato per la prima volta nel 1987, James Prigoff dichiara:
“kids write graffiti because it’s fun. It is also an expression of the longing to be somebody in a
world that is always reminding you that you’re not”.22
Proprio grazie a Taki 183, nel 1971 si inizia a parlare del fenomeno di “imbrattamento” che si sta
diffondendo in maniera esponenziale nella città di New York. Il 21 luglio 1971 il “New York
Times” pubblica un articolo su Taki 183 dal titolo: “Taki 183 Spawns Pen Pals”, letteralmente:
“Taki 183 genera amici di penna”, nel quale si parla di Taki, di come abbia iniziato e del perché e
vengono citati anche altri nomi di bomber23 operativi all’epoca, tra i quali Joe 136, Barbara 62, Eel
159, Yank 135 e Leo 136. [figura 2]
Nonostante sia Taki 183 a raggiungere la notorietà, il primo vero bomber della scena newyorchese
può essere considerato a pieno titolo Julio 204. Egli non gode della stessa fama di Taki 183, poiché
non esce mai dal suo quartiere, è un bomber territoriale, ma è il primo ad aggiungere il numero
della street dopo il nome e come ricorda anche Taki: “he was way ahead of everybody. Julio didn’t
write that much, but he was so original you have to give him credit.”24 Taki 183 ritiene inoltre che
Julio 204 abbia iniziato a colpire i muri già dal 196725.
I primi luoghi colpiti dai writer della prima generazione sono Washington Heights (già dal 1969) a
Manhattan, il Bronx e Brooklyn. Questi writer iniziano all’incirca a sedici anni e rimangono attivi
fino alla fine dell’adolescenza. Quando chiedono a Taki 183 del motivo del suo abbandono della
scena già attorno al 1973, egli risponde serafico solamente che “when you’re nineteen, you don’t do
what you were doing at sixteen”26
Sebbene i primi supporti bombardati siano muri di scuole e parchi, molto presto si passa a quelli in
movimento come autobus e camion, fino a colpire i vagoni della subway, prima internamente poi
esternamente. Con centinaia di treni a disposizione e migliaia di persone che utilizzano la
metropolitana ogni giorno, quest’ultima sembra il mezzo migliore per diffondere il proprio nome e
poter essere notati. Da questo momento si crea un legame inossidabile tra il writer e la subway. Le
                                                                                                               
21
“Ero annoiato e non volevo essere coinvolto con le droghe, perciò iniziai a spargere il mio nome
in giro”. Stewart J., op. cit., p. 20. (trad. mia).
22
“I ragazzi scrivono graffiti perchè è divertente. É anche un’espressione del desiderio di essere
qualcuno in un mondo che ti ricorda sempre che non lo sei.” Chalfant H., Prigoff J., Spraycan art,
London, Thames & Hudson, 1995, p.7. (trad. mia).  
23
Bomber da bombing, bombardare. Così viene chiamato chi riempie la città con la propria tag.
24
“Era una spanna sopra tutti. Julio non ha scritto molto, ma era così originale, che bisogna dargli
credito”. Stewart J., op. cit., p. 22. (trad. mia).
25
Ibidem.
26
“Quando hai diciannove anni, non fai le stesse cose che facevi quando ne avevi sedici.” Ivi. p.23.
(trad. mia).
14  
 
stazioni della metropolitana diventano luoghi d’incontro e di scambi di idee. Dipingere i vagoni di
un treno diventa una vera e propria sfida. Come ricorda Prigoff: “A New York, i writer hanno una
sorta di attaccamento mistico verso i treni […] i treni sono l’arena dove ciascuno può sfidare se
stesso”.27 Nonostante il Subway Writing (ossia il Graffiti Writing praticato nelle linee
metropolitane) diventi il fenomeno principale in questi anni (fenomeno nato nel 1968 e finito nel
1989, quando la Metropolitan Transit Authority lo reprime definitivamente) non si cessa comunque
di scrivere anche sui muri:

“Throughout the history of New York subway graffiti, writers also did pieces on walls. They were a good
place on which to practice and in periods when the “buff” was operating they presented a convenient
alternative to trains, a place to keep your name up. […] Graffiti as an art form began to flourish when the
writers, as they had come to be known, turned to the subways to take advantage of the high visibility, the
huge potential audience, and the link with other like-minded kids throughout the city. Other writers
stayed away from the trains and concentrated instead on painting murals in their own neighborhoods […]
still others were adept at both trains and walls.”28

Nel 1971, le maggior parti delle stazioni di Manhattan, del Bronx e di Brooklyn sono sature di
graffiti. Tutti i muri delle stazioni sono taggati e alcune stazioni diventano veri e propri ritrovi per i
giovani writer. Questi punti d’incontro prendono il nome di Writers Corners e tra i più popolari si
possono ricordare la stazione della 149th street e Astor Place, stazione dell’East Village, uno dei
quartieri più attivi e prolifici per la cultura underground degli anni Ottanta.
Come ricorda anche Barbero nel saggio “Say it loud” in questi luoghi

“si canonizzano, fondano e originano gli Stili: nascono ora le prime classificazioni che, con regole ferree
sull’originalità e con il controllo su coloro che – biting – copiano lo stile di un altro prevedono
l’esclusione per chi invade lo spazio di un altro. La metà degli anni Settanta corrisponde allora alla
perdita dell’anonimato e all’acquisizione di una identità, si definiscono i ruoli, nascono i personaggi.”29

                                                                                                               
27
Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 8.  
28
“Durante tutta la storia del Subway Writing newyorchese, i writer facevano “pezzi” anche sui
muri. I muri erano un buon posto dove far pratica e durante i periodi di “ripulitura” dei treni,
rappresentavano una valida alternativa, un luogo dove continuare a far girare il proprio nome. […] I
graffiti come forma d’arte iniziarono a prosperare quando i writer passarono alla metropolitana,
approfittando dell’alta visibilità, del largo audience e dei contatti con gli altri ragazzi. Altri writer
stavano lontani dai treni, limitandosi a dipingere murales nei loro quartieri […] Altri erano bravi sia
con i treni che non i muri.” Ibid. (trad. mia).
29
Barbero L. M., “Say it loud”, in Dubuffet e l’arte dei graffiti, Barilli R. (a cura di), Milano,
Mazzotta, 2002, p. 19.
15  
 
All’inizio degli anni Settanta viene introdotto anche lo strumento che ha rivoluzionato il modo di
fare tagging: si inizia ad utilizzare la bomboletta spray – possibilmente rubata– al posto dei più
comuni markers. Nasce così l’Aerosol Era.
Come già asserito, le tag del primo periodo sono delle semplici firme, senza decori o ornamenti,
l’estetica non è una priorità. L’unico obiettivo è quello di espandere il proprio nome scrivendolo in
più luoghi possibili. Il risultato è quindi un gesto rapido, sincopato. Come afferma Taki 183: “All
you needed was something small, something someone would see out of the corner of their eye as
they passed it.”30
Ben presto però, la situazione inizia ad evolvere. Il giovane writer è ambizioso, vuole farsi
conoscere e pretende che la gente parli di lui, quindi, per ottenere notorietà e rispetto, il suo nome
deve spiccare e prevalere sugli altri. Inizia così una vera e propria ricerca artistica sul lettering:
“despite the very real fears of arrest, the spirit of intense competition was constantly pushing the
writers to do better, larger, and different graffiti, leading to a rapid evolution in both scale and
design.”31
Junior 161 è uno dei primi writer a sperimentare una scrittura in larga scala. I commenti, non
sempre positivi, non tardano a venire, in primo luogo dal suo partner professionale Cay 161: “that’s
just fanciness. How are you going to get your name around doing all that fancy stuff?”32
Il fenomeno del Graffiti Writing produce un’influenza sempre maggiore verso i giovani e
unendosi ad altre espressioni artistiche come la musica (rap), la danza (breakdance), a un certo tipo
di abbigliamento e ad un codice di comportamento sociale e linguistico, formano una vera e propria
sotto-cultura. Nasce così l’Hip Hop e con esso fioriscono anche i primi gruppi di aggregazione. Le
crews sono delle “bande” che nascono spontaneamente, ciascuna con regole interne, composte da
almeno due persone, solitamente con una persona a capo del gruppo, scelta in base meritocratica.
Per un writer la crew è considerata quasi una famiglia. La crew dipinge insieme, tant’è che non i
writer non firmano più con il proprio nome, ma utilizzano il nome del proprio collettivo. Al suo
interno si scambiano idee e si migliorano le capacità tecniche. Nessuno insegna ai giovani writer
l’arte dei graffiti. Un aspirante writer deve mostrare il proprio potenziale, la passione e la tenacia
per poter fare ingresso in una crew, così poi da poter imparare le varie tecniche osservando i writer
più esperti. La prima crew a formarsi è quella degli Ex Vandals e molte altre ne seguono. Tra le più
                                                                                                               
30
“tutto quello che ti serviva era qualcosa di piccolo, qualcosa che qualcuno avrebbe visto di
sfuggita con la coda dell’occhio mentre passava.” Stewart J., op. cit., p. 35. (trad. mia).
31
“nonostante la reale paura di essere arrestati, l’intenso spirito di competizione spingeva i writer a
fare graffiti sempre migliori, sempre più grandi e differenti, portandoli a un’evoluzione nelle
dimensioni e nel design.” Ibid. (trad. mia).
32
“sono solo scarabocchi. Come fai a diffondere il tuo nome con tutti quegli scarabocchi?” Ibid.
(trad. mia).
16  
 
rappresentative degli anni Settanta si contemplano: The Wanted club e Wild Style, fondate entrambe
da Tracy 168, Rock Steady crew, istituita qualche anno dopo, nel 1977, famosa non solo come
Writing crew, ma anche come crew di breakdance e musica rap e infine The Fabolous Five, i cui
membri sono tra i primi a battersi per il riconoscimento dei graffiti come forma d’arte. [figura 3]

1.3. Nascono gli stili

“Non importa quanto bene dipingiate o altro, è importante lo stile. […] é necessario portare a un livello
superiore il concetto di scienza e architettura della lettera in modo da capire che cosa è giusto e cosa non
lo è. La forza del writing deriva fondamentalmente dalla bombola e si estende attraverso le menti di chi,
tra noi, la considera una scienza.”33

Queste sono le parole di Phase II, uno dei maggiori rivoluzionari nell’ambito del Graffiti Writing.
Phase II è considerato da tutti un king, ossia un maestro dello stile. Egli è uno dei primi writer ad
apportare cambiamenti e migliorie alle scritte: dall’introduzione di simboli o elementi decorativi,
all’invenzione di nuovi font. Si ritiene che sia proprio Phase II infatti, ad aver inventato le bubble
letters (o softies), uno dei font più utilizzati ancora oggi.
Con gli anni Settanta e l’avvio della seconda generazione, come già anticipato, inizia una vera e
propria ricerca stilistica ed emergono nuovi stili di scrittura.
Come si illustra nel volume Writing: storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada:

“L’apparizione sulla scena di un certo numero di stili identificabili rappresentò una vera e propria
rivoluzione per il mondo del writing. Tutto il movimento cominciò a muoversi verso la sperimentazione
di forme e tratti che fossero inconsueti e imprevisti il più possibile, la parola d’ordine era: innovare.
Esisteva solo la parola, il colore e l’evoluzione dello stile; l’educazione scolastica non era certo
discriminante, contavano la creatività e l’ispirazione che si basava sulle immagini prodotte dalla cultura
di massa o trovate sulla strada, ma reinterpretate soggettivamente. Il writing era sempre più simile a un
gioco, una competizione di lettering, il cui centro era rappresentato dai vagoni della metropolitana.”34

In seguito ai vari articoli usciti sui giornali nell’estate del 1971 – da quello già citato su Taki del
“New York Times”, a quello del “Times” dello stesso anno sul deterioramento dei monumenti e dei
mezzi pubblici a causa dei graffiti – il fenomeno diventa cosa pubblica, si inizia a parlare dei writer
e a conoscere i loro nomi. I writer vogliono farsi riconoscere e cercano così di uscire dal coro

                                                                                                               
33
Macchiavelli M., op. cit., p. 77.  
34  Lucchetti
D., Writing: storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada, Roma, Castelvecchi, 1999, p.
22.  
17  
 
attraverso la sperimentazione. I graffiti non sono più delle semplici tag, ma diventano pieces,
“pezzi”, derivanti dal termine masterpiece (capolavori). I pezzi sono grandi, colorati e complessi.
Le firme risultano estremamente decorate, iniziano a comparire figure e personaggi (i puppets) e si
raccontano delle storie. I graffiti diventano degli enormi affreschi creati attraverso la vernice spray.
Inoltre, si inizia a competere per il titolo di king (re). Due sono i criteri necessari per poter essere
incoronato king: quantità di pezzi creati e qualità degli stessi. Viene premiata quindi l’innovazione e
la costanza. Se un writer ha uno stile originale, ma realizza solo pochi pezzi, non potrà mai essere
incoronato king e il suo nome verrà presto dimenticato.
Uno dei primi king è Lee 163D!, il quale per primo inizia a colpire l’esterno dei vagoni dei treni.
Con l’avvento delle bombolette spray, l’interno dei vagoni diventa inagibile per via dei fumi.
Inoltre gli interni dei vagoni sono ormai saturi di scritte, perciò l’esterno risulta una valida
soluzione alternativa.
Bombardando l’esterno dei vagoni si ha a disposizione molto più spazio, perciò i giovani bomber
iniziano a dare sfogo alla loro creatività e a dare sfoggio delle loro velleità artistiche. Molto comune
è la pratica del biting: un writer prende spunto da uno stile pre-esistente creato da un altro writer e
lo rimodella, lo modifica o lo combina con altri elementi, fino a realizzarne uno nuovo. Sebbene
alcuni writer non acconsentino che altre persone si approprino dei loro stili, questa pratica è
accettata da molti (purchè sia palesato il modello di riferimento), anche perché la reputazione di un
writer aumenta se il suo stile viene usato come modello da altri.
Tra le prime novità stilistiche vi è l’introduzione di simboli tra le lettere. Uno dei primi simboli, in
uso ancora oggi, è la freccia. Trattasi di uno dei simboli più popolari che indirizza, inoltre, la lettura
del pezzo. Nell’ambiente dei graffiti non è semplice identificare l’ideatore di uno stile, si può avere
un’idea sommaria, poiché i pezzi appaiono in gran numero nello stesso periodo. Appena si idealizza
un simbolo o uno stile nuovo, questo si espande nel giro di pochi giorni. I primi ad aggiungere un
freccia nel loro pezzo sono Cool Earl (il precursore di Philadelphia), Phase II, Stay High 149 e
Tracy 168.
Anche allo stile 3-D non è facile attribuire la paternità. L’ipotesi più accreditata è quella di Stewart
(2009), il quale sostiene che All Jive 161 sia stato il primo a disegnare lettere in questo stile.
La più grande innovazione, l’elemento che ha trasformato la tag in un masterpiece è però
l’introduzione di una outline: si traccia una linea di contorno delle lettere, per poi riempirle con un
altro colore. Le outline sono molto grandi, spesso coprono l’intera altezza o lunghezza del vagone.
Quando si crea un pezzo su un vagone, si può scegliere di colpire quest’ultimo in diversi
modi:

18  
 
 WINDOW-DOWN = si crea il pezzo solo sotto i finestrini del treno;
 TOP-TO-BOTTOM = si copre tutta l’altezza del vagone;
 END-TO-END = si copre tutta la lunghezza del vagone;
 MARRIED COUPLE = pezzo viene creato su due vagoni accostati;
 WHOLE CAR = si colpisce tutto il vagone in altezza e larghezza. Pratica messa in atto dal
1974. Un whole car possiede numeri notevoli. É lungo 6 metri e alto più di 3, sono
necessarie 20 bombolette e vengono impiegate almeno 8 ore di tempo.35 Un lavoro di whole
car è eseguito da più di una persona, solitamente da tutta una crew.

Phase II definisce le tre caratteristiche necessarie che deve possedere un masterpiece per essere
riconosciuto tale: essere in larga scala, possedere una outline e avere decorazioni tra le lettere.36
Anche in questo caso molti sono i nomi associati all’invenzione del masterpiece: Cliff 159, El
Marko e Super Kool 223, tra tutti.
L’evoluzione da semplice tag a masterpiece non è netta o rigorosa, ci sono molte sfumature nel
mezzo. Il throw up è una evoluzione della tag. Non può definirsi masterpiece, ma è più decorato di
una tag. Il gesto è veloce, vengono utilizzate lettere bubble, ossia tondeggianti, e si impiegano due
colori: uno per il contorno e uno per il riempimento. Sono compiuti da bombers, il cui obiettivo è la
quantità.
I writer iniziano ad aggiungere ogni volta elementi diversi, sempre nuovi: dot (punti), candy stripes
(striscie colorate), o clouds (nuvole). Il cloud è uno sfondo a forma di nuvola che funge da
riempitivo. Innovazione significativa, poiché permette di coprire completamente gli altri nomi
presenti sul vagone.
Con l’avvento del masterpiece, il Graffiti Writing si fa sempre più figurativo:

“A partire da tutte queste innovazioni le firme, pur rimanendo parte fondamentale della cultura, passano
in secondo piano. I writer si concentrano sull’elaborazione dei pezzi, di uno stile personale. La
devastazione della scena urbana si arricchisce di colori in libertà, di schizzi frettolosi su fogli stropicciati,
di genialità e ribellione. Si cerca di far sempre meglio, di stupire con cose mai viste; ogni pezzo doveva
essere il più grande possibile per poter uscire fuori dai treni in corsa, farsi ammirare, vincere la
distrazione della metropoli, attirare a sé tutti gli sguardi nell’attimo della sua massima gloria.”37

                                                                                                               
35
Lucchetti D., op. cit., p. 56.
36
Stewart J., op. cit., p. 62.  
37  Lucchetti D., op. cit., p. 23.
19  
 
Tutte le evoluzioni portano infine a uno degli stili più complessi e ricercati del Graffiti Writing: il
Wildstyle. Il Wildstyle è lo stile riconosciuto dei king. Un writer non può iniziare la sua esperienza
con i graffiti partendo dal Wildstyle, poiché quest’ultimo è il punto di arrivo, è l’apice della carriera
di un writer. Si tratta di uno stile molto complesso: il masterpiece deve essere molto grande,
colorato e le lettere sfuggenti e poco comprensibili. Il Wildstyle è frutto di una lunga ricerca artistica
personale del writer. Il termine viene coniato da Tracy 168 per definire uno stile avanzato di Phase
II.38

“il wild style è un selvaggio ben costruito, studiato nei minimi particolari e contemporaneamente è la
libera espressione della confusione della surmodernità. […] I più banali codici semantici, regole sociali
imprescindibili, vengono stravolti nel nome di una visione interiore che rifiuta tutto ciò che è stato
preconfezionato da un’autorità inconoscibile. I writer non hanno interesse a farsi capire, non graffiano i
muri o i vagoni dei treni utilizzando codici universalmente leggibili, semplicemente invadono le
metropoli di un bisogno di espressione che intreccia il loro gioco di linee e colori in una combinazione
che muta nel tempo e si muove nello spazio, per essere sempre al passo con la contemporaneità.”39

Con il Wildstyle cambia il metodo di ricezione del pezzo: un writer non viene più riconosciuto per il
suo nome, ma per il suo stile e non interessa se le persone fuori dall’ambiente del Graffiti Writing
non riescono a decodificare la scritta, poiché ciò che importa è che il pezzo venga recepito dai
membri delle varie crews. Nel documentario Style Wars, film cult del 1982 diretto da Tony Silver e
Henry Chalfant sul fenomeno del Graffiti Writing newyorchese, in un’intervista al writer Skeme,
egli afferma chiaramente che quello che fa, lo fa semplicemente per sé e per gli altri writer.
Esplicativa è l’affermazione di Vulcan, il writer che nel 1983 progettò la prima Hall of Fame40 di
New York: “mi fermo solo quando anche io stesso non riesco più a leggermi. Solo questo è
importante. Immense lettere selvagge. È tutto ciò che so fare”.41 [figura 4]

                                                                                                               
38
Macchiavelli M., op. cit., p. 47.
39
Lucchetti D., op. cit., p. 60.  
40
Hall of Fame: spazio riservato ai writer dove poter dipingere liberamente. Solitamente si tratta di
viadotti autostradali, muri percorrenti le ferrovie o semplicemente edifici abbandonati. Inizialmente
le Hall of Fame erano organizzate illegalmente, ora spesso è proprio l’amministrazione di una città
che dona legalmente gli spazi ai writer. Proprio per questo motivo la Hall of Fame ha perso il suo
spirito trasgressivo iniziale ed è vista, talvolta, non più come luogo d’aggregazione innovativo e di
confronto, ma come luogo di seconda categoria, usato come passatempo per perfezionare gli stili
già intrapresi.
41
Macchiavelli M., op. cit., p. 78.  
20  
 
1.4 La lotta contro la MTA

“Graffiti is not an art, is a crime”, questa è una delle frasi di apertura del documentario Style Wars,
pronunciate dai detective Jim McHugh e Bernie Jacobs del dipartimento della polizia dei trasporti
di New York. Durante gli anni dell’esplosione del Subway Writing, la Metropolitan Transportation
Authority (MTA) di New York, insieme ai vari sindaci che si sono succeduti e al dipartimento di
polizia della città, hanno cercato con ogni mezzo di arginare e far cessare il fenomeno, con una
lunga battaglia durata quasi vent’anni.
La metropolitana di New York viaggia prevalentemente sottoterra e risale in superficie nelle zone
del Bronx, del Queens e di Brooklyn; è in questi quartieri che si possono ammirare i pezzi alla luce
del giorno. Le “arene”, termine evocativo che Stewart (2009) utilizza per definire i luoghi in cui i
writer vanno a colpire i treni, sono principalmente le yards e i Lay-ups. I Lay-ups sono i binari
centrali della subway, dove vengono depositati i treni fuori servizio (inizialmente potevano
stazionare anche per tutto un weekend), mentre le yards sono i depositi veri e propri.
Stewart (2009) spiega il modus operandi dei writer: I writer colpiscono i treni preferibilmente di
notte e durante i fine settimana. Saltano i tornelli e percorrono la linea metropolitana fino alle
rimesse, mentre per i treni non sotterranei scavalcano le recinzioni dei depositi. I viaggi sono
solitamente ben coordinati e programmati. Una volta arrivati ai treni, i writer più ambiziosi
lavorano a coppie o a gruppi per riuscire a produrre grandi pezzi. Ai writer più inesperti è concesso
occuparsi degli sfondi o dei più comuni riempimenti. È un grande onore per un toy42 avere
l’opportunità di lavorare con uno Style Master. Si può arrivare fino a quindici writer operanti
contemporaneamente sullo stesso vagone. I vagoni nei depositi sono parcheggiati uno a fianco
all’altro, a distanza ravvicinata. Per dipingere i vagoni, i writer solitamente pongono un piede su un
vagone e l’altro su quello a fianco, oppure pongono entrambi i piedi su un vagone e si appoggiano
con la schiena a quello opposto. In entrambi i casi le mani sono libere. Per raggiungere la cima dei
vagoni spesso i writer salgono sulle spalle l’uno dell’altro o utilizzano addirittura delle scale. Dopo
svariati minuti di lavoro i fumi delle bombolette si fanno sempre più densi, perciò è di uso comune
per i writer indossare guanti o maschere anti gas.
Attorno al 1970 arrivano le prime lamentele da parte dei viaggiatori e la Metropolitan Transit
Authority inizia ad attuare le prime pratiche di buffing, ossia di pulizia. Si dispone di un lavaggio
chimico ai vagoni, una volta alla settimana all’interno e una volta ogni tre settimane all’esterno. I
risultati però non sono efficaci, la vernice dei vagoni si corrode, ma i pezzi non spariscono
totalmente, così l’unico modo per eliminarli è ridipingere i treni.
                                                                                                               
42
Writer inesperto o incompetente.
21  
 
Fino a questo periodo non esiste nessuna legge che regolamenti il fenomeno del Graffiti Writing
nella subway. Se catturati, i giovani writer subiscono solamente un ammonimento e se recidivi,
poiché minorenni, vengono affidati al giudice minorile. La pena è di lavare i treni e ripulirli dai
propri pezzi. A questa punizione viene dato il nome: “Operazione Cleanup”. Questa blanda
soluzione non porta però alcun giovamento alla pulizia dei treni, i pezzi non cessano, né
diminuiscono. Il sindaco di New York John Lindsay, il 27 ottobre 1972 decide di firmare per
l’approvazione della prima legge Anti-Graffiti e, sempre in quest’anno, viene formata la prima task-
force anti-graffiti. Durante tutta la seconda metà di quest’anno viene attivato un programma di
pulizia avanzato per tutti i treni della metropolitana. Nonostante molti pezzi siano andati perduti a
seguito della pulizia, i writer non si arrendono e decidono di prendere questa ripulitura come
stimolo per creare pezzi ancora migliori e ancora più imponenti. Non a caso il 1973 viene
considerato il periodo d’oro della Subway Art. Sul finire del 1973, il sindaco Lindsay, alla ricerca di
voti per il mandato successivo decide di fare un’ulteriore pulizia, determinato a far sì che sia quella
definitiva. In questa grande e decisiva campagna di pulizia, la tattica risulta quella di coprire i pezzi
con un colore blu scuro. Questo metodo funziona in parte e per un periodo seppur breve non
appaiono più nuovi pezzi. Nel 1973 la città di New York spende più di 10 milioni di dollari per le
opere di pulizia e ne stanzierà fino a 24 milioni con lo scopo di ridurre notevolmente il fenomeno.43
Con questa seconda grande ripulitura delle carrozze, i writer cessano di sperimentare, impegnandosi
a raffinare gli stili già in uso. Nel 1974 si apre il periodo che Stewart definisce Synthetic Period:
“La pulizia e la ripittura generale della fine del 1973 costituì una linea di divisione tra il periodo di
formazione e il ricco periodo sintetizzato del Subway Writing.”44
La polizia dei trasporti continua a combattere i graffiti per tutti gli anni Settanta e nel 1976 viene
introdotta The Anti-Graffiti Squad, formata da un piccolo gruppo di poliziotti con l’autorità anche di
arrestare i giovani writer e mettere in atto strategie per limitare le azioni. Purtroppo o per fortuna
però, “gli sforzi della Graffiti Squad e i nuovi approcci della MTA furono tentativi sprecati.”45 I
writer sono preoccupati più per l’esiguo spazio libero rimasto sui treni che per la Graffiti Squad.
Nel 1977 si inizia la pulizia dei vagoni con acidi, i quali portano più danni che benefici: gli acidi
corrodono i vagoni e non puliscono completamente le pareti, inoltre causano notevoli danni alla
salute degli operai che effettuano le pulizie, i quali iniziano a lamentare problemi respiratori e nel

                                                                                                               
43
Stewart J., op. cit., p. 136.
44
Ibid.
45
Ivi, p.167.
22  
 
1985 vengono risarciti di 6,3 milioni di dollari per problemi causati all’esposizione dei fumi dei
solventi46.
Durante tutti gli anni Ottanta la lotta continua con i mezzi più disparati: recinzioni, utilizzo di cani
da guardia, nuovi metodi di pulizia e divieto di vendita delle bombolette spray ai minorenni.
La battaglia tra writer e amministrazione cittadina continua per quasi due decadi, fino al 1989, data
in cui si chiude ufficialmente il periodo della Subway Art o Mass Transit Art, per trasferire i pezzi
sui muri o nelle gallerie.

1.5 La terza generazione e il Syntetic period

In seguito al grande repulisti del 1972, si sviluppa la cosidetta terza generazione di writer. La terza
“ondata”, i cui caratteri esemplificativi si iniziano a notare nell’estate del 1973, rappresenta l’apice
del masterpiece. Nel biennio 1973-1974, i pezzi si iniziano a riempire di particolari sempre più
accurati, le campiture sono precise e i lavori decisamente più maturi. In questo periodo, dai pezzi
sorgono fiamme, elementi esotici e gli stili diventano sempre più sofisticati: 3D style, Cartoon Style
e l’ormai consolidato Wildstyle. Il 1974 segna l’inizio quindi del Syntetic period:

“per nulla scoraggiati dalla politica della MTA i writer continuano a dipingere. […] Molte nuove leve si
sono ormai aggiunte agli originari pionieri del Bronx. […] Ai pezzi iniziano ad aggiungersi elementi
figurativi, come personaggi dei fumetti. […] L’elaborazione di stili nuovi subisce una battuta d’arresto: i
writer sfruttano gli stili fondamentali tramandati dai pionieri e li rielaborano in chiave personale per
ottenere uno stile riconoscibile. In questa fase la tecnica pittorica acquista un ruolo centrale: i writer
cercano di eliminare le sbavature, di ottenere colorazioni uniformi e tratti di contorno precisi e puliti, oltre
che di dipingere nel più breve tempo possibile. La maggior parte dei pezzi di questo periodo è realizzata
in un intervallo che va dai quindici ai sessanta minuti.”47

Nessun nuovo stile quindi, ma perfezionamento di quelli già esistenti. I pezzi devono essere
impeccabili: i colori devono essere in sintonia e la outline deve essere precisa. Durante il Syntetic
period si modifica la concezione verso il Writing; i writer sono attenti alla composizione stilistica e
al risultato estetico e iniziano a considerare ciò che fanno, una vera forma d’arte.
La grande novità di questi anni, è l’interesse verso il mondo esterno. I writer sono cresciuti, non
sono più ragazzini di dodici o tredici anni e iniziano quindi a interessarsi di attualità, politica e di

                                                                                                               
46
Mininno A., Graffiti Writing: origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia, Milano,
Mondadori, 2008, p. 23.  
47
Mininno A., op. cit., p. 21.
23  
 
argomenti di natura sociale. I pezzi di stampo politico sono rari, ma esistono; fa grande scalpore, ad
esempio, il pezzo di Mico in cui compare la scritta “hang Nixon!”. [figura 5]
I writer ora sono attenti a ciò che succede nel mondo, conoscono la storia dell’arte e i pezzi sono
ispirati al mondo del cinema e dei fumetti. Il personaggio di Donald Duck, Paperino, è uno dei
personaggi più abusati e rimane al giorno d’oggi uno dei soggetti preferiti dai writer.
Inoltre, ora che hanno preso coscienza della loro arte, i writer si ritengono un plus valore per la
città, sostenendo di apportare migliorie al tessuto urbano, per merito dell’esplosione di colori dei
loro pezzi: “In my opinion, graffiti makes our very serious and gray city more colorful. I like free
artistic expression, but i despise political and radical slogans on our walls.”48
“I do graffiti because most people in our city are like robots and i want to show them that you can
do happy and colorful things in addition to just eating, sleeping and working.”49
E ancora:
“If all the kids in this estate were piecing, can you imagine what a beautiful place it would be?”50

1.6 Le unions e le prime mostre

Durante la prima e la seconda generazione, dalla fine degli anni Sessanta ai primi Settanta quindi,
nessuno considera i giovani writer degli artisti e nemmeno loro stessi si ritengono tali o vogliono
venire etichettati sotto alcuna categoria. Nell’ottobre del 1972, uno studioso di sociologia piuttosto
lungimirante, Hugo Martinez, che da tempo studia e ammira i pezzi che “decorano” tutta la rete
metropolitana newyorchese, decide di entrare in contatto con alcuni giovani kings, per proporre loro
di unirsi in un gruppo operante non più “en plein air”, (anche se in questo caso i lavori non
avvenivano all’aperto, ma addirittura nelle viscere della città), bensì all’interno di uno studio,
traslando le opere dall’acciaio delle lamiere alle tele. Lo scopo è quello di riuscire a organizzare
mostre e vendere le opere. Nasce così la United Graffiti Artists (UGA) e nel dicembre del 1972 si
inaugura la prima mostra al City College di New York. Come puntualizza Stewart, vengono esposti
non i graffiti, bensì dipinti di graffiti.51 Alla union prendono parte notevoli writer, tra i quali Lee

                                                                                                               
48
“La mia opinione è che i graffiti rendono la nostra città grigia e seria più colorata. Sono per la
libertà d’espressione artistica, ma detesto gli slogan politici e radicali sui nostri muri”. Mani, in
Chalfant H., Prigoff J., Spraycan art, Londra, Thames and Hudson, 1995, p. 81. (trad. mia).  
49
“Faccio graffiti perchè molte persone nella mia città sono come robot e voglio mostrare loro che
si possono fare molte cose colorate e felici oltre che semplicemente mangiare, dormire e lavorare”.
Seco, in Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 83. (trad. mia).
50
“Se tutti i ragazzi della zona facessero dei pezzi, riesci a immaginare che mondo meraviglioso
sarebbe?” Goldie, in Chalfant H., Prigoff J., op. cit., p. 65. (trad. mia).  
51
Stewart J., op. cit., p. 84.
24  
 
163D! e Co-Co 144. L’impatto nell’ambiente artistico è rimarchevole. La differenza tra i pezzi
creati illegamente sui vagoni della subway e le tele esposte dall’UGA però, è evidente. Le tele
mancano di vitalità, creatività e dinamicità. La velocità del gesto, l’adrenalina data dalla paura di
essere catturati e dal pericolo dell’azione, insieme all’unicità della visione in movimento data dal
vagone in viaggio, sono elementi fondamentali e caratterizzanti del Graffiti Writing. Questi
elementi sono invece annullati nella staticità della tela e della galleria. Numerosi writer quindi,
decidono di continuare in maniera parallela a colpire i treni, facendo fallire così l’intento di
Martinez di togliere i writer dalla strada.
Nel settembre del 1973 la UGA espone alla Razor Gallery, a Soho. La mostra viene recensita da
molti media e in una recensione di Peter Schjeldahl sul “New York Times” per la prima volta il
Graffiti Writing viene definito una forma d’arte: “the new graffiti hit New York, inundating our
buses and subways and city walls and blossoming, in the process, into something very like a real
popular art form.”52 Le opere vengono vendute tra i trecento e i tremila dollari. Successive mostre
vengono allestite con le opere della UGA al Museo della Scienza e dell’Industria di Chicago e al
The Artists Space Gallery a New York. In seguito a questa mostra il gruppo si smembra, non
essendo più riuscito a trovare, dopo la precedente dipartita di Martinez, un leader carismatico e forte
per guidare il gruppo. Il gruppo dura poco, ma come dichiara anche Barbero, la UGA “è la vera
antesignana della Graffiti Art. Questo suo essere collaterale ed effettivamente non nascondere un
intento basilarmente “sociale”, di “legittimazione”, ma soprattutto di legalizzazione di un
movimento fuorilegge, la differenzia dall’intero processo commerciale della sua evoluzione del
decennio immediatamente successivo.”53
La UGA è l’apripista per emuli, proseliti e nuove unions. Nell’agosto del 1974, memore dell’attività
della UGA e della conduzione di Martinez, Jack Pelsinger, un allora trentanovenne e impegnato in
ambito teatrale, decide di creare una nuova union: nasce la Nation of Graffiti Artists (NOGA). La
sede è un magazzino su Columbus Avenue ottenuto dall’Housing and Urban Development per un
dollaro al mese. Il NOGA vuole distaccarsi dall’elitarismo della UGA e vengono così accettati tutti
i writer, dai toys ai kings. In breve tempo il magazzino viene completamente decorato dai graffiti,
senza lasciare uno spazio libero. Un articolo apparso su “The Village Voice” del 1975 definisce il
NOGA una “Graffiti Nation without a country”. L’articolo celebra il gruppo per il suo primo
compleanno e lo supporta a seguito dell’avviso di sfratto:
                                                                                                               
52
“I nuovi graffiti colpiscono New York, inondando i nostri autobus e la metropolitana e i muri
della città e sbocciando, durante il processo, in qualcosa molto simile ad una forma d’arte
popolare”. Stewart J., op. cit., p. 87. (trad. mia).
53
Barbero L. M., “Say it loud”, in Barilli R. (a cura di), Dubuffet e l’arte dei graffiti, Milano,
Mazzotta, 2002, p. 20.  
25  
 
“The Nation of Graffiti Artists will celebrate one year old this July. They might be celebrating their
birthday in the street next month, because they have gotten an eviction notice from the city to get out of
their dollar-a-month storefront at 589 Columbus Avenue by June 30. Jack Pelsinger is the founding father
of NOGA. A skinny, warm man of 40, Pelsinger started the storefront, with savings he had accumulated
over the years by working in the legitimate theatre. He[…] hasn’t gotten money from anyone to run his
storefront. Kids, dogs, canvases, musical instruments, and paint tube litter the space. The walls are
covered from floor to ceiling with the efforts of the graffiti kids.”54

Pelsinger organizza svariate mostre e propone le tele dei giovani writer nelle fiere, ma, come già
annunciato, non riesce a guadagnare a sufficienza (il ricavo della vendita di una tela viene spartito
metà all’artista e l’altra metà trattenuta per finanziare il gruppo) e il gruppo si scioglie
precocemente a causa della mancanza di fondi.
Nonostante queste union abbiano vita breve, I writer sono ormai galvanizzati dalle mostre, dalle
vendite e dalle numerose recensioni nei loro confronti. Iniziano ad essere consapevoli del loro
nuovo status, non più di vandalo o semplice writer, ma di artista.

1.7 Gli anni Ottanta

Gli anni Ottanta vedono la consacrazione definitiva dei writer e del Graffiti Writing. Già nel
decennio precedente alcuni esponenti di questa scena underground erano saliti in superficie per
esporre in gallerie o mostre itineranti, ma è in questi anni che il fenomeno diventa mainstream. I
nomi di alcuni artisti ottengono risonanza mondiale e il Graffiti Writing entra a far parte della
cultura pop. Vengono girati film e documentari sul Graffiti Writing, lo stile urban appare sulle
passerelle delle sfilate di moda e MTV, il canale televisivo che detta moda sulle giovani
generazioni, manda in heavy rotation la musica rap. Malcom McLaren, poliedrico musicista, artista,
produttore e perfomer, già scopritore di artisti come New York Dolls e Sex Pistols, è il primo ad
inserire dei graffiti in uno dei suoi videoclip e a darne così una visibilità globale. Il pezzo Sky’s the
limit del writer Bill Blast appare sullo sfondo della canzone del 1982 Buffalo Gals dell’inglese

                                                                                                               
54  
“The Nation of Graffiti Artists festeggerà un anno questo luglio. Potranno festeggiare il
compleanno in strada il prossimo mese, dal momento che hanno ricevuto un avviso di sfratto, dal
loro magazzino affittato per un dollaro al mese al 589 Columbus Avenue, entro il 30 giugno. Jack
Pelsinger è il padre fondatore del NOGA. Un uomo magro e cordiale sulla quarantina. Pelsinger ha
inaugurato il magazzino con i risparmi accumulati dopo anni di lavoro in teatro. Non ha abbastanza
soldi per gestire ancora l’attività. Ragazzi, cani, tele, strumenti musicali e tubetti di vernice
ricoprono i pavimenti. I muri sono ricoperti dal pavimento al soffitto, dai lavori dei ragazzi”. Kuhn
A., “Graffiti Nation Without a Country”, The Village Voice, 30 giugno 1975 (26), p.84.  
26  
 
McLaren, insieme a writer e a ballerini della Rock Steady Crew. In poco tempo, la cultura Hip Hop
diventa una delle culture dominanti degli anni Ottanta.
Il 1983 è un anno prolifico anche per l’ambito cinematografico. In quest’anno infatti vengono girati
ben due film riguardanti il mondo dei graffiti: il primo è il già citato Style Wars, documentario di
Henry Chalfant e Tony Silver, al cui interno fanno apparizione writer come Dondi, Skeme, Daze,
Seen e Kase 2, solo per citarne alcuni; mentre l’altro è Wild Style di Charlie Ahearn. Wild Style è
tuttora considerato un film cult per gli appartenenti alla cultura Hip Hop, sia per la colonna sonora
che per gli artisti che vi prendono parte. Forti personalità partecipano alla realizzazione del film, tra
cui gli artisti Lady Pink e Lee Quinones, Grandmaster Flash, ossia uno dei pionieri della musica
Hip Hop e la gallerista Patti Astor. [figura 6]
Patti Astor (ca. 1950) inizia come attrice di b-movies prima di approdare al mondo dell’arte. Da
sempre interessata al mondo del Graffiti Writing, nel 1981 apre nell’East Village, a Manhattan,
insieme a Bill Stelling, la Fun Gallery. La galleria, specializzata in Aerosol Art, dà il via a tutte le
successive gallerie d’avanguardia dell’East Village.
Tra gli artisti che espongono nella sua galleria si annoverano Jean-Michel Basquiat, Keith Haring,
Lee Quinones, Dondi e Kenny Sharf. La galleria rimane un punto di riferimento per tutte le ultime
novità riguardanti il mondo della Spray Art, fino alla sua chiusura nel 1985. A metà degli anni
Ottanta l’East Village è considerato la Mecca del mondo artistico americano e gli affitti sono alle
stelle. Patti Astor è costretta a chiudere, ma in soli quattro anni è riuscita a lasciare un’eredità
cospicua e unica per il mondo dell’Aerosol Art.
Gli anni Ottanta vedono anche l’ascesa del territorio del Bronx. Fino ad allora il Bronx era
una delle zone più povere e dimenticate di New York:

“Il south Bronx era divenuto alla fine degli anni Settanta il simbolo della rovina metropolitana; tutto ciò
che di sbagliato c’era nell’America urbana si concentrava in un’area vastissima che aveva visto la virtuale
costruzione, all’inizio degli anni Cinquanta, di una comunità che tentava disperatamente di ridefinire se
stessa durante il boom edilizio del dopoguerra. […] Nella parte nord-est del distretto, un complesso di
palazzi di larga scala che venne ben presto assillato da problemi quali scuole povere, droga e una lunga
lista di assistenza. […] Non c’era nessun programma, nessun finanziamento che fosse effettivamente in
grado di fermare il degrado di questo enorme sobborgo fagocitante. La vita scorreva inqualificabile,
trasgressiva, sfuggente, scivolosa.”55

Come è noto però, dai diamanti non nasce niente e così il Bronx, sotto il suo strato superficiale di
degrado e precarietà, nasconde al suo interno un terreno fertile, ricco di artisti che vivono e operano
                                                                                                               
55
Lucchetti D., op. cit., p. 32.
27  
 
nel territorio. Si tratta di un territorio vitale e in fermento e grazie anche all’aiuto di associazioni
culturali (come il Bronx Council of the Arts, istituito nel 1962) o di forti personalità quali Stefan
Eins, questo quartiere riesce a riscattarsi e a diventare un punto di riferimento per l’arte americana.
Stefan Eins è il fondatore di Fashion Moda, situato nel South Bronx e attivo dal 1978 al 1993.
Galleria, centro per le arti, spazio performativo, residenza artistica: non si può racchiudere Fashion
Moda in un’unica definizione; al suo interno gli artisti lavorano, vivono in comunità ed espongono i
loro lavori. Si tratta di una fucina artistica a cui chiunque può prendere parte. Eins “cerca un luogo
d’avventura e assieme la possibilità, per l’arte, di incontri inediti con un pubblico diverso da quello
degli abituali frequentatori delle gallerie stesse. Il contesto dell’arte è importante quanto l’atto
artistico.”56 I più grandi artisti di quegli anni sono passati attraverso le mostre organizzate da
Fashion Moda: Keith Haring, Jenny Holzer, Kenny Scharf e graffiti artists veri e propri come
Crash, Lady Pink e Richard Hambleton. Una delle mostre più significative di Fashion Moda viene
realizzata nel settembre 1980, quando viene inaugurata Graffiti Art Success for America, una mostra
collettiva a cui prendono parte graffiti artists come Futura 2000, Dondi, Lady Pink, Fab Five
Freddy, Zephyr e molti altri. [figura 7] Il sistema dell’arte monitora costantemente l’attività
dell’organizzazione, a tal punto che nel 1982 Fashion Moda prende parte alla mostra d’arte
internazionale Documenta 7, a Kassel.
L’Italia non risulta indifferente a questa corrente nuova e fresca e nel 1979 la galleria La Medusa di
Roma, di Carlo Bruni, cura una personale di “Lee” Quinones. Riguardo ai graffiti, Bruni afferma:
“a chiunque che si occupi di pittura e che abbia sostato nel Subway di New York, vedendo
sfrecciare davanti agli occhi le carrozze dipinte, non possono non essergli venuti in mente quadri
come Stati d’animo, gli Addii di Boccioni.”57
Francesca Alinovi (1948-1983), ricercatrice e storica dell’arte, è la prima a portare in Italia un
progetto di una mostra interamente dedicata alla scena della Graffiti Art americana. I suoi lunghi
viaggi tra Bologna e New York, accompagnati dai suoi scritti incisivi e dalle sue interviste ai nuovi
protagonisti dell’arte newyorchese, hanno fatto conoscere anche nel nostro territorio le nuove
tendenze e un nuovo modo di creare e mostrare l’arte.
La mostra da lei ideata, dal titolo: Arte di frontiera: New York Graffiti, tenutasi alla galleria
comunale d’arte moderna di Bologna pochi mesi dopo la sua morte improvvisa, nei mesi di marzo e
aprile 1984, ottiene un riscontro notevole. Vengono esposte opere di Cutrone, Haring, Scharf,
Rammelzee, A-One, Donald Baechler, Basquiat e Futura 2000, solo per citarne alcuni. Durante il
periodo della mostra, il meglio dell’arte d’avanguardia newyorchese si trova a Bologna.
                                                                                                               
56
Alinovi F., Arte di Frontiera: New York graffiti, Milano, G.Mazzotta, 1984, p. 16.
57
Poli F. (et al.), Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, Milano, Mondadori arte, 2008, p. 558.
28  
 
In uno dei suoi scritti, la Alinovi ci dona una visione particolareggiata della situazione artistica del
periodo a New York, e in particolare del Bronx:

“Fashion Moda è una galleria molto poco convenzionale, e per nulla commerciale, che da tre anni vive
con successo, impiantata nel più pericoloso e malfamato quartiere di NY, il South Bronx. ABC No Rio è
invece uno spazio collettivo “aperto”, specializzato in openings-parties ispirati al sesso e alla morte,
situato nel retrobottega di un negozio sgangherato del Lower East Side. Collectives International, a sua
volta, è il nome scelto da un altro collettivo di artisti, sorto in questi mesi, che si propone di tenere i
collegamenti internazionali, via lettera, tra i vari collettivi di artisti esistenti al mondo. Insomma, mentre
in America come in Europa si celebra il trionfo, in arte, della tradizione e del bel quadro, ecco riemergere
come un geiser impetuoso e bollente la irruente corrente dell’underground. […] L’arte del futuro spia con
grandi occhi scuri spalancati sul centro dalla periferia, mescolata coi detriti e le macerie della città
degradata, confusa tra i ghetti delle minoranze razziali, nutrita dal sangue caldo della negritudine in via
d’espansione.”58

Molto particolare è la descrizione della Alinovi riguardante la figura dell’artista newyorchese:

“L’attuale arte d’avanguardia, più che sotterranea, è arte di frontiera; sia perché sorge, letteralmente,
lungo le zone situate ai margini geografici di Manhattan (Lower East e South Bronx), sia perché, anche
metaforicamente, si pone entro uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite, bianco e nero,
aggressività e ironia, immondizie e raffinatezze squisite. Questi artisti sono simultaneamente “penne nere
e visi pallidi”, e sono i nuovi kids di NY: ragazzacci dall’aria sbeffeggiante e gentile, che insozzano di
segni e graffiti la città ma si presentano in bella mostra anche nelle gallerie, e attraversano come bande
guerriere i quartieri più luridi di New York partecipando poi come ultima fashion ai parties più eleganti. I
kids sono i nuovi dominatori della scena artistica newyorkese, portatori di un’estetica dell’eterna infanzia
che gioca a guardie e ladri a rischio della propria pelle e si lancia in scorribande nella città messa a ferro e
fuoco, saccheggiando ogni ben di dio tra i suoi rifiuti. La metropoli si è autodegradata per eccesso e ora,
come un immenso campo di terra bruciata, offre frutti spontanei dal sottosuolo: monitors, ferraglie d’auto
fracassate, vetri infranti, frammenti di mobili usati, fili elettrici, valvole, spinterogeni. Natura e cultura
sono, nella nuova prateria di NY, perfettamente integrate. Sono tutt’uno.”59

Molti collettivi si creano in questi anni e uno dei più produttivi e incisivi della scena artistica
newyorchese è CoLab (Collaborative Projects Inc.) fondato dall’artista del Bronx John Ahearn,
artista molto vicino all’ambiente della Graffiti Art. CoLab organizza numerose mostre e tutte di
grande impatto, tra le più significative possono essere ricordate quelle in collaborazione con
Fashion Moda, come Real Estate Show nel Lower East Side del 1980 o, dello stesso anno, il Time
Square Show, nell’omonimo luogo:

                                                                                                               
58  Alinovi F., op. cit., p. 12.
59
Ivi. p. 13.
29  
 
“Tutto iniziò con l’organizzazione della mostra che rese visibili i primi graffitisti, la Time Square Show,
inventata da Tom Otterness (1952) e gestita nominalmente dal CoLab e dallo spazio alternativo Fashion
Moda. L’esposizione ebbe luogo in un locale equivoco abbandonato, temporaneamente trasformato in
uno spazio espositivo inusuale e illegale (eppure i fondi per la mostra provenirono in gran parte dalla
National Endowements for Arts). Vi trovarono posto le opere dello stesso Otterness; i calchi policromi,
allegri, affettuosi che John Ahearn coglieva senza alcun senso dell’horror dai cadaveri dei suoi compagni
di quartiere; le tavole coloratissime di giovani afro-americani che si firmavano Toxic, Crash, Zephyr,
Futura 2000, Rammellzee. Il loro stile avrebbe potuto dirsi un incrocio tra l’all over painting alla Pollock
e le immagini dei fumetti televisivi alla Hanna e Barbera, in una sintesi di cultura alta assimilata per caso
e di cultura bassa bevuta in televisione.”60

Lo scopo di questi show è quello di avvicinare l’arte alla strada, o di rappresentare quest’ultima
attraverso l’arte. L’obiettivo è quello di ottenere un’interazione tra artista e gente del luogo. Infatti,
molte mostre sono caratterizzate dal fatto di essere aperte a tutti, artisti e non, e chiunque ha la
possibilità di esporre.
Così Keith Haring ricorda The Time Square Show e alcuni dei suoi protagonisti:

“Fu un punto di svolta per il mondo dell’arte di quel periodo perché, per la prima volta, tutti i tipi di arte
underground venivano esposti in un unico spazio, compresi i graffiti. Per la prima volta il mondo
dell’arte riconobbe l’esistenza dell’underground. Jean-Michel Basquiat realizzò l’insegna della
mostra[…], Kenny (Scharf) portò i suoi elettrodomestici […] e c’era anche Lee Quinones, uno dei
migliori graffitari. Alla mostra prese parte anche Fab Five Fred, famigerato tra i graffitari per aver
ricoperto da cima a fondo un treno della metropolitana con le lattine di zuppa Campbell, un ovvio
riferimento a Andy Warhol. I graffiti diventavano sempre più sofisticati, ricchi di riferimento dell’arte
vera che, a sua volta, iniziò a prestare molta più attenzione al mondo dei graffitari.”61

Queste mostre non lasciano indifferenti curatori e galleristi i quali cercano di assicurarsi gli artisti
migliori. Il New Museum organizza una mostra dedicata ai principali collettivi promotori di questi
show, la Sidney Janis Gallery organizza nel 1983 la mostra Post Graffiti e galleristi come Tony
Shafrazi iniziano a trattare artisti come Baechler, Haring o Scharf.

