Il Ruolo Delle Fake News Nella Comunicazione Politica Internazionale

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Il Mulino - Rivisteweb

Giuseppe Anzera, Marco Bruno, Alessandra Massa


Il ruolo delle fake news nella comunicazione politica
internazionale
(doi: 10.3270/95024)

Comunicazione politica (ISSN 1594-6061)


Fascicolo 3, dicembre 2019

Ente di afferenza:
Università la Sapienza di Roma (Uniroma1)

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Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa
Il ruolo delle fake news
nella comunicazione politica
internazionale
Saggi

THE ROLE OF FAKE NEWS IN INTERNATIONAL POLITICAL COMMUNICATION


This work explores the connections between fake news and international political commu-
nication system, a conglomerate of content and information deriving from the interaction
among media, governments and public opinions. Fake news has gained public visibility only
in the late years, but some digital phenomena, theorized by Internet scholars before the
mainstream explosion of the concept, seem particularly effective to describe fake news as
a political weapon. At the same time, other ideas retrieved from International Relations
literacy fit in the explanation of information management as a way to affirm supranational
stance. This interdisciplinary article summarizes some of the most outstanding theoretical
contributions to explain the longstanding motivation moving State-sponsored activities in
the digital informative arena, suggesting the adaptation of political strategies of communi-
cative power construction in the networked production of contentious narratives. The first
section of the article summarizes the tendencies of international communication, focusing
on so-called arrested wars and contentious information. Consequently, we suggest how
some basic concepts explaining online communication can be adapted to enlighten the
development of networked strategic narratives. Finally, a specific reflection is devoted to the
role of the State in the organization of the immaterial information environment to restore
credibility and soft power.

Keywords: fake news, arrested war, digital media, international information, stra-
tegic communications.

1. Introduzione

In questo contributo si vogliono esplorare le numerose connessioni che


interessano il legame tra fake news e sistema dell’informazione internazionale, inteso
come conglomerato di contenuti che viaggiano in un complesso rapporto tra media,
governi e opinioni pubbliche (internazionali), poiché «le visioni pubbliche sull’attua-

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377 ISSN 1594-6061   
@ Società editrice il Mulino
Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa

lità politica estera» (Goldsmith e Horiuchi, 2012: 558) sono sempre più determinanti
per raggiungere i propri scopi nelle arene transnazionali. Si illustreranno le principali
tendenze che stanno interessando ormai da qualche lustro la comunicazione delle
vicende internazionali (specialmente conflittuali). Tendenze che non possono che
dialogare con i suggerimenti che derivano dalla ricerca sui media digitali – anche
formulati antecedentemente alla piattaformizzazione che ha investito gli aspetti eco-
nomici, organizzativi e comunicativi contemporanei – al fine di riflettere su come, in
realtà, l’assalto alla veridicità non possa che configurarsi quale evoluzione (in qualche
modo degenerativa) di percorsi già avviati.
Il dibattito su cosa sia da intendersi come fake news è abbastanza esteso
e caratterizzato da semplificazioni; in questa sede non è possibile risolverlo, se non
delineando gli aspetti principali della questione. Per finalità esplicative, quindi, si
specifica che per fake news, nel corso del contributo, si intenderanno quei singoli
prodotti lontani dalla rispondenza fattuale alla realtà, creati deliberatamente per in-
gannare (Tandoc, Lim e Ling, 2018). In accordo con Bennett e Livingston (2018: 124),
si adotterà il termine disinformazione per indicare quelle «falsità intenzionali diffuse
come notizie o che simulano i formati del documentario per avanzare obiettivi politi-
ci». In questo modo, i singoli contenuti (fake news) eccedono la somma dell’episodico
per inondare il flusso (dis)informativo, a volte con pervicace sistematicità, celando
uno sforzo concertato di indirizzo delle agende e delle deviazioni interpretative. Per
sottolineare il mosaico di generi contenutistici, in questo contributo si impiegherà il
«bit» fake news, dal momento che esso comprende alcuni formati (come la parodia,
la satira, etc.) che ben esemplificano i tentativi di inserirsi nei percorsi di consumo
e nelle pratiche mediali (specialmente digitali) avvalendosi della trasformazione
di contenuti tradizionalmente austeri, come quelli della politica internazionale,
in spezzoni pop, tenendo ben ferma, tuttavia, l’intenzionalità della manipolazione
(Grayson, Davies e Philpott, 2009).
Queste scelte porteranno, nel primo paragrafo, a focalizzare l’attenzione
sulla interpretazione delle azioni strategiche degli stati in merito alla comunicazione
sui conflitti facendo riferimento al concetto di arrested wars. Nel prosieguo del lavoro
si metteranno in relazione le narrazioni strategiche, deliberatamente utilizzate dagli
stati per indirizzare la proiezione pubblica della propria immagine, con gli strumenti
e gli artifici offerti dai media digitali, anche ricorrendo a contributi della letteratura
dedita a spiegare fenomeni grassroots o contesti «tradizionali». Infine si analizzeranno
i tentativi di intervento degli attori statali nelle reti informative per recuperare credi-
bilità e soft power.

