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Il Ruolo Delle Fake News Nella Comunicazione Politica Internazionale
Il Ruolo Delle Fake News Nella Comunicazione Politica Internazionale
Il Ruolo Delle Fake News Nella Comunicazione Politica Internazionale
Ente di afferenza:
Università la Sapienza di Roma (Uniroma1)
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Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa
Il ruolo delle fake news
nella comunicazione politica
internazionale
Saggi
Keywords: fake news, arrested war, digital media, international information, stra-
tegic communications.
1. Introduzione
lità politica estera» (Goldsmith e Horiuchi, 2012: 558) sono sempre più determinanti
per raggiungere i propri scopi nelle arene transnazionali. Si illustreranno le principali
tendenze che stanno interessando ormai da qualche lustro la comunicazione delle
vicende internazionali (specialmente conflittuali). Tendenze che non possono che
dialogare con i suggerimenti che derivano dalla ricerca sui media digitali – anche
formulati antecedentemente alla piattaformizzazione che ha investito gli aspetti eco-
nomici, organizzativi e comunicativi contemporanei – al fine di riflettere su come, in
realtà, l’assalto alla veridicità non possa che configurarsi quale evoluzione (in qualche
modo degenerativa) di percorsi già avviati.
Il dibattito su cosa sia da intendersi come fake news è abbastanza esteso
e caratterizzato da semplificazioni; in questa sede non è possibile risolverlo, se non
delineando gli aspetti principali della questione. Per finalità esplicative, quindi, si
specifica che per fake news, nel corso del contributo, si intenderanno quei singoli
prodotti lontani dalla rispondenza fattuale alla realtà, creati deliberatamente per in-
gannare (Tandoc, Lim e Ling, 2018). In accordo con Bennett e Livingston (2018: 124),
si adotterà il termine disinformazione per indicare quelle «falsità intenzionali diffuse
come notizie o che simulano i formati del documentario per avanzare obiettivi politi-
ci». In questo modo, i singoli contenuti (fake news) eccedono la somma dell’episodico
per inondare il flusso (dis)informativo, a volte con pervicace sistematicità, celando
uno sforzo concertato di indirizzo delle agende e delle deviazioni interpretative. Per
sottolineare il mosaico di generi contenutistici, in questo contributo si impiegherà il
«bit» fake news, dal momento che esso comprende alcuni formati (come la parodia,
la satira, etc.) che ben esemplificano i tentativi di inserirsi nei percorsi di consumo
e nelle pratiche mediali (specialmente digitali) avvalendosi della trasformazione
di contenuti tradizionalmente austeri, come quelli della politica internazionale,
in spezzoni pop, tenendo ben ferma, tuttavia, l’intenzionalità della manipolazione
(Grayson, Davies e Philpott, 2009).
Queste scelte porteranno, nel primo paragrafo, a focalizzare l’attenzione
sulla interpretazione delle azioni strategiche degli stati in merito alla comunicazione
sui conflitti facendo riferimento al concetto di arrested wars. Nel prosieguo del lavoro
si metteranno in relazione le narrazioni strategiche, deliberatamente utilizzate dagli
stati per indirizzare la proiezione pubblica della propria immagine, con gli strumenti
e gli artifici offerti dai media digitali, anche ricorrendo a contributi della letteratura
dedita a spiegare fenomeni grassroots o contesti «tradizionali». Infine si analizzeranno
i tentativi di intervento degli attori statali nelle reti informative per recuperare credi-
bilità e soft power.
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sociale e della vita quotidiana: una porzione considerevole del senso dato agli episodi
sociali deriva da narrazioni mediate, che ne modellano formati e contenuti, costruendo
una «fenomenologia materialista» dove le infrastrutture tecnologiche contribuiscono
a definire e costringere significati condivisi e strategie di partecipazione mediata
(Couldry e Hepp, 2017).
La moltiplicazione dei punti di accesso al discorso politico rende meno
plausibile l’accettazione passiva delle narrazioni del potere, grazie all’espansione di
rinnovate skills sociotecniche (Rosenau, 1990 e 2005), che consentono la discussione
e la contestazione di rappresentazioni che a loro volta si estendono fino ad accogliere
una moltitudine di attori, storie, aree geografiche a causa dell’introduzione di nuove
innovazioni tecnologiche, come dimostrato dall’avvento delle trasmissioni satellitari
(Livingston e Van Belle, 2005).
Gli attori politici internazionali alimentano il loro potere persuasivo an-
che attraverso la produzione discorsiva di soggetti sociali, non necessariamente
rivali, usando strumenti che coinvolgono sistemi di conoscenza e pratiche sociali
(Barnett e Duval, 2005).