                                                                                                               
60
Vettese A., Capire l’arte contemporanea, Torino, Umberto Allemandi & C., 2010, p. 292.  
61
Gruen J., Keith Haring. La biografia, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2007, p. 90.
30  
 
1.8 Gli artisti

“Se non ci fossero loro, la scena artistica di New York sarebbe grigia e funerea come l’ufficio
finanziario di un palazzo di Wall Street.”62
La Alinovi effettua una descrizione appurata degli artisti appartenenti alla scena newyorchese
degli anni Ottanta, illustrando il loro punto di partenza e quello di arrivo:

“i kids hanno coniato slangs personali che confondono i sistemi della comunicazione attuale, perché
provengono loro stessi da una personale condizione di confusione naturale e culturale. Cresciuti ai
margini dell’Eldorado dell’arte, escono dai ghetti della periferia, […] sono il prodotto nuovo di zecca di
quello che è il terzo mondo americano: alta cultura mescolata a bassa natura, e immenso patrimonio
conoscitivo mescolato a un conto zero nella banca. […] Artisti bianchi che, per via di scelta culturale,
hanno deciso di accomunare la loro sorte a quella degli emarginati per condizione naturale: alla sorte cioè
dei musi neri emersi dai bassifondi sotterranei dei treni e dalle rovine urbane del South Bronx. Loro ora
lavorano tutti spensieratamente per le gallerie più vivaci e brillanti di New York: Fashion Moda nel South
Bronx, Tony Shafrazi e la Fun Gallery di Patti Astor a Soho. E intrattengono vantaggiose relazioni
commerciali anche con altre gallerie più stabilizzate: Annina Nosei e la Bonlow Gallery, sempre a Soho,
e le gallerie di Barbara Gladstone e di Brooke Alexander sulla 57esima Strada. […] I neri, consacrati dal
successo dei graffiti, hanno letteralmente invaso la scena artistica newyorchese e innestato processi di
imprevedibili reazioni chimiche a catena nel mondo del pennello. I neri, già da tempo dominatori del
campo musicale e della danza, hanno conquistato per la prima volta nella storia anche il mondo
dell’arte.”63

In questo periodo, l’Aerosol Art è un movimento in grande ascesa, le gallerie calcano l’onda
lanciando continuamente artisti nuovi e tutti i media si occupano di questo movimento underground
e all’avanguardia. Gli artisti, tra quelli facenti parte delle scuderie dei vari galleristi e quelli operanti
ancora sulle strade, sono in gran numero ed è impossibile citarli tutti. Qui di seguito si elencano
alcuni dei graffiti artists più influenti e rilevanti del periodo. Non bisogna però dimenticare altri
nomi significativi, tra i quali: Dondi, Zephhyr, Phase II, Vulcan, Skeme, Kase, Seen e molti altri.

1.8.1 Futura 2000

Futura 2000 (1955) è un graffiti artist proveniente dall’Upper West Side di New York, tuttora in
attività. Come molti writer, con il tempo è stato capace di innovarsi e reinventarsi. Attualmente
lavora come graphic designer e lavora per marchi quali Levi’s, Nike, the North Face. Artista
                                                                                                               
62
Alinovi F., op. cit., p. 28.  
63
Ibid.
31  
 
poliedrico, ha collaborato anche con grandi musicisti come The Clash e ha contribuito a far
conoscere l’Aerosol Art in tutto il mondo.
La figura di Futura 2000 ha una grande rilevanza artistica per il mondo dell’Aerosol Art, dal
momento che, pur rimanendo all’interno di una corrente basata sul lettering, egli fu uno dei primi
writer a sviluppare una ricerca sull’immagine. La sua è un’arte astratta, caratterizzata da un’assenza
di figurativismo e da un cromatismo deciso. Indimenticabili i vagoni della subway di New York da
lui dipinti, a sfondo futuristico e spaziale, che gli sono valsi l’appellativo di “space-age Kandinsky”:

“l’esplosione del motivo iconico avviene nel vuoto dello spazio cosmico, dove del corpo astrale che lo
solcava permane solo una nuvola, uno spolverio di detriti, indistinguibili però dalla normale polvere
cosmico e dallo sciame di detriti che riempiono il vuoto e il buio astrale, interrotto solo dall’accendersi
sfrigolante di lampi, di scintille elettriche, nate dall’attrito che quelle residue particelle di materia, pur
minime, riescono a provocare tra loro.”64

Da sempre fortemente interessato alla tecnologia, attualmente lo strumento che predilige è il


computer.
Nel corso degli anni ha esposto in numerose gallerie e musei quali: Fun Gallery, Tony Shafrazi
gallery, Moma PS1 e Moca di Los Angeles. [figura 8]

1.8.2 George “Lee” Quinones

Conosciuto con la tag “Lee”, George Lee Quinones nasce nel 1960 a Portorico, ma cresce a New
York. Inizia precocemente a colpire i treni e viene considerato molto presto un king, per via della
sua prolifica operosità. Durante la sua attività sui treni, Lee si occupa quasi esclusivamente di whole
cars e grazie a questa attività ottiene massimo rispetto dalla maggior parte dei writer. Egli fonda
una delle più famose e cospicue crews del periodo, The Fabolous Five.
Per merito del suo stile unico e innovatore rimane un esempio per molte generazioni successive di
writer e tuttora viene considerato uno dei pilastri dell’Aerosol Art. Lee ottiene il ruolo di
protagonista nel film Wild Style e le sue opere sono presenti nei volumi più rilevanti dedicati al
Graffiti Writing come Subway Art o Spraycan Art.
Lee è da sempre impegnato socialmente e le sue opere sono uno specchio di questo suo aspetto.
Egli ritiene che i muri dei campi sportivi o le carrozze dei treni dipinti siano un valore aggiunto per
la città e utilizza questi ultimi come veicolo di comunicazione per dialogare con essa. Memorabili
                                                                                                               
64  Barilli
R., Haring, Firenze, Giunti, (Inserto redazionale di: Art e dossier, n. 162 dicembre 2000),
2000, p. 43.  
32  
 
sono alcuni vagoni apparsi in giro per New York durante le festività, come ad esempio il whole car
apparso durante la giornata della festa della mamma nel 1977 con la scritta “Happy mother’s day
mom”, oppure il vagone natalizio dipinto insieme a The Fabolous Five decorato con la scritta
“Merry Christmas to New York”. Il pezzo più famoso di Lee è molto probabilmente il pezzo del
1976 Doomsday, il quale contiene tutte le sue caratteristiche stilistiche. All’interno del pezzo
inserisce fiamme, palazzi e mostri, cifre stilistiche che caratterizzano il suo stile. Sotto il pezzo
scrive:

at 1 o clock, jan 31, 1976 the two cars stood parked like silent whales. Time passed as i kept painting
away. After hours of stranded painting i managed to finish the masterpiece i’ve dreamed and planned for.
The piece i call Doomsday was finished on the morning of jan 32, 197665

Stewart analizza l’opera:

“rather than making his name the focus of his pieces, Lee created grand pictorial schemes, which he then
signed with his name in large letters. The Doomsday cars consist of a rambling composition of tilting
tenements, flames, and a threatening horned alien monster. […] He dated his creation like a formal
artwork (although slightly eccentrically), and this practice was picked up by many of the better writers.”66

Lee è stato uno dei primi a considerare i graffiti una forma d’arte e da sempre si batte per la loro
difesa e per il riconoscimento dei writer come artisti. La sua corrente di pensiero la si può trovare in
un pezzo del 1981 in cui Howard the Duck recita una frase-inno per tutto il movimento: “Graffiti is
an art and if art is a crime, let god forgive us all.”67 [figura 9]

                                                                                                               
65
All’una di notte, del 31 gennaio 1976 i due vagoni erano parcheggiati come balene silenziose. Il
tempo passava mentre io continuavo a dipingere. Dopo ore di pittura arenata, finalmente sono
riuscito a terminare il pezzo che avevo sognato e pianificato. Il pezzo chiamato Doomsday è stato
finito la mattina del 32 gennaio 1976. (trad. mia).  
66
“Invece di rendere il suo nome il focus del pezzo, Lee ha creato un grande schema pittorico e lo
ha firmato con il suo nome a grandi lettere. I vagoni del pezzo Doomsday consistono in una
composizione selvaggia di palazzi ondeggianti, fiamme e un minaccioso mostro alieno cornuto.
[…] Ha datato il pezzo come un’opera d’arte formale (seppur in maniera eccentrica) e questa
pratica è stata assimilata dai migliori writer.” Stewart J., op. cit., p. 178.
67
“I Graffiti sono un’arte e se l’arte è un crimine, che Dio ci perdoni tutti”.
33  
 
1.8.3 Lady Pink

Lady Pink (1964) originaria dell’Ecuador, ma cresciuta nel Queens, è una delle figure femminili più
importanti e conosciute nel mondo dell’Aerosol Art. Nonostante i lavori di certe figure femminili
siano notevoli, la presenza femminile nel mondo dell’Aerosol Art è scarna, a causa di limiti fisici e
di un ambiente un po’ ostile. Agendo quasi sempre in notturna infatti, le ragazze sono più sotto il
controllo delle famiglie e anche se riescono ad uscire, è molto più ostico per loro saltare da un treno
all’altro, arrampicarsi o viaggiare di notte tra i binari. Lady Pink tuttavia, non si scoraggia, inizia a
colpire i treni all’età di quindici anni e ben presto viene rispettata anche dai writer uomini. Prende
parte a diverse crews, tra cui The Cool 5 e The Public Animals. La sua attività di bombing dei treni
va dal 1979 al 1985. Espone in svariate mostre, tra le quali la già citata Graffiti Art Success a
Fashion Moda nel 1980 e raggiunge il successo grazie al film Wild Style in cui ottiene la parte di
co-protagonista insieme a George “Lee” Quinones.
Nei suoi lavori, accosta figure psichedeliche a immagini di New York, che testimoniano lo stretto
legame che accomuna l’artista alla sua città.
Lady Pink collabora in diverse occasioni con la street-conceptual artist Jenny Holzer e attualmente
lavora principalmente su tela, ma non mancano collaborazioni a progetti di murales. [figura 10]

1.8.4 Rammellzee e il Panzerismo Iconoclasta

Rammellzee (1960-2010), è uno dei protagonisti più eclettici del mondo della Spray Art. Inventore
di uno stile personale, il “Panzerismo Iconoclasta”, la sua ricerca stilistica e artistica si concentra
sulla “guerra del linguaggio”, una lotta dello stile contro i contenuti. Con un atteggiamento
decisamente futurista, Rammellzee scardina le regole del linguaggio per crearne uno nuovo, libero.
Come avvalora Poli: “Rammellzee concentra la propria ricerca su analisi linguistiche e calligrafiche
che lo impegnano anche sul versante della performance per attuare la propria teoria delle “lettere
armate” e rifondare la scienza del linguaggio su basi intuitive.”68
Così la Alinovi descrive Rammellzee dopo averlo incontrato in uno dei numerosi viaggi a New
York:

“Rammellzee è caffelatte, ha venitquattro anni, alto, magro, allampanato. Rammellzee è emerso


dall’oscurità delle profondità sotterranee dopo anni passati nella vertigine dei labirinti della subway. […]

                                                                                                               
68
Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad
oggi, Milano, Electa, 2003, p. 242.
34  
 
Ha elaborato una sofisticatissima teoria delle “lettere armate”, detta anche “panzerismo iconoclasta” o
“futursimo gotico”, che rifonda su basi esclusivamente intuitive e visionarie la scienza del linguaggio.
[…] Mette assieme termini tecnici estrapolati dalla semiotica, dalla fisica, dalla matematica, dal conflitto
nucleare, dalle strategie belliche medievali con un gergo di bassifondi strappato allo slang dei neri, delle
comunità dei derelitti.”69

Si tratta insomma di un linguaggio “fosco, criptico e nebuloso”70, costituito da lettere dinamiche,


contorte e ornate, che rievocano le lettere gotiche miniate.
Rammellzee vuole riformare il linguaggio e per farlo inscena una vera e propria guerra, chiamando
a raccolta un gruppo di “militari” a cui affida ciascuno il compito di reinventare la scrittura
dell’alfabeto: così al writer A One viene affidata la A, a Koor la lettera B, a Toxic la C. Insieme
questi militanti formano la Tag Master Killers, una vera e propria banda armata (in questo caso però
le armi sono le bombolette spray) che colpisce in superficie per diffondere il verbo panzerista. Le
lettere di Rammellzee e dei suoi seguaci esplodono su degli sfondi futuristici o surreali. Come
asserisce Barilli:

“Con Rammellzee siamo portati addentro nei segreti dello spazio cosmico, ad affrontare uno spolverio di
asteroidi che ci bombardano inquieti, disgreganti, pronti anche a inghiottire le lettere a caratteri cubitali
come ogni altro materiale prefabbricato che l’artista è pronto a immettere in quella fornace, non si sa se
per alimentarne la combustione o per tentare di spegnerla, imponendole un principio d’ordine.”71

Rammellzee vuole innalzare il Graffiti Writing a fenomeno colto, alto. Il suo stile è studiato e
complesso e l’artista cerca di diffonderlo attraverso vari media e forme artistiche; Rammellzee
infatti è anche scultore, perfomer e musicista.
Una tecnica molto utilizzata dall’artista è il collage, poiché riesce più facilmente a scardinare le
lettere e “bombardare” i vari elementi sulla tela. Rammellzee utilizza una vera e propria logica a
collage

“grazie alla quale ha giustapposto i vari ordini di conoscenza creando un linguaggio ermetico, uno
slanguage che dissocia le lettere dal loro significato concettuale per inserirle in un universo alternativo, in
cui diventano materia capace di generare nuovi assemblaggi. Il linguaggio non si impone su un universo
di significato, ma si spoglia del suo potere per favorire l’ibridazione dei linguaggi e delle diverse culture
che, intrecciandosi tra loro, affollano ghetti e sobborghi.”72

                                                                                                               
69
Alinovi F., op. cit., p. 30.
70
Ibid.  
71
Barilli R., Haring, cit., p. 46.
72
Lucchetti D., op. cit., p. 64.
35  
 
In una intervista della Alinovi a Rammellzee l’artista spiega le azioni sue e del suo gruppo:

“noi ci definiamo come tag master killer perché, militarmente, scriviamo l’illeggibile. I membri della mia
banda sono tre, A One, B One e C One, e io posso armarli. Loro però sono anche totalmente autonomi
nell’armarsi da soli. […] Loro non sono assassini, non sono loro ad uccidere, praticano solo l’armamento.
Sono le lettere ad uccidere le altre lettere. […] C’è un solo stile, ed è panzerismo iconoclasta. Non
esistono altri stili in questa evoluzione della struttura della lettera.”73

La sua battaglia contro la standardizzazione del simbolismo delle lettere e i suoi piani anarchici per
revisionare i codici del linguaggio, uniti a un modo di presentarsi nella società piuttosto originale (si
munisce di maschere e costumi scenici) fanno di Rammellzee una delle figure più interessanti e
brillanti di questo panorama artistico. Un innovatore all’interno del nuovo. [figure 11-12]

1.8.5 Martha Cooper, Henry Chalfant e Subway Art

Martha Cooper (ca. 1940) e Henry Chalfant (1940) non sono writer, ma hanno un ruolo cruciale per
lo sviluppo dell’Aerosol Art negli anni Ottanta. Grazie al loro contributo, i pezzi sui treni dei writer
newyorchesi fanno il giro del mondo. Entrambi sono fotografi, i quali testimoniano il lavoro dei
giovani writer nella subway di New York durante gli anni Settanta-Ottanta. Nel 1984 pubblicano il
volume fotografico Subway Art, ottenendo successo e consensi. Il volume è considerato ancora oggi
uno dei libri fondamentali sul Graffiti Writing e uno dei viatici per poter conoscere e approfondire
questo movimento.
Nell’edizione del 25esimo anniversario del libro, la Cooper racconta il suo approccio con il mondo
dei graffiti:

“Un giorno un ragazzo che avevo fotografato mentre faceva volare dei piccioni mi suggerì mostrandomi
il suo taccuino di disegni: “perche non fotografi i graffiti?”. Spiegò che stava disegnando lo sketch del
proprio nickname e mi fece vadere la trasposizione che ne aveva fatto su un muro. Fu una rivelazione. [...]
Dato che avevo mostrato un forte interesse per i graffiti, si offrì di presentarmi a un king il quale era
niente meno che Dondi. […] Dondi descrisse con dovizia di particolari la complicata procedura per
dipingere un treno: la progettazione del pezzo, come procurarsi le vernici, l’ingresso nelle yard e
l’esecuzione. Mi insegnò la terminologia dei graffiti e mi presentò ad altri writer. Più cose imparavo su
questa cultura, più mi veniva voglia di documentarla fotograficamente.”74

                                                                                                               
73
Intervista per “Flash Art”, Milano, giugno 1983 (114).  
74
Cooper M., Chalfant H., Subway Art, Milano, L’Ippocampo, 2009, p. 6.
36  
 
Continua raccontando di come i graffiti siano diventati la sua passione e il suo principale obiettivo:

“Da quel momento cominciai a battere il Bronx in cerca di punti panoramici con una vista aperta sui
treni. Divenne un’ossessione, al punto che mi alzavo prima dell’alba per non perdere i treni dell’ora di
punta e qualche volta stavo in piedi anche cinque ore di fila su un terreno incolto del Bronx per cogliere la
perfetta inquadratura, quella cioè in cui fossero presenti buone condizioni di luce, un pezzo magistrale e
un interessante sfondo contestuale.”75

La Cooper e Chalfant sono subito ben accetti nell’ambiente underground del Graffiti Writing, tant’è
che raccontano come spesso ricevessero messaggi in segreteria telefonica da parte dei giovani
writer in cui annunciavano le coordinate dei treni appena colpiti.
I fotografi sono tra i primi a documentare questo mondo ed è grazie alle loro fotografie e alla loro
attività che i pezzi si sono preservati e non sono andati perduti, poiché come già ribadito, spesso i
pezzi sui treni durano anche meno di ventiquattro ore. La Cooper ammette di essersi resa conto solo
in un secondo momento dell’importanza della sua attività di documentazione storica:

“avevo sempre creduto che il fenomeno potesse esistere solo a New York. Alla fine degli anni Settanta la
città era sull’orlo della bancarotta, con interi quartieri in disfacimento, e i depositi ferroviari sprovvisti sia
di solide recinzioni, sia di un efficace servizio di sorveglianza. Ritenevo che proprio quella situazione
unita al fatto che New York era al centro del mondo dell’arte, avesse creato una serie di condizioni che
avevano dato origine al fenomeno dei graffiti sulla subway, e che fosse impossibile il suo ripresentarsi
altrove. Immaginavo che i graffiti si sarebbero esauriti nel giro di qualche anno e che io sarei rimasta in
possesso di un raro e insolito archivio fotografico. Fotografavo in un’ottica di testimonianza storica. Non
mi era nemmeno passato per la testa che ai ragazzini di paesi asettici come la Svezia sarebbe venuta
voglia di dipingere treni.”76

Per merito della loro attività di antropologia visiva, questa sotto-cultura viene scoperta in continente
e fuori: moltissime copie del volume iniziano a circolare in Europa, fotocopiate e trasmesse tra i
vari gruppi giovanili. Da questo momento, il movimento del Graffiti Writing è in estrema ascesa e
la sua diffusione risulta inarrestabile. [figura 13]

                                                                                                               
75
Ibid.  
76
Ibid.
37  
 
1.8.6 Gli “Outsider”. Haring, Basquiat e gli altri “big”.

“A volte non salivo nemmeno sul primo treno: rimanevo seduto ad aspettare per vedere cosa c’era
disegnato sul treno successivo. I graffiti erano la cosa più bella che avessi mai visto.”77
Una chiarificazione su personaggi quali Haring o Basquiat è necessaria, poiché non si può
parlare di Graffiti Art senza nominarli, ma non è possibile nemmeno ascriverli totalmente in questo
particolare fenomeno. Haring e Basquiat, cosi come Sharf o Holzer, sono artisti atipici, in un certo
senso “apolidi” in riferimento al genere di appartenenza. Non sono writer, anche se hanno iniziato
la loro carriera dipingendo nella subway o per strada, vedi Haring o Basquiat, ma non sono
nemmeno artisti per così dire “accademici”, nonostante siano stati fin da subito inseriti nell’olimpo
dell’arte. Lo stesso Basquiat si discosterà dalla corrente graffitista, pur apprezzandola e
rispettandola.
Kenny Scharf (1958) e Ronnie Cutrone (1948-2013), grande amico di Keith Haring il primo e
collaboratore di Andy Warhol alla Factory per otto anni (1972-1980) il secondo, sono due artisti
sfaccettati, che prendono ispirazione da molte fonti: decisamente pop, ma con alla base il mondo
dell’Aerosol Art. Entrambi sono diventati famosi per i loro soggetti appartenenti al mondo dei
fumetti, come ad esempio Felix the Cat, the Jetsons o Woody Woodpecker. Fanno parte del mondo
underground della New York anni Ottanta e così li descrive la Alinovi nei suoi saggi:

“Kenny Scharf, amico di Keith Haring e autore assieme a lui di alcuni videotapes postapocalittici, dipinge
piccoli eroi di fumetti anni ’50, astronavi da guerra impegnate in giochi spaziali, galassie e orbite stellari.
Kenny dipinge su qualsiasi oggetto mobile, utensile, tecnologia o cosa trovata. La sua casa, nel Lower
East Side è interamente ridecorata da lui. […] L’ispirazione dei kids parte sempre da matrici infantili e si
basa su immagini, oggetti, persone prefabbricate, trovate nella cultura di massa o sulla strada, ma del tutto
rimanipolate soggettivamente. Anche Ronnie Cutrone, dipinge sagome di indiani ed extraterrestri
sottraendole alle figurine di plastica molto economiche in vendita presso i negozi di giocattoli. Sagome
che si divorano cannibalescamente tra loro. Finta violenza di gocciolature di sangue colato dal tubetto
rosso; crani di guerrieri irsuti come demoni; figure animalesche e selvagge bloccate in stereotipi
irriconoscibili.”78

Barilli definisce la figurazione di Sharf parasurrale, con corpi fluttuanti su sfondi dai colori
abbaglianti, mentre Cutrone ci rammenta che i graffiti devono considerarsi alleati naturali
dell’immaginario pop79. [figura 14]
                                                                                                               
77
Keith Haring in Gruen J., op. cit., p. 64.  
78
Alinovi F., op. cit., p. 24.
79
Barilli R., “Il graffitismo dal passato al futuro”, cit., p. 14.
38  
 
La produzione e la ricerca artistica di Keith Haring (1958-1990) è vasta e complessa. La sua
arte è pregna di richiami simbolici legati alla società del tempo e le sue fonti spaziano dalle
calligrafie giapponesi alla ritualità di Pollock. La gestualità forte, il ritmo delle immagini e i suoi
personaggi antropomorfi e zoomorfi indimenticabili, rendono Haring uno degli artisti più
significativi degli anni Ottanta. Ci limiteremo qui a parlare del suo legame con i graffiti.
Haring è forse il nome più famoso associato al fenomeno del Graffiti Writing, anche se non
appartiene al movimento dell’Aerosol Art. Egli conosce la storia dell’arte, ha studiato Dubuffet e
Klee e ammira Pollock, Tobey e tutto l’espressionismo astratto americano. Una volta arrivato a
New York, nel 1978, si interessa ai giovani writer e inizia anche lui a operare nella subway. In
particolare, si impegna a riempire gli spazi rimasti vuoti dalle affissioni pubblicitarie all’interno
delle stazioni della metropolitana. Come dichiara nella sua biografia:

“quasi subito dopo il mio arrivo a New York, nel 1978, i graffiti che vedevo in strada e in metropolitana
iniziarono a interessarmi, a intrigarmi e ad affascinarmi. Spesso prendevo la metropolitana per andare a
visitare musei e gallerie d’arte e iniziai a notare non solo i grandi graffiti che ricoprivano l’esterno dei
vagoni ma anche le incredibili calligrafie all’interno delle vetture, che mi ricordavano sia ciò che avevo
studiato a proposito della calligrafia cinese e giapponese sia il flusso di coscienza tra la mente e la mano
di artisti come Dubuffet, Mark Tobey e Alechinsky.”80

Nei suoi primi cinque anni newyorchesi, Haring si dedica completamente alle gallerie e alle stazioni
sotterranee della subway, producendo centinaia di disegni. Il suo modus operandi è prevalentemente
quello di affiggere dei cartelloni neri sulle pubblicità scadute o rovinate e disegnarci sopra con un
gessetto bianco. Abbandonati i subway drawings, abbandonerà pure lo stile in bianco e nero,
preferendo i colori intensi e pop. Il suo stile è inconfondibile, parte anch’egli dai fumetti, fino a
scarnificare sempre di più l’immagine. Le figure diventano estremamente stilizzate, fino a
raggiungere il loro archetipo. Come asserisce Barilli “non più immagini, ma tracciati schematici,
volutamente poveri, così da ritrovare gli ideogrammi di tante culture tribali.”81 Le sue immagini, il
suo radiant child simbolo della “de-evoluzione” dell’uomo nell’era postatomica82 e figura costante
in tutta la sua evoluzione stilistica, ricoprono interamente la tela, in un senso di horror vacui pop e
dai colori sgargianti. Haring non si limita a operare sui muri o sulla tela, ma lavora su ogni tipo di
supporto. L’arte deve essere libera e come dichiara lui stesso: “Quello che a me interessa soprattutto

                                                                                                               
80
Gruen J., op. cit., p. 64.  
81
Barilli R., Haring, cit., p. 25.
82
Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad
oggi, cit., p. 243.
39  
 
è che i miei disegni potrebbero essere disegnati su qualsiasi supporto o materiale, come i geroglifici
egizi, i pittogrammi maya o indios.”83
Durante tutti gli anni Ottanta, Haring è all’apice del successo e i suoi interventi sono estremamente
richiesti. Rimarchevole è l’opera Tuttomondo del 1989, la pittura murale che Haring dipinge sulla
facciata esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa, definito da lui uno dei momenti più
memorabili di tutta la sua carriera.84 [figura 15] Non mancano le customizzazioni, commissionate
dai più grandi marchi, una delle collaborazioni più famose è sicuramente quella tra Haring e la
Swatch. Il suo linguaggio viene definito “semplice e sintetico, anche se mai semplicistico.”85 Pur
non essendo un writer e non facendo parte del mondo dell’Aerosol Art più pura, partecipa insieme
ai graffiti artists alle mostre più all’avanguardia del periodo, come ad esempio il Time Square Show
ed espone in gallerie quali la Fun Gallery o Fashion Moda.
Barilli descrive Jean-Michel Basquiat (1960-1988) come quello che “dell’intero continente
del Graffitismo risulta essere stato il frutto più intenso e riuscito, con la capacità di riqualificare
punto per punto ogni procedimento di quella modalità generale di procedere, senza tradirla, ma
innalzandola di prepotenza dal suo fondo low verso le vette di eccellenza dello high.”86 Anche in
questo caso però, come per Haring, Basquiat risulta un personaggio marginale nell’ambito del
Graffiti Writing, dal momento che lui stesso si distacca dal movimento. La nascita artistica di
Basquiat si ha sul finire degli anni Settanta, più precisamente nel 1978, quando non ancora ventenne
inizia ad apporre la sua firma, una sorta di tag, su tutti i muri di Soho, dove si trovano le gallerie più
in vista. Basquiat inizia ad essere conosciuto nell’ambiente artistico con il nome di SAMO,
acronimo di Same Old Shit e le sue firme fatte con la vernice a spruzzo, unite anche a piccoli
messaggi, iniziano a essere notate da galleristi e artisti. “I graffiti, distribuiti ad arte anche nei pressi
delle gallerie emergenti, come le magliette e le cartoline dipinte a mano, inizialmente espedienti per
sopravvivere, lo conducono gradualmente alla consapevolezza di voler essere un artista.”87 Pur non
avendo una formazione classica, per le sue opere Basquiat attinge da svariate fonti, tra le quali, il
mondo dei fumetti. Come per Haring, l’attività di Basquiat dura un decennio, in questo caso dal
1978 al 1988, anno della sua morte. Per entrambi sono stati dieci anni intensi e brucianti, fagocitati
anche dal nascente meccanismo dell’arte euforico e speculativo degli anni Ottanta e dai mali
collegati a questo decennio: l’aids per il primo e l’eroina per il secondo.

                                                                                                               
83
Vettese A., op. cit., p. 293.
84
Gruen J., op. cit., p. 207.
85
Ibid.
86
Barilli R., “Il graffitismo dal passato al futuro”, cit., p. 14.
87
Mercurio G., “Il re della luna”, in The Jean-Michel Basquiat show, Milano, Skira, 2006, p. 21.
40  
 
“Le loro brevi vite roventi oltrepassano i limiti di qualsiasi regola o regolarità, come fu per Pollock.
Piccoli segni, centinaia di segni, parole accostate fittamente, monologhi, un racconto sulla superficie
piatta, supporto elementare da possedere con forza e determinazione: è anche questa performance come lo
era stato il dripping di Pollock e il meccanismo di una reiterazione così insistita da diventare, a distanza,
un’ossessiva unicità di tono. È nel gesto la potenza decisionale che viene dalle immagini e in esse resta.
La discorsività di Basquiat e le linee convulse eppure tanto consequenziali di Haring hanno questa nota
comune.”88

Il rapporto che lega Basquiat al Graffiti Writing si colloca nella sua prima fase artistica, ossia nei
primissimi anni Ottanta. Partecipa infatti con i graffiti artists alle varie collettive, tra le quali
Beyond Worlds (ideata da Haring, curata da Futura 2000 e Fab Fred al Mudd club) del 1981, a cui
partecipano tra gli altri Rammellzee, Phase II e Lady Pink e si può sostenere che proprio dal grande
successo di questi eventi “ha origine lo sfruttamento commerciale del graffitismo, un’orgia di
mercato gestita esclusivamente da mercanti d’arte bianchi, che in pochi anni cambierà radicalmente
non solo il profilo dell’arte stessa, ma anche la dimensione architettonica della downtown.”89
Anche quando passa alla tela, Basquiat continuerà ad attingere dalla strada per i suoi soggetti e

“firmerà l’addensarsi di immagini prese dalla strada, visioni infantili, simboli di morte, slogan politici,
disegni e scritte rivolte ad amici o a miti dello sport, sempre con una straordinaria capacità di fare nascere
la bellezza dal disordine, abilità che sembra appresa tanto dalla pittura di Cy Twombly quanto alla musica
jazz di Charlie Parker.”90

Quarant’anni dopo l’esordio delle prime tag sulle strade statunitensi, i graffiti sono un fenomeno
ancora in espansione. La musica rap scala le classifiche musicali e la breakdance si insegna nelle
scuole di ballo. L’Hip Hop può definirsi ora una vera cultura, riconosciuta dalle culture di massa e
dai gruppi dominanti. I graffiti sono tuttora al centro di polemiche, disquisizioni, interrogativi sulla
legittimità artistica. Dopo tutti questi anni fanno ancora scalpore, sintomo questo di un fenomeno
per nulla passeggero. Ne è la prova il processo evolutivo del Graffiti Writing, che ha portato alla
nascita di numerosi sotto-generi, quali Poster Art, Stencil Art o Sticker Art, per citarni alcuni. Si
tratta del movimento più influente e innovativo degli ultimi decenni.

                                                                                                               
88
Coen V., “Un’esplosione sotterranea”, in A. Bonito Oliva (a cura di), American Graffiti, Roma,
Panepinto arte, 1998, p. 87.
89
Ivi, p. 25.
90
Poli F. (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad
oggi, cit., p. 242.  
41  
 
[Figura 1] Il writer Cornbread a fianco di una sua tag.
(Fonte: www.graffitiartistcornbread.com)

         

[Figura 2] Articolo del “New York [Figura 3] Locandina del film Wild Style con la
Times” del 21 luglio 1971. Rock Steady Crew in copertina, 1983
(Fonte: www.nytimes.com)
 

42  
 
     
a b

 
c  

 
 d  
 
[Figura 4]
a. Tag appartenente a Stay High 149 (Fonte: www.theboombox.com);
b. Throw up di Giango, Mestre, Venezia (Fonte: Graffiti Writing. Origini, significati, tecniche e
protagonisti in Italia, Milano, Mondadori, 2008);
c. Masterpiece di Dondi (Fonte: Cooper M., Chalfant H., Subway Art, Milano, L’Ippocampo, 2009);
d. Masterpiece eseguito con la tecnica Wildstyle, di Seen (Fonte: Art crimes).

43  
 
     

 
[Figura 5] Hang Nixon! del writer   [Figura 6] Sky’s the limit di Bill Blast, 1982
Mico. (Fonte: www.riotsound.com) (Fonte: www.williamblastcordero.com)
 
 

 
 
[Figura 7] Manifesto di una mostra curata da Fashion Moda (Fonte: gallery.98bowery.com)
 

 
 
[Figura 8] Pezzo di Futura 2000 su un vagone della Subway di New York (Fonte:
allcitystreetart.com)
 

44  
 
 
a   b

[Figura 9. a e b] Due masterpieces di Lee. Il primo compiuto con la sua crew, The Fabolous
Five. (Fonte: Stewart J., Graffiti kings: NYC Mass Transit art of the 1970’s, New York,
Melcher Media. Abrams, 2009s). Il secondo raffigura Howard the Duck che pronuncia la
frase: “I graffiti sono un’arte e se l’arte è un crimine, che Dio ci perdoni” (Fonte: Chalfant H,
Prigoff J., Spraycan art, London, Thames & Hudson, 1995)

     
 

[Figura 10] Lady Pink indossa una t-shirt [Figura 11] Ritratto di Rammellzee.
con stampato uno dei truisms di Jenny (Fonte: www.moma.org)
Holzer, New York, 1983 (Fonte:
www.art21.org)

45  
 
       
[Figura 12] Rammellzee, Lettera B. [Figura 13] Cover del volume
(Fonte: animalnewyork.com)   Subway Art, 1984 (Fonte: Cooper M.,
  Chalfant H., Subway Art) Milano,
L’Ippocampo, 2009
 

 
 

[Figura 14] Kenny Sharf. Murale tra Houston Street e Bowery, New York, 2010 (Fonte:
Huffington Post)

46  
 
 
 
[Figura 15] Keith Haring, Tuttomondo,
Pisa, 1989 (Fonte: Haring Foundation)

47  
 
CAPITOLO 2. DAL GRAFFITI WRITING ALLA STREET ART

“You ask someone: “do you like birds singing in the morning? Do you think it’s beautiful?”and the
person will most probabily answer: “yes”. And then you ask the person: “Well, do you understand
them?” and the person will go: “well, no”. And then you say: “you don’t have to understand
something for it to be beautiful.”91
Tando

Come già asserito nel precedente capitolo, nel corso degli anni il Graffiti Writing ha subito varie
mutazioni, evolvendosi sia nella forma, che nei contenuti, ampliandosi anche a livello ricettivo,
allargando la cerchia del suo pubblico e dei suoi estimatori. Questo processo ha portato alla
comparsa di numerosi sotto-generi e generi paralleli, i quali vengono solitamente accorpati, insieme
al Graffiti Writing, entro il termine omnicomprensivo di Street Art. Per Street Art si intende
qualsiasi tipo di intervento artistico all’interno del tessuto urbano. L’espressione “Street Art”,
nonostante sia ormai diventata di uso comune, ha causato numerose dispute riguardo al suo utilizzo.
Molti writer, ad esempio, non accettano l’appellativo di “street artist”, sostenendo che le loro opere
e quelle di Street Art appartengano a due generi distinti e non comunicanti. Sul versante opposto,
molti street artist non hanno mai praticato il Graffiti Writing e abbracciano una contro-cultura
differente.
Ciò nonostante, il Graffiti Writing e la Street Art possiedono diversi punti in comune: un rifiuto
iniziale del sistema dell’arte, la realizzazione di opere nello spazio urbano, spesso non autorizzate e
l’adesione a sotto-culture.
È necessario quindi fare una distinzione tra Graffiti Writing e Street Art e qualora vi sia la necessità
di accorpare i due movimenti, sarà più opportuno utilizzare il termine generico: “Arte Urbana”.
Dopo aver ampiamente analizzato nel capitolo precedente il Graffiti Writing, nei prossimi paragrafi
l’analisi verterà sulla Street Art.

                                                                                                               
91
Prova a chiedere a qualcuno: “ti piace il canto degli uccelli al mattino? Pensi che sia bello?” e la
persona molto probabilmente risponderà: “sì”. E allora tu potrai chiedere alla persona: “bè, capisci
cosa dicono?” e la persona dirà: “bè, no”, e allora tu dirai: “non è necessario capire qualcosa perchè
sia bella.” Tando in H. Chalfant, J. Prigoff, Spraycan art, London, Thames & Hudson, 1995, p.27.
48  
 
2.1 Graffitismo vs Street Art

Nel volume Street Art. The graffiti revolution92, Lewishon paragona graffiti e Street Art a musica
Jazz e Techno: entrambi appartengono ad una macro-categoria – Arte Urbana nel primo caso e
musica nel secondo – ma rimangono sempre due generi distinti e separati. Anche gli artisti, che
siano writer o street artist, sono concordi sul fatto che Graffiti Writing e Street Art siano forme
artistiche diverse e non debbano essere messe a confronto.