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2. La comunicazione sui conflitti e le azioni strategiche degli


stati: le arrested wars in un sistema mediale complesso

La trasformazione del rapporto tra mass media e propagazione delle notizie


nel contesto globale, in particolare quelle sulle crisi, costituisce un valido punto di par-
tenza per analizzare l’impatto delle fake news sul sistema contemporaneo delle relazioni
internazionali. Lo schema proposto da Hoskins e O’Loughlin (2015) è particolarmente
adatto a illustrare queste dinamiche. Secondo gli autori la relazione tra i mezzi di co-
municazione e la diffusione delle notizie su conflitti e crisi internazionali, dalla fine della
Guerra fredda fino ai nostri giorni, è passata attraverso tre stadi evolutivi.
Il primo stadio è iniziato nella prima metà degli anni Novanta e ha costi-
tuito il picco delle cosiddette broadcast wars, caratterizzate dalla possibilità di tra-
smettere in diretta le guerre allora in corso (come la prima guerra del Golfo, o la
guerra in Kosovo), malgrado tutti i limiti imposti dalle autorità militari e governative.
Nel secondo stadio, iniziato all’alba del nuovo secolo, Internet ha garantito una più
ampia mediatizzazione degli eventi internazionali. Le cosiddette diffused wars erano
caratterizzate da un continuo flusso di notizie (online, video e immagini) disgregato
dall’assenza di riferimenti spaziali e dall’ascesa dei social network sites (Sns) e degli
smartphone, che consentono la produzione di notizie rilevanti sui conflitti, nonostan-
te l’assenza di media outlet nell’area interessata. Questo stadio si è evoluto in quello
attuale, caratterizzato dalle arrested wars.
Le arrested wars, a differenza delle altre due tipologie, sono di ardua ri-
soluzione e difficili da narrare poiché coinvolgono attori con ruoli e alleanze meno
definite rispetto al passato. Lo svolgimento delle arrested wars è lungo e non lineare,
alternando escalations violente a fasi di stallo, come gli eventi che nel 2014 hanno
colpito l’Ucraina e la Siria. Inoltre, questo tipo di conflitto si sta manifestando in un
contesto internazionale nel quale le istituzioni militari e politiche hanno iniziato a
utilizzare le nuove tecnologie dell’informazione per generare narrazioni strategiche
con specifici target di riferimento al fine di poter controllare i flussi di notizie sulla
politica internazionale, specialmente in situazioni di crisi, oltre che per testare nuove
tattiche di orientamento dei decision-makers e i loro effetti sull’opinione pubblica
(Miskimmon, O’Loughlin e Roselle, 2013).
I sistemi mediali, inoltre, sono in grado anch’essi di «arrestare» un conflit-
to, cristallizzandone alcuni tratti solitamente sfuggenti o difficilmente riconoscibili,
agendo in almeno tre modi:
1. Arresto dell’ignoranza. Nell’epoca del coverage mediale globale, è difficile
che esistano crisi dimenticate; al massimo, ci sono guerre «trascurate», note alle opinio-
ni pubbliche, ma che ricevono scarsa considerazione da parte dei decisori politici.

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2. Arresto della copertura mainstream. Le arrested wars sono lunghe, perico-


lose, senza una chiara linea del fronte, caratterizzate dal fallimento dei media tradizio-
nali nella rappresentazione delle sofferenze e delle vicissitudini conflittuali. Inoltre sono
narrate soprattutto attraverso foto e video postati sui Sns dalle forze combattenti o dai
civili, la cui propagazione è rapidamente amplificata dai media tradizionali.
3. Arresto del controllo militare. I conflitti del recente passato sono stati
condotti minuziosamente sia sul terreno, sia nella comunicazione, dalle istituzioni
militari. Le arrested wars, per la loro scarsa linearità, sono molto più difficili da gestire,
per la natura delle forze sul campo e per le grandi potenze che, dall’esterno, provano
a raggiungere il successo in confitti così complessi pur impiegando un ridotto dispie-
gamento delle proprie forze.
Uno scenario tanto articolato può spiegare, almeno in parte, come la pro-
pagazione delle fake news può influenzare i decisori politici e le opinioni pubbliche
nella faticosa comprensione degli eventi politici internazionali. In un contesto nel
quale le istituzioni politiche affrontano crescenti difficoltà nel gestire crisi internazio-
nali e conflitti, l’ascesa dei Sns ha causato profondi mutamenti della comunicazione
politica internazionale, dove anche media outlet di grande efficacia (come Cnn, Bbc,
Reuters) si affidano sempre più al contributo di citizen-journalists o cittadini-testi-
moni (Allan, 2013) per documentare e registrare attività politiche in campo interna-
zionale. Di conseguenza, vi è un maggiore spazio d’azione per enti governativi o non
governativi, che, grazie alla diffusione delle fake news possono cambiare il framing, la
percezione e la comprensione di crisi ed eventi internazionali.
L’ascesa delle fake news nel contesto delle relazioni internazionali è mos-
sa da queste trasformazioni tra comunicazione e crisi/conflitti; i media, d’altro canto,
si sono adattati rapidamente a tale ambiente e hanno amplificato globalmente le
notizie provenienti da questa emergente moltitudine di cittadini/giornalisti/testimoni.
Di conseguenza, i principali attori mediatici si sono reinventati tramite un’attività che
consiste principalmente nel controllo delle notizie grassroots, comunicandole alle loro
audience pur quando non confermate; in questo caso, la responsabilità per le notizie
«grezze» viene demandata alla fonte e al bisogno di ulteriori verifiche, senza tuttavia
rinunciare a rincorrere l’immediatezza.
Un siffatto ambiente mediale è l’ideale (almeno in questa fase storica) per
l’ascesa delle fake news. I funzionari governativi si stanno ancora adattando a questo
clima informativo, le istituzioni militari stanno provando a sfruttare i Sns per creare
frame interpretativi per le zone di crisi e i grandi sistemi mediatici tradizionali stanno
amplificando delle (supposte) notizie grassroots applicando routine di verifica relati-
vamente efficaci, anche dopo aver diffuso fake news. Quindi, le notizie progettate per

