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Full Download Human Resource Management 3rd Edition Stewart Test Bank
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est-bank/
True/False
1. A clear strategy for being better than competitors and a highly motivated workforce are
major keys for long term profitability.
Answer: True
Difficulty: Easy
Page: 40
Ref: How Can a Strategic Approach to Human Resources Improve an Organization?
2. If a company is pursuing a low cost strategy, it is important that employees only perform
duties specified in their job description.
Answer: False
Difficulty: Medium
Page: 41
Ref: How Can a Strategic Approach to Human Resources Improve an Organization?
Answer: False
Difficulty: Easy
Page: 43
Ref: How Is Strategy Formulated?
4. A competitive human resource strategy is a strategy that focuses on different ways to provide
goods and services that meet customer needs.
Answer: False
Difficulty: Medium
Page: 42
Ref: How Is Strategy Formulated?
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6. The external environment for a company consists of physical and social factors outside the
organization EXCEPT government legislation at all levels.
Answer: False
Difficulty: Medium
Page: 43
Ref: How Is Strategy Formulated?
7. Information on new job creation is a critical feature of the external environment that is
relevant for an organization’s strategic planning.
Answer: True
Difficulty: Medium
Page: 44
Ref: How Is Strategy Formulated?
8. Information about threats and opportunities should be gathered early in the strategic planning
process.
Answer: True
Difficulty: Easy
Page: 43
Ref: How Is Strategy Formulated?
Answer: False
Difficulty: Medium
Page: 46
Ref: Ref: How Is Strategy Formulated?
Page 2 of 21
10. During strategy formulation, organizations should focus on understanding only weaknesses
so they have an understanding about areas in need of improvement.
Answer: False:
Difficulty: Medium
Page: 46
Ref: How Is Strategy Formulated?
11. To compensate for weak human resources, an organization can use an effective strategy.
Answer: False
Difficulty: Easy
Page: 46
Ref: How Is Strategy Formulated?
12. Regardless of a company’s strategy, high quality human resources are a true competitive
advantage.
Answer: False
Difficulty: Medium
Page: 46
Ref: How Is Strategy Formulated?
13. In order for a human resource practice to be a strength, it must be difficult to imitate and a
similar practice cannot be substituted.
Answer: True
Difficulty: Easy
Page: 46
Ref: How Is Strategy Formulated?
14. Groups of people who meet together often to discuss information can develop an effective
sense of “gut level” decision making about proper strategic direction.
Answer: True
Difficulty: Medium
Page: 47
Ref: How Is Strategy Formulated?
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fioccarono petizioni; una deputazione d’onorevoli cittadini andò a
Roma a chiedere i miglioramenti cui il paese pareva maturo. Non
ascoltati, l’opposizione prorompe; avvisaglie in molti luoghi (1832); a
Cesena la guardia urbana sostiene giusta giornata; e le truppe
pontifizie (20 genn.) sconfiggono, trucidano, saccheggiano Cesena e
Forlì. Decentissimo titolo d’invocare gli Austriaci, che si schierarono
da Bologna a Rimini, ricevuti con applausi e feste perchè
terminavano l’anarchia. A governo delle sottomesse Legazioni stette
l’inetto Albani, e a suo fianco il Canosa, minacciando forche.
La Francia si era fatto perdonare dalle Potenze le sue gloriose
giornate, ma stava sempre in sospetti perchè le sapeva avverse; e il
robusto ministero di Perrier, mentre reprimeva le sommosse interne,
vigilava che altri non soverchiasse di fuori. Della libertà o dei diritti
delle nazioni più non si discuteva: ma l’equilibrio gli pareva
scomporsi quando l’Austria tenesse un esercito là dove le altre
Potenze non recavano che trattative. Ecco dunque tre legni francesi,
con rapidità inusata traverso il faro di Messina occupano Ancona (22
febb.), la cui fortezza, munita di trentasei cannoni e seicento uomini,
non fece la minima resistenza ai mille ottocento Francesi, i quali
professavansi amici della santa Sede. Il colpo inaspettato stordì noi
e i nemici; il papa protestò e fece levare le proprie insegne; già si
moveano Pontifizj e Austriaci per togliere in mezzo Ancona; e d’una
conflagrazione generale si lusingavano quei che nella guerra
ripongono le loro speranze. Ma anche questa volta la diplomazia
sviò il nembo; e il papa consentì all’occupazione, che fu resa
regolare sostituendo il generale Cubières a Combes e Gallois che
aveano fatto lo sbarco.