“La Street Art non è un’evoluzione del graffito, è un’alternativa ad esso, è un modo diverso per affrontare
lo stesso problema e lo stesso spazio. Personalmente preferisco la pittura murale, ma l’involucro Street
Art ospita in esso altre nobili discipline quali la stencil art, poster art, sticker art molto importanti per il
proseguo di questa realtà.”93

Lucamaleonte, uno degli street artist più affermati in Italia prosegue:

“I graffiti e la Street Art sono due cose ben diverse e devono rimanere separate. Il graffitismo è
l’evoluzione e lo studio della lettera, definisce un mondo a sé stante, una sottocultura ormai
completamente formata, con delle regole da rispettare. […] La Street Art è un calderone all’interno del
quale ognuno ci mette un po’ quello che vuole, […] credo che ci sia un bel po’ di confusione riguardo alle
definizioni, e, da osservatore interno, penso che non ci sia assolutamente bisogno di questo.”94

La prima grande differenza tra Graffiti Writing e Street Art riguarda la ricezione delle opere. Sten &
Lex, la coppia italiana che da più di quindici anni opera sulla scena mondiale della Urban Art, tra i
primi in Italia a sviluppare la tecnica degli stencil a servizio dell’arte di strada, asseriscono:

“Tutto ciò che viene chiamato Street Art, è inteso come post-graffitismo. Il writing, anche se è ancora una
realtà imponente, resta un linguaggio chiuso per lo spettatore comune, che non è in grado di codificare le
lettere e i suoi significati. La Street Art, invece, essendo per lo più figurativa e basata sull’estetica del
disegno, risulta molto più comprensibile.”95

I graffiti infatti, sono dei codici e solo chi appartiene a questo mondo, a questa cultura, è in grado di
decifrarli. Il linguaggio dei graffiti è un linguaggio autoreferenziale. I writer “puri” utilizzano i
graffiti come forma di comunicazione tra loro o come mezzo di diffusione della propria firma. Lo
                                                                                                               
92
 Lewishon C., Street Art: the graffiti revolution, Londra, Tate publishing, 2008, p.15.  
93
intervista a Giulio Control Zeta, in Ciotta E., Street Art. La rivoluzione nelle strade, Bepress
edizioni, Lecce, 2012, p. 83.
94
Intervista a Lucamaleonte, in Ciotta E., op. cit., p. 85.
95
 Intervista a Sten & Lex, in Ciotta E., op. cit., p. 89.  
49  
 
spettatore comune che si trova davanti a un “pezzo” non è in grado di decodificare la scritta:
riuscirà solo a distinguere delle linee e delle forme apparentemente senza significato, dai colori
accattivanti. Pur riconoscendone talvolta il valore artistico, la lettura dei graffiti risulta, ai più,
ostica.
Gli street artist invece, si rivolgono ad un pubblico più ampio, il loro target è chiunque passi nel
luogo in cui è localizzata l’opera. Un’opera di Street Art è potenzialmente in grado di comunicare
con l’intero insieme demografico urbano, dal bambino, alla famiglia, all’anziano. Mentre ai writer
non interessa ciò che la società pensa di loro, gli street artist sono più impegnati nel cercare
l’approvazione del pubblico. Le opere di Street Art, essendo nella maggior parte dei casi figurative,
non possiedono un messaggio nascosto, da decriptare, sono quindi più comprensibili e di
conseguenza più accettate e benvolute dal pubblico. Le bamboline di Miss Van96 o le margherite di
Flower Guy97, sono decisamente più facili da apprezzare di un pezzo in Wildstyle di Seen o Daze.
[figura 1] Se per i graffiti, quindi, vige ancora uno scetticismo di fondo da parte dell’osservatore,
che si chiede se stia osservando un lavoro artistico o del mero vandalismo, tale dubbio finalemente
svanisce di fronte alla Street Art.
Dal punto di vista formale, Street Art e Graffiti Writing si differenziano su vari livelli. Gli
strumenti utilizzati dai writer sono solo le bombolette spray o i markers, mentre la Street Art,
comprendendo diverse tecniche stilistiche al suo interno, dispone di svariati e numerosi strumenti
(mascherine per stencil, adesivi ecc.) e spesso diventa essenziale anche l’apporto del digitale. Per
quanto riguarda la forma estetica, vi è una vera e propria dicotomia tra le due correnti. Il Graffiti
Writing nasce come studio e sviluppo del lettering, con l’aggiunta di elementi figurativi che avviene
solo in un secondo momento, durante il suo processo evolutivo. La Street Art, invece, crea simboli
o immagini come veicolo espressivo e la presenza di lettere non è un elemento necessariamente
ricorrente. I suddetti simboli, creati attraverso stencil, poster, sticker o qualsiasi altro medium
possibile, diventano spesso veri e propri loghi o logotipi ed è piuttosto comune che diventino le
firme stesse dell’artista. A conferma di ciò, va detto che sono numerosi gli street artist che basano
tutta la loro carriera sullo studio e sull’evoluzione del proprio logo, fino a farlo diventare talvolta un
brand (vedi capitolo 3). Questi pittogrammi stilizzati, universalmente riconoscibili, hanno il forte
                                                                                                               
96
Miss Van (Tolosa, 1973), è una delle principali esponenti della Street Art femminile. Inizia a
dipingere sui muri già dai primi anni Novanta, scegliendo la vernice acrilica come strumento per le
sue opere. Dipinge esclusivamente soggetti femminili. Le sue donne sono bambole sensuali, con
una sfumatura dark. Molto presente è l’influenza dei manga giapponesi, del burlesque e delle pin-
up americane anni Cinquanta.
97
Flower guy, pseudonimo di Michael De Feo. Street artist dalla carriera ventennale, lavora sia su
tela che sui muri. É famoso per i suoi fiori stilizzati colorati, realizzati su poster o direttamente sulla
parete.
50  
 
potere di comunicare senza bisogno di usare parole e l’osservatore è così in grado di interpretarli e
generare proprie reazioni e sensazioni proprie. Si può affermare in definitiva, che il logo diventa
l’elemento identificativo dello street artist. Per fare un esempio, imbattendoci in una freccia che
punta verso l’alto, che sia dipinta su un muro o in forma di mobile pendente da un albero, in
qualsiasi parte del mondo, avremo la certezza di trovarci davanti a un’azione di Above98. Il logo
può essere quindi considerato come il corrispondente iconografico della tag.
Una delle critiche più ricorrenti rivolte alla Street Art da parte degli estimatori del Writing
puro, è l’accusa di creare pezzi seriali, al contrario dei graffiti, i quali sono sempre pezzi unici.
Effettivamente la Street Art prevede la creazione di opere di massa, basti pensare agli sticker e ai
poster della campagna Obey the giant dell’artista americano Shepard Fairey, i quali possono essere
richiesti e ricevuti per posta o le cui immagini possono essere scaricate dal sito internet. La
campagna Obey the giant ha creato un fenomeno virale che, da vent’anni a questa parte (i primi
adesivi sono stati creati da Fairey alla fine degli anni Ottanta), ha portato il volto del wrestler André
the Giant a campeggiare sui poster e sugli adesivi in ogni parte del mondo, dalla Quinta strada di
New York ai quartieri più eleganti di Londra o Parigi, fino in Giappone e in Corea.
Serialità, viralità e partecipazione, sono le caratteristiche principali della Street Art, che si
contrappongono alla irripetibilità e alla unicità del gesto dei graffiti.
Un’ulteriore divergenza riguarda il tempo e sulla modalità di azione. I writer svolgono il
lavoro totalmente in loco, l’unica eccezione è data dalla bozza del disegno che può essere
precedentemente schizzata sul proprio sketchbook. Un writer impiega, in questo modo, da qualche
minuto per semplice un throw up fino a svariate ore per i pezzi più grandi, correndo così rischi
maggiori nel caso di azioni illegali. Per lo street artist, invece, l’azione sulla strada è solo l’ultima
parte di un lungo processo preparatorio attuato in studio. Lo street artist elabora i disegni, poi crea i
supporti e solo infine può andare in strada a concludere l’opera. Il tempo di azione in strada si
riduce così drasticamente, da pochi secondi per attaccare un adesivo, a una manciata di minuti per

                                                                                                               
98
Above, classe 1981, è uno street artist californiano. Attivo dal 1995, Above è un artista poliedrico
e il suo lavoro si contraddistingue per la creazione del suo caratteristico logo – una freccia che
punta “above”, in alto, appunto – utilizzando vari stili e tecniche. Eccelle nella Spray Art, nella
Sticker Art, nella Stencil Art o nell’arte cinetica. In ogni suo viaggio, ama esplorare un nuovo stile.
Oltre al suo logo, si concentra su opere text-based o di Stencil Art, solitamente a sfondo sociale o
politico. Emblematico, è il suo graffito apparso nel 2012 sui muri di uno dei più grandi centri di
esportazione di diamanti al mondo, a Johannesburg, in cui si legge: “Diamonds are a woman's best
friend, and a man's worst enemy”, (i diamanti sono i migliori amici della donna e i peggiori nemici
dell’uomo). Lavora in anonimato. Per ulteriori informazioni riguardo Above si rimanda a: Manco
T., Street Logos, Londra, Thames & Hudson, 2004; C100, The art of rebellion III. The book about
Street Art, Mainschaff, Publikat, 2010; Ganz N., Graffiti World: Street Art dai cinque continenti,
Milano, L’Ippocampo, 2006.  
51  
 
affiggere un poster o creare un disegno tramite stencil. Il fatto di creare i propri lavori in studio
porta ad avvicinare gli street artist agli artisti di Belle Arti veri e propri, piuttosto che a degli artisti
“di strada”. Non a caso i principali street artist possiedono spesso un background di studi artistici
anche a livello accademico.
Eine (alter ego di Ben Flynn, 1970) nasce artisticamente come writer ed è un personaggio di rilievo
nella scena del Graffiti Writing e della Street Art londinese. La ricerca di Eine si basa totalmente
sullo sviluppo della lettera pura e per fare ciò, dipinge a caratteri cubitali tramite la bomboletta
spray tutte le lettere dell’alfabeto per ogni tipo di font esistente, sulle saracinesche dei negozi.
Parallelamente al Writing, Eine si dedica anche agli sticker e per questo è considerato un punto di
incontro tra le due culture. Nel 2010 il primo ministro David Cameron ha donato al presidente
Obama una tela di Eine99. [Figura 2]
Eine afferma: “the Street Art movement is lots of kids who don’t necessarily want to go around
vandalising everything and they’re more into art, and art college. This movement is a lot friendlier
and a lot happier and not so hardcore.”100
Nonostante questo, non sono rari anche i casi in cui gli street artist provengano dal mondo del
Graffiti Writing, il quale funge da base per i processi di ricerca degli artisti. Ne sono un esempio
artisti consolidati come Barry McGee o JR.
La scelta del luogo di azione è più rilevante per gli street artist che per i writer. Come si è già
inteso, spesso le opere di Graffiti Writing sono esercizi di stile e ogni muro appare come potenziale
supporto su cui esprimere la propria creatività. I writer preferiscono ampi spazi sui cui operare,
anche per questo prediligono le zone periferiche, come palazzi o edifici in disuso. Le opere di Street
Art invece, puntano alla visibilità e per questo le zone più colpite sono i centri storici o i luoghi più
frequentati di ogni città. Essendo il Graffiti Writing un linguaggio standardizzato, universale, un
pezzo o una tag di un writer provocherebbero lo stesso effetto e avrebbero lo stesso risultato in
qualsiasi parte del mondo. Si tratta di un linguaggio autonomo. Gli street artist invece, spesso
creano le loro opere in base al luogo in cui si trovano, dando vita a lavori squisitamente site-
specific. Ne sono un esempio gli stencil artist francesi Blek le Rat o Christian Guémy, in arte C215,
i quali durante ogni loro viaggio creano opere che dialogano e si integrano perfettamente con il
territorio. Ecco così che appaiono, durante il soggiorno a Roma di C215, rivisitazioni
caravaggesche o immagini di Gesù e Maria, mentre in Turchia le strade vengono costellate da
poetici dervisci roteanti, catturati durante la celebre danza tradizionale. [Figura 3]
                                                                                                               
99
http://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-10710074
100
“Il movimento della Street Art è un gruppo di ragazzi che non vogliono necessariamente andare
in giro a vandalizzare tutto e sono appassionati di arte e corsi d’arte. Questo movimento è molto più
amichevole e felice e non così estremo”. Eine in Lewishon C., op. cit., p. 69. (trad. mia).
52  
 
Nonostante le molte differenze tra le due correnti, che denota quanto questi movimenti siano
complessi e caratteristici, non mancano elementi in comune, che giustificano l’accorpamento in
un’unica grande famiglia.
Il primo elemento che accomuna le due correnti è lo sfruttamento dell’ambiente urbano. Come
afferma Lewishon: “what graffiti shares with Street Art is a basic sense of appropriation: making
the city your own, by claiming the space”101.
Dovendo compiere prevalentemente azioni illegali, sia i writer che gli street artist tendono a
rimanere nell’anonimato. Talvolta, gli artisti finiscono per rivelare la loro identità con l’aumentare
della fama (Shepard Fairey è un artista dal volto noto sia al pubblico che alle forze dell’ordine,
avendo all’attivo quattordici arresti); altre volte invece, sfruttano l’anonimato non solo per sfuggire
alle autorità, ma come vera e propria strategia di marketing (ne è un esempio l’artista inglese
Banksy, che ha creato sulla sua figura e la sua identità un vero e proprio hype102, con tanto di caccia
all’uomo e raggiungendo quotazioni stellari). Si tratta comunque di un anonimato relativo, poiché
anche se non si conosce il volto degli artisti in questione, la loro firma o le loro opere sono
riconoscibili e popolari in ogni parte del mondo.
Come per i writer più affermati, anche molti street artist, una volta entrati nel meccanismo delle
gallerie e nel sistema dell’arte in generale, spesso decidono di abbandonare l’illegalità per
cimentarsi in lavori in studio o su commissione. Questo discorso vale in particolar modo per gli
street artist specializzati in pittura murale, i quali, degni eredi della tradizione muralista, creano
opere figurative dalle dimensioni monumentali. Le notevoli dimensioni rendono l’azione illegale
ostica e spesso infattibile, ma l’elevata qualità delle opere ripaga i loro creatori, i quali sono
richiesti a partecipare con i loro interventi, ai sempre più frequenti festival mondiali di Street Art.
Le amministrazioni cittadine non sono da meno, le quali commissionano un numero sempre
maggiore di opere di Street Art per la città, come mezzo di riqualificazione urbana o semplicemente
per decorare o impreziosire alcuni quartieri. Un esempio italiano è l’edizione 2013 del festival
modenese di Street Art Icone, ribattezzato per l’occasione Icone 5.9. 5.9 è il grado di magnitudo del
sisma che aveva colpito l’anno precedente la regione Emilia. Al festival hanno partecipato street
artist italiani e internazionali, che sono intervenuti a Modena e in nove comuni limitrofi colpiti dal
terremoto, riqualificando così alcune zone e ponendo l’attenzione sui comuni in difficoltà.
A Bologna invece, durante il festival Frontier, sono stati chiamati tredici artisti dei muri, per creare
delle opere sulle pareti di alcuni palazzi e condomini sparsi per la città.
                                                                                                               
101
“ciò che il Graffiti Writing condivide con la Street Art è un senso di appropriazione di base:
tornare ad essere padroni della propria città, rivendicandone lo spazio.” Lewishon, C., op. cit. p. 63.
(trad. mia).
102
Un battage pubblicitario.
53  
 
L’Italia possiede ormai una grande tradizione di pittura murale, a cominciare dalla cittadina sarda di
Orgosolo ricoperta di murales a partire dal 1970 e che, ad oggi, ne conta più di centocinquanta103,
fino al comune bolognese di Dozza, il quale ospita la Biennale del muro dipinto, giunta nel 2013
alla XXIVesima edizione.
Che sia illegale o commissionata, la Street Art è ormai parte della nostra quotidianità. Come
già asserito, i writer preferiscono luoghi periferici per le loro azioni (palazzi vetusti o fatiscenti,
cavalcavia delle autostrade, viadotti, treni e ferrovie), mentre gli street artist si concentrano nei
centri storici e nelle zone residenziali. Col passare degli anni, gli street artist sono diventati sempre
più apprezzati, in particolare dal pubblico giovane, il quale vede sui muri un’arte stimolante, creata
da coetanei e che parla il loro stesso linguaggio. La Street Art è sinonimo di creatività e freschezza.
In poco tempo, è passata da atto illegale e vandalico ad oggetto di culto, fino ad attivare anche dei
processi di gentrification di alcune aree: Un quartiere inizialmente poco popolare, una volta colpito
dagli street artist (meglio se già conosciuti), diventa in automatico un quartiere provocante, giovane
e alla moda. Gli artisti e i creativi sono i primi a trasferirsi nella zona, sfruttando gli ampi spazi e i
bassi affitti per i loro studi e laboratori. In un secondo momento compaiono i primi locali di
tendenza e, infine, vi si trasferiscono i giovani e le famiglie. A conclusione del processo, la zona
risulta riqualificata, il quartiere acquisisce valore, e i prezzi aumentano. Tra i vari esempi di questo
fenomeno di gentrification si possono citare i sobborghi di Williamsburg e Bushwick a Brooklyn,
per anni quartieri proletari o industriali e ora diventati tra i quartieri più ricercati e alla moda di tutta
New York. Un altro esempio significativo è il quartiere di Hackney a Londra, zona già colpita dallo
street artist inglese Banksy. Nel suo libro Wall and Piece, Banksy pubblica una lettera inviata al suo
sito internet da un certo Daniel, il quale si lamenta dei graffiti e delle conseguenze scaturite da
questi:

“I don’t know who you are or how many of you there are but i am writing to ask you to stop painting your
things where i live. In particular xxxxxx road in Hackney. My brother and me were born here and have
lived here all our lives but these days so many yuppies and students are moving here neither of us can
afford to buy a house where we grew up anymore. Your graffities are undoubtably part of what makes
these wankers think our area is cool. You’re obviously not from round here and after you have driven up
the house prices you’ll probably just move on. Do us all a favour and go do your stuff somewhere else
like Brixton. Daniel.”104

                                                                                                               
103
http://www.muralesinsardegna.net/?act=show_gallery&g=128
104
“Io non so chi è lei o quanti siete, ma le scrivo per chiedere di smettere di dipingere le sue cose
dove vivo. In particolare via xxxxxx ad Hackney. Io e mio fratello siamo nati e cresciuti qui, ma
oggigiorno si stanno trasferendo così tanti yuppies e studenti che nessuno dei due si può permettere
di comprare una casa dove siamo cresciuti. I suoi graffiti c’entrano indubbiamente sul fatto che
54  
 
La lettera in questione è stata pubblicata da Banksy sul suo libro, non è possibile quindi appurarne
la veridicità. Se anche non fosse vera, rimane comunque verosimile ed effettivamente al quartiere di
Hackney è accaduto lo stesso processo che in precedenza aveva colpito Williamsburg e Bushwick.
La Street Art è ormai divenuta un fenomeno che travalica il suo ambito di appartenenza, quello
prettamente artistico, per ricadere sulla società, l’ambiente e la cultura.
Dal punto di vista culturale anche la Street Art, come il Graffiti Writing, è un movimento che
non si limita alle arti visive, ma è strettamente connesso ad altre espressioni artistiche e culturali.
Così, se il Writing è un elemento costitutivo della cultura Hip Hop, anche dalla Street Art si
sviluppa una vera e propria sotto-cultura, con il suo stile, la sua musica e una sua comunità di
appartenenza. Questo movimento si potrebbe definire Street Culture o Urban Culture. Si tratta di
una sotto-cultura metropolitana, evolutasi ai margini della cultura ufficiale delle grandi città e
caratterizzata da uno spirito punk e da un’attenzione maggiore verso la società. Gli skateboards e la
musica punk-rock sono elementi centrali della Street Culture: molte tecniche di Street Art infatti,
sono nate come servizio a quest’ultimi. I primi sticker venivano creati per ornare le tavole da skate
e i poster per pubblicizzare concerti punk-rock. La Street Culture è venuta alla ribalta anche grazie
all’interessante mostra itinerante Beautiful Losers: Contemporary Art and Street Culture, curata da
Aaron Rose e Christian Strike, tenutasi dal 2004 al 2005 rispettivamente a Cincinnati, San
Francisco, Newport Beach, Baltimora e Tampa. In seguito, la mostra si è spostata negli altri
continenti, approdando anche in Italia, alla Triennale di Milano nel 2006. In concomitanza della
mostra è stato pubblicato un catalogo e nel 2008 Aaron Rose ha diretto un film documentario
ispirato alla mostra, dal titolo Beautiful Losers. La mostra, che ha avuto molta risonanza, esibiva
una cinquantina di artisti provenienti dalle principali culture underground, quali Hip Hop, Punk e
Skate-Culture. Le opere di questi giovani artisti erano caratterizzate da un forte attaccamento alla
cultura “bassa”, dalla multidisciplinarietà e da una filosofia e un’attitudine Do It Yourself. Gli
artisti, anche non professionisti e quasi tutti alla loro prima mostra, si sono così cimentati in
fotografie, video, quadri, sculture, musica, graphic design e altro ancora, poiché, come viene
descritto nell’introduzione del catalogo, gli artisti provenivano da un background dove ci sono
poche regole e tutto è possibile.105 La mostra ha avuto il merito di far scoprire culture alternative in

                                                                                                               
questi coglioni trovino figo il nostro quartiere. Lei ovviamente non è di qui e dopo aver fatto salire i
prezzi delle case probabilmente se ne andrà altrove. Ci faccia un favore e vada a fare le sue cose da
qualche altra parte, tipo Brixton. Daniel.” In Banksy, Wall and Piece, Londra, Random House,
2005, p.21. (trad. mia).
105
 Rose A., Strike C., Beautiful losers: contemporary art and street culture, New York, Iconoclast
and D.A.P: distributed art publisher, 2005, p.21  
55  
 
pieno fermento e artisti indipendenti, alcuni dei quali oggi sono diventati artisti di successo:
Shepard Fairey, Barry McGee e Spike Jonze tra tutti.
Come già affermato in precedenza, la Street Art appare meno slegata alla società e risulta più
attiva politicamente rispetto al Graffiti Writing. Il Graffiti Writing rimane di base un linguaggio
estetico, attraverso il quale giovani writer si esprimono, per segnalare la propria esistenza, il loro
posto nel mondo. La Street Art, invece, è il passo evolutivo successivo attraverso cui i giovani
creativi decidono di ribellarsi alle oppressioni del mondo moderno e prestare le proprie opere al
servizio della società. Non esiste altra forma d’arte così diretta e così comunicativa come la Street
Art, attraverso la quale gli artisti possono intervenire e interloquire direttamente con le nostre vite.
La crociata più grande degli Street Artist è quella contro la pubblicità, in particolare contro i
colossali cartelloni pubblicitari che campeggiano nelle principali piazze o nelle arterie principali
delle città di tutto il mondo. Come evidenzia anche Galal nel suo volume sulla Street Art, la
principale critica in riferimento ai cosidetti billboards si basa sul fatto che nessun cittadino ha
richiesto di vedere i cartelloni pubblicitari affissi a macchia di leopardo nella propria città e nessuno
ha la possibilità di ribattere a questi106. Per gli street artist attivisti, i cartelloni pubblicitari sono
oggetti di disturbo e deturpamento dell’ambiente, più giustificatamente passibili di vandalismo,
rispetto ai graffiti o alle opere di Street Art. La Street Art, seppur illegale, dialoga con l’ambiente, si
integra in esso e non è invasiva quanto dei meri cartelloni pubblicitari, il cui unico scopo è quello di
vendere della merce imponendosi sul paesaggio urbano, senza mescolarsi. Molto meglio allora
opere di Street Art non autorizzate, realizzate da artisti che rispettano la loro città e altro non
vogliono che migliorarne l’aspetto o donare la propria creatività ad essa, piuttosto che pubblicità
legali, senza valore artistico (sono lontani i tempi dei manifesti pubblicitari Liberty o di Depero),
utili solo a chi li commissiona. Questa forte critica al sistema commerciale dominante ha creato dei
veri e propri movimenti di Guerrilla Art o di Subvertising, in cui gli attivisti si applicano ad
attaccare e combattere le pubblicità esistenti con opere di Street Art, ad esempio scrivendoci e
dipingendoci sopra o incollando poster e adesivi, ridicolizzando così il messaggio e mutandone il
significato.
Cosi viene definito il Subvertising:

“Si tratta della produzione e diffusione di contro-pubblicità o parodie di pubblicità. Testi e immagini
dell’industria pubblicitaria vengono utilizzati per de-costruire campagne o annunci pubblicitari attraverso
lo straniamento. Per quanto riguarda il contenuto, il subvertising cerca di abbruttire o ridicolizzare un
prodotto: attua uno spostamento del contenuto attraverso lo straniamento e il détournement. Spesso

                                                                                                               
106
Galal, C.  Street Art, Roma, Auditorium, 2009, p 25.
56  
 
vengono cambiati testi e/o immagini su spazi pubblicitari accessibili al pubblico, come i muri destinati ai
manifesti o alle insegne. Dunque il subvertising è un modo per liberarsi dal ruolo di ricevente passivo di
messaggi o di acquirente di merci, per riprendere la discussione pubblica sui loro significati politici e
sociali.”107

Ad ogni modo non esistono solo movimenti di protesta; alcuni street artist sono semplicemente
coinvolti nel miglioramento della società o partecipi alla politica. Il culmine dell’attivismo politico
della Street Art è avvenuto probabilmente nel 2008, quando Shepard Fairey si è offerto di creare il
poster per la campagna presidenziale di Barack Obama. Il celebre poster del volto di Obama,
dipinto con i colori americani rosso, bianco e blu, con lo sguardo che volge all’orizzonte e la scritta
Hope sottostante, ha raggiunto ormai lo status di icona ed è stato determinante per la creazione di
un’immagine positiva di Obama presso l’elettorato americano.108 [Figura 4]
A questo punto, dopo aver analizzato analogie e differenze tra il Graffiti Writing e la Street
Art, appare necessario chiarificare e definire le caratteristiche peculiari di quest’ultima. Non è facile
fare una distinzione o una catalogazione netta delle opere appartenenti a questa corrente, anche
perché, come già ribadito, la Street Art racchiude in sè tanti stili e tante correnti differenti:

“Con la definizione Street Art si fa abitualmente riferimento a un insieme estremamente eterogeneo di


opere. Questa comprendono, oltre a espressioni di creatività più o meno legittime nello spazio pubblico,
anche tele di artisti legittimati e quotati nel sistema dell’arte contemporanea, esposte in luoghi ufficiali
quali musei, gallerie e collezioni private; vere e proprie forme di arte pubblica, commissionate e
valorizzate da enti comunali e fondazioni private; operazioni di recupero di aree metropolitane anonime o
degradate, riqualificate tramite interventi creativi anche di notevoli dimensioni; campagne di marketing
non convenzionale, che dai linguaggi delle subculture mutuano, oltre alle estetiche, le modalità tattiche di
azione nell’ambiente urbano.”109

                                                                                                               
107  Ivi,
p. 26.  
108
Durante la campagna elettorale, il 22 febbraio 2008, Barack Obama invia una lettera di
ringraziamento a Shepard Fairey per il suo supporto. Il corpo della lettera recita: “Dear Shepard, i
would like to thank you for using your talent in support of my campaign. The political messages
involved in your work have encouraged Americans to believe they can change the status-quo. Your
images have a profound effect on people, whether seen in a gallery or on a stop sign. I am
privileged to be a part of your artwork and proud to have your support. I wish you continued
success and creativity.” Traduz. “Caro Shepard, vorrei ringraziarti per aver usato il tuo talento in
supporto alla mia campagna. I messaggi politici coinvolti nel tuo lavoro hanno incoraggiato gli
americani a credere che possono cambiare lo status-quo. I tuoi messaggi hanno un forte effetto sulle
persone, che siano visti in una galleria o su un segnale di stop. Ho il privilegio di far parte della tua
opera d’arte e sono orgoglioso di avere il tuo supporto. Ti auguro che il successo e la creatività
continuino.” Fonte: http://www.obeygiant.com/headlines/check-it-out. (trad. mia).
109
Tommasini M., Beautiful winners. La Street Art tra underground arte e mercato, Verona,
Ombre Corte, 2011, p.29.
57  
 
In seguito vengono analizzati i principali stili e le tecniche più comuni della Street Art e gli
artisti corrispondenti più significativi.

2.2 Stencil Art

La Stencil Art è una delle prime branche della Street Art a svilupparsi in concomitanza e in
alternativa al Graffiti Writing. Tutt’oggi risulta una delle tecniche più diffuse e apprezzate dell’Arte
Urbana, grazie alla sua velocità d’esecuzione e all’impatto del risultato. A livello artistico, gli
stencil si diffondono durante gli anni Ottanta del ventesimo secolo, ma la loro prima comparsa sui
muri è ben più remota. L’origine dei disegni praticati tramite stencil risale alle pitture rupestri e
anche le popolazioni egizie e cinesi ne facevano largo uso. Con lo sviluppo dei commerci, questa
pratica arrivò fino in Europa e ancora oggi rimane una delle tecniche preferite per le decorazioni di
interni ed esterni.110
Con l’avvento di nuove tecniche come la serigrafia, le immagini impresse attraverso stencil e
stampe si elevano qualitativamente e queste tecniche, in precedenza puramente decorative, iniziano
ad essere utilizzate per creare vere opere d’arte. Rauschenberg e Warhol, tra i maggiori e più
significativi sperimentatori del processo serigrafico, sono coloro che più hanno influenzato gli
stencil artist odierni. In particolare, l’uso della serigrafia in Warhol, caratterizzata da una ripetizione
ossessiva delle immagini e da una cromia molto forte e alterata, verrà ripresa e sfruttata da svariati
street artist.
Lo stencil si presta bene per creare opere di Street Art, poiché è un procedimento relativamente
semplice, veloce e riutilizzabile. Proprio l’elemento della ripetibilità, però, ha tacciato la Stencil Art
di essere un’arte meccanica e ripetitiva.
Il procedimento consiste nel creare uno stencil (o mascherina), che funga da matrice, da
appoggiare ad una parete, per poter poi colorarci attraverso, utilizzando una vernice spray o
semplici pennelli.
Attualmente, la procedura più comune è quella di creare lo stencil utilizzando il computer, creando
un’immagine digitale e modificandola poi con programmi appositi. Non mancano però i “puristi”, i
quali creano i loro stencil a mano, utilizzando solo carta, matita e taglierino.

                                                                                                               
110
Per un’analisi completa della storia della Stencil Art, si rimanda a Manco T., Stencil Art, Londra,
Thames & Hudson, 2002, p.7  
58  
 
Un manuale dal titolo Street Art cook book. A guide to techniques and materials111, pubblicato da
Wooster Collective112, il più famoso sito internet che si occupa di preservare e diffondere l’arte
urbana nel mondo, spiega passo per passo come creare il proprio stencil. Qui ci si limiterà ad
elencarne i passi principali.
Per prima cosa si sceglie l’immagine da voler ricreare, che può essere una fotografia, un disegno
creato a mano o un’immagine presa da internet. I contorni devono essere lineari e decisi e
l’immagine deve avere un forte contrasto di colori, poiché l’effetto finale deve essere quello di
un’immagine in negativo, per poter così ritagliare le parti scure, che saranno quelle da colorare con
la vernice. I contorni e il contrasto possono essere modificati semplicemente, attraverso programmi
di elaborazione grafica come Photoshop. Bisogna tenere presente che ad ogni stencil corrisponde un
colore, perciò se si vuole ricreare un’immagine con più colori, bisogna creare uno stencil a più
livelli. I livelli, oltre ad essere utilizzati per la colorazione, servono anche a donare volume
all’immagine. Durante l’operazione di spray painting, i livelli sono posizionati sul muro uno alla
volta e colorando man mano, vengono poi posti uno sopra l’altro. Dopo aver creato e stampato
l’immagine, è sufficiente creare un supporto, che può essere cartone, plastica o qualsiasi altro
materiale a scelta, purchè risulti solido, ma non troppo difficile da tagliare. Una volta ritagliato, lo
stencil è pronto per poter essere utilizzato in strada.
Le immagini create tramite stencil, spesso vengono spesso riprodotte anche su altri supporti, come
t-shirt, tele, tessuti, metalli e così via.
La scelta della location in cui agire si attua in base al target che si vuole intercettare: gli
attivisti tendono a colpire i palazzi governativi o le zone di grande traffico come i distretti dello
shopping; chi cerca la notorietà preferisce le zone alla moda, per catalizzare l’attenzione dei giovani
e delle gallerie; ma c’è anche chi agisce in tutto il territorio, senza una preferenza o uno schema
preciso.
La principale caratteristica della Stencil Art è l’eterogeneità dei soggetti. C’è chi sceglie di
disegnare la frutta, come lo street artist tedesco Thomas Baumgärtel, alias Bananen sprayer,
diventato famoso per le sue banane tappezzate su tutti i muri d’Europa; chi preferisce le silhouettes
di femme fatales come la francese Miss.Tic; chi invece realizza complesse e articolate pitture, con
una commistione di stencil e mano libera, come Nick Walker, padre putativo, artisticamente

                                                                                                               
111
Carlsson B., Hop L., Street Art cook book. A guide to techniques and materials, Arsta, Sweden,
Dokument Press, 2011.
112
Wooster Collective è un sito internet fondato nel 2001, nato con lo scopo di mostrare e
diffondere l’arte effimera realizzata nelle strade delle città di tutto il mondo. Per maggiori
informazioni si rimanda a: http://www.woostercollective.com
59  
 
parlando, di Banksy. E poi ancora animali, ritratti, oggetti113, eroi dei fumetti e dello star system,
simboli di protesta o qualsiasi altra idea concepita dalla mente degli artisti. [Figura 5] Ci si ritrova
davanti ad un immaginario iconografico pop che innalza a livello artistico vari elementi di vita
quotidiana. Dal punto di vista stilistico, le immagini sono spesso semplici, definite. I dettagli ridotti
al minimo e le campiture compatte, inondate dai colori brillanti delle bombolette spray, ricordano
Matisse e i fauves ed è evidente l’eredità lasciata agli stencil, dal cloisonnisme, con i suoi blocchi di
colore inseriti tra i contorni netti delle immagini. Queste figure essenziali, spesso simboliche,
focalizzano l’attenzione sull’idea dell’artista.
Un punto di riferimento per gli stencil artist rimane la segnaletica stradale. Spesso gli stencil
vengono utilizzati dall’amministrazione cittadina per la segnaletica temporanea o nei casi in cui si
necessiti di una segnaletica veloce e chiara. Questi segni autoritari e lineari, come frecce, messaggi
brevi o indicazioni stradali, vengono ripresi dagli stencil artist, poiché attraggono l’attenzione e
creano un effetto di spaesamento, non appena l’osservatore intuisce che non sta osservando un
segnale ufficiale, ma un’opera di uno street artist. L’esempio più eclatante è quello del provocatorio
artista inglese Banksy, specializzato in Stencil Art e ormai entrato nell’olimpo dell’arte
contemporanea. Per un suo intervento, Banksy ha ripreso l’Utilitarian Style, ossia il font dei
messaggi ufficiali del City Council di Londra e ha allocato su alcuni muri della città la scritta: This
wall is a designated graffiti area (questo muro è un’area designata per i graffiti). In pochi giorni i
muri si sono riempiti di graffiti creando imbarazzo per gli amministratori cittadini. [Figura 6]
Lo stencil possiede un’aura di ribellione, probabilmente dovuto al fatto che in passato veniva
utilizzato per scopi politici (erano molto utilizzati in Francia durante le rivolte del ’68) o da forti
contro-culture come quella Punk e per questo spirito così trasgressivo, giovanile e immediato,
attualmente è uno dei media preferiti anche per le campagne pubblicitarie. Come ribadisce Manco:

“While graffiti has been used on the clothing and accessories of today’s most desirable fashion houses,
stencils in particular have been used to promote everything from club nights, band and record labels to
websites and even multinational companies. Corporate advertisers see stencils as an inexpensive and
alternative way of spreading information, while having an element of street credibility.”114

                                                                                                               
113
un collettivo inglese in attività dal 1999 si fa chiamare The Toasters. Con un’influenza
vagamente dadaista, il loro scopo è quello di decorare lo spazio urbano con immagini di tostapani.
Essi lo definiscono: “un esercizio per rendere famoso qualcosa, che essenzialmente non promuove
altro che se stesso”, in Manco T., Stencil Art, cit., p. 70.
114
“Mentre i graffiti sono stati utilizzati per abiti e accessori dalle più rinomate case di moda, gli
stencil sono stati utilizzati per promuovere di tutto, dai locali, alle etichette discografiche, dai siti
internet fino alle grandi multinazionali. I pubblicitari vedono gli stencil come un modo per spargere
informazioni economico ed alternativo, mantenendo un elemento di credibilità urbana.” In Manco
T., Stencil Art, cit., p. 15 (trad. mia).
60  
 
Ironico e dissacrante, talvolta rassicurante (poiché mostra soggetti familiari e conosciuti), lo stencil
è uno strumento altamente versatile e poliedrico e, a seconda del soggetto e del tipo di stencil, può
lanciare ogni volta un messaggio differente. In questo, c’è molta più varietà e molto più spazio
creativo, per esempio, rispetto agli sticker.
Gli stencil artist creano “un’arte che è espressionista, situazionista, surrealista, satirica e poetica”115,
un’arte vibrante quindi, con gesti e cromie forti, con una volontà di indipendenza, che fa sorridere,
riflettere o stupire, ma che sicuramente non può lasciare indifferenti.

2.1.1 Blek le Rat

Blek le Rat, pseudonimo di Xavier Prou, nato nel 1952 nei sobborghi di Parigi, è un pioniere degli
Stencil Graffiti. Inizia a sperimentare la tecnica degli stencil all’inizio degli anni Ottanta, poiché
come afferma lui stesso, è sempre stato un estimatore dei graffiti, ma, allo stesso tempo, ha voluto
prendere le distanze dalla tradizione americana:

“1981 to 1983 is the beginning of the stencil graffiti art. I had the idea to use stencils to make graffiti for
one reason. I did not want to imitate the American graffiti that I had seen in NYC in 1971 during a
journey i had done over there. I wanted to have my own style in the street...I began to spray some small
rats in the streets of Paris because rats are the only wild living animals in cities and only rats will survive
when the human race will have disappeared and died out.”116

Il ratto è stato il primo soggetto ad essere dipinto da Blek e rimane un elemento costante in tutta la
sua opera, tanto da far guadagnare al suo ideatore l’appellativo “le Rat”. Durante la notte di
Capodanno del 1982, Blek colpisce il tempio dell’arte d’èlite francese: il centre Pompidou, che
viene invaso da decine di ratti e altre figure. Da lì in poi l’immagine emblematica del suo ratto
diventa famosa ovunque e il soggetto viene preso in prestito anche da altri stencil artist, tra i quali
Banksy. Blek le Rat afferma che ama rappresentare i ratti, poiché oltre ad essere liberi, sono
considerati mitologicamente portatori di piaghe e i graffiti sono come le piaghe: una volta che

                                                                                                               
115
Ivi, p. 35.
116
“Dal 1981 al 1983 è l’inizio della Stencil Graffiti Art. Ho avuto l’idea di fare i graffiti con gli
stencil per un motivo: non volevo imitare i graffiti americani che avevo visto nel 1971 durante un
viaggio a New York. Volevo avere uno stile mio sulle strade. Ho iniziato a dipingere con lo spray
dei ratti per le strade di Parigi, perchè i ratti sono gli unici animali selvaggi delle città e i ratti
sopravviveranno anche quando la razza umana sarà scomparsa”.
http://bleklerat.free.fr/stencil%20graffiti.html (trad. mia).
61  
 
iniziano, non c’è modo di poterle fermare e sono contagiose. Inoltre rat è l’anagramma di art e Blek
decide di sfruttare questo nesso: “in rat you have art; it’s a connection.”117
Blek scopre gli stencil nei suoi viaggi in Italia durante l’infanzia. Rimane colpito dalle immagini
risalenti alla guerra, con busti di Mussolini o scritte propagandistiche dipinte sui muri; poi è
testimone delle rivolte parigine sessantottine e degli slogan politici disseminati per le strade.
Dopodichè, durante gli anni dell’Accademia di Belle Arti si avvicina alla tecnica pochoir118 e,
infine, il viaggio in America consolida la sua passione per i graffiti.
Oltre agli stencil dei ratti, Blek le Rat è divenuto famoso per i suoi stencil di figure umane a
grandezza naturale, che sorprendono l’osservatore agli angoli dei muri. Le sue raffigurazioni
ritraggono personaggi generici, come donne incinte, uomini armati, prostitute, per poi passare agli
omaggi, con gli stencil di Charlie Chaplin, Joseph Beuys o Andy Warhol.
I lavori di Blek le Rat sono tutti site-specific e la location è ben studiata e mirata:

“le sue icone, animali e successivamente antropomorfe e a grandezza naturale, si possono infatti
considerare come uno dei primissimi esempi di intervento consapevolmente artistico e decorativo nel
tessuto urbano, indipendente da qualsiasi implicazione esplicitamente politica o legata a codici
subculturali. […] Le sue modalità di intervento tenevano sempre in considerazione il contesto urbano in
cui le opere sarebbero state eseguite, traendo anzi ispirazione da esso”.119

Nel corso degli anni Blek le Rat è passato ai lavori su tela, poiché considera la galleria un modo per
immortalare e memorizzare ciò che è accaduto precedentemente in strada, ma, nonostante la sua
carriera pluriventennale, cerca ancora di lavorare il più possibile per strada, per mantenere viva e
genuina la sua arte. [Figura 7]

2.1.2 C215

Christian Guémy (Bondy, 1973), meglio noto come C215, è uno dei più quotati street artist degli
ultimi anni. Il suo virtuosismo nello stencil, i ritratti profondi e incisivi e la magistrale capacità di
armonizzare l’opera con l’ambiente, lo ha portato ad essere ammirato dai più grandi street artist e
ricercato da importanti gallerie. Di nazionalità francese, come il suo predecessore Blek le Rat, C215
                                                                                                               
117
Blek le Rat in Peiter S. (a cura di), Guerrilla art, Londra, Laurence king publishing, 2009, p.22.
118
Il pochoir si differenzia leggermente dalla tecnica ordinaria dello stencil. Si tratta di una tecnica
altamente raffinata per la produzione di stampe tramite stencil. La colorazione avviene solo a mano
e il risultato è un’immagine altamente definita. Tra gli artisti del Novecento ad utilizzare questa
tecnica si annoverano Pablo Picasso e Joan Mirò, i quali producevano stampe in pochoir per i libri
d’illustrazione. Fonte: Encyclopædia Britannica.
119  Tommasini M., op. cit., p.62.  
62  
 
nasce e cresce nei sobborghi di Parigi, per poi spostarsi da una città all’altra della Francia durante
gli anni dell’università. Dopo aver conseguito gli studi in Teoria dell’architettura e Storia dell’arte
ed aver frequentato anche un master in Economia e mercati internazionali, C215, si trasferisce nella
cittadina di Vitry-sur-Seine – una piccola cittadina non lontano da Parigi, famosa per la sua apertura
e tolleranza nei confronti della Street Art120– per stare vicino a sua figlia Nina. Svolge il suo primo
ritratto con lo stencil a trentatré anni e il soggetto è Ava, la madre di sua figlia. In seguito, sua figlia
sarà un soggetto ricorrente nella sua carriera e rimane tuttora la sua modella preferita.
Inizialmente i suoi stencil sono monocromatici (solitamente il soggetto è bianco e lo sfondo
colorato, per integrarsi meglio con l’ambiente) e a campiture larghe, ma con il tempo sviluppa una
tecnica sopraffina e i suoi ritratti si arricchiscono di minuziosi particolari, quasi fotografici. Fatta
eccezione per i gatti, animale totem per l’artista poiché libero, indipendente e presente in ogni
paese, C215 si specializza nei volti, da lui considerati espressivi e comunicativi. I ritratti di C215
sono empatici, vivi ed è difficile rimanere indifferenti davanti a essi. Quando ritrae la figlia o due
giovani adolescenti colti nell’atto di baciarsi, l’opera appare come un’esplosione di colori: giallo,
fucsia, l’immancabile blu (di cui si è infatuato durante un master su Der Blaue Reiter e a cui non
rinuncia mai), colori vivaci, allegri e positivi. Quando invece ritrae mendicanti, senzatetto o si vuole
rapportare con i grandi classici come Caravaggio a Roma o le sculture elleniche ad Atene, le opere
sono solitamente monocromatiche, più intime e introspettive. Per C215 “i volti delle persone sono
carte d’identità: persone sofferenti, felici, triste o stupite assumono attraverso i suoi stencil un
valore universale, rappresentano non più solo loro stesse, ma tutti noi.”121 Le linee sottili e precise
degli stencil sui volti, prendono le sembianze di rughe, vene, cicatrici e associate ai forti contrasti
cromatici creano l’effetto di quadri espressionisti, fauves soprattutto. I soggetti più ricorrenti sono
senzatetto, mendicanti, orfani. I volti degli emarginati sono volti marcati, significativi, che
raccontano una storia, anche se, da quando ha iniziato a guadagnare per le sue opere, ha cessato di
ritrarre questa tipologia di persone per concentrarsi su sua figlia Nina, poiché come ammette egli
stesso: “ritrarre questo tipo di disagio significava per me restituirgli dignità e personalità. Ma ho

                                                                                                               
120
Vitry-sur-Seine rappresenta oggi un centro vitale per la Street Art. Prima ancora di Bristol, città-
simbolo della Street Art per antonomasia, Vitry-sur-Seine ha ospitato vari street artist e lasciato che
dipingessero sui muri della città. Il sobborgo si presenta oggi come un villaggio colorato, una vera e
propria galleria en plein air, con visitatori provenienti da ogni parte del mondo, per osservare le
opere di Street Art. I muri di Vitry-sur-Seine, oltre ai lavori di C215, ospitano opere di Roa, David
Walker, Btoy, degli italiani Orticanoodles e Alice Pasquini e molti altri ancora. Ad oggi, ben due
volumi sono stati pubblicati su Vitry-sur-Seine e la Street Art. Si veda a riguardo: Silhol B.,
Oxygène N., Rouly J., Vitry vit le Street Art, Grenoble, Criteres Éditions, 2011; Silhol B., Oxygène
N., Vitry ville Street Art: L'aventure continue, Grenoble, Criteres Éditions, 2013.
121
De Gregori S., C215. Un maestro dello stencil, Roma, Castelvecchi, 2013, p.14.  
63  
 
smesso. […] Mi piacciono gli artisti sinceri e non quelli che fanno finta demagogia e vendono la
miseria.”122
C215 predilige opere di piccolo formato, poiché sorprendono lo spettatore e si possono adattare ad
ogni tipo di supporto, da una cassetta per le lettere ai bidoni, dai segnali stradali ai muretti, sempre
rispettando la storicità o l’importanza artistica del luogo di destinazione.
Nel corso della sua carriera compie viaggi in tutto il mondo e per ogni luogo crea opere specifiche.
Nel 2008 si dirige in Marocco, dove ritrae la gente del luogo, poi a Brooklyn dove si concentra sui
senzatetto. In Brasile focalizza il suo lavoro nelle favelas e partecipa anche ad un workshop
progettato da un’organizzazione benefica, per insegnare ai ragazzi delle favelas a realizzare gli
Stencil Graffiti. E poi ancora India, Senegal, Russia e quasi tutta l’Europa, passando anche per
l’Italia, approdando a Roma, Napoli e Venezia.
C215 ha esposto negli anni in numerose gallerie, sia con mostre personali, sia partecipando a
svariate collettive. Nel 2008 partecipa alla collettiva Stencil History X a Vienna e viene inaugurata
una sua mostra al centro sociale Brancaleone di Roma, dal titolo All you need is wall. Sempre nello
stesso anno espone a San Paolo, New York e Londra: in quest’ultima partecipa al Cans Festival,
festival di Stencil Art organizzato da Banksy. Nel corso degli anni continua ad esporre e viaggiare;
nel 2010 partecipa all’Outdoor Festival, creando un pezzo alla Garbatella a Roma e nel 2012
espone alla Moniker Art Fair di Londra, vendendo tutti i suoi pezzi. I prezzi delle sue opere
oscillano tra i 1000 e i 20.000 euro. Una cassetta delle poste con un suo dipinto sopra, è stato
battuto all’asta nel 2013, a 23.200 euro.123 Nel 2013 espone insieme ad altri street artist come
Shepard Fairey, Miss.Tic e Banksy ad una mostra organizzata dal Museo della Posta di Parigi, dal
titolo Au delà du Street Art, e alcuni dei lavori esposti vengono rappresentati anche su una serie
limitata di francobolli.
Pur essendo uno street artist, C215 per il suo stile raffinato e i temi scelti per le sue opere, può
essere considerato un artista della tradizione pittorica. Non a caso, possiede un background notevole
di studi artistici e come dichiara lui stesso in un’intervista, alla domanda su quali sono stati gli
artisti che più hanno influenzato il suo lavoro, egli risponde:

“Per la mia formazione sicuramente Paolo Veronese, Albrecht Dürer, Caravaggio, Théodore Géricault,
Georges de La Tour e Philippe de Champaigne. Tra i primi Street Artist devo molto a Ernest Pignon-
Ernest e in questi ultimi anni a Swoon, Banksy, Obey, Carricondo, El Mac e O’clock.”124

                                                                                                               
122
Ivi. p.128.
123
Ivi, p.111.
124
Ivi, p.126.  
64  
 
C215 inoltre dichiara che si è ispirato proprio a Caravaggio per i suoi chiaroscuro sugli stencil e per
l’utilizzo della luce. Estimatore delle Belle Arti, non disdegna le opere su commissione, poiché
afferma che questa pratica gli ricorda il Rinascimento, ma tra galleria e strada preferisce
indubbiamente la seconda. Significativa è una sua dichiarazione sul lavoro di strada e sull’unicità di
questa tipologia di opere:

“La galleria e la commissione non sono graffiti. Quando sono per strada parlo con le persone, lascio dei
segni dietro di me. La strada possiede una poesia rara, che mi permette di sentirmi libero e quando ci
lavoro esiste solo l’impulsitvità e l’ispirazione.[…] Le opere che lascio per strada, presto o tardi saranno
alterate, cambieranno e non saranno più le stesse. Le abbandono dietro di me, ne perdo il controllo e le
lascio alla loro evoluzione, per questo si chiama Street Art: non sono più una mia opera. Il tempo, i
cambiamenti climatici, chi passa e ci scrive sopra o accanto, vengono inglobate all’interno di qualcosa di
più grande di cui io non sono l’artefice. In galleria l’adrenalina e le intenzioni non sono le stesse, l’opera
nasce e muore così. Chi la compra non potrà mai averla veramente, non potrà avere la strada.”125

Dalle opere di C215 traspare tutta la sua esperienza umana. I suoi ritratti comunicano con lo
sguardo, raccontano una storia ed emozionano. Per artisti come C215 la sovversività, l’illegalità e la
ribellione passano in secondo piano, l’unica cosa che conta è ciò che riesce a trasmettere l’opera.
Nella Street Art subentra la poesia. [Figura 8]

2.3 Poster Art

La Street Art per mezzo di poster è una pratica molto diffusa, poiché comodamente sviluppabile in
studio, d’impatto e duratura. Tra le pratiche di Street Art, la Poster Art è quella più longeva,
probabilmente per il fatto che le persone sono abituate a vedere decine di poster, per strada, ogni
giorno e la consuetudine non spaventa o crea scalpore. Inoltre, il poster, nonostante sia attaccato
spesso illegalmente, viene considerato meno invasivo, poiché destinato a scomparire a breve. Ogni
giorno siamo bombardati da immagini pubblicitarie, cartelloni dalle dimensioni più disparate,
segnaletica e messaggi di ogni tipo e quando si nota un poster fine a se stesso, che vuole unicamente
testimoniare la sua presenza ed esprimere un messaggio estetico-artistico, viene accolto senza
livore.
La rivoluzione dei poster avviene durante gli anni Sessanta, con la diffusione sul mercato delle
fotocopiatrici, attraverso le quali ognuno ha la possibilità di stampare i propri fogli, volantini e
poster, a casa, individualmente.