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suscitare un mutamento nelle opinioni pubbliche (non esclusivamente domestiche)


possono avere un potente impatto sullo sviluppo delle relazioni internazionali.
Da decenni gli attori impegnati a confrontarsi nell’arena internazionale
utilizzano menzogne, notizie orchestrate e il disorientamento degli avversari con in-
formazioni plausibili (ma non vere) per promuovere una determinata interpretazione
strategica o per giustificare un conflitto. Ciononostante, nel passato, queste operazio-
ni erano principalmente indirizzate ai funzionari governativi degli stati rivali, mentre
oggi, nella battaglia quotidiana per «la conquista dei cuori e delle menti» delle opinio-
ni pubbliche straniere o interne, il bersaglio prediletto delle fake news sono i pubblici
dei media digitali o broadcast. La posta in gioco è alta: in un mondo in cui i conflitti
interstatali sono sempre meno rispetto al passato, e dove le crisi internazionali sono
ormai principalmente conflitti infrastatali che guadagnano la ribalta solo quando ci
sono in ballo interessi di grandi potenze o di attori regionali, è cruciale la conquista e
la legittimazione della società civile globale (Kaldor, 2003).
Una tale dinamica è innescata non solo dalla tendenza a giustifica-
re sempre meno l’utilizzo della violenza nella risoluzione dei conflitti, ma anche
dall’inclinazione a generare (o non generare, a seconda degli obiettivi strategici di
uno stato) una pressione, da parte delle opinioni pubbliche, sulle istituzioni militari
o governative per risolvere una crisi specifica con o senza l’utilizzo della forza. Inol-
tre, va osservato che vi è una forte persistenza delle credenze individuali costruite
sulle notizie senza fondamento come dimostrato da una lunga tradizione di ricerche
accademiche anche recenti e focalizzate sul fact checking nell’epoca contempora-
nea (Garrett, Nisbet e Linch, 2013; Thorson, 2013). Il mantenimento di una falsa
percezione, anche in presenza di prove e di informazioni in grado di smantellarla,
rischia di mettere a repentaglio il lavoro di agenzie istituzionali, Ong e operatori
mediatici, occupati in pratiche di debunking e fact checking. Il ciclo disinformazio-
ne/correzione è destinato a diventare più familiare e veloce poiché gli attori coin-
volti nel fact checking stanno diventando sempre più efficaci col passare del tempo;
tuttavia l’abilità delle audience bersagliate dalle fake news nel riprogrammare le
loro percezioni, a fronte delle correzioni del fact checking, è ancora poco conosciuto
nella realtà analitica attuale.
La comunicazione mediata, quindi, è parte di una complessa serie di stru-
menti che vanno dall’aggressione armata alle operazioni psicologiche, in quella che
è stata definita «guerra ibrida» (Kofman e Rojansky, 2015). L’obiettivo principale di
questa strategia è di impiegare mezzi politici, economici, tecnologici, comunicativi
e finanziari per mantenere gli avversari – sia le élite governative dei paesi rivali,
sia le opinioni pubbliche interessate all’evoluzione del conflitto – continuamente

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disorientati. L’appello alla forza militare è limitato, evitando le immediate e prevedibili


reazioni della comunità internazionale (Aro, 2016; Chivvis, 2017).
Pinnoniemi e Racz (2016), in una ricerca mirata a identificare la pervasività
delle metanarrazioni russe sulla guerra ibrida in Ucraina all’interno dei sistemi mediali
europei e nelle opinioni pubbliche, sono giunti ad alcune interessanti conclusioni:
• la scarsa conoscenza del contesto mediale ucraino da parte dei media e
delle opinioni pubbliche ha permesso alle metanarrazioni russe di operare una distor-
sione nella percezione generale della crisi;
• la costruzione delle metanarrazioni più efficaci è stata condotta dagli at-
tori governativi, come il Ministero degli Affari Esteri, attraverso la ripetizione di termini
e di narrazioni che, nel tempo, hanno guadagnato influenza sui media occidentali;
• alcuni outlet informativi, in special modo i giornali vicini per affiliazione
politica o per tradizione alla Russia, hanno preso in prestito più termini e frasi dalle
narrazioni russe, rispetto ai media broadcast;
• le tecniche migliori per contrastare gli effetti delle fake news prevedono
tecniche investigative basate su fatti, prove valutabili e conoscenza. Queste operazio-
ni, pertanto, si basano sulle capacità dei media di investire risorse, denaro e operatori
nello sforzo di creare un sistema sofisticato per svelare le manipolazioni.
Altri studiosi hanno notato che la Russia ha continuato a impiegare le
fake news e le metanarrazioni, dopo il suo diretto coinvolgimento nel conflitto siriano,
adattando la strategia alla nuova situazione (Khaladarova e Pantti, 2016).

3. La digitalizzazione delle narrazioni strategiche: azioni con-


nettive e sfide al newsmaking

Le narrazioni strategiche sono il modo con cui un attore posiziona sé stes-


so e gli altri attori significativi all’interno dell’ambiente internazionale, ricomponendo
vicissitudini storiche e politiche e disegnando, in maniera discorsiva, gli obiettivi fu-
turi (Miskimmon, O’Loughlin e Roselle 2013; Pamment, 2014; Subotić, 2015).
L’abilità politica di orientare a proprio favore le narrazioni degli affari
internazionali richiede un’azione coordinata di rappresentazione e racconto di nu-
merosi scenari, a partire da quello istituzionale, gestendo le immagini ricorrenti che
caratterizzano la definizione degli stati e dei loro principali contendenti, e attraverso
il rinforzo costante e unanime (forzato o concertato) di rappresentazioni mediali per
amplificare e sostenere frame amministrativi (Entman, 2004).
Quindi, gli eventi internazionali sono sintomatici di quella realtà di secon-
da mano che acquista sempre più rilevanza in un’epoca di mediatizzazione della realtà