Per questa ragione l’intrusione di soggetti politici – tradizionali o incum-
bent – nelle reti di comunicazione digitale simboleggiano un particolare intento di
autorappresentazione strategica e narrativa dove tanto l’informazione che la presen-
za di uno stato rendono possibile:
1. la definizione di caratteristiche pubbliche, selezionando alcuni tratti e
nascondendone altri;
2. la dimostrazione dell’adesione ai «codici d’accesso» della rete, adattan-
do la presenza dello stato ai linguaggi digitali e, allo stesso tempo, imponendo alcune
forme di programmazione (Castells, 1997 e 2009);
3. il riconoscimento dell’importanza delle comunità virtuali, sia nella loro
autonomia, sia tramite i tentativi di manomissione e di intrusione.
La natura dello stato diversifica le intenzioni che determinano le strategie
di presenza nel cyberspazio (Choucri, 2012): genericamente, le democrazie consolida-
te incoraggiano la visione di un’Internet come amplificatore dei processi deliberativi,
mentre gli stati autoritari inaspriscono censura e sorveglianza (Castells, 1997). Allo
stesso modo la formazione di narrazioni strategiche, attraverso la produzione e diffu-
sione intenzionale e concertata di contenuti sui Sns, può essere classificata a seconda
dei vari gradi di trasparenza e di opacità e dalla possibilità di definire la polarità degli
interventi, se positivi e di sostegno, o se disinformativi e di discredito.
Le molteplici tecniche di occupazione e di saturazione del cyberspazio,
quindi, presentano modalità eterogenee: a un estremo troviamo il comportamento
svedese, dove la produzione contenutistica ad opera dei cittadini segue innocue stra-
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tegie di nation branding1; vi sono, in secondo luogo, paesi che adottano tattiche in-
termedie, come quelle israeliane, dove il supporto dello stato ad attività digitali agisce
dietro una sponsorizzazione governativa non sempre chiaramente dichiarata2; infine
troviamo stati che impiegano tecniche aggressive come la Russia, con la sue troll
factories impegnate nell’inquinamento degli spazi digitali di informazione estera o
domestica3; oppure la Cina, dedita a operazioni di cheerleading governativo da parte
di utenti Internet notoriamente (ma erroneamente) noti come «50 cent party»4.
Ciò contrasta con la visione, a volte ingenua, per la quale i media online
sarebbero il luogo elettivo per la concretizzazione espressiva di movimenti di protesta
e attivismo politico, anche nelle forme (e nelle ideologie) più radicali. Per tale ragione,
le forme e i generi delle fake news sembrano sovrapporsi alle tassonomie dei media
attivisti e di protesta, come quella proposta da Lievrouw (2011). Ciò può essere par-
zialmente spiegato dalla natura subculturale dei gruppi che si fanno promotori di fake
news; ad esempio, Marvick e Lewis (2017) identificano diverse espressioni (nonché
prassi) delle Internet cultures quali corresponsabili nella disinformazione e della pola-
rizzazione del dibattito digitale, come trolls, gamegaters, cospirazionisti, influencers,
media iper-partigiani e gruppi politici e ideologici.
La questione rilevante sta, dunque, nel definire i generi culturali che ca-
ratterizzano quelle minoranze che intervengono nella costruzione di significato per
guadagnare voice (Couldry, 2010) e rappresentanza nelle più ampie arene, come di-
mostrato dalle ambizioni dei contro-pubblici subalterni (Fraser, 1990). Per tale ragio-
ne, le tecniche e le pratiche dell’occupazione delle aree digitali sembrano essere prese
in prestito dagli assemblaggi attivisti e radicali. Si pensi ai generi identificati dalla
sistematizzazione di Lievrouw (2011):
• il culture jamming, influenzato dalla cultura popolare, dai media main-
stream e dal linguaggio della pubblicità. Si imitano le forme della cultura popolare
(immagini, testi, slogan) per stimolare la critica sociale e il commento ai fatti della
politica. È in questo ambito che avvengono le appropriazioni subculturali della cultura
dominante, come nel caso del guerrilla marketing o del pastiche (Harold, 2004; Car-
ducci, 2006). Ne è un esempio la diffusione dei meme: i meme sono porzioni digitali
1
Dal 2011, l’account Twitter @sweden è gestito da un comune cittadino, scelto settimanalmen-
te dagli utenti di Twitter. L’iniziativa è promossa dallo Swedish Institute (http://curatorsofsweden.com/about/).
2
E. Groll, «Covert Twitter Ops: Israel’s Latest (Mis)Adventure in Digital Diplomacy». Foreign
Policy, 13 agosto 2013, https://foreignpolicy.com/2013/08/13/covert-twitter-ops-israels-latest-misadven-
ture-in-digital-diplomacy/.
3
N. MacFarquhar, «Inside the Russian Troll Factory: Zombies and a Breakneck Pace». The New
York Times, 18 agosto 2018, https://www.nytimes.com/2018/02/18/world/europe/russia-troll-factory.html.