Mentre in Ancona le parti agitavansi in modo che il papa scomunicò i
capi e Cubières espulse i rifuggiti, condannò, represse, questa
bandiera tricolore in Italia rimaneva iride pei molti, che non ancora
s’erano disingannati degli esterni rinfianchi. Anche a Jesi un Riciotti,
schiuso allora dalle carceri politiche, menava una colonna mobile a
taglieggiare i facoltosi, assassinò il gonfaloniere Bosdari, e presentò
una domanda di moltissime riforme; e di politica mascheravansi i
latrocini e gli omicidj, fatti universali i sospetti e l’ire, il Governo
ristabilito si trovò costretto a mantenere costose truppe, a seguire la
politica straniera, e appoggiarsi ad una fazione che pretendeva poter
abusare sia in violenza sia in denaro. Bernetti accattò reggimenti
svizzeri, buoni e fedeli, sistemava le provincie e i Comuni a modo
della antica libertà, sebbene quelle istituzioni, altra volta
opportunissime, repugnassero all’accentramento, vagheggiato dai
moderni: e un corpo de’ volontarj, che presto salì a cinquantamila
uomini, divisi in centurie sotto capi conosciuti, col che il popolo si
avvezzava all’armi, nè sarebbe stato difficile un giorno trasformarlo
in esercito. Ma ciascun milite dovea dare giuramento, sicchè più che
esercito, era una setta contro i Liberali, e che opponendo violenze a
violenze sistemava la guerra civile.
Il Bernetti avea maggior pratica e accorgimento politico che tutti i
cardinali, e proposito di conservare l’indipendenza dello Stato
romano; del resto ignorava le particolarità dell’amministrazione,
lasciò dilapidare le finanze e impinguare sue creature: ed esecrato
dai Liberali come repressore della rivoluzione, dai Pontifizj come
novatore, dagli Austriaci come quello che aveva dimezzato
l’ingerenza data ad essi su tutta Italia dalla rivoluzione, Gregorio XVI
lo congedò, procacciandosi così un’opposizione in lui e ne’ suoi.
Gli sottentrava (1836) Luigi Lambruschini genovese, nunzio in
Francia sino alla caduta di quei re da cui era amato; dotto, leale,
costumato, zelantissimo dell’autorità pontifizia e de’ diritti clericali,
ma repugnante da’ Governi ammodernati, credendo l’assolutezza
necessario riparo alla irreligione non meno che agli scompigli politici.
Non curante delle ricchezze, ma gelosissimo del potere, non
mitigava i comandi, locchè rendevalo esoso in paese di tanti orgogli
e in tempi ove uno non si accontenta di abbassarsi se non per la
certezza di essere tosto rialzato. Venne dunque imprecato per
austriacante, come erasi imprecato il Bernetti all’Austria discaro.
Intanto da una parte il liberalismo, le società segrete e lo spirito
d’insubordinazione dichiaravansi causa di tutti i mali; ma che
essendo opera di pochi agitatori, colla forza potrebbonsi reprimere:
dall’altra parte lanciavansi accuse assurde contro chiunque
esercitava il potere o lo serviva; tutti doveano essere emissarj
dell’Austria, ogni delitto, ogni sventura imputarsi a loro; uno era
promosso a dignità o a carica? bastava perchè venisse gridato
sanfedista e se ne dissotterrassero mille antichi e nuovi reati. Ogni
tratto rinnovandosi qualche sommossa o clamorose dimostrazioni, e
più spesso assassinj, detti politici, bisognavano la forza e gli
spioneggi. Inoltre per tutto ciò bisognava levar prestiti, ipotecare,
vendere, por tasse anche sui beni del clero, ritenere sul soldo
degl’impiegati. Di riforme si cessò di parlare: se i potentati ne
rinnovassero le istanze, opponeasi l’indipendenza che ciascun
Governo deve avere nei proprj atti.