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sociale e della vita quotidiana: una porzione considerevole del senso dato agli episodi
sociali deriva da narrazioni mediate, che ne modellano formati e contenuti, costruendo
una «fenomenologia materialista» dove le infrastrutture tecnologiche contribuiscono
a definire e costringere significati condivisi e strategie di partecipazione mediata
(Couldry e Hepp, 2017).
La moltiplicazione dei punti di accesso al discorso politico rende meno
plausibile l’accettazione passiva delle narrazioni del potere, grazie all’espansione di
rinnovate skills sociotecniche (Rosenau, 1990 e 2005), che consentono la discussione
e la contestazione di rappresentazioni che a loro volta si estendono fino ad accogliere
una moltitudine di attori, storie, aree geografiche a causa dell’introduzione di nuove
innovazioni tecnologiche, come dimostrato dall’avvento delle trasmissioni satellitari
(Livingston e Van Belle, 2005).
Gli attori politici internazionali alimentano il loro potere persuasivo an-
che attraverso la produzione discorsiva di soggetti sociali, non necessariamente
rivali, usando strumenti che coinvolgono sistemi di conoscenza e pratiche sociali
(Barnett e Duval, 2005).
Per questa ragione l’intrusione di soggetti politici – tradizionali o incum-
bent – nelle reti di comunicazione digitale simboleggiano un particolare intento di
autorappresentazione strategica e narrativa dove tanto l’informazione che la presen-
za di uno stato rendono possibile:
1. la definizione di caratteristiche pubbliche, selezionando alcuni tratti e
nascondendone altri;
2. la dimostrazione dell’adesione ai «codici d’accesso» della rete, adattan-
do la presenza dello stato ai linguaggi digitali e, allo stesso tempo, imponendo alcune
forme di programmazione (Castells, 1997 e 2009);
3. il riconoscimento dell’importanza delle comunità virtuali, sia nella loro
autonomia, sia tramite i tentativi di manomissione e di intrusione.
La natura dello stato diversifica le intenzioni che determinano le strategie
di presenza nel cyberspazio (Choucri, 2012): genericamente, le democrazie consolida-
te incoraggiano la visione di un’Internet come amplificatore dei processi deliberativi,
mentre gli stati autoritari inaspriscono censura e sorveglianza (Castells, 1997). Allo
stesso modo la formazione di narrazioni strategiche, attraverso la produzione e diffu-
sione intenzionale e concertata di contenuti sui Sns, può essere classificata a seconda
dei vari gradi di trasparenza e di opacità e dalla possibilità di definire la polarità degli
interventi, se positivi e di sostegno, o se disinformativi e di discredito.
Le molteplici tecniche di occupazione e di saturazione del cyberspazio,
quindi, presentano modalità eterogenee: a un estremo troviamo il comportamento
svedese, dove la produzione contenutistica ad opera dei cittadini segue innocue stra-

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tegie di nation branding1; vi sono, in secondo luogo, paesi che adottano tattiche in-
termedie, come quelle israeliane, dove il supporto dello stato ad attività digitali agisce
dietro una sponsorizzazione governativa non sempre chiaramente dichiarata2; infine
troviamo stati che impiegano tecniche aggressive come la Russia, con la sue troll
factories impegnate nell’inquinamento degli spazi digitali di informazione estera o
domestica3; oppure la Cina, dedita a operazioni di cheerleading governativo da parte
di utenti Internet notoriamente (ma erroneamente) noti come «50 cent party»4.
Ciò contrasta con la visione, a volte ingenua, per la quale i media online
sarebbero il luogo elettivo per la concretizzazione espressiva di movimenti di protesta
e attivismo politico, anche nelle forme (e nelle ideologie) più radicali. Per tale ragione,
le forme e i generi delle fake news sembrano sovrapporsi alle tassonomie dei media
attivisti e di protesta, come quella proposta da Lievrouw (2011). Ciò può essere par-
zialmente spiegato dalla natura subculturale dei gruppi che si fanno promotori di fake
news; ad esempio, Marvick e Lewis (2017) identificano diverse espressioni (nonché
prassi) delle Internet cultures quali corresponsabili nella disinformazione e della pola-
rizzazione del dibattito digitale, come trolls, gamegaters, cospirazionisti, influencers,
media iper-partigiani e gruppi politici e ideologici.
La questione rilevante sta, dunque, nel definire i generi culturali che ca-
ratterizzano quelle minoranze che intervengono nella costruzione di significato per
guadagnare voice (Couldry, 2010) e rappresentanza nelle più ampie arene, come di-
mostrato dalle ambizioni dei contro-pubblici subalterni (Fraser, 1990). Per tale ragio-
ne, le tecniche e le pratiche dell’occupazione delle aree digitali sembrano essere prese
in prestito dagli assemblaggi attivisti e radicali. Si pensi ai generi identificati dalla
sistematizzazione di Lievrouw (2011):
• il culture jamming, influenzato dalla cultura popolare, dai media main-
stream e dal linguaggio della pubblicità. Si imitano le forme della cultura popolare
(immagini, testi, slogan) per stimolare la critica sociale e il commento ai fatti della
politica. È in questo ambito che avvengono le appropriazioni subculturali della cultura
dominante, come nel caso del guerrilla marketing o del pastiche (Harold, 2004; Car-
ducci, 2006). Ne è un esempio la diffusione dei meme: i meme sono porzioni digitali

1
Dal 2011, l’account Twitter @sweden è gestito da un comune cittadino, scelto settimanalmen-
te dagli utenti di Twitter. L’iniziativa è promossa dallo Swedish Institute (http://curatorsofsweden.com/about/).
2
E. Groll, «Covert Twitter Ops: Israel’s Latest (Mis)Adventure in Digital Diplomacy». Foreign
Policy, 13 agosto 2013, https://foreignpolicy.com/2013/08/13/covert-twitter-ops-israels-latest-misadven-
ture-in-digital-diplomacy/.
3
N. MacFarquhar, «Inside the Russian Troll Factory: Zombies and a Breakneck Pace». The New
York Times, 18 agosto 2018, https://www.nytimes.com/2018/02/18/world/europe/russia-troll-factory.html.
4
K. Waddel, «“Look, a bird!”. Trolling by Distraction». The Atlantic, 27 gennaio 2017, https://
www.theatlantic.com/technology/archive/2017/01/trolling-by-distraction/514589/.

