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Mitsubishi Forklift Fgc70k STC Service Manual
Mitsubishi Forklift Fgc70k STC Service Manual
https://manualpost.com/download/mitsubishi-forklift-fgc70k-stc-service-manual/
**Mitsubishi Forklift FGC70K STC Service Manual** Size: 142 MB Format: PDF
Language: English Brand: Mitsubishi Type of Document: Service Manual for
Mitsubishi Date modified: 2010-2016 Content: Brand Publication Type Media
Number Title Date Published File Size MIT Service Manual 99739-70130-00
Chassis and Mast: Foreword 12/19/2011 0.07 MB MIT Service Manual
99739-70130-01 Chassis and Mast: General Information 12/19/2011 0.22 MB MIT
Service Manual 99739-70130-02 Chassis and Mast: Cooling System 12/19/2011
0.11 MB MIT Service Manual 99739-70130-03 Chassis and Mast: Electrical
System 12/19/2011 0.30 MB MIT Service Manual 99739-70130-04 Chassis and
Mast: Power Train 12/19/2011 0.28 MB MIT Service Manual 99739-70130-05
Chassis and Mast: Powershift Transmission 12/19/2011 2.81 MB MIT Service
Manual 99739-70130-06 Chassis and Mast: Front Axle 12/19/2011 0.53 MB MIT
Service Manual 99739-70130-07 Chassis and Mast: Rear Axle 12/19/2011 0.44
MB MIT Service Manual 99739-70130-08 Chassis and Mast: Brake System
12/19/2011 0.58 MB MIT Service Manual 99739-70130-09 Chassis and Mast:
Steering System 12/19/2011 0.43 MB MIT Service Manual 99739-70130-10
Chassis and Mast: Hydraulic System 12/19/2011 2.29 MB MIT Service Manual
99739-70130-11 Chassis and Mast: Masts and Forks 12/19/2011 1.87 MB MIT
Service Manual 99739-70130-12 Chassis and Mast: Service Data 12/19/2011 0.53
Ma no, ma no, mia buona amica; io non mi sono mai sognato di dire
che tutte, o la più gran parte delle mercenarie sono come quelle
delle quali le ho parlato, ancora capaci di sentimenti buoni e degne
di ispirarne. Lo scherzo è scherzo, ed ella sa, senza che io glie lo
dica, a che punto comincia e dove poi finisce. Se un certo sdegno
contro i giudizii volgari può spingere al paradosso, la verità vera non
deve restare a lungo disconosciuta, e la vera verità intorno
all'argomento che oggi ci occupa, è questa: che le mercenarie come
la Toscanina e la sua compagna dalle cicatrici sono troppo rare
eccezioni; d'ordinario non accettano e non gustano la turpe vita se
non turpi creature. Tuttavia, hanno gli uomini il diritto di disprezzarle
— intendo gli uomini che le cercano e se ne giovano? Non c'è in
questa nostra società un'ipocrisia spaventevole grazie alla quale —
diciamo meglio: per colpa della quale — i morigerati difensori della
scrupolosa morale sono poi quelli che più godono nel vizio?
Le persone molto virtuose sono sovranamente indulgenti —
quando non sono spietatamente severe. [pg!178] E se questa
sentenza le pare un bisticcio, io le dirò che ci sono diverse qualità di
virtù: una arcigna, l'altra benigna; e che la virtù più vera, più
virtuosa, è la virtù buona. Io credo che bisogni diffidare un poco
dell'esagerazione scrupolosa. Mi pare che un'anima capace
d'intendere veramente la vita debba inclinare al compatimento. E
senza insistere questa volta nell'esordio, passo a narrarle una
saporosa storiellina non solamente per dimostrarle questa mia idea,
ma anche per darle ragione nella sua protesta contro il troppo
indulgente giudizio delle donne che si vendono. In questa mia
storiella vedrà una mercenaria-tipo, cioè volgare, cupida, odiosa; una
di quelle per le quali non si può provare altro che sdegno — a patto
di non frequentarle...