4
K. Waddel, «“Look, a bird!”. Trolling by Distraction». The Atlantic, 27 gennaio 2017, https://
www.theatlantic.com/technology/archive/2017/01/trolling-by-distraction/514589/.
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Solo per sintetizzare differenti approcci di ricerca, si veda: Castells (2012); Comunello e
Anzera (2012); Gerbaudo (2012); Katz (2014); Little (2015).
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I valori-notizia sotto indicati sono desunti da Hartley (2002: 165-166), a loro volta debi-
tori di sistematizzazioni tradizionali come quella di Galtung e Ruge (1965: 64-91).
7
Va specificato che, sposando l’opinione di Papacharissi (2015) che indica le piattaforme
come storytelling infrastructures e storytelling devices, si sta qui considerando il giornalismo nella sua
dimensione narrativa (Bird e Dardenne, 2009).
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stema multicentrico invocano la coltivazione di soft power. Alcuni attori, outsider nei
sistemi mediali delimitati da responsabilità giornalistiche codificate, come istituzioni
internazionali, stati, piattaforme e operatori digitali, hanno ricoperto ruoli significativi
nell’identificazione delle strategie di contrasto.
Nel sistema mediale contemporaneo, solo un approccio combinato può ga-
rantire un antidoto efficace contro le manipolazioni propagandistiche: ciò è reso più
evidente se si considerano le peculiarità delle stategic narratives russe, composte da un
mosaico di fake news costruite per mimetizzarsi nel flusso dei media internazionali. Le
narrazioni russe non solo delineano una realtà alternativa, ma provano a istillare dubbi,
paranoie e disinteresse verso la politica internazionale, attraverso l’ingigantimento de-
gli aspetti divisivi, al fine di catalizzare nicchie frammentate e frammentarie (come se-
paratismo, sfiducia nell’UE, critiche al liberismo, migrazioni globali e i loro oppositori).
Di seguito verranno esplorate delle controstrategie, suggerite da Lucas e Pomerantsev
(2016), in grado di generare tre differenti ambiti di azione che esemplificano il peso di
una Realpolitik informativa nella quale le entità statali, a livello locale e sovranaziona-
le, mantengono saldo il potere di indirizzo e di trattativa con gestori delle piattaforme
e operatori dell’informazione (Van Dijck, Poell e de Waal, 2018).
1. Tattico. In questo ambito sono incluse le azioni mirate alla decostruzio-
ne dei fenomeni informativi e alla pianificazione degli interventi. Si suggerisce l’ana-
lisi costante del contenuto dei social media, per monitorare le conversazioni online e
per migliorare le capacità di ascolto, un pilastro per le conseguenti attività di public
diplomacy (Cull, 2013). Inoltre, è necessaria una chiara regolamentazione europea per
il sistema dei media, di modo da fornire i riferimenti legislativi per sanzionare coloro
che, deliberatamente, inquinino il panorama informativo.
2. Strategico. Questo tipo di interventi mira a prevenire la diffusione di
fake news e di narrazioni propagandistiche stabilendo una presenza continua e affi-
dabile nell’ambiente mediale tradizionale. Quindi, le operazioni di rafforzamento del
broadcasting pubblico in quelle aree a rischio di infiltrazione russa (come negli «stati
cuscinetto» confinanti) sarebbero da considerarsi ragionevoli. Infine, in uno spazio
mediale ibrido (Chadwick, 2013) è necessario garantire gli strumenti per l’emancipa-
zione dall’influenza russa: non solo gestendo emittenti di informazione con «standard
europei», ma anche investendo nella produzione di contenuti di intrattenimento per
evitare che vi sia una stretta dipendenza dal sistema mediale russo.
3. Interventi a lungo termine. Queste operazioni includono gli interventi
in grado di fornire gli anticorpi per prevenire gli abusi mediali: da un lato, le autorità
dovrebbero incoraggiare la consapevolezza dei cittadini, accrescendone le compe-
tenze tramite programmi di media literacy; dall’altro lato, sarebbe doveroso privare
i promotori di fake news delle risorse finanziarie necessarie alla loro sopravvivenza,
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Quello di guerra ibrida è un concetto recentemente affacciatosi nelle riflessioni acca-
demiche; a dimostrazione della sua importanza, sono state istituite diverse task forces predisposte alla
prevenzione e al contrasto ad opera della Nato e dell’Ue, indirizzate allo sviluppo di linee di comunicazione
strategica. Per approfondimenti si consulti il paper della divisione della Nato Stratcom: Hybrid Threats. A
strategic communication perspective (https://www.stratcomcoe.org/hybrid-threats-strategic-communica-
tions-perspective).
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Giuseppe Anzera
Sapienza Università di Roma
E-mail: giuseppe.anzera@uniroma1.it
Marco Bruno
Sapienza Università di Roma
E-mail: marco.bruno@uniroma1.it
Alessandra Massa
Sapienza Università di Roma
E-mail: alessandra.massa@uniroma1.it
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