I mali furono accresciuti da un nuovo, il cholera, che non solo
patimenti aggiunse ai patimenti degl’Italiani, ma ebbe importanza
politica.
Nell’India serpeggiava da lungo tempo questa malattia, che talora
manifestavasi fulminante con atroci coliche e tetano e pronta morte;
talvolta comincia da prostrazione di forze, scioglimento di corpo,
strazj allo stomaco, borborigmi, vomito; vi seguiva l’algore, con sete
inestinguibile, affannoso respiro, spasmodiche contrazioni, color
violaceo alla pelle, chiazzata di nero; intanto dejezioni e vomito, e
sudori freddi e morte. Varie le opinioni sull’indole sua, incertissima la
cura, e quasi sempre inutile dopo i primi momenti; e poichè gl’inglesi
la trovarono somigliante al cholera morbus del 1669 descritto da
Sydenham, le applicarono quel nome, ahi presto ripetuto in tutte le
lingue. Desolata l’India e principalmente il Bengala, invase l’Arabia, e
colle ossa di migliaja di pellegrini segnò la strada che percorrono le
carovane devote e le mercantili: per tredici anni corse micidiale l’Asia
e l’Africa, sinchè nelle guerre contro la Persia gittossi sull’esercito
russo che lo recò in patria, donde nella Polonia quando questo andò
a sottometterla, e di là propagossi a tutta Europa per Berlino e
Vienna, ove giunse il settembre 1831, mentre per Amburgo
spingeasi in Inghilterra e a Parigi il marzo 1832.
Devastò le Americhe nel 1833; nel 34 e 35 la Spagna, gli Stati
barbareschi, di nuovo la Francia: infine accostatosi a noi, nel luglio
del 35 attaccò Nizza, di ventiseimila abitanti uccidendone
ducenventiquattro; a Cuneo quattrocenventicinque di diciottomila;
poi a Torino ducentosei; a Genova duemila cencinquanta sopra
ottantamila abitanti, morendone fino trecento in ventiquattr’ore;
sopra novantamila a Livorno mille centrentanove. Serpeggiò poi sul
litorale Adriatico, e nelle Provincie di Venezia, Padova, Vicenza,
Treviso, Verona, dallo ottobre del 1835 all’ottobre del 73, colpì
quarantatremila quattrocento ottantadue persone, uccidendone
ventitremila cenventitre; in Lombardia di cinquantasettemila che
malarono, morirono trentaduemila. Di qui si comunicò al Parmigiano
e Piacentino; poi alla riviera di Levante, mentre invadea pure il
canton Ticino e la Dalmazia. Entrato in Ancona nell’agosto del 35,
uccise settecentosedici persone; passato in Puglia malgrado la
severissima quarantena, s’appigliò a Napoli in ottobre, facendovi
cinquemila ducentottantasette vittime; ripigliò nel marzo del 37,
uccidendo in un giorno fino quattrocenventicinque persone, e in tutto
tredicimila ottocento; e per tutto il regno si dilatò in modo, che
mentre la popolazione crescea di cinque per cento l’anno, si trovò
diminuita di sessantamila settecento. Di peggio sofferse la Sicilia, e
nella prima metà di luglio in Palermo perirono fino mille persone il
giorno; milleottocento nel giorno 10; e di sessantamila abitanti in
quattro mesi ventiquattromila, e duemila della guarnigione, sicchè
presto mancarono impiegati agli uffizj, medici ai malati, preti alle
esequie, sepoltori ai cadaveri. Messina restò immune, ma a Catania
di cinquantaquattromila abitanti soccombettero cinquemila
trecensessanta; e sui due milioni di tutta l’isola, ben sessantanove
mila ducencinquanta. A Roma penetrò uscente luglio del 1837, e ai
29 agosto contaronsi ducentottantasei vittime; in due mesi
cinquemila quattrocendiciannove, e i cencinquantaseimila abitanti
trovaronsi scemi di ottomila. Altrettanto infierì ad Anzo,
Civitavecchia, Tivoli, Subiaco, altrove, risparmiando Frascati,
Albano, Velletri. A Firenze pochi guasti, gravissimi a Livorno: nè
venner meno la costanza de’ medici, la pazienza di preti e frati,
l’abnegazione dei Fratelli della misericordia e delle Suore di carità;
persone derise e insultate nel tripudio, cerche e benedette nella
sventura, per vilipenderle subito cessata.
