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LINGUAGGIO E ANTROPOLOGIA IL «DIARIO SPIRITUALE» DI SANT'IGNAZIO DI LOYOLA Peter-Hans Kolvenbach sj II titolo stesso di questo Simposio di teologia spirituale an- nuncia assai pit: che un insieme di relazioni ¢ di comunicazioni redatte con competenza intorno ad un medesimo tema. E, in primo luogo, testimonianza di wn veto interesse per l’antropo- Jogia, ¢ dunque per l’umanita dell’uomo. Forse questo interesse 2 scontato nel mondo degli istituti ¢ delle cattedre di spiritualita. Ma basta fermare P'attenzione sui fantastici progressi realizzati, grazie al fiorive delle scienze esate, nella conoscenza del mondo, per costatare un divario crescente fra il debole sviluppo delle scienze cosiddette umane e la vigo- rosa crescita delle tecniche e delle scienze positive. Indubbia- mente, tramite i problemi dell’ambiente e le questioni di etica, Pumanita dell’uomo si fa presente regolarmente al ricordo e al- la considerazione della rivoluzione tecnica. Indubbiamente an- cora, Puomo arretra quasi d’istinto davanti a certe conseguen- ze antiumane delle sue stesse scoperte. Non per questo & meno vero che la conoscenza che I’u0mo ha della propria umanita ri- mane relativamente debole, in confronto alle promesse offerte dalle scienze esate. Sarebbe certo difficile negare l’evoluzione e il progresso del- Je scienze umane, nelle quali dovrebbe evidentemente affermarsi una dimensione antropologica. Ma, tralasciando il fatto che ogni scienza umana ha adottato una propria antropologia, un’antro- pologia spesso parziale, per non dire di parte, l’ossessione di rag- giungere la precisione scientifica, cos) come il fascino esercita- to dal formalismo, spesso sono sfociati nell’elaborazione di un discorso metodologico nel quale ’'umanita dell’uomo, hungi dal 23. costituire il centro di riferimento, si 2 trovata a poco a poco condannata a sparire. E proprio questa l’evoluzione verificabi- le in quella scienza umana che prende per oggetto quanto wie di pit umano, cio’ la linguistica generale, scienza del linguag- gio ¢ delle lingue. 1, Lingua e parola Per fare di quest’ultima una vera scienza, il progetto saussu- tiano non ha forse giudicato indispensabile operarvi l'astrazio- ne dal? uomo, mettere fuori circuito colui che parla? E questo sforzo per escludere di colpo dalla linguistica generale ogni sen- tore antropologico ha fatto scrivere a uno specialista in questo campo del sapere che il Iuogo della linguistica un sapere con- dizionato da cid di cui il sapere non vuole saper nulla: i] luogo, percid, ove si congiungono la rimozione pit efficace con Ja pit acuta lucidita. Tale emarginazione metodologica del locutore ha permesso — secondo la celebre formula del programma saussu- tiano — di «studiare la lingua in se stessa e per se stessa». Per rendere giustizia al fondatore della linguistica moderna, non si pud tuttavia dimenticare che distinguendo «lingua» ¢ «paro- la», Saussure non intendeva fermarsi a una linguistica della lin- gua. Ma il suo sforzo si é talmente concentrato sulle strutture € sui meccanismi di quest’ultima, sui suoi strumenti e i suoi ele- menti di base, che egli ha potuto solo intravedere, in unm curio- so studio di «anagrammi», l’estensione di una linguistica della parola in cui il soggetto parlante non possa pit nascondersi 0 essere considerato assente. In tal modo, cid che nell’elaborazione del progetto saussu- riano eta dapprima presentato come una distinzione fra la lin- gua e Ja parola, si trasformd in una sempre pit franca separa- zione, per non dire in una contrapposizione sempre pit spinta dei due elementi. La linguistica generale conosce allora la stes- sa ineluttabile evoluzione che si verificata anche in altre scienze umane: la costituzione di una scienza a prezzo di una finzione. La linguistica, scienza del linguaggio e della lingua, considera effettivamente il proprio oggetto come se hessuna persona umana usasse la lingua per parlare e per esprimersi. Com’é noto, parallelamente a questo sviluppo della linguisti- ca in Europa, nasceva in America una scuola ispirata dalla 'ri- 26 cerca degli etnologi approdati, da parte loro, alla linguistica per il desiderio di descrivere le lingue amerindie. Il procedimento cui dovettero ricorrere 2, anch’esso, puramente formale: distri- buzionalista o tassonomico; esso opera la segmentazione della catena linguistica ¢ la classificazione degli elementi che ne ri- sultano, di nuovo senza lasciare aleuno spazio all’ uomo che parla. Tl senso che Puomo da alla propria parola & cost ridotto all’ef- fetto di un’ articolazione regolata di elementi e di categorie de- terminati. La reazione a questo formalismo empirico della scuola ame- ricana sar’ la rivoluzione chomskyana: rigettando una scienza che si trincera nell ambito delle pure forme e in una pura rile- vazione di tali forme, questa elaborerd una nuova teoria gene- rale della struttura linguistica. Si potrebbe sperare ¢ salutare un titorno alla dimensione antropologica, e cosi un ritorno al- Pumanitd dell’uomo. Ma, di fatto, per derivare dalla realta del linguaggio una teoria linguistica che renda conto del funziona- mento della gran patte delle frasi grammaticali conosciute ed emissibili; la grammatica generativa e trasformazionale rinun- cia all’esame di un «corpus» limitato, facendo leva invece su um’ ipotesi operativa tale da riflettere la creativita Hinguistica del- Puomo. Appellandosi curiosamente a un