Uscivamo una sera dell'inverno passato, io ed il mio amico
Baglioni dal teatro dei Fiorentini: io spettatore, Baglioni autore d'un
dramma intitolato L'Onore che aveva fatto un fiasco tremendo. Il
dramma era una cosa fortissima, straordinariamente bella, una vera
opera d'arte. L'avevano fischiato dalla platea, dai palchi, dal
loggione, tutti quanti, accaniti, feroci, inumani, perchè era immorale.
Quelle poche persone non destituite interamente di senso comune
con le quali avevo parlato, andando via, riconoscevano il valore
dell'opera, ma disapprovavano altamente che sulla scena si
portassero fatti tristi e personaggi abbietti. «Non sono neppur veri!»
avevo sentito dire; «gli uomini non sono così indegni come questa
nuova scuola letteraria li fa! Se pure fatti simili accadono, saranno
eccezioni; e perchè mai l'arte avrà da cercare col lanternino i rari e
oscuri esempii dell'infamia e della viltà, e non dovrà invece
rappresentare gli esempii quotidiani e luminosi della bontà, della
dignità, della grandezza?» Non avevo voluto discutere, tanto ero
irritato ed offeso per l'amico mio dagli urli selvaggi, dall'osceno
baccano che aveva accolto l'opera sua; se avessi discusso avrei
risposto ai moralisti: «La prova della dignità, della bontà, della
grandezza, eccola qui, lampante: un uomo pensa, studia, discute
[pg!179] tra sè, giorno e notte; egli ha la febbre, non dorme, non
riposa. Perchè? Che cosa fa? Che cosa vuol fare? Egli vuol
rappresentare un pezzetto di vita, prendere tre o quattro creature
umane e inchiodarvele lì, vive, palpitanti ed immortali! Con le parole,
con segni immateriali, egli vuol darvi l'illusione della vita; l'illusione?
No, qualcosa di reale, di più reale; perchè la vita passa e l'arte resta;
perchè senza Dante, senza Shakespeare e senza Balzac noi non
sapremmo che cosa furono e che cosa sono gli uomini! E perchè
questo scrittore, questo artista, questo pensatore ha scelto male —
concediamo! — perchè ha rappresentato cose non belle, costoro, i
difensori della bellezza, per provargli che bisogna far meglio, lo
ingiuriano, lo scherniscono, l'offendono, lo vilipendono, gli urlano
dietro, lo pigliano a sassate come un cane rognoso. E chi sono
costoro che si sollevano in nome dell'offesa morale? Prendeteli a uno
a uno, guardate nella loro vita, cercate che cosa hanno fatto oggi,
che cosa faranno stasera, stanotte, quando andranno via di qui,
dopo compiuto il dovere di svergognare l'immoralità, e poi ditemi se
hanno proprio il diritto di compiere questo dovere; se tutte queste
reboanti parole delle quali s'empiono la bocca, il dovere, il diritto, il
giusto, il bello, il buono, la dignità, il rispetto, non sono per la
maggior parte di essi suoni, fiati, accozzamenti di sillabe dei quali
sconoscono il senso...» Queste cose che non avevo detto ai critici le
venivo ora dicendo all'amico mio, in istrada, tenendolo per il braccio;
glie le dicevo perchè avevo bisogno di sfogarmi dicendole, non già
perchè egli avesse bisogno dei miei conforti. Egli rideva, d'un riso
schietto, d'un riso sonoro ed infrenabile. Prima della
rappresentazione m'aveva, sì, espresso i suoi dubbii sull'arditezza del
dramma e le previsioni della caduta; ma se ai primi sintomi del fiasco
s'era crucciato come un padre che vede mal accolta la creatura sua,
il selvaggio accanimento del pubblico, il rossiniano crescendo
dell'indignazione, la sollevazione furente delle timorate coscienze
dinanzi alla dipintura d'un fatto [pg!180] preso dal vero, d'un fatto
disgraziatamente troppo frequente e tanto tollerato nella vita reale,
lo aveva esilarato come una cosa buffa, come una caricatura morale.