                                                                                                               
125
Ivi, p.144.
65  
 
Nel già citato manuale sulle tecniche e i materiali per la Street Art, viene analizzato anche il
procedimento per la Poster Art. Per prima cosa è necessario scegliere un soggetto, che può essere
realizzato attraverso varie tecniche: serigrafia, stampa, fotocopie, stencil o dipinto direttamente
sulla carta da poster. È necessaria una carta specifica per il poster, che deve essere molto sottile,
poiché più la carta è sottile, più durerà sul muro, ma non lo deve essere troppo, altrimenti c’è il
rischio che si strappi nel momento dell’incollatura. Lo spessore perfetto è quello della carta da
gioranle. Una volta stampato o dipinto il soggetto del poster (si raccomanda di usare una vernice
idrorepellente), si passa al taglio e infine all’azione su strada. Per incollare il poster è consigliata
una colla per carta da parati o per il legno e come strumento si può utilizzare un pennello o un rullo.
La colla impiegherà alcune ore per asciugarsi. Nonostante il lungo procedimento preparatorio in
studio, l’azione in strada dura pochi minuti e non è necessario alcun aiuto da parte di terzi.
Ernest Pignon-Ernest (Nizza, 1942) può essere considerato il precursore della Poster Art.
Dagli anni Sessanta crea immagini serigrafate, dipinte o disegnate e le dissemina per le città. Per
Pignon-Ernest l’immagine e il luogo dove essa va applicata sono strettamente collegati: l’immagine
deve integrarsi perfettamente con l’architettura urbana. Immagine e ambiente devono amalgamarsi
fino a diventare una cosa sola. Per ottenere questo risultato, entra in gioco un altro elemento
essenziale per tutta l’opera di Pignon-Ernest, ossia il deterioramento dell’immagine. Così come il
luogo muta e si deteriora con il tempo, anche la figura deve subire lo stesso trattamento. Per
Pignon-Ernest la fragilità del foglio assurge al ruolo di memento mori e particolarmente
propedeutica a questo concetto, è la serie di opere che l’artista compie a Napoli tra il 1988 e il 1995.
Nei vicoli napoletani Pignon-Ernest incolla di notte immagini dei grandi maestri italiani, in
particolare Caravaggio e le figure, che si fondono magistralmente con i muri antichi della città,
sembrano erompere da essi, come per riportare alla luce la storia e le memorie della gente. [Figura
9]
Tra i nuovi artisti contemporanei aderenti alla corrente della Poster Art, Swoon (vero nome:
Caledonia Dance Curry, nata a New London, in Connecticut, nel 1978) può essere considerata una
dei più promettenti. Si avvicina alla Street Art all’età di diciannove anni e la sua arte si caratterizza
per le stampe di figure umane a grandezza naturale. Particolarmente raffinati sono i suoi lavori
ispirati al teatro delle ombre indonesiano. Sul lavoro di strada Swoon dichiara: “I love the layers,
the natural beauty of a thousand coincidental markings and factors. At the time it seemed like the
street was the only place where real beauty was occurring. The only place open to spontaneity.”126

                                                                                                               
126
“Amo gli strati, la bellezza naturale di migliaia di segni e fattori casuali. Al tempo sembrava che
la strada fosse l’unico luogo in cui esistesse la bellezza. L’unico posto aperto alla spontaneità”.
Carlsson B., Louie H., op. cit., p. 20. (trad. mia).
66  
 
Nel 2009, durante la Biennale di Venezia, Swoon ha messo in atto un progetto dal nome Swimming
Cities of Serenissima in cui lei, insieme ad altri trenta artisti di strada specializzati nel recupero e
nel riciclo degli oggetti, sono sbarcati all’Arsenale su tre zattere costruite con i rifiuti della città di
New York. La ciurma è partita dalla Slovenia, per attraccare infine all’isola di Certosa, fermandosi
di volta in volta in vari punti della laguna, con l’obiettivo di entrare in contatto con la gente e
l’artigianato locale. [Figura 10]
Una tecnica abbastanza comune utilizzata dai poster artist è quella del collage. Judith Supine
è un artista che vive e lavora a New York. Il suo nome è un nome d’arte, quello di sua madre più
precisamente, poiché egli ha deciso di rimanere anonimo. I suoi particolari lavori sono dei collage
surreali dai colori acidi, di immagini riciclate, in particolare di volti pubblicitari, che l’artista trova
in vecchi libri o giornali, provenienti da magazzini o direttamente dalla spazzatura. Supine assembla
le immagini, le fotocopia, le colora, alterando la veridicità delle immagini e creando un effetto
lisergico, per poi incollarle sui muri della città. Inconfondibili sono i suoi visi giallo-verde acido. Il
risultato finale sono volti grotteschi e psichedelici, “figure perverse e sporche, come i suoi metodi di
produzione.”127 Tra le sue fonti di ispirazione sono evidenti le caricature di George Grosz e i
collage e i fotomontaggi del Dada berlinese. É possibile sfruttare anche per Supine, il commento
che Barilli rivolge ai collage di Schwitters: “i singoli elementi ritagliati, benché ricavati con
procedimento non-artistico, entrano in un contesto artistico, venendo armonizzati tra loro (anche se
attraverso accostamenti arditi) e sfruttati nel loro potenziale “estetico”, cioè nella sensuosità di
colore e materia.”128 Notevoli e di forte impatto sono le installazioni che Judith Supine ha
posizionato – illegalmente – nel corso degli anni, sui vari ponti della città di New York. Nel 2007
prese d’assalto il Manhattan Bridge, nel 2009 il Williamsburg bridge e infine, nel 2014 il
Queensboro bridge. [Figura 11]
La Poster Art si presta molto bene alla già citata missione del Subvertising (o Adbusting),
ossia la rivolta contro i cartelloni pubblicitari. Anche se il Subvertising si avvicina più ad un forma
di attivismo politico-sociale, piuttosto che ad una espressione artistica, molti street artist hanno
donato il loro contributo per la causa. Il poster è il medium più utilizzato, poiché utilizzando lo
stesso strumento dell’annuncio pubblicitario, quest’ultimo risulta più facile da modificare e
stravolgere, mantenendo un effetto veritiero. Il movimento del Subvertising si sviluppa negli anni
Settanta e da allora, periodicamente nuovi gruppi nascono e si battono per lottare contro
l’usurpazione del territorio urbano e la liberazione dei cartelloni da parte dei messaggi pubblicitari.
I precursori di questo movimento sono i membri del Billboard Liberation Front, con base a San
                                                                                                               
127
Lewishon C., op. cit., p.143
128
Barilli R., L’arte contemporanea, Milano, Feltrinelli Editore, 2007, p. 284.
67  
 
Francisco, mentre tra le organizzazioni più attive si trova Adbusters, fondata in Canada nel 1989,
con all’attivo decine di campagne per il boicottaggio della pubblicità e per la sensibilizzazione dei
cittadini, come ad esempio il Buy Nothing Day o il TV Turnoff Week. Ron English (Dallas, 1966),
artista pop contemporaneo, ha basato gran parte del sua attività artistica sul Subvertising, creando
cartelloni di protesta decisamente poco politically-correct, creando molto scalpore. In un’intervista
ha dichiarato che il messaggio che vuole mandare è quello di libertà di parola. Lo spazio pubblico è
un diritto umano e se la pubblicità è accettata, allora lo deve essere anche la contro-pubblicità129.
Lavora con gli stessi materiali dei cartelloni pubblicitari e lavora di giorno, così da non creare
sospetto. I loghi e le immagini utilizzate dai subvertisers sono uguali o molto simili a quelli delle
campagne pubblicitarie originali, quindi di primo impatto pare di trovarsi davanti al solito
messaggio pubblicitario, ma a un secondo sguardo, si nota che il messaggio o parte dell’immagine
sono stati modificati e il concetto rivoluzionato, creando un effetto di spaesamento e confusione.
Per compiere questi atti sovversivi si possono scegliere due modalità: creare un manifesto ex novo
del tutto simile a quello originario, con la stessa grafica e gli stessi colori, ma con il messaggio
modificato – come, ad esempio, il poster realizzato da Ron English con la dicitura Diabetic Coke,
invece di Diet Coke – oppure è possibile modificare un manifesto pre-esistente. Un esempio recente
di questa seconda modalità d’azione è quello di Daniel Soares, un giovane creativo tedesco-
portoghese, che ha affisso sui cartelloni della campagna pubblicitaria di costumi di H&M, colosso
della moda svedese, dei poster raffiguranti la barra degli strumenti di Photoshop, come denuncia
all’uso smodato del foto-ritocco nelle pubblicità.

2.3.1 Shepard Fairey

Shepard Fairey, nato in South Carolina nel 1970 e conosciuto al grande pubblico con lo
pseudonimo di “Obey”, è street artist, graphic designer, imprenditore, pubblicitario, illustratore e
racchiude nella sua figura tutto lo spirito dell’artista contemporaneo. Molti artisti contemporanei, in
particolar modo gli street artist, non limitano la loro esperienza professionale nelle arti visive, ma
cercano di diffondere la loro arte e la loro esperienza anche in vari ambiti, che vanno dal design,
all’abbigliamento.
Durante i suoi studi alla Rhode Island school of Design, Fairey entra in contatto con artisti e
movimenti che influenzeranno fortemente il suo lavoro. Rodčenko e i costruttivisti russi sono le sue
prime fonti di ispirazione per quel che riguarda i caratteri tipografici, le cromie (nell’opera di Obey
prevalgono sempre il nero, il bianco e il rosso) e i soggetti rappresentati. Alcuni poster di Obey
                                                                                                               
129
Carlsson B., Louie H., op. cit. p.33.
68  
 
sono dei veri e propri omaggi ai manifesti costruttivisti russi. [Figura 12] Inoltre, così come i
costruttivisti, Obey “sceglie di utilizzare l’arte come messaggio sociale e come veicolo di contenuti
per le masse.”130 L’arte quindi non deve essere fine a se stessa, ma deve essere di aiuto e a servizio
della società. Un’ulteriore evidente fonte di ispirazione per Obey è l’arte di Barbara Kruger, artista
concettuale statunitense che basa la sua opera sulla ricerca di immagini di riciclo, in particolar
modo immagini o fotografie pubblicitarie trovate su riviste e giornali, aggiungendo però degli
slogan sovversivi che ne ribaltano il senso. I suoi manifesti e i suoi slogan contro il consumismo,
come l’emblematico I shop, therefore i am, hanno ispirato l’opera di Fairey e della corrente
Subvertising. Fairey si è ispirato alla Kruger soprattutto per la scelta cromatica, dal momento che
anche la Kruger utilizza solo le fotografie in bianco e nero, sulle quali sovrascrive, con scritte
bianche su sfondo rosso (quest’ultimo diventato poi un trademark chiamato Kruger red). Inoltre,
anche la scelta dei manifesti e dei poster come supporto, assieme all’intenzione di creare una
sensazione di spaesamento e di detournèment nell’osservatore, sono ulteriori caratteristiche che
accomunano i due artisti.
L’ascesa di Shepard Fairey avviene nel 1989, quando, insieme a dei suoi compagni di college,
crea quella che poi diventerà la sua cifra caratteristica e che gli varrà anche come pseudonimo.
Fairey decide di riprodurre su poster e sticker, l’immagine del wrestler francese André René
Roussimoff, detto anche André the Giant, per via della sua stazza. L’immagine, trovata su una
vecchia rivista, é in bianco e nero e sotto di essa Fairey aggiunge la frase André the Giant has a
posse131. In poco tempo, la campagna André the Giant has a posse diventa virale e poster e sticker
con il volto di André the Giant si spargono per tutti gli Stati Uniti, anche grazie al contributo della
gente comune. Fairey pubblica delle inserzioni su riviste di skateboard, musica, o cultura
underground, postando l’immagine di André e comunicando che per 5 centesimi avrebbe spedito
gli adesivi a casa.
Inizialmente questa immagine non ha un significato preciso, Fairey afferma che ognuno può vederci
il significato che vuole, in base alla propria sensibilità. Come afferma in una sua intervista,
nell’immagine di André “c’è l’aspetto del test di Rorschach: ogni interpretazione di un’immagine
ambigua, che sia una macchia d’inchiostro o un lottatore professionista è una riflessione della
personalità di qualcuno. Ad esempio: osservando André da una certa prospettiva potrebbe risultare
sinistro, timoroso e inquietante, mentre da un’altra benevolo, buono e sciocco.132”

                                                                                                               
130
De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, Roma,
Castelvecchi, 2011, p.9.
131
“Posse” può essere considerato sinonimo di crew, gang, gruppo di amici.
132
De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p 39.
69  
 
La campagna di André the Giant prende un’implicazione politica, quando Fairey decide di inserire
degli slogan nelle immagini. Fairey era rimasto colpito dal film di John Carpenter del 1988 They
live, un film di orwelliana memoria, in cui si narra di una Los Angeles distopica, apparentemente
normale, in cui il protagonista della storia (interpretato da un famoso lottatore di wrestling del
periodo, Roddy Piper) trova degli occhiali particolari e indossandoli, scopre che la realtà non è
quella che sembra. Attraverso queste lenti particolari infatti, si scopre che gran parte della
popolazione mondiale è in realtà una razza aliena camuffata, intenta a conquistare la terra,
attraverso messaggi pubblicitari subliminali. Dietro i normali cartelloni pubblicitari, si celano
messaggi propagandistici come obey, consume, reproduce. Il messaggio del film, una dichiarata
protesta contro il consumismo e la politica reaganiana, viene ripreso da Shepard Fairey, che
inserisce la scritta Obey con lo stesso font della pellicola, sull’immagine di André the giant,
tramutando la sua campagna in: Obey the giant. Da allora, l’artista Shepard Fairey prende lo
pseudonimo Obey133. Obey si batte contro la manipolazione dei mezzi di comunicazione, il
consumismo, l’impoverimento morale delle masse e porta avanti la sua lotta attraverso la sua arte,
con tutti i mezzi possibili: poster, sticker e stencil. Come viene ribadito anche da De Gregori: “La
strada non ammette censure, non c’è un comitato che decide cosa si può esporre e cosa no, offre una
totale libertà di espressione e Fairey ne ha fatto il suo strumento, mostrando così di non volersi
sottomettere al sistema.”134 [Figura 13]
Come già anticipato, Obey non può essere considerato semplicemente uno street artist, poiché
concentra la sua attività in vari campi. Il suo legame con la musica è fortissimo, nel corso degli anni
ha realizzato decine di ritratti di icone musicali, da John Lennon, a Jimi Hendrix e si è prestato a
creare cover dei dischi di numerosi gruppi musicali. Inoltre, egli stesso si diletta come dj musicale.
Il suo studio di grafica e pubblicità, Number One, aperto insieme alla moglie, è attualmente uno
degli studi più importanti negli Stati Uniti e vanta clienti come Pepsi, Adidas, Apple, Sony e altri
ancora. All’interno dello studio, ha sede anche la galleria Subliminal Projects, specializzata in tutte
le espressioni artistiche (fotografia, pittura, grafica, illustrazioni, Street Art) legate alla cultura
urbana. Nel 2004 ha fondato una rivista trimestrale “Swindle”, uscita fino al 2009, che trattava di
cultura pop e attualità, concentrandosi in particolar modo sulla Street Art e le culture underground.

                                                                                                               
133
L’opera di Obey è strettamente legata alla filosofia distopica orwelliana tanto che la Penguin
books ha commissionato a Obey le copertine di 1984 e La fattoria degli animali.
134
De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p.47.
70  
 
Nel 2001 è nata la linea di abbigliamento Obey Clothing venduta in tutto il mondo e diventata uno
status symbol per tutti i giovani. Come descrive anche nel suo sito, Obey considera l’abbigliamento
un’ulteriore tela per diffondere la sua arte e i suoi messaggi alle persone135.
Obey è molto impegnato nel sociale. Tra le numerose attività benefiche che organizza e a cui
partecipa e le organizzazioni no-profit con cui collabora, rimarchevole è il contributo di Obey alla
città di Venezia. Nel 2009 ha partecipato al progetto “SMS Venice” (Saint Mark’s Square
Venezia)136 per la tutela e la conservazione dei beni artistici e architettonici della città. Durante la
sua permanenza di due settimane, Obey ha realizzato duecento serigrafie su Venezia e i proventi
sono andati al finanziamento per il restauro di alcuni dei più importanti monumenti dell’isola, come
il ponte di Rialto e la chiesa di San Giorgio maggiore. Inoltre, ha creato delle installazioni esposte
in Piazza San Marco, a Ca’ Corner della Regina, in campo Santa Margherita, a palazzo Querini
Dubois e ai magazzini Ligabue e vendute poi all’asta. Infine ha tenuto anche un workshop
all’Accademia di Belle Arti.
Con la sua arte e le sue campagne, Obey ha raggiunto un successo planetario e ottenuto consensi
dalla critica e dal pubblico. Nel 2010 Jeffrey Deitch (attuale direttore del MOCA, Museum Of
Contemporary Art di Los Angeles) e Antonino d’Ambrosio hanno curato una personale di Obey
alla galleria di Jeffrey Deitch, a New York. La mostra, dal titolo MayDay, volto a rappresentare sia
la festa internazionale dei lavoratori, sia il codice d’aiuto da utilizzare in caso di emergenze, ha
avuto un successo senza precedenti. Come racconta Deitch nell’introduzione del catalogo della
mostra, il giorno dell’inaugurazione, le persone iniziarono a fare la fila dalle 6 del mattino, alle 10
del mattino c’erano già più di 100 persone ad attendere e alle 18.30, ora di apertura della galleria,
interi isolati erano invasi dalla folla, tanto da dover deviare il traffico stradale. Un evento unico
nell’ambito artistico newyorchese137. La mostra presentava lavori inediti su tela, su carta, serigrafie,
stencil e copertine di dischi e Obey non si limitò ad esporre le sue opere in galleria, ma durante il
mese di apertura della mostra, andò in giro per la città con la sua crew a bombardare i quartieri con i
suoi poster. Per il gioco di parole del titolo della mostra (May day e Mayday) la mostra era sia una
celebrazione dei grandi personaggi rivoluzionari e delle contro-culture, che un monito
sull’ingiustizia sociale, la guerra e la distruzione ambientale. La mostra iniziava con bandiere e
bersagli, con tanto di ritratto di Jasper Johns, come da ammissione di Obey, il suo più grande
esempio e fonte di ispirazione, per poi proseguire con paesaggi urbani orwelliani o malinconici
                                                                                                               
135
http://www.obeyclothing.com/about/
136
Sms Venice è un progetto nato nel 2008 come campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per
la tutela e la conservazione di Piazza San Marco.
137
Deitch J., D’Ambrosio A., Mayday, The art of Shepard Fairey, Berkley, Gingko Press Inc.,
2010, p.14.
71  
 
(notevole America’s Favorite, un’immagine di una stazione di benzina, omaggio all’opera di Ed
Ruscha: Twentysix Gasoline Stations), per finire con ritratti del Dalai Lama, il subcomandante
Marcos o Aung San Suu Kyi.
Per Deitch, il successo di Obey sta nel grande senso della scelta del luogo, in una notevole abilità
nella creazione dell’immagine e in un’intuitiva comprensione della semiotica, associata ad un forte
istinto commerciale138.
La consacrazione di Obey avviene infine con l’ormai celebre poster realizzato per la
campagna presidenziale di Barack Obama del 2008. Il richiamo alle serigrafie di Warhol è
immediato, il volto di Obama è altamente compatibile con le icone pop come Marylin Monroe o
Mao Tze Tung e come dichiara anche il critico Peter Schjedahl in un articolo sul New Yorker del
23 febbraio 2009: “Shepard Fairey created the most efficacious American political illustration since
“Uncle Sam Wants You.”139 Il ritratto originale di Obama si trova ora alla National Potrait Gallery
di Washington.
Obey è uno dei più quotati street artist a livello mondiale, ma nonostante questo cerca ancora
di lavorare sui muri delle città. Nel 2009, mentre si stava dirigendo all’inaugurazione di una sua
retrospettiva all’Institute of Contemporary Art di Boston, per festeggiare il ventennale della sua
carriera, è stato arrestato. Il tribunale di Boston aveva ben dodici capi d’accusa contro di lui eppure
il fascino di agire nelle strade non è mai diminuito. Come dichiara in una sua intervista:

“C’è qualcosa di potente nel contemplare l’arte negli spazi pubblici al posto delle pubblicità. Una delle
cose che più mi piace è stare in mezzo alle persone, perché l’arte di strada non è come quella nelle
gallerie in cui la gente cammina e dice: so che questo lavoro è bello perché è esposto in una galleria, per
140
la strada le persone si vergognano di meno nel mostrare quello che pensano veramente, senza clichè.”

La figura unica e innovativa di Shepard Fairey, che partendo dalla decorazione di skateboard e
dalla creazione di volantini per le band musicali della sua zona, è arrivato ai più alti livelli dell’arte
contemporanea è da esempio per tutti gli altri giovani street artist. La filosofia, l’etica e l’arte di
Obey è ricca e articolata. Memore della lezione di Marshall McLuhan, Obey utilizza la Street Art

                                                                                                               
138
 Deitch J., D’Ambrosio A., op. cit., p. 13.  
139
“Shepard Fairey ha creato la più efficace illustrazione politica americana dai tempi di “Zio Sam
vuole te.” (trad. mia).
http://www.newyorker.com/arts/critics/artworld/2009/02/23/090223craw_artworld_schjeldahl?curr
entPage=1
140
De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit., p.
156.
72  
 
come strumento comunicativo141, diffondendo i suoi messaggi, che possono essere politico-sociali o
prettamente estetici. In conclusione, tutta la sua opera può essere brillamente racchiusa in un
singolo messaggio che spesso utilizza nei suoi lavori: make art, not war (fate l’arte, non la guerra).

2.3.2 JR

JR, vero nome sconosciuto, nato nel 1983 e di nazionalità francese, è stato il vincitore del TED
prize142 nel 2011 e Forbes lo ha inserito nel 2012, nella lista delle 30 persone sotto i 30 anni più
influenti al mondo, nella categoria Art & Style143.
La filosofia di JR è quella di rendere le persone comuni protagoniste di un’opera d’arte e fare in
modo che l’arte arrivi a tutti. JR si definisce un photograffeur, ossia un incrocio tra un fotografo e
un writer. Inizia a realizzare arte di strada a quindici anni, facendo graffiti e immortalando le azioni
sue e dei suoi compagni, con la sua macchina fotografica. Un paio d’anni dopo, decide di stampare
le fotografie e inizia a fotocopiarle e ad affiggerle clandestinamente sui muri della città, creando
così delle sidewalk galleries, delle gallerie a cielo aperto, direttamente sui muri adiacenti ai
marciapiedi delle strade. JR crea anche delle cornici per le fotografie con la bomboletta spray, in
modo da evidenziarle e non farle confondere con la pubblicità. Col passare del tempo, le fotocopie
delle fotografie si sgretolano, ma rimangono le cornici. Ha lasciato il segno.
Il modus operandi di JR rimane sempre lo stesso nel corso della sua carriera. Scatta le fotografie ai
volti delle persone con il suo obiettivo 28 millimetri, che crea un effetto grandangolare e quindi
necessita una notevole vicinanza del soggetto alla macchina; le stampa, rigorosamente in bianco e
nero, su dei poster di dimensioni considerevoli, per poi infine incollarli nelle varie città. JR opera
sempre in base a dei progetti studiati, non crea poster singoli fini a se stessi. Col tempo, l’arte di JR
matura sempre di più, l’artista inizia ad interessarsi ai temi sociali e le dimensioni dei poster
aumentano a dismisura, fino a raggiungere talvolta le dimensioni di un palazzo.

                                                                                                               
141
Obey è stato da sempre influenzato dal lavoro di Marshall McLuhan. Nell’etichetta interna di
ogni capo della sua linea di abbigliamento, compare la scritta The medium is the message.
142
TED è una organizzazione no-profit fondata nel 1984, votata alla diffusione di idee, solitamente
in forma di piccole conferenze. I temi inizialmente riguardavano Technology, Entertainment e
Design. Attualmente vengono considerati quasi tutti i temi di qualsiasi ambito, in più di cento
lingue. Sul sito internet di TED viene descritta la mission del TED prize. “Il Premio TED viene
assegnato annualmente ad un individuo eccezionale, con una visione lungimirante, creativa e
audace, volta a innescare il cambiamento globale. Sfruttando le risorse della comunità TED e
investendo 1 milione di dollari, il Premio TED supporta ogni anno un desiderio, un’idea ispiratrice
del vincitore, con l’obiettivo di motivare le persone di tutto il mondo a mettersi in gioco.”
http://www.ted.com/participate/ted-prize
143
http://www.forbes.com/special-report/2012/30-under-30/30-under-30_art.html
73  
 
Il 2005 è l’anno delle rivolte nelle banlieues parigine. JR rimane colpito dalle immagini
mostrate dai media, immagini di ragazzi furiosi, violenti e viene mostrato anche un suo poster che
aveva appeso un anno prima su un muro di una periferia parigina. Il poster ritrae dei ragazzi delle
banlieues, amici di JR, con lo sguardo serio e in posizione quasi di sfida. L’immagine non ha niente
a che fare con ciò che sta accadendo al momento, ma i volti dei giovani ritratti, sono marchiati
come i volti della rivolta. Deluso e adirato da questa manipolazione dell’informazione, JR decide di
ritrarre quattro ragazzi della banlieue di Le Bosquet. Sui poster compaiono i loro volti mentre fanno
delle smorfie buffe, così da sembrare caricature, con il loro nome, età e numero civico. JR attacca i
poster in vari quartieri della Parigi bene e l’anno successivo, quelle immagini vanno in mostra
davanti al municipio di Parigi. Come dichiara lui stesso, quelle fotografie mostrano il passaggio
“dalle immagini fatte, rubate e distorte dai media, all'orgoglio per la propria immagine.”144
Nel 2007 prende vita uno dei suoi progetti più ambiziosi, il progetto Face 2 Face. JR vola in
Medioriente con l’obiettivo di stabilire se e quanto siano diversi tra loro palestinesi e israeliani. JR e
i suoi compagni iniziano a scattare primi piani di palestinesi e israeliani, anche in questo caso
intenti a fare una smorfia, che fanno lo stesso mestiere. Le immagini, poi stampate e ingigantite,
vengono accostate una all’altra, così da ottenere dei maestosi dittici di persone che svolgono la
stessa professione, ma di due popoli così in conflitto tra loro. Tutti accettano che i loro ritratti siano
affiancati e anzi, apprezzano il lavoro di JR: “Per Face 2 Face eravamo sei amici, con due scale,
due pennelli, una macchina a noleggio, una macchina fotografica e 6 o 7 mila metri quadri di carta.
Abbiamo ricevuto ogni sorta di aiuto.145” Le coppie di ritratti vengono poi incollate (illegalmente,
come la maggior parte dei suoi progetti) in otto città israeliane e palestinesi e su entrambi i lati del
muro divisorio. Quasi nessuno è riuscito nell’intento di distinguere chi fosse palestinese e chi
israeliano. JR racconta:

“Siamo a Ramallah. Stiamo attaccando ritratti, entrambi in una strada di mercato, affollata. La gente ci si
avvicina e fa domande tipo: "Che state facendo qui?" "Questo? E' un progetto d'arte" mettiamo vicini un
israeliano e un palestinese che fanno lo stesso mestiere. Questi due sono tassisti. Calava sempre il
silenzio. "Vuoi dire che state incollando una faccia israeliana che fa una smorfia proprio qui? "Esatto, fa
parte del progetto." Poi aspettavo qualche secondo e gli chiedevamo: "Sapete distinguere uno dall'altro?"
Quasi nessuno ci riusciva.”146  
 
                                                                                                               
144
Testo trascritto dal discorso di accettazione al TED Prize 2011.
http://www.ted.com/talks/jr_s_ted_prize_wish_use_art_to_turn_the_world_inside_out/transcript#t-
426000
145
Ibid.
146
Ibid.
74  
 
JR l’ha definita la più grande esposizione d’arte illegale al mondo e quattro anni dopo, quando è
tornato in Medioriente per controllare lo stato della sua opera, ha notato con orgoglio che i poster
sono ancora quasi tutti intatti.  
Nel 2008 parte la campagna, sviluppata in vari paesi, Women are heroes. JR vuole agire in
luoghi difficili, aspri, luoghi di cui nessuno parla se non per casi di violenza o povertà. Vuole
raccontare la storia di donne, la quale solitamente non viene mai raccontata. Attraverso un grande
progetto interattivo, JR fa uscire dall’anonimato queste donne, facendo viaggiare la loro storia.
Nella più grande favela brasiliana, Providencia, a Rio de Janeiro, invade la collina con ritratti delle
donne della favela, per omaggiarle, considerandole i pilastri delle comunità. A Kimera, in uno slum
del Kenya, affigge ritratti delle donne del luogo sui treni e sui tetti delle case, utilizzando in questo
caso vinile e non semplice carta, in modo da rendere l’arte anche utile e proteggere le baracche
dalla pioggia. Dopodichè, porta le storie di queste donne con sé, affiggendo i loro ritratti anche in
Europa e negli Stati Uniti. Da questo progetto, nel 2010 JR ha realizzato un documentario,
chiamandolo sempre Women are heroes e presentato al Festival del cinema di Cannes.  
JR, per i suoi progetti non chiede mai permessi o patrocini, non entra in contatto con enti o
organizzazioni non governative e non si appogia mai a sponsor commerciali. Semplicemente decide
di andare sul luogo e parlare direttamente con la gente. Durante un viaggio in India sempre per la
campagna Women are heroes, però, si è posto realmente il problema di come attaccare i poster, dal
momento che le leggi sono molto più severe che in altri paesi. JR decide così di incollare dei poster
bianchi, sui muri bianchi. Sui manifesti però attacca della colla, come quella dei nastri adesivi e così
man mano che si alza la polvere dalla strada, questa si attacca alla colla e il disegno si rivela.  
Tra i suoi progetti più recenti compare The wrinkles of the city (Le rughe della città), dal
2012, che tocca vari paesi del mondo, dalla Cina alla Spagna agli Stati Uniti, in cui JR accosta i
ritratti di persone anziane su palazzi anch’essi segnati dal tempo e dai cambiamenti socio-culturali.
Le rughe sono i segni del tempo che passa, sono la memoria della città.  
Infine, si deve menzionare il progetto Inside Out, detto anche The people’s art project,
avviato nel 2011 in seguito alla vittoria del TED prize in cui gli si chiedeva di realizzare un progetto
partecipativo globale, in grado di cambiare il mondo. Questo è uno dei suoi progetti più
rivoluzionari ed estesi. In questo caso, non solo la gente comune diventa protagonista dell’opera
d’arte, ma diventa il creatore e il divulgatore della stessa147, annullando così totalmente le
                                                                                                               
147
Anche in questo caso è forte l’influenza di Marshall McLuhan. McLuhan e Barrington Nevitt
avevano ipotizzato nel 1972, che con la rivoluzione tecnologica, produttore e consumatore
sarebbero diventati un’unica figura, denominata “prosumer”. A questo riguardo si rimanda alla
lettura di McLuhan M., Nevitt B., Take today; the executive as dropout, San Diego, Harcourt Brace
Jovanovich, 1972.
75  
 
distinzioni tra le parti caratterizzanti del sistema dell’arte contemporanea, come: artista, opera,
curatore e pubblico. JR chiede il contributo di tutte le persone, in ogni parte del mondo. Le persone
elaborano un’idea e scattano le fotografie dei partecipanti (rigorosamente primi piani in bianco e
nero), inviano la descrizione del progetto e le fotografie a JR, il quale poi le rispedisce loro in forma
di poster. Infine, gli ideatori del progetto si occupano di affiggere i poster e documentare l’evento.
Questo progetto corale, in cui tutti sono protagonisti e tutti possono partecipare attivamente alla loro
iniziativa, ha raggiunto negli anni cifre notevoli, con 120.000 partecipanti da più di 108 paesi148. I
temi dei progetti sono i più vari: dal cambiamento climatico, alla violenza, alle discriminazioni. In
Italia, nell’ottobre 2012 è partita la campagna L’Italia sono anche io a favore dell’integrazione
razziale, portata avanti con l’affissione di oltre duemila ritratti, in varie citta italiane. In questo
modo, ogni persona ha la possibilità di far sentire la propria voce.  
Al momento JR si concentra su Inside Out project e su altri progetti paralleli, ma con sempre in
mente il suo principale obiettivo: utilizzare l’arte per capovolgere il mondo149. [Figura 14]

2.4 Sticker Art

Lo sticker è il mezzo più immediato e veloce della Street Art. La rapidità di esecuzione e le piccole
dimensioni fanno sì che nel corso degli anni gli sticker siano proliferati in tutte le città e solitamente
diventa uno dei primi supporti a essere sperimentato dagli street artist.
Come viene definito anche in Street Art cook book. A guide to techniques and materials, gli sticker
sono come le tag per il graffitismo, le più piccole in termini di formato e le più diffuse. Lo sticker è
apprezzato dagli street artist poiché è possibile attaccarlo ovunque, dai muri, ai lampioni, ai
semafori e sono di semplice realizzazione.
Non mancano però le critiche a questo stile, accusato di fin troppa semplicità o addirittura
superficialità.
Bastano pochi procedimenti per realizzare uno sticker. Per prima cosa bisogna scegliere un
soggetto, il quale è consigliabile che abbia delle linee semplici e non sia troppo particolareggiato,
altrimenti, data la piccola dimensione dell’adesivo, il design potrebbe risultare poco riconoscibile.
Più gli sticker assomigliano a dei loghi, meglio è, lo stile risulterà riconoscibile e lo sticker sarà più
facilmente ricordato. Una volta scelto o disegnato il soggetto, è necessario creare il supporto
adesivo e ci sono molti modi per ottenerlo. Ci si può affidare a delle compagnie tipografiche, ma è

                                                                                                               
148
www.insideoutproject.net/en/about
149
Ogni anno ai vincitori del TED prize viene richiesto di esprimere un desiderio, per poi cercare di
concretizzarlo. Il desiderio di JR è stato appunto quello di use art to turn the world inside out.
76  
 
un procedimento abbastanza costoso. Altrimenti, esistono in commercio le carte viniliche, su cui è
possibile decorarci per mezzo di pennarelli, vernici spray, fotocopie o serigrafie, per poi ritagliarle.
Per le strade si vedono spesso adesivi pre-stampati e ridecorati. C’è invece chi preferisce creare gli
adesivi individualmente e quindi utilizza la stessa tecnica dei poster, si arma di fotocopiatrice e
incolla gli adesivi con della normale colla. Nella Street Art tutto è lecito, viene apprezzato il riciclo,
il do it yourself e la creatività, perciò qualsiasi mezzo si decida di scegliere è ben accetto.
La Sticker Art è la forma espressiva più tollerata e per questo anche una delle più sfruttate. È molto
improbabile che la polizia arresti qualcuno per aver incollato un adesivo, cosa invece più
presumibile se colto nell’atto di creazione di un graffito.
Gli sticker si sviluppano e si diffondono di pari passo con l’evoluzione delle Street Cultures. Prima
di apparire per le strade, invadono le tavole da skate, le chitarre dei gruppi e gli oggetti dei giovani.
In seguito vengono utilizzati contemporaneamente ai poster, in campagne sovversive, di protesta o
propaganda, fino ad essere istituzionalizzati e utilizzati per campagne pubblicitarie virali o di
comunicazione. Infatti, come asserisce anche De Gregori:

“La Sticker Art si serve degli spazi pubblici come una qualunque inserzione o pubblicità, gli adesivi
replicati innumerevoli volte e inseriti in dosi massicce nel tessuto urbano creano una saturazione
dell’immagine e del soggetto iconografico e un uso costante nel tempo permette un’attenzione crescente
fino all’interessamento dei media nazionali e dell’opinione pubblica.”150

Shepard Fairey, durante la sua campagna Obey the giant, è stato uno dei primi a sdoganare gli
sticker sulla strada. Lo sticker è il mezzo più efficace per ottenere un effetto virale e Fairey dichiara
che dal 1989 al 1996, in soli sette anni ha diffuso più di un milione di adesivi.151 Nel suo manifesto,
redatto nel 1990, Fairey dichiara lo scopo della sua campagna di sticker, che può essere accomunato
allo scopo della sticker art in generale:

“The Obey sticker campaign can be explained as an experiment in Phenomenology. Heidegger describes
Phenomenology as “the process of letting things manifest themselves.” Phenomenology attempts to
enable people to see clearly something that is right before their eyes but obscured; things that are so taken
for granted that they are muted by abstract observation. The first aim of phenomenology is to reawaken a
sense of wonder about one’s environment. The Obey sticker attempts to stimulate curiosity and bring
people to question both the sticker and their relationship with their surroundings. Because people are not
used to seeing advertisements or propaganda for which the product or motive is not obvious, frequent and

                                                                                                               
150
Shepard Fairey in De Gregori S. Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della
poster art, cit., p. 38.
151
Ivi, p. 36.
77  
 
novel encounters with the sticker provoke thought and possible frustration, nevertheless revitalizing the
viewer’s perception and attention to detail. The sticker has no meaning but exists only to cause people to
react, to contemplate and search for meaning in the sticker. […]
Many stickers have been peeled down by people who were annoyed by them, considering them an eye
sore and an act of petty vandalism, which is ironic considering the number of commercial graphic images
everyone in American society is assaulted with daily. […] Giant stickers are both embraced and rejected.
[…] Whether the reaction be positive or negative, the stickers existence is worthy as long as it causes
people to consider the details and meanings of their surroundings. In the name of fun and observation.”152

Gli sticker, che siano minimali o più elaborati, concettuali o simbolici, riconoscibili come loghi o
astratti, possiedono un forte potere comunicativo e, come un virus espressivo, diventano impossibili
da fermare.