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di contenuti che condividono caratteristiche comuni, creati con la consapevolezza


dell’esistenza di altri contenuti modellati sullo stesso format; gli utenti Internet sono
attivamente impegnati nella loro ideazione e diffusione (Shifman, 2014). Uno stru-
mento immediato come questo può essere facilmente impiegato per diffondere fake
news. Se ne può trovare un esempio nella reiterata diffusione delle foto «sfortunate»
di leader mondiali per schernire ed erodere la credibilità (come nel caso dei meme Pu-
tin vs. Obama). A ciò si aggiungono hashtag parodistici e l’emulazione di legacy media
(nella grafica o nella titolazione), che si appoggiano alle logiche delle piattaforme, in
grado di insinuarsi nei percorsi informativi di soggetti accidentalmente esposti all’in-
formazione politica in luoghi mediali – almeno inizialmente – deputati all’evasione e
all’intrattenimento (Zuckerman, 2013).
• L’alternative computing interessa le abilità tecniche necessarie per l’in-
tervento in rete. Gli utenti sono impegnati in attività pratiche, come l’hacking, lo
sviluppo di sistemi open source e la diffusione di file e documenti. Se il movente
originario stava nella partecipazione individuale alla condivisione dell’informazione, o
nel desiderio di familiarizzare con le piattaforme intervenendo sull’accesso e sull’al-
fabetizzazione digitale, oggi queste stesse tecniche si prestano a manipolazioni tec-
nologiche che mirano alla saturazione del cyberspazio con la disinformazione. I bot, il
cosiddetto Google bombing, i sistemi di notifica, le strategie adattive per aumentare
la visibilità sfruttando le caratteristiche interne delle piattaforme – ne è un esempio il
click-baiting – sono iniziative quasi invisibili all’utente-base ma sempre più rilevanti.
• Il giornalismo partecipativo riguarda l’intervento individuale nelle rappre-
sentazioni informative. I reportage, così come i commenti sull’attualità, sono ospitati in
spazi digitali «tradizionali», come i siti di informazione o i blog personali. La promozione
informativa può quindi essere trasferita presso media outlet dai diversi gradi di profes-
sionalizzazione, caratterizzati da un alto livello di partigianeria, nel quale dei contenu-
ti (politicamente) sponsorizzati possono travestirsi da testimonianza. I rumors online
sfruttano il potenziale della rappresentazione diretta per condividere testimonianze
manipolate. Ciò può accadere tramite la continua ricontestualizzazione di immagini e
dichiarazioni, attraverso la diffusione di «sentito dire» amplificato dalla relazione fidu-
ciaria tra appartenenti al medesimo network, o nella manipolazione propagandistica di
video presentati come contenuti professionali (come nel caso di alcune testimonianze
dal conflitto siriano). A volte, questi contenuti sono particolarmente potenti, poiché
presentati come «vendetta» nei confronti dei media mainstream. La testimonianza o
accidental journalism, come definito da Allan (2013) si adegua alla regola dell’imme-
diatezza: non è più una coincidenza fortuita e imprevedibile ma l’unica garanzia di
realismo. Per tale ragione, spesso è utilizzata nelle fake news, creando prove ad hoc e
approfittando delle disposizioni verso la credibilità di singoli individui.

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Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa

• La mobilitazione mediata prevede che la partecipazione sia organizzata


attraverso strumenti digitali. Quest’area include la formazione di movimenti sociali,
l’identità personale e le politiche culturali del lifestyle. L’attivismo digitale promuove
la mobilitazione attraverso i social media per arricchire la partecipazione individuale.
L’appello alla condivisione e diffusione di informazioni partigiane, iniziative indivi-
duali di feedback avversativo per i contenuti dei media mainstream, discussioni po-
larizzate sulle piattaforme social e la partecipazione ad azioni mediali sono forme di
mobilitazione networked.
• La conoscenza comune include la conoscenza esperta, le istituzioni,
la competenza tecnica e accademica. Un patrimonio di conoscenza auto-generata
sorge dalla collaborazione reticolare, come le tassonomie di classificazione, la co-
noscenza enciclopedica e il crowdsourcing. Nella ricostruzione di Liewrouw (2011),
questo fenomeno ha radici nella cultura hacker: gli esperti, quindi, non sono defi-
niti dal loro status, ma dalle loro abilità e capacità tecniche. Questo adattamento
della conoscenza «standard» alle capacità e precognizioni dei singoli, assieme alla
moltiplicazione delle autorità in diritto di fornire giudizi scientifici, sono alcuni
plausibili attivatori della contestazione delle tradizionali istituzioni della conoscen-
za (Nichols, 2017), ampliando, attraverso la partecipazione degli utenti, la messa in
discussione del potere tradizionale.
Da un lato, questi generi espressivi hanno un forte legame con l’individua-
lità dei contributori in rete, poiché la partecipazione personale è un complesso mix
di disposizioni, abilità, desiderio di espressività pubblica, dedizione e impegno. D’altro
canto queste espressioni hanno un impatto sulle dimensioni pubbliche e collettive
interessando cultura, tecnologia, rappresentazione, partecipazione e conoscenza.
Negli ultimi anni, parte dell’attenzione teorica ed empirica si è concentra-
ta sulle opportunità di mobilitazione incoraggiate dall’espressione pubblica di prefe-
renze (politiche) attraverso i Sns come rivendicazione sociale e identitaria5. Su tutti,
l’organizzazione digitale di movimenti di protesta in occasione di eventi eclatanti,
come le Primavere Arabe o il brand #Occupy, ha rappresentato un punto di svolta nel-
la considerazione dei Sns come uno strumento per ottenere risultati politici. Secondo
Papacharissi (2015), i media digitali incoraggiano le persone a sentire il loro posto
nell’attualità, influenzando così il newsmaking. A causa del networked gatekeeping, la
dimensione narrativa si intreccia con quella emotiva, dando visibilità a soggetti prima
marginalizzati, anche se non necessariamente la pluralizzazione delle sfere pubbliche
coincide con la loro democratizzazione.