— Ah! Ah! Ah!... E' incredibile!... E' troppo!... E' troppo!... —
esclamava. — No, senti, è troppo!... E come dò ragione a quei
filosofi che fanno consistere l'umorismo, il riso, nell'effetto d'una
esagerazione, d'una sproporzione imprevista!... Se m'avessero zittito
o fischiato solamente, avrei pensato ai casi miei, avrei dubitato di me
stesso, dell'opera mia; ma questa tempesta?... Ah! Ah! il barone di
Caggiano che non m'ha salutato, hai visto? quando gli son passato
dinanzi!... Don Ferdinando Acquaviva che urlava come un ossesso!...
Il generale Crozio che s'è alzato ed è andato via dal palchetto di
Donna Irene!.. Ah! Ah! Ah! Che bellezza! Non misuri tu la bellezza di
queste cose?... Il barone di Caggiano paladino della morale!... Don
Ferdinando accanito contro di me che l'ho salvato dalla gogna!... E
Caggiano con lui, e il generale e una trentina di costoro che hanno
creduto di mettere alla gogna me e l'opera mia!... No, è incredibile! è
grande....
Non dunque la sola goffaggine dell'indignazione pubblica faceva
ridere tanto Baglioni; egli aveva un'altra ragione più intima,
ottenendo da tanta parte degli spettatori una insigne prova
d'ingratitudine. La mia curiosità fu naturalmente eccitata da questo
accenno; talchè, non appena le sue risa si sedarono:
— Come mai li salvasti dalla gogna? — gli domandai.
— Come? In un modo semplicissimo!... Ma tu li conosci,
costoro? Li conosci bene? Conosci le loro famiglie, la società dove
vivono?... Sai che Caggiano ha una moglie giovane ancora, bella,
buona, una fenice di moglie, e due figliuole, due pure giovanette,
una più gentile dell'altra, delle quali la mamma sembra la sorella
maggiore?... Tu non sei stato in quella casa, non conosci la vecchia
madre di quel signore, una dama del vecchio stampo, tutta dedita
alle opere di carità, rimasta fedele alla dinastia spodestata,
legittimista [pg!181] e cattolica severa e sincera?... E don
Ferdinando? Lo spauracchio dei suoi scapestrati nipoti! Un altro
borbonico, amico di Sua Eminenza, frequentatore assiduo di tutte le
sacrestie?... Ed il generale Crozio che fa piovere gli arresti sulle
spalle dei suoi poveri tenentini, solo colpevoli di avere vent'anni?... E
il cavaliere Stromita, il direttore del Vesuvio, il giornale più
rugiadoso, più untuoso del mondo?... E il vecchio don Gennaro
Debiase, letterato morigerato, dello stampo antico, strenuo idealista
e romantico inconvertibile, a settant'anni, con i capelli tinti e le
unghie in lutto?... Orbene, sta un poco a sentire. Ah! Ah! Ah!...
Ricominciava a ridere, mentre ce ne andavamo per via
Caracciolo, lungo il mare che ciangottava contro la riva e rompeva il
riflesso della luminosa collana distesa dalla Vittoria a Posillipo.
— Sta dunque a sentire!... Quattro anni addietro, subito dopo
laureato, quando ancora la mania letteraria non m'aveva ben preso,
o per meglio dire quando non aveva ancora trionfato dell'opposizione
di mio padre, io feci, per obbedire al desiderio di lui, il vice-pretore.