2.5 A mano libera

Non tutta la Street Art è prodotta in pezzi seriali per mezzo di strumenti o tecniche particolari.
Come dei moderni Michelangelo, molti street artist preferiscono creare le loro opere a mano libera,
direttamente sui muri, creando una poetica ed elegante fusione tra la tradizione muralista e quella
del Graffiti Writing. Il muralismo messicano, sviluppatosi negli anni Venti del Novecento, è la
fonte ispiratrice di questa sezione della Street Art. I suoi tre principali esponenti, José Clemente
Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros auspicavano ad un’arte pubblica, collettiva e
sociale. Per raggiungere questo obiettivo era necessario rigettare l’arte “borghese”, identificata nella
pittura a cavalletto, realizzando le opere negli edifici pubblici. La Street Art ricalca questa linea di

                                                                                                               
152
“La campagna adesiva di Obey, può essere spiegata come un esperimento di fenomenologia.
Heidegger descrive la fenomenologia come "il processo di lasciare che le cose si manifestino." La
fenomenologia tenta di consentire alle persone di vedere chiaramente qualcosa che è davanti ai loro
occhi, ma oscurato. Cose che sono date così per scontato che non le si nota neanche più. Il primo
obiettivo della fenomenologia è quello di risvegliare il senso di meraviglia nel proprio ambiente.
L'adesivo di Obey cerca di stimolare la curiosità e portare la gente a mettere in discussione sia
l'adesivo che il loro rapporto con l'ambiente circostante. Poiché le persone non sono abituate a
vedere delle pubblicità o propagande nelle quali il prodotto o il movente non è chiaro, i frequenti e
nuovi incontri con l'adesivo provocano pensieri e una possibile frustrazione, tuttavia rivitalizza la
percezione dello spettatore e l’attenzione al dettaglio. L'adesivo non ha alcun significato, ma esiste
solo per indurre la gente a reagire, a contemplare e ricercare un senso allo sticker. Molti sticker
sono stati staccati da persone infastidite, considerandoli un pugno nell’occhio e un atto di futile
vandalismo, il che è ironico considerando il numero di immagini grafiche pubblicitarie, che ogni
giorno assalgono le persone nella società americana. Gli adesivi giganti sono sia ben accolti, che
rifiutati. Che siano accolti positivamente o negativamente, l’esistenza degli sticker ha senso fintanto
che porta le persone a considerare i dettagli e i significati del loro ambiente. In nome del
divertimento e dell’osservazione.” http://www.obeygiant.com/about (trad. mia).
78  
 
pensiero e si cimenta in opere spesso grandiose nelle architetture urbane. Nella Street Art realizzata
a mano libera, i pezzi sono unici e, a seconda della dimensione, possono richiedere fino a svariati
giorni di lavoro. Gli strumenti utilizzati sono pennelli, rulli, pennarelli o bombolette spray. Nei
lavori a mano libera vi è la piena libertà espressiva dell’artista. Non esistono limitazioni tecniche
dovute ad esempio alle costrizioni della stampa e ogni artista può scegliere le dimensioni che
desidera in base alla propria creatività. Dan Witz (1957), ad esempio, street artist con base a
Brooklyn, attivo dagli anni Settanta, sceglie di dipingere a mano, con uno stile realistico, piccoli
colibrì colorati, posizionati in punti strategici, scelti appuratamente per stupire i passanti. Per le sue
immagini utilizza ogni tipo di strumento: colori a olio, acrilici, markers, penne a sfera, brillantini e
aerografi. I delicati colibrì di Dan Witz sono contrapposti alle superfici corrose e agli intonaci
sgretolati dei palazzi e creano un effetto di contrasto, che mettono in risalto la bellezza
dell’immagine, rispetto al suo ambiente. I colibrì di Dan Witz rappresentano un frammento di
poesia, nella brutalità del mondo quotidiano. Sebbene la tendenza dei murales sia quella di creare
pezzi sempre più grandi e imponenti, Witz mantiene le sue opere di piccolo formato, impiegando
anche fino a quattro ore, per opere grandi dieci centimetri.
Al contrario, street artist come Roa o Barry McGee prediligono spazi ampi su cui lavorare. Roa
colpisce i palazzi in tutta la loro lunghezza, con i suoi animali inquietanti, realistici, in bianco e
nero, mentre Barry McGee, anche quando lavora in interno, occupa tutta la parete, invadendo lo
spazio con la sua tag (Twist) o con le sue teste malinconiche.

2.5.1 Gli Italiani

Una menzione speciale va agli artisti italiani che da anni si distinguono nella pittura murale, fino a
raggiungere le vette più alte della Street Art mondiale. L’Italia possiede una grande tradizione di
pittura murale: a cominciare dalla tecnica dell’affresco, protagonista indiscusso dall’antica Roma
all’epoca moderna, fino ad arrivare alla prima metà del Novecento, in cui la pittura murale è stata
utilizzata come strumento per la propaganda fascista. Nel 1933 Mario Sironi pubblica il Manifesto
della pittura murale, nel quale indica la pittura murale come pittura sociale per eccellenza e di
conseguenza consona a rappresentare l’arte fascista. Secondo Sironi l’arte murale rigetta i
virtuosismi e le improvvisazioni, a guadagno di una pittura rigorosa e ordinata. Con la rinascita
contemporanea della pittura murale, i giovani street artist ne rivoluzionano il concetto,
approfittando proprio dei grandi spazi per sperimentare nuove tecniche e nuove composizioni.
Gli artisti italiani più rappresentativi di questo stile sono Blu e Ericailcane, artisti conosciuti e
operanti in ogni parte del globo, con all’attivo numerose collaborazioni tra loro. Nel 2011, il

79  
 
quotidiano inglese “The Guardian”, ha inserito un’opera di Blu nella classifica dei dieci migliori
Street Art works al mondo.153
Blu ha deciso di celare la sua identità, non si conoscono dati personali certi e non rilascia
mai interviste, di lui si sa solo che è cresciuto artisticamente a Bologna, uno dei luoghi più
innovativi e con più fermento per il Graffiti Writing e la Street Art in Italia e ha iniziato la sua
carriera artistica sul finire degli anni Novanta. Inizialmente si dedica al Graffiti Writing, lavorando
nella periferia industriale bolognese e a stretto contatto con i centri sociali, ma dopo pochi anni
decide di passare alle vernici applicate tramite rullo, ingigantendo le dimensioni delle sue opere.
L’arte di Blu è prettamente figurativa, i suoi soggetti sono creature antropomorfe mostruose e
grottesche, di derivazione fumettistica e dei cartoons. Le opere di Blu sono di dimensioni
rimarchevoli, occupano spesso tutta la facciata dei palazzi, creando personaggi sproporzionati
rispetto al supporto, tanto da dare l’impressione che i palazzi stiano “stretti” alle figure. Le sue
opere sono strettamente legate al territorio e al luogo in cui sono inserite. Blu predilige zone
industriali o luoghi in stato di abbandono e anche per questo non ama esporre in galleria, poiché il
suo lavoro sarebbe snaturato e svalutato. I contorni netti delle figure si stagliano e provocano un
forte risalto rispetto allo sfondo.
Le opere sono monocromatiche o dipinte con una palette scarna, con pochi colori chiari, stesi a
larghe campiture compatte, che danno rilievo alla forma e alla linea del disegno.
Crea sempre i disegni in precedenza sui suoi sketchbook, per poi trasferirli sul muro, spesso
rimaneggiando le immagini sul momento e improvvisando.
Durante la sua carriera, Blu ha viaggiato in quasi tutti i continenti, invitato ai vari festival
internazionali di Street Art. Il maggiore contributo l’ha dato in America Latina, realizzando opere in
Messico, Brasile, Argentina, Nicaragua, Costa Rica e Guatemala. In Nicaragua ha insegnato ai
bambini locali l’arte della pittura murale e a Managua ha realizzato una delle sue opere più famose,
l’Hombre Banano (uomo banana), un’opera che rappresenta una figura mostruosa costituita da
banane, le quali si tramutano in armi che spruzzano sangue. L’opera è una chiara protesta contro le
corporazioni di banane del paese e a favore della lotta per i diritti dei lavoratori nei campi di
banane. Purtroppo il murale è oggi scomparso.
Oltre alle opere su muro, Blu è famoso per la realizzazione di video di animazioni digitali. In questi
video le figure di Blu prendono letteralmente vita. Può essere definita come un’animazione dipinta.
Blu dipinge le immagini sui muri di varie città e le riprende, legandole tra loro in stop motion. Nel
2008, durante il suo viaggio in Argentina, realizza Muto. A wall-painted animation (Muto.

                                                                                                               
153
http://www.theguardian.com/culture/gallery/2011/aug/07/art#/?picture=377639959&index=6
80  
 
un’animazione del muro dipinto), lungo più di sette minuti e con oltre undici milioni di
visualizzazioni su internet.
Come fece già JR, anche Blu lascia il suo segno in Palestina. Nel 2007 viene invitato insieme a
Ericailcane e altri artisti come Swoon, Ron English, Mark Jenkins e Faile a partecipare alla
manifestazione organizzata dal collettivo Santa’s Ghetto.154 Blu dipinge di bianco, su una torretta
d’avvistamento del muro di separazione, un personaggio maschile che cerca di infrangere il muro
con un dito. Lo street artist è molto attivo socialmente, infatti, molte sue opere rappresentano una
critica al consumismo e vogliono testimoniare lo stato di degrado e di corruzione della società.
Carri armati, armi, il vile denaro e le problematiche ambientali sono soggetti ricorrenti nelle sue
opere: nel 2010 a Lisbona realizza un’opera maestosa in collaborazione con Os Gêmeos, in cui
viene rappresentato un uomo in giacca e cravatta con una corona in testa ornata dai simboli delle
compagnie petrolifere, che tiene per le mani il pianeta terra e lo succhia con una cannuccia come se
fosse una bibita; sempre nel 2010 il MOCA di Los Angeles invita Blu a realizzare un pezzo per la
grande mostra sulla Street Art Art in the street al The Geffen Contemporary, la sezione più
contemporanea del MOCA dedicata alle esposizioni temporanee e alle sperimentazioni di giovani
artisti. Blu realizza un pezzo sulla facciata che rappresentava delle bare dei soldati americani con
sopra delle banconote da un dollaro, invece che la classica bandiera. Dopo neanche 24 ore il pezzo è
stato censurato e il muro imbiancato. La cosidetta scelta curatoriale è stata del direttore del Moca,
Jeffrey Deitch, lo stesso che in precedenza aveva appoggiato e sponsorizzato Shepard Fairey. Nel
2013 Blu crea una dei suoi ultimi murali italiani, a Niscemi, in Sicilia, per dare sostegno agli
abitanti contro l’installazione nella cittadina del “Muos”, un sistema di comunicazione satellitare,
da parte della marina militare statunitense. Niscemi ospita la Sughereta, un’area naturale protetta e i
niscemesi sono preoccupati per le ripercussioni del Muos e delle sue onde elettromagnetiche sulla
popolazione e l’ecosistema della zona. Blu realizza diversi murales all’interno della città e quello
principale raffigura un essere mostruoso a forma di ripetitore, che cerca di attaccare i protestanti,
con decine di droni e una distesa di croci ai suoi piedi.
I pezzi di Blu sono sempre incisivi e profondi e quando lo street artist si avvale della
collaborazione di illustri colleghi, vengono alla luce dei veri capolavori. Le opere più famose di Blu
si trovano a Berlino, nel quartiere di Kreuzberg. Il mostro umanoide rosa formato da tanti piccoli
umani e l’opera realizzata in collaborazione con JR sono diventati un simbolo del quartiere, se non
dell’intera città. Il maggior numero di collaborazioni però, sono con il collega e amico Ericailcane,

                                                                                                               
154
Santa’s Ghetto è un progetto avviato nel 2005 a Betlemme da Banksy e dall’organizzazione
londinese Pictures on Walls, che si impegna a invitare street artist da tutto il mondo a dipingere sul
muro di separazione tra Israele e Palestina, in nome della pace e della libertà del popolo palestinese.
81  
 
un altro grande esponente della scuola bolognese. Ericailcane e Blu si conoscono durante gli anni
giovanili e da subito nasce un legame di amicizia profondo, che si tramuta anche in una solida e
longeva collaborazione professionale. Anche Ericailcane esordisce con le bombolette spray nei
centri sociali e nelle zone industriali di Bologna, ma se lo stile di Blu si contraddistingue per le
figure antropomorfe mostruose, al contrario Ericailcane si specializza in figure altrettanto
mostruose, ma zoomorfe. Si tratta di un bestiario incantato, inserito in uno scenario urbano, che
affascina e disturba allo stesso tempo. Questo bestiario viene anche definito “contemporaneo, dal
sapore gotico e noir.”155 I disegni di Ericailcane sono molto più delicati rispetto ai suoi murales. Su
carta rappresenta animali stilisticamente realistici, ma allo stesso tempo surreali. I suoi animali
sembrano usciti da una versione disincantata e grottesca di una fiaba di Lewis Carroll. I dipinti sui
muri invece, sempre colorati, colpiscono e impressionano, i soggetti talvolta hanno le sembianze e
le movenze umane, ma con le teste animalesche. Sono esseri bestiali che intimoriscono anche a
causa delle loro dimensioni imponenti. Quando lavora in studio, Ericailcane si destreggia abilmente
tra incisioni e disegni, diversificando così in maniera netta la sua opera tra esterno ed interno. La
sua arte risulta così sempre vitale e stimolante.
Ericailcane e Blu hanno lavorato insieme in diverse occasioni, realizzando opere complementari e
comunicative, con un perfetto equilibrio compositivo. Il maggior numero di dipinti a quattro mani si
trova a Bologna, ma anche all’estero i lavori in coppia sono cospicui, soprattutto a Londra, in Sud
America e in Palestina. Nel 2008 ad Ancona, realizzano un progetto maestoso, all’interno della
manifestazione Pop Up! Arte contemporanea nello spazio urbano. Bottles, questo il nome del
progetto, ha consentito a Blu e Ericailcane di dipingere su due grandi silos gemelli nel porto di
Ancona. Il silos di sinistra dipinto da Blu, rappresenta un palombaro dal volto mortificato, con delle
chele al posto delle mani, intrappolato dentro una bottiglia, mentre il silos di destra, dipinto da
Ericailcane, rappresenta una bottiglia, con all’interno rinchiuso un pesce, con indosso una sorta di
giacca da ammiraglio proveniente da qualche secolo lontano.
Una collaborazione notevole di Ericailcane, insieme ad altri street artist come Dem, Run, Kabu,
Allegra Corbo, Hitnes, Andreco, Basik e 108, è avvenuta nel luglio 2010, durante la quarantesima
edizione di Santarcangelo dei Teatri. Santarcangelo di Romagna è un borgo che si trova sulle
colline riminesi, un piccolo centro, ma virtuoso per quanto riguarda la sua offerta culturale. Da oltre
quarant’anni ospita Santarcangelo dei Teatri. Festival internazionale del teatro in piazza, una
manifestazione teatrale diventata ormai un’istituzione a livello nazionale e internazionale. Quando
si parla di Street Art solitamente si tende a paragonare la strada ad una galleria o ad un museo a
                                                                                                               
155
Riva A. (a cura di), Street Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, Milano,
Skira, 2007, p. 98.
82  
 
cielo aperto. In questo caso il paese è diventato un teatro, all’interno del quale gli street artist si
sono potuti esibire nelle loro performance artistiche. Il risultato è stato la creazione di tre maestose
opere murali, situate nel centro del paese, raffiguranti colorati personaggi surreali, inseriti in un
contesto onirico.
Questi artisti, insieme a tanti altri rimarchevoli street artist italiani dediti alla pittura su muro, come
Ozmo, Microbo, Bo 130, Basik, Cuoghi Corsello per citarne solo alcuni, possiedono un gran
numero di fautori ed estimatori in ogni continente e la loro partecipazione é richiesta da un gran
numero di festival ogni anno. Essi rappresentano un tassello importante della Street Art
internazionale, segno di una vibrante e intensa scena italiana, memore della lezione del passato, ma
con lo sguardo rivolto verso il futuro. [Figura 15]

2.6 Altri esempi di Street Art

Il movimento della Street Art comprende tutta l’arte concepita per e nello spazio urbano e insieme
fruibile da tutti, gratuitamente. Potenzialmente, qualsiasi espressione artistica compiuta in strada,
potrebbe appartenere alla categoria della Street Art. Si analizzano quindi di seguito alcuni stili o
street artist che non appartengono alle categorie già citate, ma che sono emblematici per
comprendere a pieno l’eterogeneità e la creatività di un movimento così ampio come la Street Art.

2.6.1 Street Art brasiliana

Il Brasile è uno dei paesi emergenti, più promettenti nell’arte contemporanea. Questa nazione ha
una lunga tradizione di Arte Urbana e, nel corso degli anni, è diventata un punto di riferimento per
la Street Art mondiale. Se negli anni Settanta e Ottanta la Mecca dei graffiti era considerata New
York, dalla fine degli anni Novanta in poi, la meta dei pellegrinaggi di tutti i writer e street artist è
diventata San Paolo. I graffiti brasiliani hanno influenzato talmente tanto la Street Art
internazionale, che meritano almeno una breve analisi storico-artistica.
In Brasile la pratica di Street Art più diffusa è la pittura murale, praticata con larghi rulli imbevuti di
vernice solitamente acrilica. L’Aerosol Art non è molto sviluppata, soprattutto a causa della difficile
reperibilità delle bombolette spray. Lo stile dei graffiti brasiliani varia da città a città, ma essi sono
accomunati da uno stile stravagante ed estremamente colorato. L’isolamento economico e sociale
degli anni passati, ha portato il Brasile a creare uno stile unico di graffiti, non associabile né
all’influenza statunitense, né a quella europea, celebrando così di fatto “un’indipendenza artistica

83  
 
brasiliana.”156 Lo stile dei graffiti brasiliani è una conseguenza del crogiolo di popolazioni che si
sono insediate una dopo l’altra nel territorio: popolazioni indigene primitive, coloni portoghesi e
immigranti europei, schiavi africani, fino ad arrivare anche a comunità giapponesi. Nonostante le
opere abbiano delle cromie molto forti e sembrino promuovere messaggi positivi, l’aspetto sociale è
spesso presente, dal momento che all’interno dello stato brasiliano vigono forti disparità sociali.
Sebbene sia una delle più forti potenze economiche, in costante crescita, questa nazione possiede
una delle più impari distribuzioni di reddito al mondo. I graffiti, sono utilizzati come una voce di
protesta, verso i problemi economici e sociali.
Negli anni Sessanta iniziano a diffondersi i primi graffiti, ma è solo durante gli anni Settanta che
questi prendono il sopravvento nelle strade e diventano un fenomeno di massa, dalle favelas ai
centri storici. I graffiti diventano l’arte del popolo e sono parte integrante della Cultura de Rua
(cultura della strada).
Peculiari di questa nazione sono i Pichação (picha in portoghese significa catrame), che potrebbero
essere definiti come l’equivalente brasiliano delle tag, anche se il motivo e lo spirito con cui questi
si sono sviluppati non hanno niente a che vedere con la loro versione americana. I pichação si sono
sviluppati a San Paolo, per poi diffondersi nei principali centri carioca. Questa forma di tagging
nasce nei quartieri più poveri come veicolo di messaggi politici e viene praticata principalmente per
testimoniare il disagio e il malessere dei quartieri più indigenti. Spesso i Pichação sono una forma
di sfida per i giovani, i pichadores vanno alla ricerca di palazzi sempre più alti o di cavalcavia
pericolosi, mettendo a repentaglio anche la loro sicurezza personale. Il Pichação è caratterizzato da
una grafia rigida e allungata, quasi geometrica, dall’aspetto intimidatorio, praticata con la
bomboletta spray o con rullo e vernice, solitamente nero. La sua diffusione epidemica ha causato
negli anni non pochi problemi all’estetica di molti quartieri delle principali città, arrivando persino a
ricoprire interi palazzi di scritte (in questo caso il palazzo totalmente bombardato viene chiamato
“agenda”, paragonandolo ad un calendario riempito di appuntamenti).
A partire dagli anni Ottanta si sviluppano ulteriori forme d’arte murale, gli stili diventano
sempre più ricercati e il design delle opere più elaborato. Inoltre, iniziano ad arrivare anche notizie
sul fenomeno del Graffiti Writing newyorchese. A metà degli anni Ottanta, la scena dell’Arte
Urbana brasiliana è divisa in opere murali e Pichação. Sul finire degli anni Novanta, la cultura dei
graffiti si diffonde sempre di più, in patria nascono riviste e incontri specializzati e alcuni street
artist brasiliani diventano conosciuti anche all’estero. Un ulteriore contributo a diffondere la cultura
dei graffiti in Brasile è stata la permanenza dell’artista Barry McGee a San Paolo. Nel 1993 McGee
vince una residenza artistica e inizia a studiare l’arte brasiliana, lasciando anche il proprio
                                                                                                               
156
Manco T., Neelon C., Graffiti Brasil, Londra, Thames & Hudson, 2005, p.7
84  
 
contributo con la sua arte nelle strade e sui muri della città. Nel frattempo inizia a frequentare gli
street artist locali, creando una forte sinergia e con alcuni di essi intratterrà rapporti d’amicizia e
professionali anche nel corso degli anni successivi. Come già annunciato, ad oggi la scena
brasiliana dei graffiti è una delle più importanti e attive a livello mondiale. Molte città hanno
persino istituito delle aree tollerate per l’arte di strada e molte amministrazioni commissionano
grandi opere pubbliche murali, poiché si è visto come i graffiti siano ormai parte integrante e
costituente della società e della cultura.
Con l’evoluzione dei graffiti in Brasile, si sono sviluppate negli anni nuove forme e nuovi
linguaggi di strada. Attualmente, in Brasile non esistono solo Pichação o i grandi pezzi murali, ma
si sono create forme espressive intermedie. Molto comune ad esempio a San Paolo è la pratica di
creare la Sopa de Letrinhas o “zuppa di alfabeto”, ossia un insieme di throw up uno accanto
all’altro che si formano “naturalmente” con il tempo, fino ad arrivare a coprire interi isolati di muri.
Tra i writer brasiliani vige un forte rispetto reciproco, molto più che tra i corrispettivi newyorchesi,
e i pezzi non sono mai sovrascritti o coperti. Uno stile tipico brasiliano è il Grapixo, una tecnica
pittorica ibrida che trae ispirazione dai Pichação e dai masterpieces. Nel volume Graffiti Brasil, il
Grapixo viene così definito: “Il grapixo prende spunto dai pezzi multicolore che richiedono molto
tempo e dai murales della tradizione Hip Hop, miscelati allo stile tipografico allampanato e
spigoloso dei Pichação, creati attraverso rulli e vernice in lattice.”157
Os Gêmeos, “i gemelli” (Otavio e Gustavo Pandolfo, San Paolo, 1974), sono la coppia di
artisti della scena dei graffiti brasiliana più conosciuta a livello mondiale e fonte di ispirazione per
numerosi graffiti artist. I loro pezzi sono ispirati dal folklore brasiliano, dai Pichação, dalla
tradizione dei graffiti statunitensi e da quella muralista. Il registro delle opere create da Os Gêmeos
varia notevolmente. I gemelli spaziano da rappresentazioni appassionate dei membri della loro
famiglia alle denunce sociali, dipingendo i senzatetto o la gente del luogo in difficoltà. Inoltre non
mancano le opere satiriche o le immagini oniriche che raccontano la storia e la tradizione brasiliana.
Con uno stile apparentemente naïf, ma dai significati profondi, Os gêmeos si sono guadagnati un
posto di rilievo nella Street Art mondiale. I loro personaggi sono inconfondibili, sembrano essere
usciti dai fumetti o da un libro di fiabe per bambini e sono sempre rigorosamente dipinti di giallo. I
gemelli affermano che i personaggi appaiono loro in sogno e tutto ciò che sognano ha tinte gialle. In
definitiva, si può affermare che Os gêmeos hanno portato “un senso di lirismo e romanticismo alla
forma”158 e all’ambiente duro e polveroso dei graffiti.

                                                                                                               
157
Manco T., Neelon C., Graffiti Brasil, cit., p. 34.
158
Lewishon C., op., cit., p.55.
85  
 
Nel corso degli anni si stanno sviluppando anche poster e stencil, mantenendo sempre uno stile
riconoscibile, caldo e colorato, tipicamente sudamericano. La “scuola brasiliana” è pronta a fare
proseliti.

2.6.2 Le installazioni

Esistono street artist che esprimono la loro arte non solamente con la vernice, ma sperimentando
materiali e tecniche nuove o inusuali, altri ancora non si limitano a lavorare sui muri delle città, ma
preferiscono interagire con tutto l’ambiente, creando di conseguenza vere e proprie installazioni.
Nello spazio urbano tutto è possibile e non c’è limite alla creatività. Talvolta, la città diventa un
palcoscenico e le installazioni di strada sembrano uscite direttamente da un’opera del teatro
dell’assurdo.
Invader, street artist francese di cui pochi conoscono la vera identità e che si presenta sempre
in pubblico con una maschera, predilige la tecnica musiva. Dalla fine degli anni Novanta, la sua
mission è quella di invadere le città di tutto il mondo attraverso i suoi mosaici, creati attraverso
mattonelle colorate, posizionate in modo da ricreare le immagini pixellate dei primi videogiochi
degli anni Ottanta. Il videogioco a cui si isipira maggiormente, tanto da averne tratto lo pseudonimo
è appunto Space Invaders, celebre gioco creato sul finire degli anni Settanta, il cui scopo era quello
di sparare per mezzo di una navicella a un vasto numero di alieni. La grafica del videogioco era
abbastanza primitiva e Invader la ricrea esattamente uguale, mantenendone quindi l’effetto sfocato e
basilare. I mosaici di Invader sono tutti pezzi unici, hanno dimensioni abbastanza piccole e sono
sempre incollati con il cemento, in luoghi alti, quasi impossibili da raggiungere. La location è molto
importante: prima di posizionare i suoi mosaici, l’artista studia la città a fondo e cerca i luoghi di
maggiore interesse storico-artistico o molto frequentati. Nel 1999 arriva a colpire l’insegna di
Hollywood, incollando un mosaico sotto la lettera D, uscendone indenne, con solamente una multa
per sconfinamento159. A Roma, tra le varie mete, ha colpito anche Campo dei fiori e Piazza San
Giovanni in Laterano. Per ogni invasione, Invader crea delle mappe ad hoc (Invasion maps), sui cui
sono segnati tutti i mosaici posizionati e numerati in ordine cronologico di affissione. Queste mappe
sono poi distribuite per la città durante la sua permanenza e infine vendute sul suo sito internet. Sul
suo sito è anche possibile comprare un kit per creare il mosaico e per l’eventuale auto-affissione.
Nel corso degli anni, i soggetti rappresentati sono aumentati, non limitandosi più solamente ai
personaggi di Space Invaders, ma aprendosi anche ad altri videogiochi appartenenti alla cultura
                                                                                                               
159
Il video dell’azione si può vedere all’interno del film di Banksy: Exit Through the Gift Shop
(2010)
86  
 
popolare, come Pac man, Super Mario Bros. e la Pantera Rosa. Il suo ultimo progetto riguarda la
creazioni di immagini attraverso i cubi di Rubik, l’artista lo chiama il suo periodo “Rubik cubist”160.
L’arte di Invader gioca sulla nostalgia e sul ricordo e per questo è uno street artist molto amato dalle
persone. A Parigi, sono stati organizzati anche degli Space invaders walking tour161, per esplorare la
città e i personaggi che la popolano. Invader ha esposto alla Biennale d’arte contemporanea di
Lione nel 2001, al Baltic Centre for Contemporary Art di Gateshead, al MOCA di Los Angeles e in
alcune gallerie di Parigi, Roma, New York e Londra, anche se, da street artist, preferisce la strada:
“Posizionare un bel pezzo nel posto giusto è un’esperienza forte, perché usi la città come galleria e
la tua arte diventa parte della città e della vita che la circonda. In confronto a questo, i musei sono
come cimiteri.”162
Ad oggi Invader ha invaso più di settanta paesi, viaggiando per tutti i continenti e affisso più di
tremila mosaici163. [Figura 16]
Un altro street artist che compie atti artistici per mezzo di giocattoli è Jan Vormann. Questo
giovane artista tedesco viaggia per le città di tutto il mondo con il suo progetto Dispatchwork,
riparando gli edifici, i monumenti o le strutture urbane con i mattoncini lego. Ovunque trovi dei
muri sgretolati, dei mattoni mancanti, o dei palazzi usurati, egli ne ricostruisce l’architettura,
attraverso l’incastro di tanti mattoncini colorati. Il vuoto, l’incuria, i segni del deterioramento e
dell’abbandono vengono rimpiazzati da elementi gioiosi, vivaci, che ricordano l’infanzia e quindi la
festosità della vita. Vormann dichiara infatti che una delle sue azioni più rimarchevoli è stata a
Berlino, dove ha riempito di lego dei buchi causati dalle granate durante la seconda guerra
mondiale, con l’obiettivo di attirare l’attenzione dei passanti, in modo che si chiedessero perché
quel mattoncino fosse stato posto proprio in quel punto.164 Lo scopo di Vormann è quello di donare
un po’ di colore alle città fin troppo grigie e ritiene che il mattoncino lego possa essere uno dei
mezzi più adeguati, poiché oltretutto, grazie alla sua forma perfettamente rettangolare, si incastra
ottimamente con l’architettura urbana. Come descrive nel suo manifesto: “Dispatchwork non
combatte solamente il deterioramento. Piuttosto, mira ad enfatizzare la transitorietà come una
possibilità per la costruzione e ricostruzione dei nostri ambienti.”165 Anche in questo caso, viene
data molta importanza alla partecipazione globale. Le persone sono invitate dall’artista a creare i

                                                                                                               
160
Peiter S. (a cura di), op. cit., p. 32
161
http://www.timeout.com/paris/en/walks-tours/space-invaders-walking-tour
162
Peiter S. (a cura di), op. cit., p. 34
163
https://www.flickr.com/groups/spaceinvaders/pool/
164
http://www.telegraph.co.uk/culture/culturepicturegalleries/7421926/Jan-Vormann-travels-the-
world-repairing-crumbling-monuments-with-Lego.html?image=1
165
http://www.dispatchwork.info/manifesto/
87  
 
loro pezzi e inviare le foto con le coordinate al sito, in modo da stimolare e diffondere la creatività a
scapito della rigidità e della durezza dell’ambiente urbano. [Figura 17]
Mark Jenkins e Slinkachu sono street artist che si dedicano invece alle installazioni
tridimensionali. Il primo crea piccole sculture con nastro adesivo e le posiziona sulla strada, ma è
diventato famoso per le sue sculture iperrealiste che turbano e inquietano. Jenkins crea delle
sculture con dei manichini. Li veste da cima a piedi e l’unica parte che rimane oscurata è il volto,
nascosta sempre da cappucci, capelli o copricapi, così che in lontananza possano essere scambiati
per persone vere. Jenkins posiziona le sue creature in punti strategici e sensazionali, ad esempio sul
tetto dei palazzi in modo da dare l’impressione che si stiano per gettare di sotto, agli angoli di un
marciapiede o al centro di una fontana. Talvolta appaiono solo delle parti della figura: gambe che
spuntano fuori da bidoni o da grondaie o corpi che, come struzzi metropolitani, inseriscono la testa
sotto l’asfalto delle strade. Slinkachu è molto meno macabro di Mark Jenkins, anche se ne mantiene
l’effetto sorpresa. Questo artista londinese poco più che trentenne, gioca molto con la fantasia e dal
2006 ha ideato Little People Project, in cui   si diverte a posizionare, per poi fotografare, piccole
miniature, di dimensioni grandi meno di un dito, per la strada, creando un mondo lillipuziano
metropolitano, con le sue storie e i suoi abitanti. “Amo esplorare la solitudine e la malinconia della
vita di città e a volte anche il pericolo di questa. Cerco di fare un’arte che può sembrare sciocca o
ironica, ma che abbia anche un significato più profondo.”166 I rifiuti del mondo urbano diventano
oggetti di scena: ecco così che i piccoli personaggi praticano lo skateboard su una buccia di arancia,
fanno il bagno in un tappo di una birra tramutato in piscina, sparano ad un’ape considerata una
bestia selvaggia o vanno a pesca in una pozzanghera.
Negli ultimi anni sono nate nuove forme di guerrilla, sotto forma di Street Art. Una delle più
romantiche è sicuramente la Guerrilla Knitting. Questo fenomeno viene chiamato anche Yarn
Bombing o Guerrilla Crochet. Gruppi di giovani si attrezzano di gomitoli, ferri o uncinetti e si
divertono a “vestire” lo spazio urbano, con coperte e merletti multicolore e a ricche fantasie.
Lampioni, parchimetri, coni stradali e tutto ciò che appartiene alla città viene ricoperto e colpito da
un esplosione di colore. [Figura 18]
Questi artisti dimostrano che è possibile produrre arte con ogni mezzo e creare bellezza,
anche nei luoghi più inaspettati. Ogni giorno appaiono piccole o grandi opere d’arte sorprendenti,
ingegnose e a tratti emozionanti. A volte provocano stupore, altre volte strappano un sorriso, ma
non lasciano mai senza una reazione, sintomo questo di un’espressione artistica dinamica, intensa
ed incisiva. Si dice che la bellezza salverà il mondo e forse è proprio questo l’obiettivo degli street
artist: portare la bellezza, anche nei luoghi dove questa viene spesso a mancare – dalle grandi
                                                                                                               
166
Carlsson B., Louie H., op. cit., p. 120.
88  
 
metropoli omologate, ai centri industriali o degradati – al fine di risollevare le sorti di un’umanità
alienata, troppo impegnata e oppressa dal mondo moderno.

89  
 
a b

[Figura 1. a] Miss Van, 2014. (Fonte: www.missvan.com). [b] Flower guy, Venezia, 2011
(Fonte: www.mdefeo.com)

a b

[Figura 2. a] Una via di Londra “colpita” dall’alfabeto multicolore di Eine. (Fonte:


www.graffitiartmagazine.com). [b] La tela dal titolo Twentyfirst century city, donata dal
primo ministro inglese David Cameron, al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. (Fonte:
www.bbc.co.uk)

90  
 
a b

[Figura 3. a e b] Stencil Art di C215 a Istanbul, 2009. (Fonte: www.c215.com)

a b

[Figura 4. a] Un esempio di Subvertising dell’artista Ron English. I brand colpiti sono


Coca Cola e Marlboro. (Fonte: www.streetart-urbanlife.com). [b] Il celebre poster Hope
di Shepard Fairey, creato per la campagna presidenziale di Barack Obama. (Fonte:
www.obeygiant.com)  

91  
 
a b

[Figura 5] Tre esempi di Stencil Art:


[a] Miss.Tic, Parigi, 2012. (Fonte:
www.missticinparis.com)

[b] Lucamaleonte e Sten&Lex, Roma,


2009 (Fonte: lucamaleonte.blogspot.com)

[c] Nick Walker, Bristol. (Fonte:


www.theartofnickwalker.com)

[Figura 6] L’incursione di Banksy a Londra. (Fonte: www.threadforthought.net)

92  
 
[Figura 7] Blek le Rat. Ultimo tango a [Figura 8] Un pezzo multicolore di C215,
Parigi, 1986. (Fonte: bleklerat.free.fr/) Londra, 2010 (Fonte: www.c215.com)

[Figura 9] Ernest Pignon-Ernest, Morte della Vergine, Spaccanapoli, 1990. (Fonte:


www.pignon-ernest.com)

93  
 
[Figura 10] Swoon, Indian girls. [Figura  11] Un collage di Judith Supine.
(Fonte: www.brooklynstreetart.com) (Fonte: streetartnyc.org)  

a b
[Figura 12] Due poster di Shepard Fairey con marcati richiami costruttivisti. [a] Rise
Above, 2012. [b] Eye, 2012. (Fonte: www.obeygiant.com)

94  
 
[Figura 13] Un poster della campagna
Obey the giant, a Parigi, nel 2012.
(Fonte: globalgraphica.com)

[Figura 14] Due progetti di JR:


[a] Face 2 Face. Lato palestinese
nei pressi di Betlemme, 2007.
[b] Women are heroes. Kimera
slum, Kenya, 2009.
(Fonte: www.jr-art.net)

95  
 
a

[Figura 15. a.] Blu e Os Gêmeos, Lisbona, 2010. (Fonte: www.blublu.org)


[b] Ericailcane con Dem, Run, Kabu, Allegra Corbo, Hitnes, Andreco, Basik e
108 (particolare), Santarcangelo di Romagna, 2010. (Fonte: www.ericailcane.org)

96  
 
[Figura 16] Invader a Barcellona, [Figura 17] Jan Vormann a Bryant Park, New
2013. York. (Fonte: www.janvormann.com)

a b c
[Figura 18] Tre esempi di
installazioni:
[a.] Mark Jenkins, Washington
DC.
(Fonte:www.xmarkjenkinsx.com)
[b] Slinkachu, 2008
(Fonte: www.slinkachu.com)

[c] Magda Sayeg, pioniera del


Guerrilla Knitting. (Fonte:
  www.magdasayeg.com)
97  
 
CAPITOLO 3. LA STREET ART ENTRA NEI MUSEI E NEI VARI MERCATI

“Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte.
[…] È una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo né ostentazione, si espone
sui migliori muri che una città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglieto. I muri
sono sempre stati il luogo migliore dove pubblicare i lavori.”167

Banksy

Nei precedenti capitoli si è appurato quanto sia considerevole e persistente la presenza dei graffiti e
della Street Art all’interno dei contesti urbani di ogni parte del globo. Già dagli anni Sessanta del
Novecento si è iniziato a valutare il potenziale dell’ambiente naturale prima e del tessuto cittadino
poi, come base per gli interventi artistici. Contro le restrizioni e la fisicità del museo, come
provocazione al sistema dell’arte e per l’ottenimento di un prolungamento tra arte e vita, gli
esponenti della Land Art, negli Stati Uniti, creavano le loro opere, modificando e operando nel
paesaggio naturale. In Europa, invece, agivano Christo (1935) e la sua compagna Jean-Claude
(1935-2009), che con le loro installazioni e i loro “impacchettamenti” (a loro volta ispirati da Man
Ray e dal suo Enigme d'Isidore Ducasse) rivoluzionavano il concetto di medium artistico e di
fruizione dell’opera d’arte. Nel 1962 bloccarono Rue Visconti a Parigi, posizionando ottantanove
barili d’olio, come protesta all’avvenuta erezione del muro di Berlino. Memorabili sono gli
impacchettamenti del Reichstag di Berlino, del Pont Neuf di Parigi e della fontana e della torre
medievale a Spoleto, nel 1968, in occasione del Festival dei due mondi. Con i loro interventi,
Christo e Jean-Claude possono essere considerati i precursori dell’Arte Urbana contemporanea.
Anche la modalità di finanziamento accomuna la coppia di artisti agli attuali street artist. Christo e
Jean-Claude, infatti, solevano autofinanziarsi, attraverso la vendita di progetti, modellini, disegni
preparatori e fotografie, così come la maggior parte degli street artist, che vendono stampe,
serigrafie, disegni e bozzetti, per ottenere i fondi da investire nei progetti più consistenti.
Un esempio rimarchevole di finanziamento della Street Art è avvenuto nel 2013, quando il festival
romano Outdoor: Urban Art Festival, ha organizzato il primo crowdfunding italiano per finanziare
un’installazione di Arte Urbana. Il progetto era una facciata su un muro di un palazzo del quartiere
della Garbatella ad opera di Sten&Lex, da realizzarsi durante l’edizione 2013 del festival.
L’ammontare da raggiungere per far sì che l’opera si potesse concretizzare era di diecimila euro, da
                                                                                                               
167  Banksy, Wall and Piece, cit., p. 8.
98  
 
ottenere in cinquanta giorni. L’azione di crowdfunding è stata avviata su una piattaforma internet e
l’obiettivo è stato raggiunto e superato con successo, raccogliendo 10.675 euro.168 In base
all’offerta, il sostenitore riceveva a casa una serigrafia della coppia di artisti a tiratura limitata,
firmata e numerata. [Figura 1]
Questo esempio è esplicativo di quanto sia importante la figura del fruitore all’interno della Street
Art. Non si tratta più di un osservatore passivo, ma diviene protagonista in tutto il processo creativo.
Il mondo della Street Art si può considerare come costituito da una grande comunità, che sostiene e
incoraggia gli artisti. L’artista e il suo pubblico si avvicinano sempre di più, eliminando barriere e
dialogando direttamente. Il mezzo che ha reso possibile tutto questo, è certamente internet. Tutti gli
street artist possiedono un sito web personale, spesso gestito personalmente dagli stessi. All’interno
del sito, appare sempre la sezione con la biografia, il curriculum vitae con gli studi e l’elenco delle
mostre o dei festival a cui hanno preso parte, una galleria di immagini in cui sono esposti i loro
lavori e gli eventi a cui hanno partecipato o parteciperanno. Infine, compare sempre la sezione
dedicata alla vendita delle loro opere. Gli Street Artist tendono a vendere personalmente le loro tele
sul loro sito, evitando così intermediari e riuscendo a mantenere prezzi contenuti. Anche gli artisti
più affermati vendono ancora le loro opere su internet, primo tra tutti Shepard Fairey, che
nonostante le stampe vendute all’asta a cifre esorbitanti, le decine di mostre in galleria e un’opera
sita alla National Portrait Gallery di Washington, non cessa di vendere le sue stampe a poche
centinaia di dollari (spesso effettuando anche sconti), sul suo sito internet. Gli artisti inseriscono sui
rispettivi siti anche i loro contatti, così da poter comunicare direttamente con chi li contatta, per
eventuali richieste di partecipazione a eventi o festival, commissioni, informazioni, vendita delle
opere e così via. Nonostante la fama, lo street artist si sente sempre parte della sotto-cultura in cui è
cresciuto e posiziona il fruitore sempre al primo posto, perché è da lui che dipende la sua
sussistenza, più che dal gallerista o dal collezionista. Lo stesso Banksy, probabilmente lo street
artist più conosciuto e più pagato al mondo, continua a lavorare in strada, offrendo le sue opere alla
fruizione pubblica.
Oltre ai siti personali degli artisti esistono anche portali dedicati alla Street Art. Questi siti, come il
già citato Wooster Collective, Art Crimes o Street Art Utopia, sono siti internet creati da
appassionati, studiosi e professionisti della Street Art e sono essenziali per la divulgazione e la
preservazione di quest’arte così effimera. Se non ci fossero questi databases, di molte opere ormai
perdute, non si avrebbe più nessuna testimonianza. All’interno di questi siti internet si possono
trovare informazioni riguardanti gli stili, interviste ai protagonisti, novità e manifestazioni e
                                                                                                               
168
http://www.eppela.com/ita/projects/517/stenlex-per-outdoor-urban-art-
festival/updates/558/come-e-dove-ritirare-la-propria-opera
99  
 
soprattutto gallerie di immagini. Inoltre, molte città creano siti internet relativi alla loro realtà. Ad
esempio, uno dei siti internet più attivi, presente in tutti i social networks è brooklynstreetart.com. Il
sito offre gli esempi più interessanti di Street Art sviluppati nella città di New York ed è un potente
strumento di diffusione e propagazione universale di questo movimento artistico.