5
Solo per sintetizzare differenti approcci di ricerca, si veda: Castells (2012); Comunello e
Anzera (2012); Gerbaudo (2012); Katz (2014); Little (2015).

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Il ruolo delle fake news nella comunicazione politica internazionale

Questi pubblici, altrimenti atomizzati, attivati da legami deboli, sono in


grado di creare notizie che sono, per loro stessa natura, affettive. Le affordances delle
piattaforme consentono di produrre delle contronarrazioni affettive che possono es-
sere viste come azioni di empowerment per quei soggetti privi di una voce pubblica,
specie quando contro l’establishment (Papacharissi, 2015). Frequentemente, le narra-
zioni avversative nascono da emozioni negative – come direbbe Castells (2012), indi-
gnazione e rabbia. Queste narrazioni sono più forti quando consentono di esprimere
pubblicamente opinioni controculturali di frustrazione e rivalsa (Papacharissi, 2015).
Tale spontaneità, tuttavia, potrebbe scontrarsi con l’intervento di orga-
nizzazioni ufficiali o quasi-professionali nella produzione, promozione e diffusione di
notizie. Queste possono unire movimenti digitali o entrare nell’immaginario di cittadi-
ni non sempre impegnati in una decodifica razionale (Castells, 2009), in special modo
quando le emozioni che si suppone provi il pubblico, ma anche l’ironia o il cinismo
che seguono la sovraesposizione alle situazioni conflittuali, influenzano ricezione e
produzione (Chouliaraki, 2013; Åhäll e Gregory, 2015).
Dalle azioni collettive, dove domina un’organizzazione disorganizzata resa
possibile dall’azione concertata da folle anche aggregate spontaneamente, possono
nascere forme di azioni connettive, dove le organizzazioni, utilizzando piattaforme e
tecnologie di terze parti, possono intervenire in reti quasi-spontanee, per indirizzare
gli utenti verso specifici obiettivi (Bennett e Segerberg, 2013).
L’informazione competitiva immessa nelle arene online sulla politica in-
ternazionale segue presumibilmente «vecchie» sistematizzazioni di valori notizia tra-
dizionali: anche se ottimisticamente il digitale parrebbe espandere fonti e opportunità
di rappresentazione, è ancora da appurare se queste, quando indirizzate a questioni
non domestiche, non finiscano per ricalcare elementi familiari al fine di intercettare
l’attenzione: a loro modo, i news values finiscono, seppur implicitamente, per trasfor-
marsi in news bias anche per le organizzazioni tradizionali, costrette a fare i conti
con routine produttive e percezione dell’interesse del pubblico (Baum, 2015), o con la
conformità – patriottica o imposta – con le linee governative (Entman, 2004; Bennett,
Lawrence e Livingston, 2007) e con il parallelismo di senso comune (Sparks, 2017).
Usando l’efficace sinossi proposta da Hartley6 (2002), possiamo provare a
identificare i seguenti valori notizia7 nella pianificazione di notizie fake o verosimili,
per quanto riguarda le questioni politiche internazionali.

6
I valori-notizia sotto indicati sono desunti da Hartley (2002: 165-166), a loro volta debi-
tori di sistematizzazioni tradizionali come quella di Galtung e Ruge (1965: 64-91).
7
Va specificato che, sposando l’opinione di Papacharissi (2015) che indica le piattaforme
come storytelling infrastructures e storytelling devices, si sta qui considerando il giornalismo nella sua
dimensione narrativa (Bird e Dardenne, 2009).

ComPol
387
Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa

• Immediatezza e non ambiguità di storie vicine per cultura, classe, luogo.


Le narrazioni delle fake news riguardano storie che possono influenzare l’attualità, o
sono strettamente connesse a questa. Non a caso, la loro fama è legata a momenti
elettorali, interessati da un continuo flusso di informazioni sui candidati, dichiarazioni
pubbliche ed endorsement. È difficile interrogarsi sulla plausibilità di ciascun elemen-
to, quando non si è abbastanza motivati. Altre notizie, invece, giocano sul senso di
urgenza, dando vita a una diffusione acritica (come nel caso dei falsi allarmi-terro-
rismo). Inoltre, le notizie non devono essere ambigue: le fake news esasperano così il
confronto binario tra fazioni opposte. La vicinanza, infine, riguarda il ruolo individuale
nell’interpretazione delle notizie e della loro veridicità: le informazioni non devono
essere in contrasto con predisposizioni e credenze radicate (Entman, 2007 e 2008)
e devono essere confermative e parrocchiali rispetto alle comunità online e offline.
• Hard news (economia, politiche governative, industria, finanza, affari do-
mestici) che riproducono conflitti o di interesse umano. Questi elementi notiziabili mo-
strano perché la Brexit è stato uno tra gli eventi internazionali più influenzati dalle fake
news, dando adito a tutte quelle rivendicazioni che hanno mosso i movimenti antieu-
ropeisti. Possiamo sostenere che le fake news, attraverso strategie produttive «soft»,
mirino a replicare, mentre lo soppiantano, quanto comunemente identificato come hard
news, aspirando a influenzare e a introdurre narrazioni alternative nell’agenda corrente.
Come sostenuto da Baym (2010), controllando più strettamente la loro agenda editoria-
le – in special modo evitando la tirannia delle breaking news – le fake news si concen-
trano prevalentemente su quegli argomenti «ad alto tasso di modernità» come gli affari
domestici o internazionali, sacrificati o nascosti nei media tradizionali.
• Importanza geostrategica e politica (nazioni e personalità di élite). Le nar-
razioni manipolative internazionali saranno sempre più rivolte a quelle nazioni impor-
tanti per obiettivi domestici geostrategici, (auto)rappresentandosi, alternativamente,
come nazione di élite o come nazione che sfida le élite (ne è un esempio la gestione
delle informazioni da parte della Russia nei confronti militari in Ucraina e in Siria).
• Riferimenti ideologici e consonanza ai discorsi dominanti, mascherando
cultura o storia da fenomeni naturali e consensuali. Come precedentemente illustrato,
le narrazioni strategiche consentono di influenzare il posizionamento di un attore nel
sistema internazionale, la rappresentazione degli Stati contendenti, o di costruire una
linea interpretativa per gli avvenimenti in atto. Quindi, a causa del loro potenziale nel
condizionamento degli eventi, le narrazioni non sono neutre: incorporano riferimenti
alle ideologie «comuni», siano quelle ristrette di un gruppo pragmatico che aspirano
a diventare dominanti, siano quelle che forniscono l’opportunità di decostruire e rim-
piazzare altre narrazioni, come la critica al blocco euro-statunitense diffusa dalle fab-
briche di disinformazione russa, al fine di catalizzare gli scontenti dell’ordine liberale.