Disputavasi sulla natura di quel morbo se fosse contagioso od
epidemico; e se il progredire suo naturale e la provata derivazione
de’ primi casi faceano crederlo propagato per contatto, si vedea poi
spiegarsi col furore e coll’intrepidità d’un’epidemia. Da qui incertezza
sui ripari; alcuni paesi chiudeansi con cordoni militari e lazzaretti; col
male entravano lo sbigottimento e il disamore, i medici, avvolti in
cappe cerate, gli spedalinghi colle maschere, i sacerdoti con
essenze odorose e aceto e cloruri, cresceano lo sgomento. Eransi
vantate come un acquisto della civiltà le contumacie, per cui l’Europa
potè relegare fra i Musulmani la peste orientale; ora il secolo che
tutto calcola, trovava che esse rallentavano i commerci e la
necessaria rapidità delle comunicazioni: quindi sosteneva non
essere contagioso il cholera; fosse anche, peggior danno veniva
agl’interessi dalle quarantene che non dalla perdita d’alcune migliaja
di vite.
I Governi principalmente, avendo bisogno di mandare eserciti qua e
là a spegnere le rivoluzioni, e di non istaccare dal centro
amministrativo le estreme membra a cui non aveano lasciato altra
vitalità, pendeano a dirlo epidemico. Ma mentre da prima si era
imprecato contro i Governi che non metteano cordoni sanitarj,
dappoi si esclamò perchè gli avessero messi quando impacciavano
le fughe e le comunicazioni; se questi Governi onnipotenti non
tennero indietro il morbo, fu a bella posta per decimare i sudditi, per
deprimere gli spiriti; giacchè un potere senza limiti deve subire una
responsabilità senza limiti.
La gente che si crede savia, diceva tali propositi per l’insito spirito di
opposizione; ben presto li disse terribilmente il vulgo, che, quasi ad
attestare come poco avesse progredito in ducent’anni e malgrado la
diffusione d’un romanzo popolarissimo, volle subito vedervi morti
procacciate ad arte. I sintomi del male, tanto simili a quei
dell’avvelenamento, induceano siffatta credenza: gli ampollini che i
medici ordinavano per guarire, i profumi di materie corrosive,
credeansi veleni stillati a bella posta: a chi riflettesse che nessun
motivo poteva spingere a tanta scelleraggine, rispondeano, troppo
fitta essere la popolazione, i Governi volerla diminuire, e perciò
avere ordinato ai medici d’attossicarli; o i medici stessi volerli
spingere subito al sepolcro perchè il morbo non si propagasse. Da
qui un sottrarsi alle cure, nascondere gl’infetti, e così fomentare la
diffusione; poi a volte assalire i medici, obbligarli a bevere i
medicamenti, batterli, ucciderli, se non altro guardarli con truce
iracondia. Tali scene furono universali; i modi della manifestazione
variati secondo il paese e il Governo. La Compagnia della
misericordia in Toscana, ammirata per eroica carità in tutte le
epidemie e in questa, si gridò che avvelenava, e fu aborrita,
violentata. A Roma, dove nè ospedali nè soccorsi eransi preparati, si
permise un’illuminazione per ottenere e per ringraziare d’esserne
liberi, si espose un angelo che riponea la spada nel fodero, e poichè
appunto in que’ giorni raffittì la mortalità, il popolo ne diè colpa a un
Kausel maestro d’inglese e lo trucidò.