3.1 Il fenomeno Banksy

Banksy è probabilmente lo street artist più conosciuto al mondo. Nel corso degli anni è diventato un
vero fenomeno mediatico, nessuno sa chi sia, non esistono fotografie che lo ritraggano (se ci sono,
la sua identità è presunta e non accertata), non rilascia interviste e non si presenta agli eventi
pubblici. Si tratta del ricercato più famoso del mondo dell’arte. Di lui si sa solo che è nato circa
durante la metà degli anni Settanta ed è originario di Bristol. La cittadina, situata a circa duecento
chilometri a ovest di Londra, è da sempre un centro molto importante per la Street Art. È stato il
primo luogo britannico a sviluppare e diffondere la Stencil Art, ha dato i natali ad altri importanti
street artist come Nick Walker e tuttora possiede una scena molto attiva che funge da punto di
riferimento per la Street Art a livello internazionale. Per merito di Banksy e della Street Art, la città
ha guadagnato un ritorno di immagine estrememante positivo e il flusso turistico negli anni è
aumentato in maniera esponenziale. Esistono numerosi walking tours, alcuni persino a pagamento,
dedicati a Banksy e alla Street Art di Bristol, sponsorizzati dalla città. Le opere di Street Art sono
diventate parte integrante dell’offerta culturale del centro inglese.
Dal punto di vista artistico, l’opera di Banksy è notevole non tanto per la sua originalità, ma
per il suo stile sovversivo, provocatorio e beffardo. I suoi stencil rappresentano una critica sferzante
alla società e alla politica e i luoghi che sceglie per collocarli sono spesso estremi e di forte impatto,
come, ad esempio, i recinti degli animali di svariati zoo europei e non (Barcellona, Bristol e
Melbourne), il muro divisorio tra Palestina e Israele e i musei più importanti al mondo, come il
Louvre. Come afferma anche De Gregori:

“l’artista britannico punta a distruggere l’establishment, il militarismo, la società basata sul consumo. I
suoi personaggi sono disincantati, adorano i falsi miti, sono frutto di una civiltà capitalista e progressista.
Banksy sovverte l’immaginario collettivo sfaldando le icone della società contemporanea tramite
un’ironia allo stesso tempo elegante e brutale e mettendo in ridicolo le molteplici contraddizioni che
fanno parte del nostro tempo.”169

                                                                                                               
169
De Gregori S., Banksy, il terrorista dell’arte: Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi,
Roma, Castelvecchi, 2010, p.157.
100  
 
Ecco così che appaiono sui muri delle città stencil contro il McDonald’s, contro le compagnie
petrolifere, dipinge poliziotti gay che si baciano e realizza forti provocazioni contro la casa reale
(come la scimmia con le fattezze della regina Elisabetta o la contraffazione e la diffusione di una
serie di banconote da dieci sterline con il volto di Lady Diana, con sopra la scritta Banksy of
England).
Il suo stile deriva dalla tradizione degli Stencil Graffiti, i suoi punti di riferimento sono Nick
Walker e Blek le Rat. Banksy si è persino appropriato dei rats di quest’ultimo, iniziando anche lui a
rappresentarli, intenti a compiere atti irriverenti o a mandare messaggi satirici. I suoi stencil sono
quasi sempre monocromatici e il nero è il colore che prevale. Il suo stile è molto riconoscibile, ma
nel corso degli anni si sono diffusi molti emuli e quindi non sempre è facile stabilire l’autenticità
delle sue opere. Ad ogni modo, nell’ultimo periodo, l’artista segnala ogni suo nuovo internevento
sul suo sito internet. Durante l’ultima visita a New York (2013), per il suo progetto Better Out than
In (meglio fuori che dentro), Banksy è stato molto attivo su internet. Il progetto consisteva nel
realizzare un’opera al giorno per tutto il mese di ottobre e sul sito postava giornalmente una
fotografia del lavoro appena realizzato, con il luogo in cui si trovava. L’eterogeneità delle opere ha
caratterizzato la sua permanenza a New York. Per ogni giorno infatti, Banksy ha sviluppato un’idea
diversa, con un messaggio differente e i suoi interventi hanno spaziato dai graffiti, alla Video Art,
alle performance, alle installazioni. Ha iniziato il primo ottobre con uno stencil abbastanza
riconoscibile per il suo stile: due ragazzini uno sopra l’altro che cercavano di raggiungere una
bomboletta spray inserita in un cartello di divieto, con la scritta graffiti is a crime (i graffiti sono un
crimine). Il due ottobre ha reso omaggio al Writing newyorchese degli anni Settanta-Ottanta,
ricreando una scritta in Wildstyle. [Figura 2] In tre giornate (6, 19, 25 ottobre) ha solamente
pubblicato dei video sul suo sito internet (il primo di forte impatto, rappresenta una denuncia alla
guerra. Il video mostrava un gruppo di guerriglieri islamici che pensando di abbattere un aereo
nemico, atterrano invece l’elefantino Dumbo). In seguito ha proseguito con denunce contro le
catene di fast food, contro gli allevamenti intensivi e il macello delle carni e molto interessante è
stata la critica, decisamente tagliente e ironica, al sistema dell’arte. Il 13 ottobre Banksy ha
installato un banchetto a Central Park, con le sue opere messe in vendita da un anziano signore, a 60
dollari l’una. Sul banchetto, oltre alle tele con gli stencil di Banksy, vi erano solamente due
quadretti con sopra scritto rispettivamente: Spray art e $60. Non era data nessuna indicazione circa
la paternità delle opere. In tutta la giornata ha venduto le tele per un totale di 420 dollari, mentre
hanno un valore stimato di 140.000 sterline.170 Due piccole tele sono state vendute a una signora,
che le ha comprate per i suoi figli, dopo aver negoziato uno sconto del 50%. Altre quattro sono state
                                                                                                               
170
http://www.bbc.com/news/entertainment-arts-24518315
101  
 
acquistate da un ragazzo che aveva bisogno di “qualcosa per le pareti”171. Con questa operazione
probabilmente Banksy ha voluto gettare le basi per una critica al mercato attuale dell’arte e denotare
quanto conti il nome dell’artista e il contesto per una valutazione dell’opera d’arte.
Si è detto in precedenza, che la Street Art attualmente possiede una grande rilevanza sul
mercato artistico e ogni anno si curano mostre e manifestazioni dedicate a questo movimento, ma la
presenza di queste opere all’interno dei musei risulta ancora esigua. Banksy ha deciso quindi di fare
irruzione con le sue tele all’interno di alcuni musei, tra i più prestigiosi al mondo. Nel 2004 incolla
al Louvre un tela su cui è raffigurata la Gioconda con uno smile al posto del viso. L’anno
successivo, al MOMA, mimetizzata tra le varie opere della Pop Art, inserisce una tela che riproduce
una lattina della Tesco, la più nota catena di supermercati britannica, con un chiaro rimando alla
Campbell soup di Andy Warhol. L’opera è rimasta appesa sei giorni, prima che qualcuno se ne
accorgesse. Alla Tate Gallery di Londra non si limita ad incollare l’opera abusiva (una tela
raffigurante un paesaggio bucolico in cui inserisce i nastri della polizia, utilizzati per non fare
oltrepassare le persone nei luoghi di crimine), ma a fianco incolla anche una breve didascalia con
titolo, data e composizione: La trasmissione Crimewatch Uk ha rovinato la campagna a tutti noi,
2003, olio su tela.172 Tra i musei colpiti dalle sue intrusioni si annoverano anche il British Museum,
il Brooklyn Museum, il Metropolitan Museum of Art e l’American Museum of Natural History di
New York. In quest’ultima occasione Banksy si è adeguato alla natura del museo e ha installato una
teca con uno scarafaggio vero, uno scarabeo arlecchino, adornato da missili ai lati. Come un vero
entomologo, Banksy ha redatto il nome della specie dello scarafaggio in modo da far sembrare che
fosse scritto in latino: “Withus Oragainstus, United States”, mentre in realtà significa with us or
against us, United States (con noi o contro di noi, Stati Uniti). L’installazione è durata dodici
giorni. In seguito all’irruzione, alcuni musei hanno inserito le opere di Banksy nella loro collezione
permamente. Nelle varie occasioni le telecamere di sorveglianza hanno ripreso ogni volta un uomo
con impermeabile, cappello e una busta, che indisturbato incollava le varie opere con del nastro
biadesivo.

                                                                                                               
171
Il video che testimonia l’intervento: http://www.youtube.com/watch?v=zX54DIpacNE
172
La didascalia continua: “Questa nuova acquisizione è uno squisito esempio dello stile neo Post-
idiota. L’artista ha trovato un anonimo dipinto a olio sulle bancarelle di un mercatino a Londra e ha
aggiunto uno stencil raffigurante il nastro segnaletico con la scritta “Police line – do not cross”. Si
può ipotizzare che la deturpazione di questo scenario così idilliaco rispecchi il mondo in cui la
nostra nazione è stata vandalizzata dall’ossessione che nutre nei confronti del crimine e della
pedofilia, tale che ormai, quando si visita un luogo pittoresco un po’ appartato, il pensiero corre
inevitabilmente al rischio di essere molestati o di rinvenire qualche cadavere fatto a pezzi. Donato
personalmente dall’artista nel 2003”. In Banksy, Wall and piece, cit.
102  
 
In questi anni Banksy si fa promulgatore della Street Art, concentrandosi in particolar modo
sulla sua tecnica di riferimento, la Stencil Art. Dal 3 al 5 maggio 2008 ha organizzato un festival di
Stencil Art a Londra, in Leake street, vicino a Waterloo Station. Per l’occasione, ha affittato un
tunnel in disuso, utilizzato in precedenza dai treni ad alta velocità. Banksy ha invitato una trentina
di artisti di tutto il mondo e lui stesso ha realizzato alcuni pezzi. Tra gli stencil artist invitati
comparivano: Fail, Vhils, Blek le Rat, C215, Ben Eine, Mr. Brainwash, The Toasters e gli italiani
Sten & Lex, Orticanoodles e Lucamaleonte. L’entrata era libera. L’evento ha riscosso un grande
successo e durante l’inaugurazione, la fila all’ingresso si era formata già dalle prime ore del
mattino. Per questo evento, Banksy ha realizzato il suo celebre pezzo Graffiti Cleaner, in cui viene
rappresentato un operatore ecologico intento a lavare una parete con un’idropulitrice per eliminare i
graffiti; purtroppo, i graffiti che sta eliminando sono le celebri pitture rupestri delle grotte di
Lascaux.173 [Figura 3]
Tra le manifestazioni organizzate da Banksy, il suo progetto più rimarchevole è probabilmente il già
citato Santa’s Ghetto, attraverso il quale, dal 2005, per mezzo della Street Art, cerca di
sensibilizzare i popoli occidentali e mediorientali sulla questione israeliano-palestinese. Le sue
opere più incisive site sul muro di separazione tra Israele e Palestina sono quelle che hanno come
protagonisti i bambini. Di forte impatto è lo stencil monocromatico nero, sintetico, in cui una
bambina prende il volo con dei palloncini, nella speranza di superare il muro. In altre occasioni
dipinge delle crepe che formano dei buchi sul muro, al di là del quale si nota un cielo azzurro o
paesaggi idilliaci con palme e mare cristallino, con dei bambini che giocano al di quà e al di là della
crepa.
Ciò che rende questo artista così importante per la Street Art, oltre all’apporto prettamente
artistico, sono le sue quotazioni stellari, che hanno fatto da apripista al movimento della Street Art
nel mercato dell’arte. Questo fenomeno è stato denominato “Banksy effect”174. Banksy oltre ai
lavori in strada, produce anche opere su tela, atte ad essere esposte in galleria o per vendite all’asta.
Una spiccata sensibilità estetica, un linguaggio graffiante e penetrante, grandi abilità di marketing e
le conoscenze giuste, hanno reso Banksy l’artista più ricercato, quotato e copiato degli anni
Duemila. Le stelle dello spettacolo, dagli attori di Hollywood ai cantanti, alle personalità più
rilevanti in ambito culturale, lo adorano (Woody Allen ha inserito una tela di Banksy nel suo film
Match Point, del 2005). Nel 2006 Damien Hirst ha affermato che acquistare opere di Banksy era un

                                                                                                               
173
Per tutte le immagini delle opere realizzate al Cans Festival, si rimanda a
http://cansfestival2008.blogspot.it/
174
http://www.woostercollective.com/post/the-banksy-effect
103  
 
vero affare175. In pochi anni, le quotazioni di Banksy si sono gonfiate enormemente, tanto che due
sue opere, nel 2008, hanno superato la cifra di un milione di dollari. Le due tele, battute all’asta da
Sotheby’s, sono rispettivamente: Keep It Spotless, spray su tela del 2007, battuto a 1.870.000 dollari
(valore stimato: 250.000 – 350.000 dollari)176 e Simple Intelligence Testing, un olio su tela del 2000
costituito da cinque parti, a 1.265.120 dollari (valore stimato: 150.000 – 250.000 dollari)177.
Durante il suo progetto newyorchese Better Out than In, Banksy ha acquistato da un negozio di
seconda mano a scopo caritatevole, Housing Works, una tela raffigurante un paesaggio
ottocentesco, per cinquanta dollari. Successivamente, lo street artist ha riportato al negozio il
quadro modificato: sopra la tela aveva disegnato con spray e stencil un soldato nazista seduto su
una panchina, intento ad osservare il paesaggio. Il quadro l’ha rinominato The banality of banality
of evil (La banalità della banalità del male, un rimando all’opera La banalità del male, di Hannah
Arendt) e l’ha firmato. Banksy (per mezzo di intermediari) ha comunicato al negozio il valore che
aveva guadagnato l’opera così autenticata, dopodichè è stata battuta ad un’asta online sullo stesso
sito di Housing Works per 615.000 dollari e i proventi sono andati in beneficienza.178
La “Banksy mania” ha creato talmente tanti emuli e falsari, anche a causa del medium facilmente
riproducibile dello stencil, che è nata un’organizzazione ad hoc, la quale agisce per conto di
Banksy, intenta a stabilire l’autenticità delle opere e a venderle.
Non è raro inoltre, che vengano scrostati e rimossi gli stencil di Banksy dai muri, per poi rivenderli
su internet in siti di e-commerce come ebay o direttamente sui siti delle case d’asta. Recentemente,
un suo stencil dal titolo No ball games (vietato giocare a palla) che raffigurava due ragazzini intenti
a giocare con il cartello di divieto e si trovava nel quartiere di Tottenham, è stato rimosso, con
grande disappunto degli abitanti del quartiere e venduto all’asta dall’organizzazione Sincura Group.
Un altro stencil dal titolo Slave Labour (lavoro da schiavo), un’opera di condanna verso il lavoro
minorile in cui un bambino era intento a cucire una bandiera inglese, è stato rimosso e anche questo
messo in vendita. La base d’asta partiva da 900.000 sterline. Sono rimasti anonimi gli acquirenti e i
proprietari dei muri su cui si trovava l’opera, che hanno disposto la rimozione e la messa in vedita.
L’effetto Banksy è tuttora in ascesa. Banksy è entrato nella cerchia dei più influenti e quotati
artisti contemporanei e sempre più aste stanno dedicando vendite basate esclusivamente sulla Street
                                                                                                               
175
De Gregori S., Banksy, il terrorista dell’arte: Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi,
cit., p.187
176
http://www.sothebys.com/en/catalogues/ecatalogue.html/2008/auction-red-
n08421#/r=/en/ecat.fhtml.N08421.html+r.m=/en/ecat.lot.N08421.html/34/
177
http://www.sothebys.com/en/catalogues/ecatalogue.html/2008/contemporary-art-day-auction-
l08021#/r=/en/ecat.fhtml.L08021.html+r.m=/en/ecat.lot.L08021.html/327/  
178
http://www.bloomberg.com/news/2013-10-30/banksy-donates-nazi-doctored-landscape-to-help-
aids-group.html
104  
 
Art. La Street Art sta vivendo una golden age e mentre gli street artist vengono arrestati per strada
per atti di vandalismo, le loro opere raggiungono quotazioni stellari, come una serigrafia di Shepard
Fairey del 2006 dal titolo Guns and Roses, battuta dalla casa d’aste Artucurial a 63.395 euro
(prezzo stimato (28.000 – 35.000 euro).179 La celebre vendita di Artucurial del gennaio 2013
dedicata all’Art urbain contemporain (arte urbana contemporanea), è stata un successo senza
precedenti, con tutti i lotti venduti. Gli artisti protagonisti della vendita spaziavano dai kings
newyorchesi degli anni Settanta e Ottanta come Futura 2000, Crash, Seen, Dondi, Cape 2 ai
principali esponenti della Street Art odierna, come Shepard Fairey, Invader, Above, JR, Kaws, Blek
le Rat, C215, Banksy e molti altri ancora. In Italia, nel dicembre 2012 si è svolta la prima asta
italiana dedicata interamente all’arte urbana. Allesstita dall’organizzazione Urban contest di Roma
e gestita da Minerva Auctions, la vendita comprendeva cinquantatré lotti di giovani street artist,
principalmente italiani.
Il mercato dell’arte quindi, ha capito l’importanza che ha assunto la Street Art all’interno dell’arte
contemporanea negli ultimi anni e ne sta cavalcando l’onda, comprendendo a pieno lo zeitgeist.

3.2 Le gallerie, le mostre, i musei

Dato il successo che Street e Urban art hanno riscosso negli ultimi anni tra i collezionisti e le
vendite all’asta, sono sorte numerose gallerie specializzate sui suddetti movimenti artistici. A New
York si trova la Gallery 69, che tratta i principali maestri e gli storici kings dei graffiti, come
StayHigh 149, Cornbread, Crash, Seen e Taki 183. La Jonathan LeVine Gallery, sempre a New
York, è impegnata nelle ricerche più attuali sulla Street Art. Della sua scuderia fanno parte o hanno
fatto parte Shepard Fairey, Blek le Rat, Invader e Dan Witz, solo per citarne alcuni. Molti curatori
che si dedicano interamente alla Street Art hanno un passato attivo nelle sotto-culture urbane. Si
tratta solitamente di giovani curatori appartenenti alle culture underground, che notano il potenziale
artistico che li circonda e cercano di valorizzarlo e farlo emergere in superficie. LeVine, ad
esempio, ha un passato nell’ambito musicale punk e ha iniziato ad organizzare le prime mostre a
metà degli anni Novanta, inizialmente nei luoghi alternativi che frequentava. Dai rock clubs è
riuscito a traslare l’arte in galleria e ora la Jonathan LeVine gallery, nel cuore di Chelsea, è uno dei
punti di riferimento della Urban Art mondiale.
Tra le gallerie europee una menzione speciale va alla Lazarides Gallery di Londra, la quale si
dedica agli artisti cosiddetti outsider, ossia al di fuori dei circuiti principali dell’arte contemporanea,

                                                                                                               
179
http://www.artcurial.com/fr/asp/fullCatalogue.asp?salelot=2161+++++193+&refno=10404090
105  
 
tra i quali vengono considerati anche gli street artist. A Steve Lazarides viene attribuito il merito di
aver scoperto Banksy, essendo stato il suo primo agente e, ad ogni modo, è stato uno dei principali
promulgatori della Street Art all’interno dell’establishment artistico. La galleria può vantare artisti
del calibro di Banksy, Ron English, JR, Vhils, Conor Harrington, 3D e Invader.
Uno dei centri europei più vitali in ambito di graffiti e Street Art è attualmente la città di
Amburgo, nel nord della Germania. La maestosa città portuale non solo tollera i graffiti, ma ne fa
un vanto ed un punto di forza della città. Non è raro trovare negozi specializzati nella vendita del
nécessaire per realizzare i graffiti (bombolette, markers, sketchbook) ed è possibile ammirare
palazzi eleganti, come alberghi a quattro stelle o imponenti edifici pubblici, come lo stadio, con
facciate decorate da splendidi graffiti o pitture murali (legalmente commissionate). [Figura 4] Molti
di questi artisti espongono anche in gallerie, tra le quali spicca la OZM Art Space Gallery, una delle
più rappresentative della città per l’Arte Urbana.
Anche in Italia molte gallerie si stanno indirizzando verso la Urban Art. Storicamente, in Italia, i
principali centri in cui si sono sviluppati i graffiti e le loro relative “scuole” sono tre: Roma,
Bologna e Milano. Non a caso, le principali gallerie dedicate all’arte metropolitana sono fiorite in
queste città. A Bologna si trova Ono Arte Contemporanea che si concentra più che altro sul
fenomeno delle sotto e contro-culture del Novecento, con un’attenzione particolare all’ambito
musicale, mentre a Roma e Milano le gallerie si dedicano alla Street Art vera e propria. A Milano si
trovano la Galleria Patricia Armocia e The Don Gallery, la quale si descrive espressamente come un
luogo specificamente dedicato a Urban Art, graffiti, Pop Surrealism e Lowbrow180. The Don
Gallery ospita numerosi artisti, tra cui: Bo130, Microbo, Ron English, Ericailcane, WK Interact e
Invader. Parallelamente alla Don Gallery, Roma offre Mondo Bizzarro Gallery, definitasi
“piattaforma per le arti ipercontemporanee del XXI secolo”181. La galleria, sita nel quartiere di San
Lorenzo, è un’istituzione all’interno della capitale e offre la possibilità di conoscere gli artisti
emergenti più promettenti della Street Art e dell’arte iper-contemporanea. Shepard Fairey ha
esposto al Mondo Bizzarro in svariate occasioni, assieme a street artist italiani come Sten & Lex,
Hogre, Lucamaleonte, Omino71, JB Rock.
                                                                                                               
180
La Lowbrow Art è un genere tipico delle sotto-culture. Viene solitamente accorpato all’interno
della Urban Art o del Pop-surrealism. Si tratta di un genere nato in California negli anni Settanta,
strettamente legato all’ambiente punk e underground. La Lowbrow Art ha molte affinità con i
fumetti e le illustrazioni d’antan, mantiene sempre una vena comica o caricaturale e utilizza colori
accesi e vivaci. I contesti sono spesso surreali o onirici. Lo stile lowbrow è salito alla ribalta nel
1994 con la pubblicazione della rivista “Juxtapoz”, dedicata alle correnti e agli artisti più
underground dell’arte contemporanea. Molte opere lowbrow sono state esposte alla già citata
mostra Beautiful Losers: Contemporary Art and Street Culture. Tra gli esponenti di spicco di
questo movimento si annovera il pittore statunitense Mark Ryden.
181
http://www.mondobizzarrogallery.com/home.asp
106  
 
Una delle peculiarità della Street Art si riscontra nel fatto che, sebbene il numero di gallerie
dedite a questo movimento aumenti ogni anno e le decine di mostre internazionali realizzate ogni
stagione raccolgano sempre più consensi e un numero sempre più crescente di visitatori, (durante la
Biennale d’arte di Venezia del 2013, il padiglione del Venezuela, curato da Juan Calzadilla, era
interamente dedicato all’arte urbana e l’evento collaterale Back 2 Back ha portato in laguna, per
tutta la durata della manifestazione, i migliori street artist italiani), le opere di Street Art e Graffiti
Writing spesso non trovano posto all’interno dei musei. I musei si limitano ad acquisire opere su
tela del primo periodo del Graffitismo, ossia quello newyorchese degli anni Settanta-Ottanta,
concentrandosi oltretutto sui nomi principali, come Haring o Rammellzee. A causa delle peculiarità
tecniche, ossia il muro come supporto e della filosofia di strada che accompagna la Street Art, il
museo non risulta il luogo più adeguato per conservare ed esporre queste tipologie di opere. La
soluzione adottata da amministrazioni cittadine e privati, quindi, per diffondere l’Arte Urbana, è
quella di donare degli spazi ai writer e agli street artist, in modo che essi abbiano la possibilità di
esprimere la loro arte in maniera legale. Vengono così creati dei veri e propri musei e gallerie a
cielo aperto. Questi luoghi stimolanti, solitamente palazzi abbandonati, fabbriche dismesse o
semplicemente muri che costeggiano le strade, diventano punti di riferimento e luoghi d’incontro
tra i vari street artist e spesso anche importanti mete di pellegrinaggio per gli estimatori del genere.
5pointz:The Institute of Higher Burnin', definitosi Aerosol Art Center, è stato per anni la Mecca dei
graffiti ed è considerato il più importante centro espositivo all’aperto mai istituito per la Spray Art.
5pointz (il nome vuole rappresentare i cinque distretti di New York: Manatthan, Bronx, Queens,
Brooklyn, Staten Island) era una fabbrica abbandonata di 19.000 m2 allocata nel Queens, a New
York, che a cominciare dal 1993, divenne il punto di riferimento per l’Aerosol Art. Il palazzo era
completamente ricoperto di graffiti e writer provenienti da tutto il mondo viaggiavano fino al
Queens solo per poter creare un pezzo o ammirare i graffiti dei più grandi kings. L’edificio è stato
demolito alla fine del 2013, per fare posto ad un centro residenziale. A nulla sono valse le petizioni
e gli appelli di appassionati e artisti. Lo stesso Banksy, durante l’ultimo progetto a New York si era
congedato dalla città pubblicando sul suo sito internet la frase: “And that’s it. Thanks for your
patience. It’s been fun. Save 5pointz. Bye”182 [Figura 5] Esistono archivi in cui sono raccolte le
fotografie delle opere principali, ma il fatto che sia stato demolito il primo tentativo di “museo dei
graffiti”, denota che il Graffiti Writing sia ancora considerato un’arte minore, o nemmeno un’arte a
tutti gli effetti, ed è necessario un percorso di educazione alla cultura dell’Arte Urbana. Questo
                                                                                                               
182
“E questo è tutto. Grazie per la vostra pazienza. É stato divertente. Salvate 5pointz. Ciao.”
banksy.co.uk
107  
 
processo potrebbe essere messo in atto attraverso pubblicazioni, manifestazioni artistico-culturali e
incentivi. Le figure professionali dell’arte dovrebbero impegnarsi a elevare definitivamente la Street
Art ad uno status artistico e le amministrazioni cittadine dovrebbero essere le prime a considerare la
Street Art come un valore aggiunto alla città e a cessare di demonizzare i writer. Fortunatamente, in
questi ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti.
Una sorte analoga a 5pointz è avvenuta a Parigi a La Tour Paris 13, considerata la più grande
mostra di Street Art mai realizzata. Al tredicesimo arrondissement si trovava un palazzo di nove
piani, di una superficie di 4.500 m2, costituito da trentasei appartamenti (alcuni ancora
ammobiliati), destinato alla demolizione. Il curatore francese Mehdi Ben Cheikh, proprietario della
Galerie Itinerrance, ha deciso di creare una mostra di Street Art temporanea, senza finanziamenti o
sponsor, prima dell’abbattimento del palazzo. Sono stati chiamati cento artisti da ogni nazione, i
quali hanno realizzato più di quattrocento opere (di qualsiasi tipo: dagli stencil, ai poster, ai classici
graffiti) su tutte le superfici interne ed esterne dell’edificio, in sei mesi di lavoro. La torre è stata
aperta per un mese (ottobre 2013), a entrata gratuita e il riscontro è stato al di sopra di ogni
aspettativa. Inoltre, il progetto ha richiesto anche la partecipazione della collettività. Sul sito
internet (www.tourparis13.fr) era possibile compiere un tour virtuale del palazzo e i visitatori erano
invitati a “salvare” le opere che preferivano. Solo le opere più votate si possono ora osservare
all’interno del sito internet. Il terzo piano del palazzo era dedicato interamente agli street artist
italiani. La curatela è stata affidata a Christian Omodeo, direttore dell’associazione parigina Le
Gran Jeu, che si occupa in maniera particolare di Arte Urbana. Tra i quindici street artist italiani
chiamati ad esporre si annoverano: Orticanoodles, Hogre, Dado, Etnik, 108, Joyce e JBRock. Il
progetto è stato un enorme successo, ennesima dimostrazione di quanto la Street Art sia apprezzata
a livello internazionale e possa essere sfruttata per uno sviluppo culturale e turistico di una città.
[Figura 6]
Se precedentemente si è parlato di musei e mostre dedicate alla Street Art, l’ultimo esempio si
può considerare come una galleria a cielo aperto dell’arte urbana. Lo Houston Bowery Wall eleva
l’Arte Urbana a rango artistico, esponendola come se fosse in galleria, ma allo stesso tempo la
radica al suo ambiente di provenienza, poiché viene presentata in strada. Si tratta di una parte di una
facciata di un palazzo, che si trova all’incrocio tra Houston Street e la Bowery, nel quartiere di
Nolita, a New York, in cui negli anni Settanta Keith Haring dipinse un murale. Per molti anni, il
muro è stato alla mercé di tag e graffiti violenti, fino a quando il proprietario del muro, Tony
Goldman, insieme al curatore Jeffrey Deitch, hanno deciso di riqualificarlo, affidando la parete, a
rotazione, ai migliori street artist del momento. Tra gli artisti che si sono succeduti si trovano Os
Gêmeos, Shepard Fairey, Barry McGee, Kenny Sharf, JR, Faile, Aiko, Swoon e Crash. Lo Houston

108  
 
Bowery Wall diventa così una importante vetrina, dove gli artisti più o meno affermati possono
esprimere la loro arte e farsi conoscere in maniera legale, rimanendo fedeli alla loro morale di
strada. [Figura 7]

3.3 La brandizzazione della Street Art

Si è già parlato di come la figura dell’artista contemporaneo sia mutata e sia in continua evoluzione,
non fossilizzandosi in un unico ambito, ma espandendo la propria ricerca artistica anche in altri
settori. Molti artisti prestano la loro arte a favore di marchi commerciali, inserendosi così in
operazioni di marketing di notevole impatto sia per l’immagine dell’artista che per il brand. Tra le
partecipazioni più significative degli ultimi anni si ricordano la collaborazione nel 2013 di Jeff
Koons con la marca di champagne Dom Pérignon, per la quale ha creato una riproduzione in
miniatura di una sua scultura della serie Balloon Venus (2008-2012), contenente al suo interno una
bottiglia di Rosé Vintage del 2003.183 La casa di moda Louis Vuitton è da sempre attenta al mondo
dell’arte: ha infatti istituito importanti spazi culturali in tutto il mondo per la promozione dei nuovi
talenti dell’arte contemporanea. Nel corso degli anni Louis Vuitton ha collaborato con gli artisti
giapponesi Takashi Murakami nel 2003 e Yayoi Kusama nel 2012, i quali hanno creato un’intera
collezione, rivisitando lo storico monogramma della maison francese e aggiungendo decorazioni e
immagini con il loro stile inconfondibile. La collaborazione più significativa, però, è quella di Louis
Vuitton con il compianto designer Stephen Sprouse (1953-2004), avvenuta in diverse occasioni,
dato il successo delle sue collezioni. Il designer ha portato i graffiti nell’alta moda, rivoluzionando e
“svecchiando” un marchio, rinomato per la sua eleganza e il suo stile altolocato. La casa di moda è
conscia dell’impatto che hanno avuto i graffiti e la Urban Culture nella cultura dominante e così ha
ingaggiato colui che per primo ha portato lo stile urbano e metropolitano in passerella, il quale ha
rinnovato lo stile della griffe, attraverso delle edizioni limitate, reinventando il monogramma con
una calligrafia derivante dalla tradizione dei graffiti urbani e utilizzando colori fluo. [Figura 8]
Il primo artista a sconfinare nel settore più prettamente commerciale è stato però Keith
Haring, che nel 1986 ha aperto il suo primo Pop Shop a New York, al numero 292 di Lafayette
street, subito seguito da uno a Tokyo. I Pop Shop hanno attualmente cessato l’attività, ma è ancora
possibile fare acquisti sul sito internet (www.pop-shop.com) gestito dalla Keith Haring Foundation.
                                                                                                               
183
L’opera, in acciaio color magenta, rievoca la statuetta paleolitica della Venere di Willendorf.
Come una moderna Dea dell’amore e della fertilità, sinuosa e accogliente, la scultura abbraccia al
suo interno la pregiata bottiglia di champagne. L’opera è stata messa in vendita nel 2013 con una
tiratura limitata di 650 pezzi, a quindicimila euro l’una. Fonte: http://www.artemagazine.it/arte-
contemporanea/17384/lo-champagne-di-koons-costa-15-mila-euro/
109  
 
Il negozio si occupava di vendere prodotti (che andavano dagli abiti, a mobili, ai gadget,
all’oggettistica più varia) decorati con lo stile unico ed iconico di Keith Haring. Haring vedeva il
Pop Shop come un’estensione del suo lavoro, una boutique divertente, dove la sua arte poteva
essere accessibile a chiunque.184 Le pareti del negozio, dai pavimenti al soffitto erano state
interamente decorate dall’artista ed è stato per anni una grande attrattiva turistica del Downtown di
New York. Keith Haring nel corso della sua carriera ha collaborato con grandi firme: la serie di
orologi Swatch, ad esempio, disegnati da lui per la stagione primavera/estate del 1986, sono ormai
pezzi da collezione. [Figura 9]
Il binomio arte-moda non è quindi così recente, né così inusuale e il legame si stringe ancora
di più quando si parla di Street Art. Le prime mostre sulla Street Art e sulla Urban Culture erano
destinate a esporre opere di giovani artisti appartenenti a sotto-culture, che conoscevano e
indossavano brand di street wear e personalizzavano prodotti, come tavole da skate:

“Non è quindi un caso che molti degli spazi espositivi sorti in quel lasso di tempo fossero direttamente
fondati, o comunque promossi e finanziariamente apppoggiati, da un discreto numero di brand, per lo più
legati allo street-wear. Brand il cui target era specificamente quello dei giovani che praticavano lo
skateboard o facevano graffiti, poco conosciuti al grande pubblico per via dei canali promozionali di
nicchia utilizzati per comunicare con i propri acquirenti, ma capaci di realizzare, da un punto di vista
185
commerciale, una mole di introiti tali da renderle vere e proprie potenze economiche.”

Di conseguenza, molti street artist, una volta raggiunto un discreto successo in ambito artistico,
hanno iniziato a dedicarsi al settore dell’abbigliamento e degli accessori, poiché come già asserito,
l’artista contemporaneo tende ad espandere i suoi orizzonti e gli ambiti di azione. L’esempio più
rimarchevole e già citato, è quello di Obey Clothing, brand d’abbigliamento fondato da Shepard
Fairey nel 2001, in collaborazione con i fashion designers Mike Ternosky e Erin Wignall. Obey
utilizza la moda come ulteriore strumento per diffondere la sua arte e la sua visione estetica. Le
stampe dei suoi abiti spesso riproducono sue opere più o meno celebri, compreso il suo lavoro più
famoso, il ritratto di André the Giant o l’altrettanto conosciuta scritta “Obey”. Diverse collezioni
sono state lanciate sul mercato a scopo benefico e parte dei proventi vanno a cause filantropiche,
come le campagne a favore delle popolazioni del Darfur o delle vittime del disastroso terremoto di
Haiti del 2010. Le collezioni Obey possiedono tutte uno stile casual, il cui target è da cercare tra
quei segmenti di mercato popolati dai ragazzi più giovani, appartenenti, o semplicemnente attratti,
alle sotto-culture giovanili. Inizialmente era piuttosto comune riconoscere capi della linea Obey
                                                                                                               
184
http://www.pop-shop.com/page/keith-haring-pop-shop-history
185
Tomassini M., op. cit., p. 69
110  
 
indossati da giovani street artist, writer, skater o musicisti punk, ma con il passare degli anni, i capi
sono stati sdoganati e indossati da ragazzi di ogni categoria sociale, diventando un marchio attuale e
ricercato dai giovani di tutte le nazionalità.
Obey utilizza l’abbigliamento come veicolo delle sue idee e della sua propaganda. Su ogni etichetta
appare il viso di André the giant e una sintesi del suo manifesto. Come afferma egli stesso: “La mia
linea d’abbigliamento è disegnata per diffondere le mie idee ed essere irriverente in modo
intelligente […] e non ho alcuna remora perché continuo ad essere molto attivo nelle strade. Mi
sento bene a fare cose commerciali fintanto che esiste un collegamento contestuale con il mio
lavoro.”186 I tessuti, quindi, sono visti come un’altra tipologia di tela, dove poter esprimere la sua
arte. [Figura 10]
Un altro brillante writer/imprenditore è Marc Ecko, proprietario dell’omonimo brand di
street-wear e autore di uno dei video virali più d’impatto degli ultimi anni riguardanti la Street Art.
Sebbene Ecko non abbia incentrato la sua carriera sulle arti visive, limitandosi a compiere graffiti
giovanili durante gli anni del college, il suo legame con il mondo del Graffiti Writing e della Street
Art rimane indissolubile. Ecko fonda la sua linea di abbigliamento, la Eckō unltd, nel 1993 non
appena ventenne, vendendo inizialmente t-shirt con la sua tag “Ecko”. Vent’anni dopo, la sua
azienda multinazionale vanta un fatturato di oltre un miliardo di dollari annuo, dodici linee tra
abbigliamento e accessori, la rivista maschile “Complex” e una casa produttrice di videogiochi.187 Il
suo stile è sempre ispirato allo stile urbano, ai graffiti e all’Hip Hop e Ecko si è sempre battuto a
favore di questo movimento. L’esempio più sensazionale risale a quando Marc Ecko ha pubblicato
su internet un video fasullo che mostrava l’azione di due writer – uno dei quali doveva essere lo
stesso Ecko – intenti a taggare l’Air Force One, l’aereo presidenziale statunitense, con la scritta
“Still free” (sempre liberi). Dovuto in buona parte a motivi promozionali e di marketing, ma anche
pensato e diffuso per manifestare apertamente il suo appoggio al mondo del Graffiti Writing, il
video venne realizzato con il supporto di una celebre agenzia pubblicitaria, la Droga5. Per
l’occasione venne affittato un boeing 747 riverniciato come l’Air Force One; fu preparato un set
che ricreasse perfettamente l’ambiente dell’aeroporto militare presidenziale, aggiungendo le stesse
recinzioni e gli stessi edifici; infine, l’azione venne filmata e diffusa sul web. Il video, che si può
vedere sul sito internet www.stillfree.com, è diventato virale in pochissimo tempo, raggiungendo
114 milioni di visualizzazioni. Tutti i media americani si sono occupati della notizia e il pentagono
ha dovuto smentire per ben tre volte che tutto ciò fosse realmente accaduto. Sul sito internet
                                                                                                               
186
De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit.,
pp.100-101.
187
Mason M., Punk capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione, Milano, Feltrinelli
Editore, 2009, p. 130.
111  
 
dedicato all’azione, denominata “Still free”, si legge un disclaimer di Ecko: “Marc Ecko Enterprises
non approva attività illegali, atti di vandalismo o la distruzione della proprietà altrui. Ad ogni modo,
sosteniamo la libertà di espressione, i graffiti come forma d’arte e la protezione dei diritti dei
consumatori indipendentemente dall’età, la razza, la religione o dall’affiliazione politica.”188
Si denota quindi quanto il Graffiti Writing, l’Hip Hop, lo stile urbano e di strada, siano
diventati rilevanti se non addirittura parte integrante della cultura dominante, mantenendo sempre il
loro stile irriverente e contraddittorio. Infatti, se è lecito vedere graffiti stampati su abiti, accessori o
gadget, non sono ancora accettati sui muri delle città. Nonostante il considerevole numero di
pubblicazioni a riguardo, spesso è vista come un’arte minore. Mentre le gallerie curano decine di
mostre all’anno sul Graffiti Writing e sulla Street Art e alcune opere sono vendute a cifre
astronomiche, talvolta non viene neanche riconosciuta come arte. In realtà, la cultura di strada, con
la sua arte in tutte le sue declinazioni – dalla musica, alla danza, alle arti visive – è forse il
movimento più influente degli anni Duemila. In questi anni, la Street Culture ha invaso e dominanto
tutto l’ambiente del vivere umano. La musica rap è ancora in testa alle classifiche, le ultime
generazioni emulano gli artisti di questa sotto-cultura e dopo anni di elitarismo, finalmente la
quotidianità si riprende possesso dell’arte. Questa arte è onesta, universale, esce dalle gallerie e dai
musei per poter essere goduta e condivisa da tutti. Anche lavorando indoor, lo street artist mantiene
sempre il contatto con il suo ambiente di provenienza, la strada e non perde mai di vista il suo
obiettivo principale, ossia mandare un messaggio: lo spazio urbano appartiene a tutti e l’arte è per
tutti. Che poi sia un’arte effimera e talvota duri il tempo di una fotografia poco importa, gli artisti ci
mettono il massimo impegno per trasformare le città in delle gallerie a cielo aperto. Un’arte
generosa.

                                                                                                               
188
http://www.stillfree.com/
112  
 
[Figura 1] La facciata del condominio al
quartiere Garbatella, realizzata utilizzando la
tecnica da loro definita: “Stencil Poster”. Il
finanziamento dell’opera è avvenuto tramite
crowdfunding. Roma, 2013.
(Fonte: stenlex.net)

[Figura 2] Banksy. “This is my New York


accent…normally i write like this.” Vernice
Spray. Westside, New York, ottobre 2013.
(Fonte: www.streetartnews.net)

[Figura 3] Banksy, stencil e bomboletta


spray. Leake street, Londra, 2008. Stencil
realizzato in occasione del Cans Festival.
(Fonte: www.woostercollective.com)

113  
 
[Figura 4] L’artista di Amburgo Low bros
nell’ingresso di un condominio. Bomboletta
spray. St. Pauli, Amburgo. 2014
[Figura 5] In basso. 5pointz.
(Fonte: 5pointz.com)

114  
 
a b
[Figura 6. a e b.] Gli esterni di La Tour 13. A sinistra la facciata decorata dallo street
artist El Seed e a destra quella decorata da Stew. Il terzo piano, costituito da quattro
appartamenti e decorato interamente da artisti italiani è stato interamente “salvato” ed
è quindi possibile osservare le opere, compiendo un tour virtuale sul sito
www.tourparis13. (Fonte: www.tourparis13)

[Figura 7] Uno degli ultimi murales apparsi sull’Houston Bowery Wall, ad opera degli
street artist Revok e Pose. Luglio 2013. Il murale rende omaggio ai grandi maestri
scomparsi dei graffiti, come Rammellzee, Dondi e Case2 e racchiude tutta la storia del
Graffiti Writing dalla nascita del movimento, ai giorni nostri.
(Fonte: arrestedmotion.com)

115  
 
[Figura   8] e [Figura 9] Due esempi del connubio tra arte e graffiti. A sinistra la
collezione di Louis Vuitton ispirata ai graffiti, del designer Stephen Sprouse. A destra
la collaborazione tra Swatch e Keith Haring per la collezione primavera/estate del
1986.
(Fonte: www.louisvuitton.com; www.swatch.com)

 
[Figura 10] Modello della collezione primavera/estate 2014 della linea Obey Clothing.
Fonte: www.obeyclothing.com

116  
 
CAPITOLO 4. IL MOVIMENTO IN ITALIA

“La nostra strada è una, asfalto sotto ai piedi e verso il cielo mura
scritte di rabbia e d'amore, graffiti, è un attimo e compare e per farsi guardare spara colore.
Colore contro grigio, parola contro silenzio.”
Assalti Frontali – 00199

Il fenomeno del Graffiti Writing in Italia si sviluppa verso la fine degli anni Ottanta, proprio mentre
negli Stati Uniti si pone fine al glorioso periodo della Subway Art. A contribuire allo sviluppo del
Writing in Italia sono state alcune mostre avanguardistiche e soprattutto i media. Nel 1979 a Roma,
la galleria Medusa cura una personale di “Lee” Quinones e nel 1984 viene allestita a Bologna la
storica mostra Arte di Frontiera di cui si è già parlato in precedenza. Sempre negli anni Ottanta
approda in Italia anche Mtv, il canale interamente dedicato alla musica, che in quegli anni si
impegna a diffondere abbondantemente la musica rap. Infine, i giovani italiani entrano in possesso
di libri fotografici quali Spraycan Art o Subway Art e scoprono film come Wild Style, Beat Street o
Style Wars. Nonostante arrivi in differita rispetto agli Stati Uniti e ad altre parti d’Europa (le prime
città europee a scoprire il Graffiti Writing sono Amsterdam, Londra, Berlino e Parigi) il movimento
Hip Hop in Italia attecchisce abbastanza in fretta. Rimanendo sempre un movimento underground,
l’Hip Hop, con il suo rap e i suoi graffiti viaggia velocemente sui vagoni dei treni, percorrendo e
scoprendo tutta l’Italia da nord a sud. Infatti, se a New York i writer si concentrano sui treni
metropolitani, in Italia, quasi tutti gli sforzi, inizialmente, sono incentrati sui treni delle Ferrovie
Italiane. Il Graffiti Writing italiano si sviluppa e si evolve principalmente sull’asse Milano-
Bologna-Roma. É in queste tre città infatti, che nascono e si sperimentano i principali stili, si
realizzano le prime convention e le prime mostre e si “incoronano” i primi kings. Negli anni
Novanta, questi centri sono in pieno fermento e sono considerati il fulcro della cultura Hip Hop. In
questa decade il Graffiti Writing italiano matura e si evolve, rimanendo il genere principale e
padrone indiscusso delle strade italiane. Con l’arrivo degli anni Duemila, anche in Italia, come nel
resto d’Europa e del mondo, si assiste a uno sviluppo importante della Street Art, quasi un sorpasso
rispetto al tradizionale Graffiti Writing e ad oggi i due generi convivono su tutto il territorio.