ComPol
388
Il ruolo delle fake news nella comunicazione politica internazionale

• Interesse pubblico, stimolato dall’appello al senso comune e dalla logica


finzionale dell’intrattenimento e del dramma, basato su strategie visuali. Le fake news
combinano elementi che tendono alla drammatizzazione e all’esagerazione, causan-
do reazioni viscerali, anche grazie all’inclusione di manipolazioni visive – come il
recente fenomeno dei deepfake – per rendere le storie più credibili. Tabloidizzazione,
spettacolarizzazione e sospensione della razionalità assieme ad alcuni elementi visivi
iconici, rendono più plausibile la disseminazione delle fake news.
Inoltre, i produttori di fake news sono abili negoziatori rispetto alle af-
fordances delle piattaforme, lavorando sulla notiziabilità tecnica. L’adattamento alla
visibilità imposta dagli algoritmi rappresenta un segnale degli effetti della digitalizza-
zione per il panorama informativo. Gli algoritmi, infatti, decidendo cosa abbiamo bi-
sogno di sapere, disegnano modelli di inclusione e di rilevanza, anticipando le reazioni
degli utenti e nascondendo le loro azioni e la loro natura umana e programmatica
dietro a una neutralità tecnica presentata come obiettività (Gillespie, 2010 e 2014).

4. Credibilità e soft power. Le (prime) azioni statali di contrasto


alle fake news

La produzione di iniziative statali, legate alla gestione competitiva dell’in-


formazione, è una delle prime conseguenze di una politica strategica mirata a im-
piegare il soft power (Nye, 1990 e 2004) attraverso delle azioni effettive. L’organiz-
zazione dello spazio immateriale, contrastando le intrusioni informative, non è solo
un modo per difendere i confini decisionali di uno stato, ma è anche un investimento
sulla credibilità degli attori coinvolti. Mostrare interesse per l’integrità del dominio in-
formativo può causare parallelismi impliciti: se uno stato è coinvolto nella salvaguar-
dia di un ambiente informativo credibile, lo stesso paese sarà dipinto come credibile
e conseguentemente le sue richieste internazionali potranno essere considerate più
accettabili, trasformando l’ostentazione di valori in risultati politici.
Per tale ragione, gli attori internazionali sono stati reattivi nel ricercare
soluzioni per il problema delle fake news, evitando di delegare la questione all’auto-
regolamentazione dei media. È chiaro che la posta in gioco non sta solo nel persegui-
mento di interessi politici limitati, ma vi è spazio per azioni diplomatiche che possano
cambiare l’immagine degli stati e delle istituzioni impegnate, garantendo risultati a
lungo termine (ad esempio, rafforzando la fiducia e la consapevolezza pubblica sulle
azioni perseguite per l’interesse collettivo).
In un ambiente internazionale complesso, nel quale prendono forma le
narrazioni, gli innumerevoli soggetti che desiderano guadagnare visibilità in un si-

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Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa

stema multicentrico invocano la coltivazione di soft power. Alcuni attori, outsider nei
sistemi mediali delimitati da responsabilità giornalistiche codificate, come istituzioni
internazionali, stati, piattaforme e operatori digitali, hanno ricoperto ruoli significativi
nell’identificazione delle strategie di contrasto.
Nel sistema mediale contemporaneo, solo un approccio combinato può ga-
rantire un antidoto efficace contro le manipolazioni propagandistiche: ciò è reso più
evidente se si considerano le peculiarità delle stategic narratives russe, composte da un
mosaico di fake news costruite per mimetizzarsi nel flusso dei media internazionali. Le
narrazioni russe non solo delineano una realtà alternativa, ma provano a istillare dubbi,
paranoie e disinteresse verso la politica internazionale, attraverso l’ingigantimento de-
gli aspetti divisivi, al fine di catalizzare nicchie frammentate e frammentarie (come se-
paratismo, sfiducia nell’UE, critiche al liberismo, migrazioni globali e i loro oppositori).
Di seguito verranno esplorate delle controstrategie, suggerite da Lucas e Pomerantsev
(2016), in grado di generare tre differenti ambiti di azione che esemplificano il peso di
una Realpolitik informativa nella quale le entità statali, a livello locale e sovranaziona-
le, mantengono saldo il potere di indirizzo e di trattativa con gestori delle piattaforme
e operatori dell’informazione (Van Dijck, Poell e de Waal, 2018).
1. Tattico. In questo ambito sono incluse le azioni mirate alla decostruzio-
ne dei fenomeni informativi e alla pianificazione degli interventi. Si suggerisce l’ana-
lisi costante del contenuto dei social media, per monitorare le conversazioni online e
per migliorare le capacità di ascolto, un pilastro per le conseguenti attività di public
diplomacy (Cull, 2013). Inoltre, è necessaria una chiara regolamentazione europea per
il sistema dei media, di modo da fornire i riferimenti legislativi per sanzionare coloro
che, deliberatamente, inquinino il panorama informativo.
2. Strategico. Questo tipo di interventi mira a prevenire la diffusione di
fake news e di narrazioni propagandistiche stabilendo una presenza continua e affi-
dabile nell’ambiente mediale tradizionale. Quindi, le operazioni di rafforzamento del
broadcasting pubblico in quelle aree a rischio di infiltrazione russa (come negli «stati
cuscinetto» confinanti) sarebbero da considerarsi ragionevoli. Infine, in uno spazio
mediale ibrido (Chadwick, 2013) è necessario garantire gli strumenti per l’emancipa-
zione dall’influenza russa: non solo gestendo emittenti di informazione con «standard
europei», ma anche investendo nella produzione di contenuti di intrattenimento per
evitare che vi sia una stretta dipendenza dal sistema mediale russo.
3. Interventi a lungo termine. Queste operazioni includono gli interventi
in grado di fornire gli anticorpi per prevenire gli abusi mediali: da un lato, le autorità
dovrebbero incoraggiare la consapevolezza dei cittadini, accrescendone le compe-
tenze tramite programmi di media literacy; dall’altro lato, sarebbe doveroso privare
i promotori di fake news delle risorse finanziarie necessarie alla loro sopravvivenza,

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390
Il ruolo delle fake news nella comunicazione politica internazionale

ad esempio tramite il fenomeno, già parzialmente in corso – e nato più da un’oppor-


tunistica autodisciplina – di ridurre e stigmatizzare l’acquisto di spazi pubblicitari
nei canali che promuovono disinformazione, razzismo e violenza, da parte di grandi
operatori internazionali.

5. Osservazioni conclusive: verso la weaponization dell’informa-


zione?

Il complesso scenario emergente esemplifica le possibilità della «guerra


ibrida», a sua volta parte di una nuova strategia chiamata non linear war, come defini-
ta da Vladislav Surkov, uno dei più stretti collaboratori di Putin8. Si tratta di un’azione
mirata, anche attraverso l’impiego delle fake news, alla destrutturazione di conflitti,
sfocando linearità e punti di riferimento di una guerra di fronte a opinioni pubbliche,
media e decision-makers (Pomerantsev, 2014). Gli elementi tipici dei conflitti degli ul-
timi decenni (crisi, fronti, battaglie, risoluzioni) e gli attori coinvolti (eserciti regolari,
forze paramilitari e civili) diventano più sfumati, meno comprensibili e più complessi
da descrivere. La durata di questi eventi bellici è diluita, permettendo l’inclusione di
narrazioni opportune in contesti difficili da raccontare e che entrano nell’agenda me-
diatica a seguito della drammaticità degli avvenimenti.
Questo incessante lavoro sulla propria reputazione e sull’immagine degli
altri, considerato come un’ossessione della post-modernità (Van Ham, 2001), conduce
a quello che Andrejevic (2013) definisce infoglut. Gli attori di rilievo non sono solo
interessati a promuovere le loro contronarrazioni, anche in risposta alla disinforma-
zione, ma tendono a saturare l’ambiente informativo, contrastando ogni narrazione
dominante con innumerevoli narrazioni plausibili. I tentativi di decostruzione delle
evidenze fattuali, mostrati dai processi di debunking e di contro-debunking nel con-
trasto alle fake news, sono avvelenati dalla tendenza conservatrice degli attori già
tradizionalmente più potenti. Infatti, questi sperano di mantenere inalterato lo status
quo attraverso l’enfasi sull’indeterminatezza della verità (Andrejevic, 2013); quanto
Dean (2005) definisce communicative capitalism avvantaggia non solo gli attori più
sguaiati ma anche quelli più occupati nella saturazione del cyberspazio.

8
Quello di guerra ibrida è un concetto recentemente affacciatosi nelle riflessioni acca-
demiche; a dimostrazione della sua importanza, sono state istituite diverse task forces predisposte alla
prevenzione e al contrasto ad opera della Nato e dell’Ue, indirizzate allo sviluppo di linee di comunicazione
strategica. Per approfondimenti si consulti il paper della divisione della Nato Stratcom: Hybrid Threats. A
strategic communication perspective (https://www.stratcomcoe.org/hybrid-threats-strategic-communica-
tions-perspective).

ComPol
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Giuseppe Anzera, Marco Bruno e Alessandra Massa

In questo affollato spazio internazionale immateriale le narrazioni basate


sulla promozione di valori attraenti e inclusivi sono un’efficace precauzione per per-
mettere di gestire, attraverso il soft power, tutti quei contenuti informativi (anche
se «fake») che hanno profonde conseguenze sulle rappresentazioni e sulle credenze
collettive. Inoltre, mentre contribuiscono a ridurre il mito dell’hard power nella sicu-
rezza collettiva, queste narrazioni sono compiutamente strategiche poiché finalizzate
a conseguire degli obiettivi che rispondono alle sfide poste da confronti politici.

Giuseppe Anzera
Sapienza Università di Roma
E-mail: giuseppe.anzera@uniroma1.it

Marco Bruno
Sapienza Università di Roma
E-mail: marco.bruno@uniroma1.it

Alessandra Massa
Sapienza Università di Roma
E-mail: alessandra.massa@uniroma1.it

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