Ne vidi di belle! E il motivo dell'Onore lo trovai appunto nelle severe
aule di Temi. Dunque un giorno, mentre ero col pretore titolare ad
accordarmi con lui intorno a ciò che dovevo fare durante la sua
prossima assenza, entra l'usciere, tutto sossopra, con gli occhi
spalancati dietro gli occhiali cascanti, e dice: «Signor pretore! Signor
pretore! C'è una signora che le vuol parlare!...» Il mio principale
domanda: «Non ne avete viste mai, che siete così sbalordito?...» E il
poveromo: «Una signora, signor pretore... una signora! una
baronessa!» Rido ancora rammentando con qual tono di stupito
rispetto, di reverente e quasi annichilita meraviglia il povero don
Pasquale riferì quel titolo: «Una baronessa!» E allora il pretore —
bisogna averlo conosciuto anche lui: giovane ancora, ma unto,
lurido, sbracato, con una chioma boscosa, la barba d'otto giorni,
villoso fin sul naso — il pretore, dicendo all'usciere di farla passare,
[pg!182] si ricompone sul seggiolone, porta le mani al nodo della
cravatta, ficca le dita nella selva dei capelli, cerca di cavar fuori dalle
maniche i polsini dei quali la camicia mancava, per esser meglio in
grado di ricevere l'annunziata gran dama. E appena costei entra, con
un fruscio di gonne insaldate, appestando d'ylang-ylang la sala, egli
si leva, fa un inchino spropositato, avanza una seggiola ed esclama:
«Signora baronessa, voglia favorire d'accomodarsi!...» Mio caro, una
scena da morire dalle risa.
«La baronessa era un bel donnone stagionato, statura da
carabiniere, capelli tinti del color rame, ciglia di nero fumo, occhiaie
di filiggine, labbra di carminio: tutta una pittura. Sulle forme copiose
portava un abito giallo abbarbagliante, un gran cappellone nero con
una montagna di penne e di fiori, grosse perle alle orecchie e guanti
lunghi fino alle ascelle. «In che cosa posso servirla?» fa il principale;
ed ella, con la voce professionale, dolcemente rauca, e un terribile
accento francese: «Signor pretor, si c'è une giustisia al mond, i
calunniator debbon andar in prison!» Il principale, sprofondato
adesso nella sua poltrona, con la testa affossata tra le spalle, stende
ambe le braccia e risponde: «Non dubiti, signora baronessa: c'è una
giustizia, ed io ne sono un indegno ministro; ma prima di mandare la
gente in prigione, bisogna vedere! Ella è stata calunniata? Come? Da
chi?» E la baronessa: «Da una sale canaglia, che fino a quindici
giorni addietro veniva in casa mia e mi faceva l'amico! Dopo tutto
quello che m'è costato! Se gli presentassi il conto del solo
champagne, non avrebbe come pagarlo, miserabile crapule!... E
adesso tira a rovinarmi, a togliermi il pane, pezzo di voyou, che
possa finire in galera!...» Che ti posso dire, amico mio? Il diluvio
delle male parole era spaventevole. Agli epiteti più violenti il pretore
emette un sst! discreto e fa con le mani il gesto della moderazione:
«La prego, signora baronessa: voglia calmarsi!... E dunque, questo
suo, diciamo, ex-amico, adesso vuole rovinarla? In che modo, di
grazia?...» Qui ti voglio! [pg!183] Io che pur vedevo prepararsi
qualcosa di molto incongruo, mai più avrei sospettato che razza di
calunnia la baronessa veniva a denunziare. Imagina dunque che
questo suo ex-amico era un giovanottino di primo volo, il quale, o
per non avere come pagarla, o perchè dava noia a qualche più ricco
cliente, o per chi sa qual altra ragione, era stato da lei pulitamente
messo alla porta. Su tutte le furie egli pensa di vendicarsi, e che fa?