4.1 La legislazione in Italia

Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento ad oggi, Graffiti Writing e Street Art si sono espansi in
tutto il territorio italiano oggigiorno è veramente raro trovare una città o anche un semplice
117  
 
paese totalmente privo di tali espressioni artistiche. Come viene precisato anche nel saggio di
stampo giuridico: Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione189, i tre punti fondamentali del
Writing sono quello visivo, ossia il supporto; quello emotivo, ossia le motivazioni che spingono il
writer a dipingere sui muri, e l’illegalità. L’illegalità rimane un fattore fondamentale per questa
disciplina poiché l’arte urbana nasce come espressione non autoritazzata e l’illegalità spesso
permette di mantenerla viva e in costante evoluzione. Molti writer e street artist, infatti, anche una
volta raggiunta una certa notorietà, proseguono a compiere lavori illeciti, in modo da potersi
esprimere senza costrizioni e sperimentare liberamente.
Al giorno d’oggi, vi è ancora molta confusione sul comportamento da tenere in tribunale riguardo ai
graffiti compiuti illegalmente e spesso ci si ritrova in difficoltà in relazione alla legge da applicare
verso i writer. L’ordinamento italiano prevede l’articolo 639 del codice penale in riferimento al
reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui. L’articolo recita:

“Chiunque, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa
fino a euro 103.
Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della
reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse
storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000
euro.
Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a
due anni e della multa fino a 10.000 euro.
Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio.”190

La cassazione penale, nella sentenza n°11756 del 16-11-2000, ha stabilito che:

“La condotta consistente nell’imbrattare o deturpare i muri di una abitazione con scritte a vernice è
inquadrabile nella fattispecie criminosa prevista dall’articolo 639 cod. pen. […] mancando
un’immanenza, almeno relativa, degli effetti dannosi sul bene deteriorato, sempre che possa comunque
ripristinarsi, senza particolari difficoltà, l’aspetto e il valore originario del bene medesimo.”191

                                                                                                               
189
Cibrario Assereto C. “Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione”, in Mastroianni R. (a
cura di), Writing the city. Graffitismo, immaginario urbano e street art, Roma, Aracne editrice,
2013, p.243.
190
Art. 639 c.p.
191
Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza n° 11576/2000.
118  
 
D’altro canto, come viene ribadito anche nel saggio di Pizzi, sugli aspetti legali del graffito come
creazione artistica192, l’art. 33 della Costituzione italiana sancisce che: “L'arte e la scienza sono
libere e libero ne è l'insegnamento.” Inoltre, il creatore dell’opera potrebbe avvalersi della legge
633/1941 sul diritto d’autore, la quale dispone che: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere
dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di
espressione.”193 La legge non si esprime sulle modalità con cui è stata realizzata l’opera, quindi
teoricamente sarebbe applicabile anche sulle opere realizzate illegalmente. Il problema risulta,
perciò, nello stabilire se l’opera realizzata illegalmente sui muri sia effettivamente un’espressione
artistica o mero vandalismo. Nonostante talvolta sia innegabile il valore creativo ed estetico
dell’opera, il giudizio rimane estremamente soggettivo e spetta al giudice la parola finale. A questo
riguardo è necessario menzionare le ultime cause che si sono discusse in Italia contro i writer. Nel
2010, il writer Bros, personaggio di spicco della scena milanese, è stato prosciolto dall’accusa di
imbrattamento, per dei graffiti realizzati tra il 2004 e il 2007, per mancanza di querela e
prescrizione. Il comune di Milano, che si è sempre tenacemente battuto contro i graffiti, si era
costituito parte civile chiedendo un risarcimento di 18.000 euro. Per quanto positiva, questa
sentenza ha però sancito l’assoluzione del writer solo per motivi procedurali e non per il fatto in sé.
Non è stato stabilito quindi se il graffito fosse o meno una forma di espressione artistica o, al
contrario, atto vandalico. Due sentenze successive, di due casi rispettivamente del 2012 e 2014,
hanno invece assolto i giovani writer, poiché al loro lavoro è stata riconosciuta una valenza artistica.
Nel 2012, a Monza, due writer sono stati colti nell’atto di dipingere un throw-up. I due giovani sono
stati ritrovati con 57 bombolette e sono stati denunciati per imbrattamento. Il giudice, però, ha
assolto i due ragazzi, dichiarando che il muro era già stato precedentemente imbrattato da terzi e i
due giovani writer, con i loro graffiti, cercavano solo di migliorarne l’aspetto estetico. La sentenza
risulta storica, poiché si tratta del primo caso in cui si riconosce validità artistica ai graffiti in
ambito giuridico. Anche nel 2014, il writer Manu Invisible è stato assolto dalle accuse di
imbrattamento e il suo lavoro è stato riconosciuto come arte. Il writer stava svolgendo un’opera
rappresentante una veduta del Naviglio grande, sotto il ponte di via Piranesi a Milano, quando è
stato interrotto dalle forze dell’ordine. Il writer è risultato innocente, ma è stato costretto a
interrompere il suo lavoro, il quale oggi risulta in stato di degrado e ormai imbrattato da altri
graffiti. [Figura 1]

                                                                                                               
192
Pizzi A., Alcune riflessioni sugli aspetti legali del graffito come creazione artistica, in Naldi F.
(a cura di), Do the right wall, Bologna, Mambo, 2010.
193
Art. 1, L. 633/1941
119  
 
Queste sentenze dimostrano che negli ultimi anni è iniziato un processo di apertura nei confronti del
Graffiti Writing e testimoniano un grande passo in avanti per il riconoscimento definitivo di questo
fenomeno come forma d’arte.
Purtroppo molte amministrazioni comunali sono ancora poco tolleranti riguardo al Graffiti Writing
e alla Street Art e si ostinano a non accettare confronti verso queste espressioni artistiche. Nel già
citato saggio Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione, si prende come esempio il comune
di Milano, messo in relazione a comuni virtuosi come quello di Torino. Il comune di Milano ha
istituito un corpo di vigili urbani, appositamente per la lotta ai graffiti e la caccia ai giovani writer.
Inoltre, sempre con lo stesso scopo, sono nate numerose associazioni da parte dei cittadini, tra le
quali L’Associazione Nazionale Antigraffiti e l’Associazione Milano Muri Puliti. Nel 2006 è stata
infine attivata la campagna “I Lav Milan!” attraverso la quale sono stati ripuliti centinaia di palazzi.
Il comune quindi, con i suoi cittadini, si impegna in una estenuante, moderna caccia alle streghe,
arrivando ad introdurre perfino pene esemplari e taglie sui writer. Così facendo, il comune di
Milano ha speso più di 24 milioni di euro negli ultimi tre anni e il problema dei graffiti vandalici
non è minimamente risolto. Un approccio alternativo, basato sul confronto e sull’avvicinamento dei
writer con le istituzioni, è invece quello scelto dal comune di Torino, che con il progetto “MurArte”
(attivo dal 1999), ha deciso di incoraggiare questa espressione artistica, assegnando ai writer muri
legali. Su questi muri, i writer hanno totale libertà espressiva. Da un budget iniziale di 90 milioni di
lire, il progetto ora si mantiene con 26.000 euro l’anno. Dato il notevole successo, in termini
economici, sociali ed estetici, il progetto “MurArte” è stato adottato anche da altre città come
Scandicci e Bolzano. Si può in definitiva affermare che “cogliendo il muralismo artistico, si
depotenzia quello vandalico”194 e l’apertura al dialogo è il miglior approccio per una convivenza
serena e proficua per entrambe le parti.

4.2 Nascita e diffusione del Graffiti Writing in Italia. I treni e le fanzine

Il Graffiti Writing è nato inizialmente in forma di Subway Art, negli anni Settanta a New York. Una
volta giunto in Italia, il fenomeno ha dovuto cercare dei supporti corrispettivi ai vagoni della
metropolitana. Fortunatamente per i writer, la penisola italiana vanta una fitta e vasta rete
ferroviaria, con un gran numero di depositi, più o meno facilmente accessibili. I writer hanno visto
nel trasporto ferroviario il veicolo più adatto alla diffusione del Graffiti Writing. Attraverso i treni, i
pezzi possono viaggiare per tutto il territorio italiano e, di conseguenza, il nome del writer può
                                                                                                               
194
Cibrario Assereto C. “Graffiti Writing – Street Art. Illegalità e inclusione”, in Mastroianni R. (a
cura di), Writing the city. Graffitismo, immaginario urbano e street art, cit., p.252.
120  
 
viaggiare con essi. Inizialmente, nell’era pre-internet, un writer diventava conosciuto nell’ambiente
solamente grazie ai pezzi compiuti sui treni. Ad esempio, un pezzo partito la mattina dal sud Italia,
poteva arrivare la sera a Milano e entrare in contatto con le crews locali. A metà degli anni
Novanta, i treni delle Ferrovie Italiane erano completamente ricoperti di pezzi e quasi non
esistevano writer che almeno una volta non avessero dipinto su di essi. Come afferma anche un
writer di quel periodo: “Se non hai mai fatto i treni, sei un artista, un decoratore, non sei un
writer.”195 Il fenomeno si è ampliato in maniera esponenziale negli anni, tanto da venire classificato
come movimento a sé stante chiamato “trainbombing”196. Molti writer negli anni Novanta hanno
deciso di concentrare il loro lavoro esclusivamente sui treni.
Il treno testimonia, più del muro, quanto il Graffiti Writing sia un’arte estremamente effimera. I
pezzi su muro possono perdurare anche settimane, mesi, talvolta anni, se compiuti in maniera legale
o in luoghi periferici o abbandonati, mentre il treno è un mezzo in continuo movimento e spesso i
writer hanno la possibilità di godere della propria opera solo appena conclusa, prima che il treno
parta per il suo viaggio. In questo caso, sono molto importanti le fotografie come strumento per
testimoniare l’operato dei writer e delle loro crews.
In un primo momento, le Ferrovie Italiane non hanno preso provvedimenti, limitandosi a cancellare
i pezzi solo sui finestrini, ma, dagli inizi degli anni Duemila, quando il fenomeno è iniziato a
diventare sempre più inarrestabile e incontrollabile, le ferrovie hanno deciso di reagire, attivando
azioni repressive molto simili a quelle della MTA newyorchese. Si è iniziato così a “buffare”
totalmente i treni, ossia a cancellare i graffiti, ripulendo le carrozze con puliture ad acido e si è
introdotta una pellicola particolare graffiti-repellente. Effettivamente, queste tecniche di ripulitura,
associate ad un aumento dei controlli nei depositi, hanno sensibilmente diminuito il fenomeno del
trainbombing e oggi risulta possibile osservare dei vagoni colpiti, solo imbattendosi nei treni più
vecchi.
Le tecniche adottate per il trainbombing sono le stesse utilizzate dai “colleghi” newyorchesi,
descritte nel primo capitolo: si può scegliere di dipingere un semplice pezzo, fino ad arrivare ad un
end-to-end, un window-down, un top-to-bottom o un whole car. L’obiettivo finale è quello di
realizzare un whole train, ossia un intero treno, dipinto nella totalità dei suoi vagoni. Non è quasi
mai possibile realizzare un whole train in una singola seduta, a causa dei limiti di tempo, delle
quantità di bombolette a disposizione e dei rischi legati ai controlli, è quindi molto probabile che i
treni possano essere conclusi in diverse occasioni, da writer diversi.

                                                                                                               
195
Rae in Mininno A., op. cit. p. 72
196
Ibid.
121  
 
Molto apprezzate dai writer sono state, nel corso degli anni, le linee ferroviarie locali, le quali
compiono piccole tratte ed è quindi più probabile che un writer possa rivedere il proprio pezzo. Una
delle ferrovie predilette dei writer era, ad esempio, Trenord, la linea ferroviaria regionale della
Lombardia. Inoltre, il passaggio alle pellicole anti-graffito è stato successivo alle Ferrovie Italiane,
quindi, per un certo periodo, quando la rete ferroviaria statale era diventata già inagibile, i writer
hanno potuto godere delle ferrovie locali per le loro azioni. Al giorno d’oggi, anche le ferrovie
regionali si sono convertite alle pellicole e solo poche realtà non hanno adottato questa pratica. Un
esempio è la linea Circumvesuviana di Napoli, dove è possibile ancora osservare treni
completamente colpiti e sostare in stazioni estremamente variopinte e decorate con pezzi, più o
meno interessanti, di Graffiti Writing. [Figura 2]
Ovviamente, nelle grandi città (in particolare Roma e Milano), anche i vagoni della metropolitana
non sono esenti da graffiti. I pezzi dipinti sui treni metropolitani sono leggermente diversi da quelli
dipinti sui treni ferroviari, principalmente a causa della scarsità di tempo e del maggior pericolo in
cui si incorre colpendo i primi. Il gesto è più veloce, le cromie si riducono (a volte sono sufficienti
un paio di colori) e, essendo le carrozze in minor numero rispetto ai treni ferroviari, spesso i pezzi
vengono creati uno sopra l’altro. Come asserisce Mininno in riguardo al trainbombing sui treni
della metropolitana di Roma:

“il risultato è un disordine visivo che lascia perplessi molti turisti, ma che caratterizza in maniera
particolare i trasporti pubblici della capitale. Basta sostare per qualche ora nella stazione Ostiense per
veder scorrere davanti ai propri occhi una buona parte della storia del writing capitolino.”197

A Milano i controlli e le pulizie dei vagoni sono più consistenti ed è quindi più raro vedere le
carrozze interamente colpite. Ad ogni modo, il fenomeno del trainbombing delle metropolitane ha
pervaso anche l’Italia e almeno finchè persisterà il Graffiti Writing, esisterà anche il trainbombing.
Il treno è stato un mezzo di diffusione del Graffiti Writing, non solo nel territorio italiano, ma
anche in Europa. Sui treni non viaggiavano solo i pezzi, ma anche i loro creatori. Negli anni
Novanta, infatti, era molto comune tra i writer, la pratica dell’Inter-rail, attraverso la quale i giovani
writer potevano viaggiare in tutta Europa, per entrare in contatto con i graffiti e le crews straniere e
praticare trainbombing nelle maggiori capitali europee. Questa pratica ha creato un network di
scambio e confronto tra i giovani writer di tutto il continente e sono nate perfino crews
internazionali costituite da elementi di diversa provenienza. Tra gli esempi di crews internazionali
si annoverano la USA (United Street Artists) con base ad Amsterdam, la TCA (The Chrome Angelz)

                                                                                                               
197
Ivi. p. 128
122  
 
di stanza a Londra, e la Bomb Squad a Parigi. Grazie all’Inter-rail è avvenuta una reciproca
influenza tra i vari writer e si è creata una contaminazione di stili che ha arricchito il fenomeno del
Graffiti Writing, creando uno stile propriamente europeo, staccandosi così dal modello americano.
Il secondo indispensabile strumento di diffusione dei graffiti, nell’era pre-internet, erano le
fanzine. Il nome fanzine è l’abbreviazione di fanatic magazine e rappresenta una rivista amatoriale,
di nicchia, gestita e seguita dagli appassionati di uno specifico argomento. Attraverso queste riviste
indipendenti e autoprodotte, colme di fotografie dei pezzi sparsi per tutta Europa, i giovani writer
venivano a conoscenza delle ultime tendenze, delle città più all’avanguardia, delle crews più attive
e di tutte le notizie relative alla disciplina del Writing. Quando i writer partivano per un viaggio
all’estero, era necessario poi tornare con quante più fanzine possibili, in modo da tener aggiornati i
vari membri della crew, sugli stili dei kings dei vari paesi. È per merito delle fotografie e delle
fanzine che un genere precario e transitorio come il Graffiti Writing è sopravvissuto fino ad oggi e
le testimonianze delle prime generazioni di writer non sono andate perdute. Una delle prime fanzine
apparse in circolazione è “Impatto Nitro”, realizzata a Milano dalla crew TDK nel 1992.
Inizialmente le fanzine erano costituite da una ventina di pagine fotocopiate in bianco e nero,
realizzate artigianalmente, ritagliando e incollando fotografie e fogli di carta, con copertine
realizzate a mano dagli stessi writer. Dato l’enorme successo e la massiccia diffusione, col tempo
nacquero vere e proprie riviste specializzate. In questi magazine si trovavano notizie riguardanti
tutta la cultura Hip Hop: dalle interviste ai protagonisti della musica rap, a fotografie di pezzi di
Aerosol Art, alle notizie sullo stato dell’arte della cultura Hip Hop. Le riviste principali a livello
italiano erano “Tribe Magazine” fondata dai writer milanesi Airone e KayOne e “Aelle” (divenuto
poi “AL Magazine”) pubblicata a Genova, da Claudio Brignole. Entrambe le riviste sono state
pubblicate dal 1991 al 2000 (il primo numero in edicola di “Aelle” è uscito nel settembre del 1995).
[Figura 3]
I magazine e le fanzine italiane possedevano un alto livello di contenuti. I servizi erano accurati e
stimolanti, dal momento che venivano realizzati da estimatori e dagli stessi protagonisti del
movimento. Proprio per il loro alto standard qualitativo, le fanzine e i magazine italiani si sono
diffusi anche all’estero, parallelamente a quelli stranieri che venivano importati in Italia, creando un
movimento sempre più globale.

4.3 I luoghi

Per quanto ridimensionato, il fenomeno del trainbombing non ha mai cessato del tutto di esistere ed
ha sempre continuato il suo lavoro di diffusione del movimento. Parallelamente ai treni, il Graffiti

123  
 
Writing si espande anche sui muri delle città, sia illegalmente, sia attraverso le Hall of Fame
autorizzate. Con il passare degli anni, si accostano al Graffiti Writing anche le opere di Street Art,
completando così il quadro dell’Arte Urbana. Le prime città in cui si diffonde maggiormente il
movimento sono Milano, Bologna e Roma, che negli anni sono diventate un punto di riferimento
per i writer, anche a livello internazionale. Oltre a queste grandi realtà, anche molti altri centri
possiedono una scena attiva e prolifica, come, ad esempio, Torino, Napoli, Padova e la costa
Adriatica con Rimini, Pesaro, Ancona e Pescara.

4.3.1 Milano

La città di Milano, con il suo imponente sviluppo urbano, gli innumerevoli edifici dell’hinterland
ed i centri sociali molto attivi, negli anni hanno portato ad un naturale sviluppo del Graffiti Writing.
Dato il proverbiale grigiore di Milano, i giovani writer non hanno potuto rinunciare a tentare di
donare un po’ di colore e vivacità alla città e, dalla fine degli anni Ottanta, hanno portato avanti una
sorta di progetto di riscrittura estetica metropolitana.
Così Lucchetti descrive la scena del Graffiti Writing milanese:

“Milano offre una scena particolare rispetto a tutte le altre città italiane, in essa il writing ha raggiunto un
notevolissimo grado di complessità, si passa dal semplice bombing ai veri e propri masterpieces e tutte le
forme espressive dell’aerosol culture convivono e condividono, più o meno, gli stessi spazi. Lo studio del
lettering ha raggiunto un notevole stadio di evoluzione anche se, forse, una buona parte degli stili più
nuovi, che si possono ammirare nelle zone ancora attive di Milano, sono decisamente simili agli stili di
writer degli anni passati. Tutto questo, però, non fa che aumentare la ricchezza della scena e
l’impressione che essa si muova, all’interno della metropoli, con pesanti passi di ribellione.”198

Uno dei punti di riferimento del Writing milanese è lo spazio pubblico autogestito Leoncavallo,
attivo dal 1975. Dopo diversi sfratti e sgomberi forzati, nel 1994 il centro sociale si trasferisce in via
Watteau, scegliendo come sede una ex-cartiera. Nel corso degli anni i muri del centro sociale si
sono arricchiti di graffiti, creando una Hall of Fame estremamente variegata e densa, che racchiude
la storia del Writing della città. Attualmente, tutto il perimetro del centro sociale è invaso di graffiti,
e non si riesce a trovare nemmeno uno spazio senza colore, creando così un effetto di horror vacui
contemporaneo. Il Leoncavallo è meta di pellegrinaggio per writer italiani e stranieri, ma i continui
tentativi di sfratto potrebbero portare la Mecca italiana dei graffiti allo stesso triste epilogo di

                                                                                                               
198
Lucchetti D., op. cit., p.113
124  
 
5pointz a New York. Tra gli artisti che hanno realizzato opere al Leoncavallo si annoverano: Ozmo,
Santa Crew, THP crew, Mr Wany, Zed1, Blu, Tv Boy, Bros, Pao, Tawa e Zibe.
Un altro luogo significativo per il Graffiti Writing milanese, anche da un punto di vista sociale e di
riqualificazione urbana è la Hall of Fame di viale Caprilli, in zona San Siro. Lungo la via si trova un
muro di un chilometro che costeggia l’Ippodromo del Galoppo. La zona residenziale risulta
anonima e poco frequentata, se non in occasione delle partite di calcio a cadenza settimanale. Così,
nel 2011, l’associazione “Stradedarts” fondata da KayOne, uno dei primi storici writer milanesi, ha
deciso di organizzare un evento per cercare di rivitalizzare il quartiere, almeno a livello artistico-
culturale. L’associazione ha invitato duecentocinquanta writer a realizzare opere aventi come tema
lo sport, sul muro che costeggia l’ippodromo, creando così la più grande jam199 di Graffiti Writing
italiana. Inoltre, alcune crews milanesi storiche, tra le quali THP, CKC e 16 K, hanno dipinto i
dodici ingressi dello stadio San Siro, mentre all’interno del museo dello stadio è stata realizzata una
mostra, curata da Alessandro Mantovani, dal titolo “Stadio Street Players”, in cui sono state esposte
opere su tela di ventidue artisti (undici milanisti e undici interisti) in cui vengono omaggiate le due
squadre. Nel 2013 è stato riproposto l’evento e il muro chilometrico è stato imbiancato per fare
posto ad altri quasi duecento writer, che hanno realizzato opere riguardanti il tema dell’ippica e dei
cavalli. Ogni intervento di Street Art raccoglie sostenitori e detrattori e, anche in questo caso, non
sono mancati commenti negativi. Nel documentario Street art: graffiti a Milano, realizzato nel 2013
in co-produzione da Sky Arte e dall’Accademia di Belle Arti di Brescia, vengono mostrate anche le
reazioni dei cittadini, non sempre positive. C’è, ad esempio, chi afferma che via Caprilli “l’hanno
rovinata”, che così facendo si è perso “il fascino del grigio di Milano”. Nonostante qualche
commento negativo però, la maggioranza degli abitanti della zona si è mostrata aperta e
benevolente nei confronti dei graffiti.
Un esempio di quanto, talvolta, la Street Art si integri nella comunità è dato dalla maestosa e
raggiante Vergine di Guadalupe realizzata dallo street artist Ozmo, sita sulla facciata di un
autoricambi in via Pollaiuolo, nel quartiere Isola, ora diventato un vero e proprio santuario per i
Sudamericani del quartiere. L’opera di Ozmo non è l’unica opera che si trova sulla facciata
dell’autoricambi, infatti, il proprietario della struttura ha commissionato diverse opere di Street Art
per il suo stabile e ad oggi affiancano la vergine di Guadalupe anche un angelo di Ryan Spring
Dooley, il viso di Arnold, inconfondibile cifra stilistica dello street artist Zibe e opere di Moneyless,
Microbo, Bo 130 e altri. [Figura 4] Poco distante dall’autoricambi, in piazza Tinniti, si trova un
oratorio, le cui mura sono state rinnovate da opere di Microbo e Bo 130. Tutto il quartiere Isola è
                                                                                                               
199
In questo caso per Jam si indica un incontro tra writer, breaker e musicisti che agiscono e
lavorano in contemporanea, spesso improvvisando.
125  
 
costellato da opere di Graffiti Writing e Street Art ed è sicuramente la zona più colorata di Milano.
Anche le saracinesce delle attività commerciali sono dipinte da graffiti e opere di Street Art e nel
2011 è sorto il progetto “EscoAdIsola”, per la riqualificazione del sottopasso che collega il quartiere
alla stazione di porta Garibaldi, attraverso la sua decorazione con opere di Arte Urbana.
Disseminate nel quartiere Isola si possono trovare opere di Ozmo, Ron English Microbo, Bo 130,
Moneyless, Rendo, Zibe, M.T. Crushler, Endone, 66T, 2501 e El Gatto Chimney.
L’evento che ha sancito l’ingresso del Graffiti Writing e della Street Art nell’ambiente
dell’arte “ufficiale” è stata la mostra Street Art. Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione
pop up, al Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano, curata da Alessandro Riva, tenutasi
dal 7 marzo al 25 aprile 2007. Per poco più di un mese sono state esposte le opere di più di trenta
artisti, provenienti da tutta Italia e appartenenti a vari stili di Arte Urbana. Alla mostra hanno
esposto dai writer della prima generazione, come: Kayone, Airone, Atomo, Rendo, Joys, Mambo e
Rae Martini, agli street artist che utilizzano le tecniche più svariate e innovative come
Abbominevole, Basik, Blu, Ericailcane, Dado & Stefy, Ozmo, Joys, Microbo, Bo 130, Dem, Eron,
Pao e Tv Boy, solo per citarne alcuni.
La particolarità di questi artisti è data dal fatto che ognuno spazia liberamente nel proprio universo
artistico, non sottostando a schemi predefiniti e il risultato della mostra è stato un’ampia
retrospettiva del panorama dell’arte iper-contemporanea italiana. Blu, Ericailcane e Ozmo, ad
esempio, spiccano per le loro grandi opere figurative; Microbo, Bo130 e Dem si caratterizzano per
la commistione di stili e di media, utilizzando spray, pennelli, video e stampa; Abbominevole si
concentra sulla Poster Art, con i suoi volti grotteschi e dissacranti; le opere di Cano, Pho e Rae
Martini si avvicinano all’arte astratta; mentre writer come Joys e Dado & Stefy allargano i loro
orizzonti, sperimentando con la loro arte e creando vere e proprie sculture di graffiti.
Tra gli street artist milanesi che più hanno contribiuito alla trasformazione e alla
“decorazione” del tessuto urbano meneghino si trovano Bros, già citato per la storica assoluzione in
tribunale, e Pao, conosciuto da molti cittadini per il suo stile ironico e colorato. Bros (1981)
colpisce per la sua irriverenza. Nel gennaio 2007, ad esempio, ha deciso di riformulare la
toponomastica milanese, reintitolando una via a suo nome. Lo street artist ha installato una targa
all’inizio di una via di Milano, identica a quelle utilizzate per la toponomastica della città,
intitolandola “Via Bros. Artista contemporaneo 1981 - ?”, probabilmente per commentare in
maniera sarcastica e ironica alle polemiche sorte tra le varie forze politiche comunali, a seguito
dell’intitolazione di nuove strade a personaggi, le quali non sono state condivise dalle varie fazioni.
Inoltre, potrebbe essere vista anche come una provocazione verso il sistema della cultura
“ufficiale”, alla quale Bros ha deciso di annunciare autonomamente la sua presenza.

126  
 
Pao (1977), milanese, è uno degli street artist più benvoluti dalla cittadinanza, poiché le sue
opere sono di immediata comprensione ed egli è in grado di calibrare la giusta dose di ironia e
sagacia. Pao mette in atto un processo di vera riappropiazione della struttura urbana, poiché non si
limita ad intervenire sui muri, ma sfrutta ogni tipo di supporto, dalle colonnine dell’energia elettrica
ai famosi “panettoni”, ossia i paracarri, che a Milano assumono una forma tondeggiante. Pao è
venuto alla ribalta reinterpretando queste architetture, trasformandole, con l’uso della bomboletta
spray, in personaggi della cultura popolare e in animali di ogni sorta, tra i quali spicca quello che
poi diventerà la sua cifra caratteristica: il pinguino. Il suo stile è immediatamente riconoscibile e per
merito del suo stile riconducibile al mondo dei fumetti e dei cartoni animati, la sua arte risulta
accettata e apprezzata da ogni membro della comunità, dai bambini agli adulti. I suoi animali
irriverenti e divertenti, provenienti da un immaginario infantile, sembrano emergere dall’asfalto
della città per soprendere e stupire positivamente i passanti, i quali a stento potranno trattenere un
sorriso. Sulla sua operazione di decontestualizzazione e ri-trasformazione di elementi pre-esistenti
del tessuto urbano, Pao afferma:

“Decontestualizzando elementi pre-esistenti, cerco di creare un effetto di straniamento nel passante, la


realtà assume caratteri magici, il ragionamento logico perde di importanza per fare spazio al
comportamento istintivo. In questo senso il mio stile è molto ludico e ha molti richiami al mondo
dell’infanzia. Utilizzare elementi tridimensionali fa sì che l’opera sia un tutt’uno con lo spazio
circostante; lo spazio urbano si trasforma, diventando il palcoscenico in cui i miei personaggi agiscono,
interagendo con lo “spettatore” che diventa parte attiva. […] Intervenire nello spazio pubblico per me
vuol dire avere bene in mente che ti confronti con la collettività. […] Mi piace creare divertimento,
reinterpretando angoli grigi della città, ma al tempo stesso mi piace spiazzare i benpensanti, portando
200
avanti un’arte fatta in segreto pre la gente, un’arte che si suppone non debba esistere.”

L’abilità tecnica di Pao sta nell’essere in grado di dipingere su un supporto tridimensionale e spesso
non lineare, ma ricurvo. Inoltre, l’artista realizza anche opere su tela, nelle quali è riconoscibile il
passaggio dalla bomboletta spray a colori acrilici e l’aggiunta di materiali di diversa natura. I temi e
i soggetti rimangono di natura fantastica e briosa. [Figura 5]
Orticanoodles è lo pseudonimo di Wally e Alita, due street artist con base a Milano (Ortica è
il nome del quartiere in cui si trova il loro studio) che fanno coppia sia sul lavoro che nella vita.
Orticanoodles hanno iniziato la loro attività agli inizi degli anni Duemila, invadendo la città di
Milano con poster e sticker raffiguranti il loro logo: L’immagine del volto stereotipato di Cristo,

                                                                                                               
200
Riva, A. (a cura di), Street Art Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up,
Milano, Skira, 2007, p. 142.
127  
 
tratto dal sceneggiato televisivo di Franco Zeffirelli del 1977 Gesù di Nazareth, con sotto la scritta
“Orticanoodles” o con il claim “God bless stencil” (Dio benedica gli stencil). Successivamente, si
sono specializzati nella Stencil Art e al momento sono una coppia di street artist tra i più
interessanti e riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Le loro ultime ricerche artistiche si
concentrano sui ritratti. I ritratti di Orticanoodles rappresentano personaggi che sono o sono stati
una fonte di ispirazione per loro o realizzati come forma di critica sociale. Tra le figure ritratte sono
presenti Joseph Beuys, Frida Kahlo, Salvador Dalì, Rita Levi Montalcini, Gilberto Gil e la
partigiana Francesca Rolla. Uno dei loro ultimi lavori, estremamente evocativo e stilisticamente
ineccepibile è il ritratto di Renato Guttuso realizzato a Giardini Naxos, in Sicilia, in occasione
dell’edizione 2013 del festival di Street Art Emergence Festival. Il ritratto, compiuto in un ex-
mattatoio, ritrae il pittore in età avanzata, con il volto solcato da importanti rughe e lo sguardo
malinconico, ma fiero. Il ritratto è in bianco e nero, illuminato nella parte alta degli occhi e della
fronte, da un fascio di vernice tinta ocra, colore predominante della Sicilia. Il supporto su cui si
trova il ritratto non è liscio e uniforme, ma sembra formato da tante piccole squame e questo dona
ancora più particolarità all’opera, creando dinamismo e tridimensionalità. [Figura 6]
Orticanoodles non hanno mai smesso di lavorare illegalmente nelle strade, ma contemporaneamente
partecipano a numerosi festival e mostre collettive. Nel 2008 sono stati invitati da Banksy a
partecipare al Cans Festival a Londra e nel 2013 hanno partecipato al progetto parigino La Tour
Paris 13, dipingendo l’appartamento numero 934 in collaborazione con Hogre e JB Rock.

4.3.2 Bologna

Bologna è una delle colonne portanti del Graffiti Writing italiano, uno dei primi centri in cui si è
diffuso questo movimento, verso la fine degli anni Settanta. Gli anni Settanta portano la città di
Bologna ad essere epicentro di una rivoluzione politica, sociale e culturale. Nel 1970 viene istituito,
all’interno della facoltà di lettere e filosofia, il DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello
Spettacolo), primo corso di laurea in Italia ad essere specializzato nell’insegnamento di teatro,
cinema, musica e delle varie arti. Proprio in questo decennio, frequentano il DAMS studenti che poi
diventeranno personaggi di spicco della cultura non solo bolognese, ma anche italiana, come: Carlo
Mazzacurati, Andrea Pazienza, Roberto “Freak” Antoni e Pier Vittorio Tondelli. La seconda metà
degli anni Settanta vede Bologna scenario di numerose proteste e violenti scontri, i quali
culmineranno nel marzo 1977 con l’uccisione di uno studente e l’ingresso dei carri blindati in città.
Nel 1976 viene fondata Radio Alice, una delle più famose radio libere italiane, in cui si discute di
politica, si leggono poesie ed estratti di libri, si insegna yoga e si diffonde musica. In questo clima

128  
 
di fermento politico e culturale i giovani studenti professano un’arte e una cultura libere e la loro
battaglia viene testimoniata sui muri della città:

“Bologna accoglie, bonaria quanto inconsapevole, l’atteggiamento rinnovato del sarcasmo, della
disperazione repressa, dello scollamento fra pubblico e privato e della sfiducia nella società. Ciò che si
mostra, e si sviluppa sulle rosse pareti bolognesi, è un’ironia contagiosa che vede, nei vari slogan dipinti,
una vaga ipotesi di speranza.”201

Gli anni Ottanta si aprono a livello di cronaca e politica con la strage di Bologna, mentre il contesto
sociale è ben descritto da Naldi:

“La Bologna dei primi anni Ottanta è viva, aperta alle poli artisticità dei fuori sede, ma è anche stretta
entro confini di un degrado crescente molto simile alla patria natia dei primi writer. […] È chiaro che la
situazione sociale bolognese è distante da quella largamente metropolitana di New York, ma anche a
Bologna si assiste all’energica infiltrazione di nuove realtà culturali come i fumetti di Andrea Pazienza, il
rock demenziale degli Skiantos, l’elettronica dei Gaz Nevada, l’arte dei Nuovi Nuovi di Renato Barilli e
202
degli Enfatisti di Francesca Alinovi.”

Alla stessa Alinovi appartiene il progetto della storica mostra Arte di Frontiera tenutasi a Bologna
nel 1984, che ha fatto conoscere agli italiani il movimento del “Graffitismo” americano.
Tra i primi writer storici bolognesi si ricordano Deemo, Wolf, Shorty, Rusty per poi arrivare a
Dado, Draw e Mambo.
I personaggi più conosciuti, protagonisti della scena artistica urbana bolognese dagli anni
Ottanta ad oggi, sono la coppia formata da Monica Cuoghi (1965) e Claudio Corsello (1964), alias
Cuoghi Corsello. Si sono conosciuti durante gli anni dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna,
dove si sono diplomati in pittura. Dal 1986, la coppia ha imposto la sua presenza nel tessuto urbano
bolognese, distanziandosi, però, dalla pratica classica del Graffiti Writing. In un periodo, infatti, in
cui il Graffiti Writing si basava quasi esclusivamente sullo studio calligrafico e del lettering, Cuoghi
Corsello concentrano la loro ricerca su uno stile prettamente figurativo, creando fantasiosi e
invadenti personaggi, che cercano di impossessarsi del territorio circostante. Uno dei loro soggetti
più ricorrenti e riconosciuti è Pea Brain, un’ochetta stilizzata, definita da Barilli come “un

                                                                                                               
201
Naldi F. “La mia strada continua e vive oggi più di prima. Il writing a Bologna dalla fine degli
anni Settanta a oggi”, in Naldi F. (a cura di) op. cit., p 37.
202
Ivi, p. 38.
129  
 
affascinante essere mitologico”203, con le zampe che si adattano a tutta la lunghezza della superficie
pittorica. [Figura 7] Questo personaggio era possibile avvistarlo in ogni parte della città tra gli anni
Ottanta e Novanta e tutt’ora alcune ochette sono visibili lungo i binari della Stazione Centrale di
Bologna. Oltre a Pea Brain, vengono rappresentati soggetti di ogni sorta: da Suf, un puppet a metà
tra un alieno e una bambina, a Nonno Degrado, un cane anziano che non si arrende all’avanzamento
dell’età e viene rappresentato sempre con una bomboletta in mano, a Bello, uno smile stilizzato tra
l’infantile e il primitivo. I loro personaggi surreali possiedono tratti semplici e minimali. Le figure
sono stilizzate e monocrome (solitamente in bianco e nero), spesso sono presenti solo i contorni e
gli interni delle figure sono riempiti con larghe campiture. Nelle loro opere riecheggia lo stile Naïf e
l’Art Brut, nonostante essi siano consci e consapevoli della loro arte. La ricerca artistica di Cuoghi
Corsello non si limita solamente all’arte pubblica, ma sperimentano e “giocano” con l’arte,
spaziando dalla Video Art alla scultura e dalla pittura alle installazioni. La loro stessa vita è una
costante performance. La coppia infatti, ha deciso di vivere occupando fabbriche abbandonate, le
quali vengono trasformate e adibite ad abitazione, laboratorio, spazio ri-creativo. Riciclano i
materiali per realizzare i mobili, costruiscono da soli gli elettrodomestici, avendo conoscenze di
idraulica ed elettromeccanica e lo spazio diventa una fucina creativa e un luogo aperto a tutti i
giovani artisti. Cuoghi Corsello fondono completamente arte e vita e i loro personaggi fanno parte
del loro vivere quotidiano. Il loro scopo è quello di andare sui muri delle città a raccontare la loro
storia.
Anche a Bologna, come a Milano e come nella maggior parte delle realtà italiane, i writer e
gli street artist hanno scelto i centri sociali come punto di partenza per lo sviluppo dei loro stili. I
primi centri sociali a diventare delle vere istituzioni per il Graffiti Writing a Bologna sono il Livello
57 (ora sgomberato) e il Link (nella sua storica sede di via Fioravanti dal 1994 al 2001). Questi
centri sociali erano un punto di riferimento per i giovani writer degli anni Novanta, i quali si
incontravano tra le mura di questi edifici occupati e, tra amici, ascoltando musica e scambiandosi
idee, ne dipingevano le mura. Purtroppo ora questi edifici sono stati abbattuti e le uniche
testimonianze dei pezzi di questi centri sono rimaste solo nelle fotografie dei frequentatori
dell’epoca. Altri centri sociali più recenti, ma non meno importanti per la Street Art, sono ancora
esistenti, anche se forse ancora per poco. Molti street artist hanno dimostrato il loro sostegno nei
confronti dei centri sociali, offrendosi di dipingere gratuitamente le facciate dei loro stabili. Il
risultato è una collezione maestosa di opere d’Arte Urbana, destinata probabilmente a non durare.
Blu ed Ericailcane sono gli street artist che hanno maggiormente perorato la causa, realizzando
                                                                                                               
203
Barilli R. in Cuoghi & Corsello. L’Albero blu. Gli inserti speciali di PressRelease, inserto n. 31
giugno 2004
130  
 
opere nei principali centri sociali bolognesi, tutti in una situazione di precariato, come: l’Xm24,
situato nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo; le due sedi del Crash Laboratorio Occupato in via
Avesella e via Zanardi e la vecchia sede del Bartleby in via Capo di Lucca. Molti di questi edifici
sono a rischio demolizione e se così fosse si perderebbero delle gemme preziose della pittura
murale, come ad esempio l’opera realizzata da Blu su una parete dell’Xm24. Nel 2013 questo
centro sociale è stato il protagonista di una accesa diatriba tra il comune e alcuni cittadini, poiché il
comune avrebbe dovuto demolirlo per fare posto ad una rotonda. Blu ha deciso di aiutare il centro
sociale attraverso un atto di guerriglia artistica, ossia dipingendo una vasta parete dello stabile
grande 8 metri per 8, in cui ha rappresentato una allegoria della città di Bologna, ispirata alla saga
del Signore degli Anelli. [Figura 8] Proprio per merito della presenza del murale di Blu, considerato
di notevole interesse artistico, il progetto urbanistico è stato modificato e il centro sociale è
momentaneamente salvo, almeno fino alla prossima minaccia di sfratto.
Una delle manifestazioni più recenti e interessanti di Graffiti Writing e di Street Art a
Bologna, è stata probabilmente Frontier – la linea dello stile, un progetto curatoriale organizzato tra
il 2012 e il 2013 dal Comune di Bologna, coordinato dalla Regione Emilia Romagna e curato da
Claudio Musso e Fabiola Naldi. Trent’anni dopo Arte di Frontiera, la città di Bologna ha voluto
dimostrare quanto sia ancora in prima linea nello studio e nella divulgazione dell’Arte Urbana.
Nell’estate del 2012 sono stati invitati tredici artisti, italiani e internazionali, a dipingere su alcuni
palazzi della città, tutti edifici di edilizia residenziale pubblica, mentre a febbraio 2013 è stato
organizzato un convegno di due giorni dal titolo: konFRONTIERt. Writing, Street Art e spazio
pubblico: ipotesi, ricerche e confronti, a cui hanno partecipato diverse figure artistiche e
professionali, che si sono confrontate sul tema dell’Arte Urbana. Si è trattato di un vero progetto
curatoriale e non di un festival poiché vi era un intento di narrazione storica. Infatti, la scelta dei
tredici artisti ha voluto ripercorrere la storia del Graffiti Writing e della Street Art: si è partiti da
Phase II, king storico del writing newyorchese, a Cuoghi Corsello e Dado, protagonisti della scena
bolognese, fino ad arrivare ai più giovani come Andreco o Does, il quale associa il genere old
school newyorchese alla grafica digitale. L’obiettivo del progetto è stato dimostrare quanto il
Graffiti Writing e la Street Art siano stati rilevanti, e lo siano tutt’ora, nel panorama artistico
globale. I tredici artisti invitati a partecipare e a creare opere su tredici muri differenti sono stati:
Phase II, Does, Eron, Etnik, Daim, Dado, Honet, Andreco, Rusty, Cuoghi Corsello, Joys, M-city e
Hitnes. Tredici artisti appartenenti ad un background simile, ma ciascuno con il proprio percorso, il
proprio stile e intenti a dimostrare la varietà e la diversità dell’Arte Urbana.
Un’altra grande manifestazione che si svolge a pochi chilometri da Bologna, nel borgo
medievale di Dozza, è la Biennale del muro dipinto. Questa manifestazione, nata nel 1960, ha

131  
 
aperto le porte dagli anni Duemila anche al Graffiti Writing e alla Street Art. Nel corso degli anni
sono intervenuti sul territorio quasi duecento artisti, affrescando i muri del piccolo borgo dominato
dall’imponente rocca. La Biennale del muro dipinto attrae ogni anno un numero sempre maggiore
di visitatori e ha portato un ritorno estremamente positivo per lo sviluppo turistico e di conseguenza
economico e sociale del territorio. La curatirice Fabiola Naldi, conscia dell’evoluzione e dei
cambiamenti della pittura murale, ha introdotto nel 2007 un’”ala” contemporanea, invitando a
dipingere nella frazione di Toscanella, lungo la via Emilia, i migliori writer e street artist della
scena italiana. Alla prima edizione del 2007 hanno partecipato Dado & Stefy, Wany e Ericailcane.
Proprio di quest’ultimo è la superba composizione su una centralina dell’acqua. Nel 2009 è la volta
di Cuoghi Corsello, che realizzano una rappresentazione imponente, sia per dimensioni che per
impatto estetico, di Suf, uno dei loro personaggi più caratteristici: “Suf sovrasta gigantesca il
palazzo adiacente alla via Emilia e con i suoi enormi occhi catarifrangenti illumina il percorso dei
viandanti e degli automobilisti”204. Sempre nel 2009 hanno partecipato due esponenti del Graffiti
Writing più puro: Rusty e Joys, i quali hanno esposto sulle pareti di due abitazioni il loro lettering in
dimensioni macroscopiche. Nel 2011 hanno realizzato le loro opere di Street Art Hemo, Moneyless
e Paper Resistance il quale ha sviluppato un’opera sul fianco del centro polivalente di Toscanella
sullo studio di un tuffo, che potrebbe essere interpretato come una rivisitazione in chiave Street Art
del Nudo che scende le scale di Duchamp. Infine nel 2013 sono stati invitati Macs e Tellas.
Quest’ultimo ha realizzato un’opera con un motivo naturale che entra in sintonia e si integra
perfettamente con l’ambiente circostante. [Figura 9]
Tutte queste manifestazioni dimostrano quanto il Graffiti Writing e la Street Art siano tenute
in considerazione dalla città di Bologna, sfruttandoli come un elemento qualificativo per lo sviluppo
della città. Bologna si dimostra, quindi, una delle capitali italiane dell’Arte Urbana.