Nel Regno questo male esacerbò le ire contro il Governo e quelle
degli isolani contro i continentali, inducendo che da Napoli fosse
venuto il veleno e l’ordine di sterminare i Siciliani, tanto più dacchè,
quando il cholera ebbe invaso Napoli, si sciolse la rigorosa
quarantena fin allora tenuta. I Siciliani dunque si ostinarono a
respingere le navi provenienti da Napoli, a non voler ricevere truppe
perchè infette, a non mandar denari perchè erano quivi necessarj: le
città chiudeansi come in assedio: guardie ai pozzi, ai forni, alle porte.
Un vecchio fugge con suo figlio alla campagna, e i villici gridano
all’avvelenatore, li battono, li arrostiscono; otto altri al domani,
diciassette ne’ dì seguenti, poi trenta a Capace, ventisette a Carini,
sessantasette a Misilmeri, trentadue a Marineo, fra cui il parroco e il
giudice; molti altrove, alla fiera superstizione intrecciandosi le
vendette e le passioni particolari. Taciamo del vulgo, ma il cardinale
Trigona arcivescovo di Palermo, côlto dal morbo, non volle rimedj,
come inutili contro il veleno; lo Scinà, fisico valente e buono storico,
ai primi sintomi corse dal direttore di Polizia suo amico,
scongiurandolo a dargli il contraveleno, che supponeva dovesse
aver da Napoli ricevuto insieme col veleno stesso. Un farmacista,
accusato d’attossicare, nasconde l’arsenico sotto il letto: la serva
che vede, lo denunzia, e trovata la polvere, e fattane l’esperienza su
cani, si vien nella persuasione ch’egli volesse assassinare. A
Siracusa si trucidano l’ispettore di Polizia, l’intendente della
provincia, il presidente della gran Corte ed altri fin a quaranta, e molti
nel contorno. Un avvocato Mario Adorno, che a capo d’una banda
promoveva il tumulto, pubblicò quel morbo aver trovato la tomba
nella patria d’Archimede, essendosi scoperto che proveniva dal
nitrato d’argento, sparso nell’aria da scellerati che n’ebbero degno
castigo. Tal persuasione si mesce ai rancori politici: a Catania,
spiegata la bandiera siciliana, si grida che il cholera non è asiatico
ma borbonico, si abbattono le statue e le arme regie, si forma un
Governo provvisorio, proclamando la costituzione del 1812; i cento
uomini appena che stavano di guarnigione in una città di
settantamila, vennero facilmente disarmati; Santanello, comandante
di piazza, si offerse vittima espiatoria; ma inseguito come
avvelenatore, a stento campò. I prudenti giunsero a reprimere quel
movimento; e già era calmato quando v’arrivò il Del Carretto ministro
di Polizia coll’alter ego, e cominciò a servire contro i sollevati; da
settecencinquanta furono arrestati, cenventitre condannati a morte,
centrenta a pene minori; passato per l’armi Mario Adorno; Siracusa
privata dell’intendenza e dei tribunali provinciali, trasferendoli a Noto.
Rimase l’odio, rimase la persuasione d’un’immensa
scelleraggine [218], quasi a dare un’altra lezione di umiltà al secolo
che si vanta di ragionevolezza.
Anche altrove si tentò profittare del disordine per ribellare i popoli, e
massime in Romagna: Viterbo si ammutinò, e fu repressa con forza
e condanne: a Penne, col pretesto si fosse attossicata una fontana,
sventolossi la bandiera tricolore, e ne seguirono supplizj: in altri
paesi di Calabria vuolsi che veramente alcuni spargessero veleni per
confermarne la voce e lo scredito del Governo, e se ne eressero
processi regolari, suggellati con supplizj.
Eppure il cholera coadjuvò non poco a chetar le rivoluzioni, giacchè
da una parte i popoli, sgomentati dal nuovo flagello, restrinsero sulle
vite minacciate l’attenzione che volgeano alle ambite libertà, e i
Governi poterono trarsi in mano i mezzi necessarj a prevenire il male
o a reprimere il disordine, rinvigorendo i rilassati loro ordigni, e coi
cordoni sanitarj opponendosi anche al contagio delle idee, e
compiacersi ancora una volta d’aver rimesso al dovere l’Italia
senz’accondiscendere a’ desiderj di essa.
CAPITOLO CLXXXV.
Letteratura. Classici e Romantici. Storia.
Giornalismo.