Va dicendo per tutta Napoli, a chi vuole e a chi non vuole saperlo,
che la baronessa ha portato di Francia e regala ai suoi clienti un
ricordo che non suol essere molto gradito!... Tu vedi di qui la testa
del pretore quando la dama gli spiega la cosa in tutte lettere e gli
chiede che, seduta stante, egli chiami un uomo della scienza, il quale
accerti la verità e confonda il calunniatore!... Essersi creduto con una
vera signora, e sentirsi narrare una storia che sarebbe stata
benissimo in bocca a una abitatrice di Porta Capuana!... Ma, sia
onore al vero, il mio principale fu molto come si deve e continuò a
darle galantemente della baronessa, significandole tuttavia, come del
resto era troppo naturale, che di tutta quella storia egli non poteva
tenere nessun conto se non prima riceveva una querela su carta
bollata. «Una querella? E come si fa?» domanda l'altra; e il
principale: «Si va da un avvocato, gli si spiegano i fatti, e al resto
pensa lui.» Ora, dopo una settimana da quella scena, quando il
pretore era andato via, in permesso, arriva la querela a me in
persona. Amélie Bourgand, niente più baronessa, nata a Montreuil,
Passo di Calais, Francia, d'anni quarantadue, di professione... tu mi
capisci, sporgeva querela contro Alfonso Mantiello, per aver costui
detto e ripetuto sul conto di lei, in luoghi di pubblico ritrovo ed in
presenza di più persone, cose che le recavano pregiudizio e
allontanavano da lei le sue pratiche: volendo dimostrare come
l'accusa fosse presentemente falsa, la querelante chiedeva una
perizia medica; volendo provare che era stata falsa sempre, chiedeva
che il magistrato citasse e udisse in pubblico giudizio le persone
ragguardevoli [pg!184] e degne di fede che avevano avuto rapporti
con lei: il barone di Caggiano, il generale Crozio, don Ferdinando, il
direttore del Vesuvio, Debiase, tutta Napoli morigerata, castigata e
timorata; i rispettabili padri di famiglia, i nonni severi, gli zii
scrupolosi, i moralisti, puristi, idealisti che hanno seppellito il mio
dramma!... Imagina come rimasi! Io potevo benissimo lasciare che lo
scandalo scoppiasse; ma tutta questa gente che la mercenaria
inferocita per vedersi mancare il pane trascinava nel suo fango e
metteva alla berlina, mi fece tanta pena che volli vedere di trovare
un riparo. Mandato a chiamare la baronessa, le tenni un discorso per
persuaderla a desistere. Desistere? Ella era pronta; ma prima voleva
essere indennizzata! Voleva cinque mila lire di danni-interessi; e
diceva di essere discreta! Era una specie di ricatto; ma in qual altro
modo rimediare? Con belle maniere, parlandole delle difficoltà della
causa, consigliandole d'evitare il chiasso nel suo stesso interesse,
ottenni che avrebbe desistito contro il pagamento di due mila lire.
Allora andai io stesso dal Caggiano, da quel signore che m'ha tolto il
saluto, e gli spiegai il pericolo dal quale egli e tutti quegli altri erano
minacciati. Costoro già si videro, con l'imaginazione, in pretura,
dinanzi a un pubblico di maligni sorridenti ed ammiccanti, attestare
che la baronessa non aveva dato loro... nessun regalo; già videro i
giornali pieni di relazioni dell'udienza, udirono i clamori dello sdegno,
del disprezzo, il coro delle risa sardoniche; pensarono alla virtù delle
loro mogli, all'innocenza delle loro figliuole, alla severità dei loro
amici, e si tennero perduti. Allora mi si messero a tremare dinanzi
perchè io li salvassi! E udendo che bastava pagare, furono felici di
cavarsela con qualche biglietto da cento. Dirti gli scorporati
ringraziamenti che mi prodigarono per avere evitato lo scandalo, non
è possibile. E stasera li ho io scandalizzati! Ah! Ah! Non è bello? Non
è grande? Ah! Ah! Ah!...
[pg!185]
LA JETTATRICE
Carissima Contessa,