4.3.3 Roma

Roma, come qualsiasi altra metropoli, possiede una storia di Arte Urbana che nasce con il Graffiti
Writing e finisce con le forme più avanguardistiche di Street Art.
Dalla fine degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, Roma è la patria di una delle migliori
scene Hip Hop italiane. Gruppi musicali come Assalti Frontali, Colle der Fomento, Piotta e Cor

                                                                                                               
204
Naldi F., “XXI Biennale del muro dipinto. Ieri, oggi, domani”, in Naldi F. (a cura di) op. cit., p
12.
132  
 
Veleno hanno contribuito allo sviluppo della scena underground e Hip Hop su tutto il territorio
nazionale.
Una delle prime crews di Graffiti Writing sviluppatasi nella capitale è la 00199. Il nome deriva dal
codice di avviamento postale della zona di Roma frequentata dalla crew. Il gruppo era costituito
interamente da ragazze e purtroppo si sciolse precocemente a causa della tragica scomparsa di una
delle componenti, Cheecky P, in un incidente stradale.
Nelle zone della stazione Tiburtina e di Tor Bella Monaca si possono osservare ancora molti pezzi
di Graffiti Writing, anche di quelli appartenenti alle prime generazioni di writer, mentre il quartiere
di San Lorenzo e di Ostiense sono i luoghi prediletti degli street artist.
Ad Ostiense, ad esempio, in via dei Magazzini Generali, si trova un’opera realizzata dallo street
artist romano JB Rock (1979), attivo sui muri da quando aveva 12 anni e oggi specializzato in
Stencil Art. Durante il festival di Arte Urbana Outdoor ha realizzato una composizione maestosa
lunga 65 metri, sul tema della comunicazione. L’opera si intitola Wall of Fame e si tratta di un
alfabeto composto da volti. Ad ogni volto corrisponde una lettera. Si incomincia con Dante
Alighieri per la lettera A, per finire con Zorro alla lettera Zeta. All’interno dell’alfabeto sono
presenti personaggi che con le loro doti comunicative, nei diversi campi, hanno apportato un
contributo positivo alla società. Da Elvis a Gagarin, da Hendrix a Frida Kahlo, passando per Papa
Wojtyla e Malcom X. Non mancano poi i familiari dell’artista, come la madre e il fratello. I ritratti
sono in bianco nero, su uno sfondo rosso vivo e sono realizzati con pennello e vernice. Anche
l’accostamento dei personaggi è interessante: si può notare ad esempio il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama accanto al rapper Noyz Narcos; a suo modo, un personaggio influente della
comunità Hip Hop romana.
Sempre nel quartiere Ostiense si possono trovare opere di Sten & Lex, Alicè, Blu, 108, Agostino
Iacurci, Ozmo, Borondo, Moneyless, Etnik, Joys, Dem, Hitnes, 2501, Lucamaleonte e molti altri
street artist. Molte opere sono state realizzate proprio durante lo stesso Outdoor Festival.
Lucamaleonte (1983), artista romano attivo dai primi anni Duemila, è uno degli street artist
più ricercati in Italia e all’estero. Esordisce nell’Arte Urbana con la Stencil Art, per poi passare a
una ricerca stilistica incentrata sullo sviluppo del disegno a mano libera. Attualmente predilige la
tecnica mista. Lucamaleonte possiede un background artistico notevole, essendo laureato all’Istituto
Centrale per il Restauro e il suo amore per la storia dell’arte lo si può notare anche dai soggetti e dai
temi scelti per le sue opere: lo street artist si appropria di soggetti dell’arte classica e moderna, li
reinterpreta su poster o stencil e li ricolloca sulla strada, creando un contrasto e un’alchimia poetica
e suggestiva, tra la classicità dei soggetti e l’ambiente urbano contemporaneo circostante. Ne è un
esempio l’opera realizzata in via Ostiense nel 2014 dal titolo #backtoblue. L’opera è realizzata con

133  
 
tecnica mista, con una commistione di stencil e mano libera. Lucamaleonte interviene su un muro
sito al di sotto di un ponte molto trafficato di via Ostiense, il quale spesso si allaga o si riempie di
grandi pozzanghere in conseguenza delle piogge. L’artista decide così di ritrarre dei giovani che
cercano di salvarsi, o salvare l’umanità, dal Diluvio Universale. I soggetti, realizzati tramite stencil,
sono ripresi da un’illustrazione del Diluvio Universale, tratta da un’edizione della Bibbia del 1865,
illustrata dal pittore e incisore Gustave Doré. I giovani sono sorretti da due foglie di acanto, di
tradizione decorativa ellenistica, realizzate a mano libera e al centro si trova una figura geometrica,
un icosaedro, figura simbolo di Lucamaleonte, che ricorre in quasi tutte le sue opere. Le figure
sembrano appena uscite dalle pagine di un volume antico, i contorni realizzati con delle tonalità
cromatiche blu e lo sfondo è color azzurro, a simboleggiare il Diluvio. Attraverso l’armonia e
l’equilibrio della classicità, l’artista vuole simboleggiare la speranza di salvezza dal caos del mondo
moderno. La realizzazione è stata curata dalla galleria 999 Contemporary, con il patrocinio del
Comune di Roma, in un’ottica di riqualificazione urbana della città. [Figura 10]
Attualmente le ricerce di Lucamaleonte si concentrano sullo studio del mondo vegetale e dissemina
piante e fiori in ogni tappa che raggiunge, creando un suo personale erbario street.
Lucamaleonte collabora spesso con la coppia di street artist Sten & Lex e tutti e tre sono stati
invitati da Banksy, nel 2008, a partecipare al Cans Festival.
Sten & Lex, nati entrambi nel 1982, iniziano a invadere le strade di Roma con la loro arte
nei primissimi anni Duemila e sono considerati tra i precursori della Stencil Art in Italia. Realizzano
opere maestose sulle pareti di vari edifici, prevalentemente ritratti. Tra le opere commissionate più
notevoli si ricordano: una parete dell’ex Convento seicentesco di Mentana, ora adibito a dimora
storica, realizzata nel 2012; la facciata del Palazzo dell’Economia, a Bari, nel 2013, realizzata
attraverso la tecnica dello “Stencil Poster” e un’opera realizzata a Køge, in Danimarca, nel 2011,
durante la manifestazione di arte urbana Walk this Way, grande circa 700 m2.
La ricerca estetica di Sten & Lex ha portato allo sviluppo di una nuova tecnica, denominata “Stencil
Poster”: Si crea l’immagine desiderata su un poster, il quale poi verrà incollato alla superficie.
Dopodichè si ritagliano le linee di contorno del poster come se fosse uno stencil. In seguito, il
poster viene colorato complatemente (solitamente utilizzando una vernice nera stesa con il
pennello). Infine, viene rimossa la carta rimanente del poster, così da far comparire l’immagine
sullo sfondo. I ritratti di Sten & Lex sono formati da tante piccole striscie affiancate tra loro. Il duo
abitualmente non elimina totalmente i brandelli di poster, ma li lascia in parte incollati alla
superficie, in modo che saranno il tempo e gli agenti atmosferici a rivelare del tutto, un po’ alla
volta, l’immagine.
Le opere di Sten & Lex sono tutte in bianco in nero, sviluppate attraverso il processo di stampa

134  
 
della retinatura, per riprodurre l’effetto fotografico. I soggetti, infatti, riprendono vecchie fotografie
provenienti da album di famiglia o scattate direttamente dagli artisti a persone conosciute o
estranee. In passato, gli artisti rappresentavano attori cinematografici di una volta, di b-movies o
vecchi telefilm, mentre ora prediligono personaggi anonimi, generici. Le ricerche più recenti si
concentrano invece su composizioni astratte e geometriche, molto vicine all’op art. [Figura 11]
La scena della Street Art romana è molto attiva ed è la patria di molti altri street artist
interessanti e innovativi: dalla sfrontatezza degli stencil di Hogre, ai grandi murali poetici e colorati
da Agostino Iacurci che sembrano uscire da un libro di illustrazioni, fino alle delicate opere di
Hitnes o Alice Pasquini, detta Alicè, esponente di spicco della street art al femminile.

4.3.4 Il resto d’Italia

Oltre ai centri analizzati, il Graffiti Writing e la Street Art si sono espansi in tutto il territorio
italiano e ogni paese, più o meno grande, può offrire importanti testimonianze di Arte Urbana,
attraverso festival, manifestazioni o interventi spontanei da parte degli artisti.
Ozmo (vero nome Gionata Gesi, 1975) è uno street artist italiano nato in provincia di Pisa.
Dopo aver frequentato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, si trasferisce a Milano. Si
tratta di uno degli street artist più apprezzati in Italia e all’estero e i suoi interventi si possono
trovare in ogni parte della penisola. È stato uno dei primi artisti ad inserire nell’Arte Urbana
elementi religiosi e iconografici.
A Milano opera nei centri sociali e sul tessuto urbano, fino a quando la sua arte non è stata
istituzionalizzata attraverso mostre e commissioni. Nel 2007 partecipa alla mostra al Pac di Milano
Street Art Sweet Art e nel 2012 viene curata una rassegna di sue opere nel foyer del museo del
Novecento a Milano, dal ditolo PreGiudizio universale. Durante i giorni di apertura della mostra
Ozmo ha anche realizzato azioni di live-painting, realizzando opere davanti ad un pubblico di
visitatori. Sempre nello stesso anno crea un’opera sulla terrazza del MACRO di Roma, una pittura
murale di 300 m2 dal titolo Voi valete più di molti passeri!. Il titolo è tratto da un passo del Vangelo
secondo Matteo ed è una denuncia alla società capitalista governata dal Dio denaro. L’opera infatti
è tratta da una vignetta satirica dei primi del Novecento e rappresenta una società piramidale in cui i
cittadini più umili sono schiacciati e oppressi da chi ha più potere economico. L’opera ora fa parte
della collezione permanente del museo.
Per realizzare le sue opere Ozmo si appropria di immagini esistenti, le decontestualizza, le modifica
e le ripropone in un contesto alterato e spesso simbolico. Così lui stesso descrive il suo modus
operandi:

135  
 
“Simboli, immagini e segni delineano situazioni o allegorie, come l’alfabeto crea il linguaggio. Elaboro
attraverso citazioni e accostamenti, remixando sample visivi come dettagli e riferimenti a quadri, foto,
stampe, documentazione, spesso con brevi testi o titoli che ne sottolineano l’ambiguità, soprattutto nel
caso di wallpaintings dalle grandi dimensioni dove metto in pratica l’attitudine surrealista e giocosa
dell’incident, che è libera associazione di idee.”205

Tra le sue opere più interessanti tratte dalle figure iconografiche sacre c’è il San Sebastiano
realizzato a Racale in provincia di Lecce, rivisitato in chiave contemporanea e satirica, che ha
scaturito non poche polemiche da parte dei cittadini. Nel 2008 ha realizzato una maestosa Santa
Rosalia a Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo, da lui definata probabilmente la più
grande Santa Rosalia del mondo. Infine, da menzionare è un suo intervento, sempre nel 2008, ad
Ancona, durante il festival PopUp!, in cui realizza Holy Mother and Child with upside down heads
(Madonna e Bambino con testa sottosopra). In questa occasione Ozmo ha voluto creare un’opera
che avesse significato e potesse comunicare con il luogo circostante, per cui si è ispirato ad una
Madonna con bambino di Lorenzo Lotto, conservata nella Pinacoteca della città. In questo modo,
l’artista ha voluto portare l’attenzione su questa gemma cittadina, spesso dimenticata anche dai suoi
cittadini. Ozmo ha però scelto di rappresentare i due personaggi con la testa capovolta, prendendosi
una licenza poetica non apprezzata dai cittadini, i quali hanno accusato l’opera di blasfemia.
L’artista è stato poi “scagionato” dalla Commissione della Diocesi di Ancona-Osimo e l’opera
preservata. Ora l’edificio è stato demolito per fare posto ad un parcheggio. [Figura 12]

4.3.4.1 Rimini, pilastro del Graffiti Writing italiano.

Rimini è una città di medie dimensioni, composta da poco più di 140.000 abitanti e crocevia fin dai
tempi dell’antica Roma di commerci, scambi e culture. Situata in una posizione strategica, sul mare
e con importanti snodi di trasporto (la via Emilia e la via Flaminia partono da qui), Rimini con gli
anni si è imposta come una delle realtà più forti del turismo balneare italiano. Con l’avvento del
turismo iniziano a sorgere i primi luoghi per l’intrattenimento e Rimini si popola di balere, sale da
concerti e da ballo. Tra gli anni Settanta e Ottanta avviene il boom dei locali notturni e la ridente
cittadina romagnola si trasforma nella meta prediletta dei giovani e degli amanti della vita notturna.
Rimini diventa la città più all’avanguardia anche a livello musicale e i dj di tutta Europa si alternano
sulle consolle delle decine di discoteche disseminate sulla Riviera. Alla città di Rimini in questi
anni viene associato perfino il termine “divertimentificio” e questi anni animati e talvolta eccessivi
                                                                                                               
205
Riva, A. (a cura di), op, cit., p. 138.
136  
 
vengono anche narrati nel romanzo di Pier Vittorio Tondelli, Rimini, del 1985. È in questo clima
esuberante e caotico che iniziano a emergere le varie sotto-culture, decise a non voler sottostare a
questo ambiente popolare e di massa. Con il tempo, le varie sotto-culture che non si sentono
rappresentate dalla tendenza dominante, si uniscono, determinate a far sentire la loro voce. Rimini
diventa uno dei primi centri italiani in cui si diffonde la cultura Hip Hop. La città torna ad essere,
come in passato, un punto d’incontro ed è proprio qui che vengono organizzate le prime convention
e i primi incontri di Graffiti Writing.
Al di fuori della stagione estiva, Rimini ritorna città di provincia, tranquilla e con i suoi ritmi. Le
infrastrutture e i servizi utilizzati in estate vengono messi a riposo ed è proprio in questi luoghi che i
giovani writer trovano i loro spazi naturali decidendo di utilizzarli per esplorare e sperimentare i
loro stili. L’esempio più significativo è dato dalle gigantesche colonie estive di epoca fascista,
abbandonate e lasciate a marcire da anni sulla costa. Questi relitti di cemento spiaggiati sono delle
mete gradite per i writer, dove possono agire indisturbati.
Caputo, nel capitolo dedicato alla Riviera Adriatica, all’interno del suo volume All city writers,
descrive accuratamente come la forza del movimento evolutosi in questa zona – sebbene si tratti di
una zona ancora provinciale – sia data dall’unione di tante sotto-culture, che si sono miscelate e
hanno contribuito a creare una scena potente e corposa:

“Though less dynamic than actual metropolis, the adriatic city – with its pulsing heart in the riviera
romagnola – generated various groups tied to the different countercultures, local reactions to the great
amusement and entertainment temples erected for tourists. These groups here supported each other, for
example allowing kids that belonged to other circumscribed local scenes, such as skaters or punks, to
participate in the graffiti movement. The meeting ground for these realities wew the first social centres,
that formed around 1990 and immediately became places tied to countercultures movements, catalysers of
energies that in a provincial setting synthesise the desire and necessity of being united and feeling part of
a whole, which often represented the only diversion to the ordinary life of the province.”206

                                                                                                               
206
“Sebbene meno dinamica delle metropoli vere e proprie, la zona Adriatica – con il suo cuore
pulsante nella Riviera Romagnola – ha generato vari gruppi legati tra loro tramite le diverse contro-
culture, reazione locale ai templi del divertimento e dell’intrattenimento creati per i turisti. Questi
gruppi qui si supportavano a vicenda, ad esempio, permettendo ai ragazzi appartenenti alle altre
piccole scene locali circoscritte, come gli skater o i punk, di partecipare al movimento del Graffiti
Writing. I luoghi di incontro di queste realtà erano i primi centri sociali, formati attorno al 1990 e
immediatamente divennero i luoghi di unioni per le varie contro-culture, le quali sono catalizzatori
di energie, che in un ambiente provinciale sintetizzano il desiderio e la necessità di sentirsi uniti e
parte di un tutto e spesso rappresentavano l’unico diversivo alla vita ordinaria della provincia” in
Caputo A. (a cura di), All City Writers, Bagnolet, Kitchen93, 2009, p. 253. (trad. mia).
137  
 
Queste piccole ma importanti realtà provinciali costiere, col tempo iniziano ad allacciare dei
rapporti tra di loro, creando infine un network che va da Rimini fino a Brindisi, per tutta la costa
Adriatica. Le varie crews e i writer delle varie città si scambiano i contatti, indirizzi, luoghi dove
andare a colpire, organizzano collaborazioni e jam e visitano le rispettive Hall of Fame. Negli anni
Novanta, la costa Adriatica diventa una roccaforte del Writing italiano.
Il Graffiti Writing a Rimini esplode tra gli anni Ottanta e Novanta.
Nel 1991 apparve su un ponte di ferro della ferrovia che sovrasta il porto, la scritta “we are the
motherfucker bombers” (siamo i fottutissimi bomber): i writer iniziano ad avvertire la città della
loro presenza. Si iniziarono a formare le prime crews e, se a New York le tag venivano create
inserendo nel proprio nome il numero della via per identificare la zona di provenienza, le crews
riminesi decisero di utilizzare le prime due cifre dei numeri di telefono. Le prime storiche crews
furono 38Squad, 77WestPower, 74squad e 52northpower. Nel 1993 le principali crews riminesi si
fusero insieme, creando un’unica grande famiglia: K-RUA (K-Rimini United Artists)207.
I primi eventi venivano organizzati nelle discoteche. Nel 1989 Deemo organizzò nella storica
discoteca “Barcelona” (ora non più esistente) una delle prime jam Hip Hop, alla quale ne
susseguirono svariate nel corso degli anni successivi. Anche alla discoteca “Cellophane” venivano
organizzate serate Hip Hop e nel 1989, in quest’ultima discoteca, il writer Toxic, in occasione di
una festa organizzata dal writer “Crab” e dal dj newyorchese Wayne Brown, dipinse la facciata di
un hotel adiacente.
Nel 1994 venne organizzato Indelebile, la prima convention internazionale di Graffiti Writing e Hip
Hop in Italia. La convention fu organizzata in un centro sociale situato all’interno del più grande
parco della città (parco XXV Aprile) e vide tre giorni interamente dedicati alla cultura Hip Hop.
Durante la convention si esibirono writer, breaker, dj, MC208, e gruppi rap. Tra i vari artisti erano
presenti: Deda, Lou X, Neffa e i Sangue Misto, Colle der Fomento, Dj Gruff e Piotta.
Oltre ai writer riminesi come Eron, Word e Yurate, furono invitati anche writer internazionali,
come: Gasp, Shoe, Delta, Sender e Kraze da Amsterdam, Fume dalla Germania, lo storico king
parigino Mode 2 e perfino Sharp da New York. L’evento portò a Rimini circa 4000 giovani writer
provenienti da tutta Europa (cogliendo di sorpresa anche gli artisti e gli organizzatori), grazie anche
alla pubblicità su “Aelle”, lo storico magazine diffuso nella comunità Hip Hop. A vent’anni di

                                                                                                               
207
Per maggiori informazioni su tutti i componenti della crew riminese si rimanda a http://www.k-
rimini.it/homepage.html
208  MC (Maestro di cerimonie): È un performer. Il suo compito è quello di intrattenere il pubblico

dei concerti attraverso la musica rap, con testi preparati o in freestyle (improvvisazione). È
solitamente accompagnato da un dj o da un beat-boxer.  
138  
 
distanza dalla convention, i pezzi, sebbene in stato di totale abbandono, sono ancora visibili e sono
una tesimonianza unica di un evento che ha segnato la storia dell’Hip Hop italiano.
I luoghi più colpiti dalle prime generazioni di writer riminesi furono naturalmente i treni e la
Ferrovia. Nel 1993 il comune costituì una task-force per la rimozione dei pezzi e la pulizia della
Ferrovia e dei luoghi adiacenti la stazione. In un giorno la zona fu completamente ripulita. La stessa
notte, racconta il writer riminese Word, tutte le crews della città, per un totale di circa venticinque
persone, si riunirono per reagire a questa azione punitiva. Lungo un muro della Ferrovia scrissero
una frase colorata con la vernice spray argento, che il giorno dopo apparve su tutti i giornali locali:
“volete una città pulita fuori per non far vedere quanto siete sporchi dentro”. I writer riminesi
avevano dimostrato la loro tenacia.
Oltre alla Ferrovia, un altro luogo tutt’ora prediletto dai writer riminesi è il porto canale. Lungo le
mura che cintano il porto si trovano numerosi pezzi colorati realizzati dalle crews locali.
Eron, al secolo Davide Salvadei, riminese, nato nel 1973 è considerato uno dei migliori
writer italiani. Maestro della bomboletta spray, Eron inizia la sua avventura con l’Aerosol Art per
strada e sui treni, agli inizi degli anni Novanta, facendo del bombing con la sua crew. Fa parte della
prima generazione di writer riminesi. Nel n. 22 del 1997, la rivista “Aelle” elegge Eron miglior
writer italiano.209 Si distingue presto dagli altri, abbandonando il lettering per concentrarsi su uno
stile prettamente figurativo e realistico. Crea così uno stile unico e immediatamente riconoscibile e i
suoi affreschi creati tramite bomboletta spray, non passano inosservati a Rimini. Il comune inizia
presto a commissionare dei lavori a Eron per il decoro e la riqualificazione della città. Uno dei suoi
lavori più notevoli, ad esempio, è la decorazione del muro che costeggia il porto turistico di Rimini,
di 250 m2. Eron ha realizzato una composizione che alterna i simboli della città come l’Arco di
Augusto e il Ponte di Tiberio a soggetti ittici presenti nella zona riminese. Le ventuno tavole
preparatorie sono state acquistate poi dal Museo Comunale. Attualmente lavora molto anche su tela,
esponendo nelle principali gallerie italiane. Tra le principali mostre collettive e personali a cui ha
partecipato si annovera la mostra storica Street Art Sweet Art. In seguito ha esposto al Palazzo della
Permanente a Milano, alla Biennale di Venezia, al Chelsea Art Museum a New York, al Palazzo
delle Esposizioni a Roma, in seguito alla vittoria del premio Terna per la giovane arte
contemporanea e ha contribuito alla realizzazione di una facciata di un palazzo per il progetto
Frontier. La peculiarità delle sue opere su tela, sempre create attraverso la bomboletta spray, è data
da uno stile realistico creato con un effetto sfocato, utilizzando colori pastello e tonalità sui grigi.
Nelle opere di Eron, infatti, sembra molto forte l’influenza di Gerard Richter. Allo stesso tempo,
                                                                                                               
209
“Aelle”, n. 22, aprile/maggio 1997, p.17. All’interno è presente anche un’intervista a Eron alle
pp. 29-31.
139  
 
però, si veda ad esempio la serie di tele “Mindscape”: Eron inserisce anche elementi grafici,
stilizzati ed elementari, come se fossero creati da un bambino alle prime armi con una bomboletta
spray. Questo ci ricorda che il suo legame con l’arte di strada è ancora forte e non è dimenticato. In
un’intervista, sul suo stile eterogeneo, Eron asserisce:

“La mia ricerca attuale si basa sulla creazione di ritratti e paesaggi, miscelando espressionismo e realismo
all’interno di un’unica opera, ottenendo un impatto estetico insolito. L’aspetto realistico dell’opera mi
serve per soddisfare l’esigenza fisiologica di creare, tramite l’utilizzo di luci e ombre, immagini legate
alla realtà materiale. Mentre la parte espressionistica, che in genere è quella predominante, la utilizzo per
esprimere riflessioni su temi sociali e sul “disegnare” come istinto innato dell’essere umano per
comunicare. Una sorta di racconto della pittura, attraverso la pittura.”210

Un altro legame molto solido è quello tra Eron e la sua terra e spesso i soggetti delle sue opere
raccontano di storie riminesi e di paesaggi conosciuti alla gente del luogo. Nel 2011 il comune ha
commissionato a Eron la realizzazione del manifesto turistico per la promozione della città di
Rimini. La spiaggia e l’acqua sono due elementi ricorrenti nelle sue tele e le sue opere richiamano
alla mente cartoline o fotografie degli anni passati. La sapiente calibrazione del colore e della luce
evocano la poesia delle fotografie di Luigi Ghirri.
La sua arte viene letteralmente “consacrata” nel 2010, quando gli viene commissionata
l’affrescatura del soffitto della chiesa di S.Martino in Riparotta a Rimini. È la prima volta che
un’opera di Aerosol Art entra in un luogo sacro. L’opera dal titolo Forever and Ever...nei secoli dei
secoli misura 1000 x 515 cm e raccoglie tutti gli elementi rappresentativi dell’estetica di Eron. La
lettura dell’opera inizia poco sotto il soffitto della chiesa dove appare, in piedi su un cornicione, un
bambino di spalle, in trompe-l'œil   dipinto di nero, vestito con l’abbigliamento tipico della cultura
Hip Hop (cappellino con la visiera rivolta all’indietro e pantaloni larghi) e con la bomboletta spray
in mano, essendo intento a compiere un graffito. In contrasto, dalla schiena spuntano due candide
ali d’angelo. Il writer-angelo è intento a realizzare dei disegni di colombe, color oro. Le prime
colombe che disegna sono stilizzate, ma queste, man mano che salgono in verticale, si trasformano
in colombe iper-realistiche quando sfociano nel cielo azzurro. L’affresco si trova nella parte
centrale del soffitto, racchiuso in una cornice. Questa architettura crea così un effetto di grande
profondità e le colombe che si alzano in cielo, sembrano veramente volare via. L’opera potrebbe
essere vista come l’ascesa dell’anima al cielo, ma, allo stesso tempo, anche come innalzamento
dell’Aerosol Art ad arte classica. Realizzando una creazione dallo stile classico (probabilmente Eron
conosce l’oculo della Camera degli Sposi di Mantegna), ma prendendo anche dei rischi e inserendo
                                                                                                               
210
Riva A. (a cura di), op. cit. p. 102.
140  
 
elementi contemporanei (vedi il bambino con la bomboletta), Eron ha creato un’opera particolare e
unica, che passerà alla storia del Graffiti Writing mondiale. [Figura 13]

4.4 Le manifestazioni di arte urbana in Italia

Negli ultimi anni l’Italia sta diventando un paese all’avanguardia nella produzione di festival e
manifestazioni relativi all’Arte Urbana. Oltre ai già citati Outdoor Urban Art Festival di Roma, che
nell’ultima edizione ha ottenuto un ragguardevole successo realizzando il primo intervento
finanziato con il metodo di crowdfunding, Icone a Modena, attivo ben dal 2002 e il progetto
Frontier a Bologna, ogni anno nascono sempre nuovi eventi volti alla diffusione e alla
emancipazione del Graffiti Writing e della Street Art.
Il primo esempio è quello del Fame Festival, a Grottaglie, in provincia di Taranto, uno dei festival
più interessanti in Italia, con un eccellente livello qualitativo, ma che il curatore ha deciso di
interrompere all’apice del successo.
Il festival, finanziato e curato interamente da Studiocromie, uno studio di serigrafia, era nato nel
2008 in un piccolo paese pugliese famoso per la produzione di ceramica. L’obiettivo del festival era
quello di invitare gli artisti e ospitarli nel paese per un periodo variabile da una a quattro settimane.
Gli artisti avevano la possibilità di interagire con gli artigiani del luogo, collaborando nella
produzione di stampe e ceramiche. Inoltre, agli artisti venivano assegnati dei muri da dipingere,
riqualificando così anche le zone più depresse costituite da fabbriche abbandonate e zone industriali
dismesse. Infine, tutte le opere create dagli artisti anche in collaborazione con gli artigiani locali
venivano esibite in una grande esposizione. Negli anni, il festival ebbe un successo sempre
maggiore, ottenendo sempre più attenzione anche da parte dei media. Purtroppo, il rapporto con le
istituzioni locali non era dei migliori. Le amministrazioni delle piccole comunità talvolta non sono
ancora pronte ad un fenomeno nuovo e sfrontato come l’Arte Urbana, che spesso non viene
compreso e di conseguenza non viene accettato. A Grottaglie, ad esempio, è stato cancellato un
murale di Ericailcane. Il 2012 è l’anno dell’ultima edizione del festival. Il curatore ha deciso di
interrompere il progetto Fame Festival, poiché la manifestazione aveva ormai perso la sua forza e la
sua irriverenza iniziale. La Sreet Art nasce spontaneamente come fenomeno artistico ribelle e
sregolato e la presenza di un festival con così tanto richiamo, con interventi di artisti sempre più
quotati e famosi (Os Gêmeos, Blu, Ericailcane, Conor Harrington, JR, Vhils, Slinkachu, Swoon,
Above, David Ellis, solo per citarne alcuni) in un clima ben accetto, organizzato e ordinato, avrebbe
snaturato lo spirito della Street Art. Il curatore ha così preso la decisione che sentiva moralmente
più appropriata. In una sua intervista spiega le motivazioni della sua scelta:

141  
 
“Alla fine dell’ultima edizione era tutto facile: dipingere in giro, fare video, spaccare cose, anche sotto gli
occhi delle autorità. Ci abbiamo provato a fare cose brutte e provocatorie, ma in cambio c’erano solo
sorrisi e accoglienza. L’attrito originale era scomparso, e questo già non era in rima con lo spirito e
l’attitudine del festival. In più, in giro per la Penisola, come in tutta Europa e non solo, i festival si sono
211
moltiplicati, diventando tutti uguali e interscambiabili.”

Effettivamente i festival dedicati alla Street Art aumentano sempre di anno in anno. Esistono però
alcune manifestazioni che si distinguono dalle altre, sia per la qualità delle opere realizzate, sia per i
benefici che queste apportano al territorio. Un esempio decisamente positivo è Pop Up! Arte
contemporanea nello spazio urbano, una manifestazione dedicata alla Popular e Urban Art, che si
svolge dal 2008 nella città di Ancona. Il festival è realizzato dall’associazione MAC
(Manifestazioni Artistiche Contemporanee) e patrocinato dalla Provincia di Ancona e dalla Regione
Marche. Durante i giorni della manifestazione vengono realizzati decine di interventi in tutta la
città, con l’obiettivo anche di riqualificare i territori più disagiati. Michele Trimarchi, noto esperto
di Economia dell’arte, nell’introduzione al volume realizzato a seguito dell’edizione del 2009,
afferma:

“Quel luogo degli scambi quotidiani che è la città si rivela di una bellezza inedita con spazi mai osservati
sebbene presenti, segni sorprendenti in quanto finalmente messi a fuoco, dinamiche nuove in quanto non
più governate dalla gerarchia del produrre a tutti i costi. La cultura rapita dalla borghesia bisognosa di
blasoni torna tra noi, nella vita quotidiana, e segna gli spazi delle nostre relazioni, i tempi delle nostre
emozioni, gli orizzonti delle nostre visioni. […] Il festival, anche da questo punto di vista, è il più efficace
veicolo verso la quotidianità dell’arte.”212

Durante l’edizione del 2008 viene realizzato un evento unico. Ancona è una città situata sul mare,
dominata da un maestoso porto, il quale è un fattore economico-sociale molto importante per la
città. È ormai stato ribadito più volte quanto la Street Art sia estremamente connessa all’ambiente
che la circonda e comunichi direttamente con il territorio, di conseguenza, ad Ancona si è deciso di
far sbarcare la Street Art sulle navi. La Cooperativa Pescatori e il Consorzio Pesca di Ancona hanno
reso disponibili tredici pescherecci, i quali sono stati dipinti da tredici street artist differenti. I
pescherecci sono stati dipinti ad agosto, durante il periodo del “fermo pesca” in cui è proibito
                                                                                                               
211
http://www.artribune.com/2014/05/chiudere-allapice-della-notorieta-angelo-milano-racconta-il-
fame-festival/
212
Popup! Arte contemporanea nello spazio urbano. Con testi di: A. Caputo, L. Garella, M.
Giovagnoli, T. Manco, A. Nobili, C. M. Pesaresi, G. Silvestrelli, G. Tinti, M. Trimarchi, S. Valietti.
Modena, Franco Cosimo Panini Editore, 2010, p. 11.
142  
 
pescare nel mare Adriatico e i pescherecci sono riportati a riva per le opere periodiche di
manutenzione. Alcuni artisti, non avendo concluso nei periodi prefissati le loro opere, hanno
completato gli interventi in mare. Gli artisti chiamati a realizzare opere sui pescherecci sono stati:
Allegra Corbo e Andreco che hanno collaborato su un unico peschereccio, Ozmo, Moon8Fusion
Crew, Run, Yuri Romagnoli, Maurizio Senatore, Dem, Ericailcane, Paper Resistance, Elena Rapa,
Zosen, Moneyless e Blast. Sugli scafi dei pescherecci sono comparsi, così, calamari, sirene, sardine,
mostri acquatici e dèi marini, intenti in una corale celebrazione del mare. [Figura 14]
Oltre ai pescherecci è stata riqualificata la zona portuale, con i già menzionati interventi di Blu ed
Ericailcane sui silos e con un lungo murale del francese WK Interact su un muro del lungoporto.
Altre zone significative per l’identità locale del territorio sono state prescelte per un rinnovamento.
Sten & Lex hanno realizzato i loro ritratti su una parete del Consorzio pesca. Ozmo con la sua
Madonna con bambino, insieme a Run e M-City hanno dipinto l’ex Caserma San Martino. Allegra
Corbo, Andreco e Hanna Negash hanno realizzato un’installazione tramite collage all’interno della
Mole Vanvitelliana. Ulteriori interventi sono apparsi nei magazzini della Cooperativa Pescatori e al
Mercato Ittico.
Infine, si è deciso di riqualificare e di dare un’identità anche ai luoghi cui ne erano privi. Così, i
giganti piloni della rotatoria in via Einaudi, sono stati dipinti e trasformati in esseri mitologici,
personaggi fantastici, colorati e buffi. Il progetto è stato denominato in maniera appropriata, “La
foresta dei giganti” e gli artisti chiamati a ridare vita a questi elementi urbani sono stati: Dem,
Zosen, Allegra Corbo, Yuri Romagnoli, 108, Blast, William Vecchietti e Maurizio Senatore.
In aggiunta agli interventi cittadini, all’interno dell’edizione di Pop Up! del 2009, è stata inserita
anche la convention di Poster Art Mi Manifesto, a cui è stata affidata come spazio espositivo il
padiglione dei retari. Nel 2013, lo street artist Hitnes ha decorato la vasta vetrata dell’aeroporto di
Ancona Falconara.
Il festival Pop Up! continua ancora oggi la sua mission di progettazione di interventi artistici nello
spazio urbano, auspicando una diffusione dell’arte nella città, attraverso un riordino e un ripristino
dell’arredo e del tessuto urbano.
Si è visto quanto l’Arte Urbana in Italia sia viva e in grande fermento. Gli artisti nostrani sono
acclamati e contesi nelle migliori manifestazioni internazionali e molti loro lavori hanno contribuito
a migliorare il territorio, portando l’arte nel nostro vivere quotidiano.
Le opere di Graffiti Writing e di Street Art sono finite su abitazioni, dentro i musei, su pescherecci e
perfino in chiesa, segno di un movimento inarrestabile e incontenibile.

143  
 
[Figura 1] Particolare di un murale di
Alice Pasquini, del 2011, a Vitry sur
Seine. La street artist è stata
denunciata dal comune di Bologna
per imbrattamento.
(Fonte: www.alicepasquini.com)

[Figura 2] Un vagone del treno vittima


del trainbombing a Napoli.

144  
 
a b

[Figura 3. a e b] A sinistra la copertina del primo numero di “Tribe” del 1991. A destra
la pubblicità della marca di bombolette Dupi-color, sulla rivista “AL Magazine”.

[Figura 4] La facciata dell’autoricambi di via Pollaiuolo a Milano. Si possono riconoscere


rispettivamente le opere di: Ryan Spring Dooley a sinistra, Zibe sulla saracinesca con il
volto di Arnold e Ozmo a destra con la Vergine di Guadalupe.
(Fonte: culturefor.com)

145  
 
[Figura   5] I pinguini e gli altri
personaggi di Pao sui “panettoni”.
Spray su pietra, Milano, 2011
(Fonte: www.paopao.it)

[Figura 6] Orticanoodles. Ritratto di


Renato Guttuso, Giardini Naxos,
2013.
(Fonte: www.orticanoodles.com)

146  
 
[Figura 7] L’ochetta Pea Brain di
Cuoghi Corsello all’ingresso del
centro sociale Link. Bologna, primi
anni 90.
(Fonte: www.undo.net)

[Figura 8] Blu, facciata del centro sociale xm24, Bologna, 2013.


(Fonte: www.blublu.org)

147  
 
[Figura 9] Alcune opere di pittura murale a
Toscanella di Dozza:

[a] Joys

[b] Cuoghi Corsello

[c] Tellas.

b c

148  
 
[Figura 10] Lucamaleonte, 2014. Acrilico e spray su cemento, via Ostiense, Roma.
(Fonte: www.999gallery.com)

[Figura 11] Sten & Lex, 2012. Acrilico e poster. La Louvière, Belgio.
(Fonte: stenlex.net)

149  
 
[Figura 12] L’ex Caserma San Martino ad Ancona
[a] prima e [b] dopo gli interventi degli street artist
Ozmo, Run e M-City, durante l’edizione 2008 del
Festival Pop Up! A sinistra si trova Holy Mother
and Child with upside down heads di Ozmo.
(Fonte: popup2008.blogspot.com)

150  
 
a b

[Figura 13] Tre opere di Eron:

[a] un pezzo del primo periodo, 1996, spray,


Rimini, (ora cancellato).

[b] una tela della serie Mindscape, 2011, spray


su tela, 100x120.

[c] il soffitto affrescato con vernice spray nella


chiesa di San Martino in Riparotta, 2010, Rimini.
(Fonte:www.eron.it)

151  
 
a

[Figura 14] Due peschereggi


realizzati durante Pop Up! 2008:

[a] Il peschereccio di Ozmo.

[b] Il peschereccio di Ericailcane.


(Fonte: popup2008.blogspot.com)

152  
 
CONCLUSIONI
 
Nei capitoli precedenti si è analizzato il processo evolutivo dell’Arte Urbana e si è visto come, da
fenomeno giovanile underground e di nicchia, sia diventata una corrente artistica vera e propria.
Negli anni Settanta i graffiti ri-appaiono sui muri delle metropoli statunitensi, a New York
soprattutto, emergendo in una nuova forma di comunicazione, altamente espressiva e vitale. A
portare avanti questo “gioco” grafico e colorato è la gioventù del luogo, principalmente
appartenente a minoranze etniche e residente nei ghetti e nei quartieri popolari, stanca di non essere
presa in considerazione dalla società e decisa a far sentire la sua presenza. Le scritte che iniziano ad
apparire sono principalmente le firme di questi adolescenti, le cosidette tag, che un poco alla volta
cominciano ad invadere i muri e i mezzi di trasporto cittadino. I writer non hanno finalità politiche
o di protesta sociale, il loro unico intento è quello di far sentire la propria voce e sentirsi parte di
una comunità. Per ottenere questo risultato creano un linguaggio codificato, prettamente grafico e
basato sullo studio del lettering. Con il tempo le lettere mutano: si evolvono, si colorano, diventano
più grandi e spesse e si aggiungono di elementi figurativi. Dietro alla creazione di un pezzo vi è uno
studio costante e tenace. Le generazioni più giovani studiano le pratiche delle generazioni
precedenti e i membri “anziani” fanno da maestri e da mentori ai nuovi adepti. Si crea così una
propria tradizione che riecheggia quella millenaria della calligrafia orientale. A breve si intuisce la
valenza estetica intrinseca in queste opere. Persino gli artisti più in auge del periodo iniziano ad
attingere da questo fenomeno, il quale nel frattempo ha creato una sua cultura. I writer, ora
considerati graffiti artists, iniziano a esporre in varie mostre ed esposizioni e il grande successo di
questi eventi decretano l’ingresso dei graffiti nel mondo dell’arte ufficiale. Questo è il primo passo
per la legittimazione del Graffiti Writing come forme d’arte.
Sebbene i graffiti entrino in galleria, il movimento del Graffiti Writing continua, però, a
prolificare anche nel tessuto urbano e inizia a espandersi in tutti i continenti, sotto forma di
fenomeno di ribellione giovanile. Giovani da ogni parte del mondo, si riuniscono, bombolette alla
mano, per cercare di rivitalizzare zone ed edifici, solitamente in luoghi periferici o degradati. Il
Graffiti Writing è una disciplina seria: c’è uno studio, delle regole e dei codici da rispettare, una
pratica costante da mantenere e incontri e convention specializzate sull’argomento. Per tutti questi
motivi, non è quindi da confondere con le scritte sporadiche che si trovano sparse nelle città –
spesso anche su monumenti o edifici di interesse storico-artistico – che sono meri atti vandalici e
condannati dagli stessi writer.
Si è visto poi, che con gli anni, il Graffiti Writing si è evoluto e molti artisti hanno sentito il
bisogno di comunicare a livello artistico con la città, ma in altre maniere. Ecco, quindi, che la
153  
 
Street Art è entrata di prepotenza nella scena urbana. La Street Art, per mezzo delle sue variazioni,
come: Poster Art, Stencil Art, Sticker Art, installazioni e così via, ha trovato davanti a sè meno
ostacoli, probabilmente per via dei suoi stilemi più figurativi e aperti rispetto a quelli del Graffiti
Writing. Gli street artist sono giovani appassionati d’arte, la maggior parte con un background di
studi artistici, consapevoli della loro arte e del mondo che la circonda.
Con l’avvento degli anni Duemila, la Street Art invade anche altri ambienti, come la moda e il
costume ed entra ancora di più nella nostra quotidianità. Inoltre, la Street Art compie un ulteriore
passo verso il riconoscimento artistico ufficiale, poiché non viene più considerata solamente come
fenomeno underground da ghettizzare, ma anzi, elemento da valorizzare.
In tutto il mondo vengono organizzati festival e manifestazioni di Graffiti Writing e Street Art e le
amministrazioni cittadine riconoscono il suo potenziale per azioni di riqualificazione urbana.
Parallelamente agli interventi in strada, gli street artist espongono anche in mostre e gallerie,
traslando i loro lavori su stampe, installazioni e tele e alcune opere vengono vendute anche all’asta.
A questo punto viene da interrogarsi se l’Arte Urbana, una volta trasferita in galleria o in un
museo, possa mantenere il suo status di “Street Art”. A questo scopo, è possibile confrontare due
progetti italiani recenti, entrambi del 2014, che hanno adottato due metodologie curatoriali
differenti per una mostra di Arte Urbana.
Il primo è Avanguardie Urbane, un progetto curatoriale organizzato dalla galleria 999
Contemporary di Roma, che si pone come obiettivi quelli di riqualificazione urbana attraverso la
Street Art e di sviluppo e diffusione della stessa. La particolarità del progetto è che per la prima
volta si inserisce la figura del curatore in un contesto urbano. Come viene asserito anche sulla sua
pagina web, infatti, Avanguardie Urbane:

“introduce il concetto di curatela sulla città basata sulla scelta della natura degli interventi di arte
pubblica. Avanguardie Urbane avvia un processo di professionalizzazione del processo di crescita
dell’arte urbana pubblica introducendo il concetto di “Curatore Urbano” o City Curator, una figura
professionale che definisce lo schema curatoriale degli interventi di riqualificazione urbana e culturale,
nelle sue forme site-specific, district-specific e city-specific, sia esse installative che pittoriche nelle
dimensioni del piccolo, medio e grande muralismo attraverso lo studio delle pratiche di arte urbana,
analisi dei linguaggi, analisi del contesto e metodologia critica specifica. Un lavoro svolto a
diretto contatto con i municipi territoriali e le comunità locali.”213

                                                                                                               
213
http://www.999gallery.com/?p=12141
154  
 
La galleria ha invitato street artist italiani e francesi, a intervenire in vari luoghi della capitale. Uno
degli interventi più notevoli è stata la realizzazione di opere all’interno della stazione della
metropolitana Spagna, a opera di sei street artist francesi e italiani, tra i quali C215 e Lucamaleonte.
Il progetto culminerà poi con la mostra Urban legends. I Giorni Della Street Art”214, al MACRO di
Roma dal 7 giugno al 10 agosto 2014, che ospiterà interventi indoor e outdoor. Tra gli italiani
invitati ad esporre alla mostra appaiono: Eron, Moneyless, Lucamaleonte, Tellas, 108, Andreco.  
Questo progetto quindi si presenta come un ottimo punto di incontro tra arte “di strada” e
“ufficiale”. Non viene snaturata la sua forma urbana, ma allo stesso tempo viene resa più facilmente
fruibile, inserendola in un contesto museale. Avendo l’opportunità di ammirare le opere insieme in
un’unica occasione, infatti, è possibile compiere un’osservazione e un’analisi globale del
movimento. Inoltre, entrando in un museo per un’intera mostra dedicata, alla Street Art viene
definitavemente riconosciuto il suo valore e la sua importanza a livello artistico-culturale.
Il secondo esempio è un progetto di Street Art a Prato, a cura di Gianluca Marziani, in
collaborazione con il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, realizzato a maggio 2014, che fa
parte del programma “Prato Contemporanea”.
Anche in questo caso sono stati invitati tra i più interessanti street artist nazionali, come, ad
esempio: Lucamaleonte, Moneyless, Tellas, 108. In questa occasione, però, agli street artist non
sono stati offerti dei muri dove poter intervenire, ma hanno creato opere su tela, le quali poi sono
state poste in vari luoghi significativi della città (Bastione delle Forche e via Pier Cironi)
successivamente alla loro realizzazione.
In questo modo si crea un accostamento tra classico e contemporano interessante, ma d’altro canto
probabilmente si perde il vero significato della Street Art. Il concetto di Street Art, infatti, è quello
di intervenire sul tessuto urbano, di dialogare e interagire con esso, mentre in questo caso l’opera
viene aggiunta in seguito e quindi non può fondersi completamente con l’ambiente, creando così un
effetto di Street Art posticcia.
É vero che molti street artist lavorano anche su tela, ma si tratta di un’attività parallela ai lavori di
strada e quando espongono in galleria lo fanno in veste di artista contemporaneo e non di street
artist.
Come si è visto, la diffusione e la fruizione dell’Arte Urbana stanno assumendo varie forme.
Questo perché l’Arte Urbana è un movimento ormai maturo, sempre più ricercato e sempre più
seguito. Non essendo una forma d’arte convenzionale, si cercano sempre più metodologie
curatoriali per riuscire a soddisfare i vari soggetti: dagli artisti, al pubblico, alle amministrazioni
cittadine, al mondo dell’arte.
                                                                                                               
214
http://www.urbanlegendstheshow.com/?p=1
155  
 
Alla luce di quanto detto e analizzato si può constatare che l’Arte Urbana non sia un fenomeno
passeggero, ma è ben radicato nella storia e nella società. Si tratta di una corrente artistica completa,
con una storia, un’evoluzione, delle regole e un numero sempre maggiore di estimatori. Possiede un
obiettivo nobile, quello di utilizzare il mondo come tela e di rendere l’arte accessibile a tutti.
Attualmente gli street artist sono i più ricercati da gallerie e musei e le loro opere vengono vendute
a cifre astronomiche. Nonostante questo continuano ininterrotti la loro missione sulle strade.
L’Arte Urbana ha portato una ventata d’aria fresca e una rivoluzione nel mondo artistico,
quest’ultimo spesso troppo austero, rinchiuso entro le quattro mura delle gallerie e dei musei. L’arte
si libera così delle sue catene e il mondo dell’arte non può far altro che assecondare questa nuova
tendenza, diffondendola e, quando possibile, salvaguardandola.
Si può in definitiva asserire che il Graffiti Writing e la Street Art siano effettivamente il nuovo
capitolo dell’arte contemporanea.

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