ambiente che la teolo- gia spirituale conosce bene, cioé l’ambiente di Port-Royal, Ja teoria generativa, almeno in un ptimo tempo, concepisce P'uo- mo che parle come una sorta di struttura profonda, elaborata ¢ definita nei termini di una logica universale. Cosi, come os- serva uno specialista dei sistemi linguistici, nonostante l’appa- rente rigetto delle teorie anteriori, il paradosso chomskyano non fa che riprendere sotto nuovi aspetti il paradosso saussuriano. Ma I’uomo supera infinitamente l’uomo: anche quest’ affer- mazione proviene dall’ ambiente di Port-Royal (e precisamente da Pascal). Nonostante il giudizio categorico secondo il quale lin- guistica della lingua e linguistica della parola sono «due strade che & impossibile percorrere contemporaneamente», oggi i lin- guisti sono sempre pid costretti ariconoscere, almeno nella prassi della loro scienza, che parola ¢ lingua non possono costituire due ambiti perfettamente autonomi. E cid anche se, nella teoria che mira a stabilire una coerenza linguistica scientificamente, 0 ri- gorosamente, omogenea, appare ancora largamente tmisconosciuta 0 apertamente rigettata l’interazione del sistema del linguaggio con il soggetto parlante, il locutore, I'uomo che parla. 27 A partire dalla prassi della scienza, e sotto il yocabolo ben impreciso.di.«pragmatica», si sono dunque sviluppati vari stu- di intesi.a.recuperare gli atti del discorso in una specie di lin- guistica.della parola, Ma, secondo un movimento pendolare di cui la storia delle scienze offre tanti altri esempi, e per eccesso di reazione nei tiguardi di una esclusiva linguistica della lingua, questa linguistica della parola dimentica a sua volta che.la pa- tola non é concepibile fuori dal sistema della lingua che mette in pratica, e che i testi, quali che siano — siano anche testi spi- rituali —, si presentano come un risultato codificato e non pos- sono essere separati da cid da cui risultano, ossia il codice lin- guistico. E nella polarit’ fra Ja lingua ¢ la parola che si situa Pattivita creatrice e operativa dell’uomo dialogico, il quale rende il codi- ‘ce linguistico manifesto nella parola che pronuncia. Abbiame parlato di separazione fra lingua e parola. Ed é ap- parso chiaro come separare cid che nell’uomo dev’essere solo distinto induca a eclissare la dimensione antropologica, Che perd sia possibile evitare questo scoglio, lo dimostrano tanti studi lin- guistici, ad esempio quelli sul latino dei testi cristiani, per limi- tarmi a una sola categoria. 2. Tl linguaggio nel «Diario spirituale» Quando il linguista apre un dizionario di spiritualita per leg- gervi la voce dedicata al «linguaggio degli spirituali», non pud impedirsi di classificare, per deformazione professionale, i con- tributi che si offrono alla sua lettura all’interno di una lingui- stica della parola, tenendo poco conto del codice linguistico da cui risultano i testi spirituali. Quel linguaggio non viene forse subito addebitato ad un testimone che ha fatto l’esperienza di Dio? Facendo ricorso di ptimo acchito al catattere allegotico dei testi spirituali, alla metaforizzazione fatale, alla metonimiz- zazione inevitabile, interessandosi alla funzione poetica che s’i- scrive nel linguaggio degli autoti spirituali, pur senza farne ne- cessariamente un poema o un testo letterario, non si rinuncia troppo rapidamente a definire if linguaggio spirituale a partire dalle forme della lingua, e non s’identifica troppo immediata- mente la specificita di una parola spirituale con colui che ne fu autore, semplicemente perché & un maestro spirituale? 28 Forse alcune osservazioni che mi permetterd di enunciare su un testo spirituale scelto a bella posta — il Diario spirituale di Ignazio di Loyola —, senza pretendere di risolvere il problema qui sollevato, potrebbero suscitare una discussione ¢ provocare eventualmente studi o ricerche tali da superare la competenza raggiunta da questa conferenza inaugurale. In tal modo il Dia- rio spirituale di Ignazio fornirebbe almeno il pretesto necessa- rio per attirare l’attenzione su alcuni problemi che l’antropoio- gia dei maestri spirituali pud avere in comune con la linguistica generale, La presentazione del Diario spirituale di Ignazio pud essere breve. E formato da due quaderni autografi, uno di 27 pagine, Paltro di 24; il primo contiene appunti che vanno dal 2 febbraio al 12 marzo 1544, il seconde comprende una nuova serie di ap- punti che, consecutivi alla prima, terminano il 27 febbraio 1545. Per redigere le Costitezioni della Compagnia di Gest, Ignazio deve allora risolvere un problema che concerne il regime di po- verta del nuovo ordine religioso; e la sua ricerca di luce su que- sto punto riempie tutto il primo quaderno. Tale ricerca ¢ accompagnata lungo i giorni da un’esperienza mistica che testimonia in Ignazio una perpetua recettivitd delle volonta della santa Trinita attraverso la mediazione della Ma- donna, pet lo pid intorno alla celebrazione eucaristica. Che que- sto testo abbia interessato la teologia spirituale, tante edizioni, traduzioni e commenti bastano a documentarlo. Eppure il te- sto non ha niente di allegorico sul piano della parola; non adot- ta il linguaggic del matrimonio spirituale. La sua funzione poe- tica si limita a una passeggera allitterazione — «parte o puer- ta» (n. 31) —- oa stereotipi del genere «musica celeste» (n. 224). La lingua nel senso di codice presenterebbe forse un maggiot interesse per afferrarne il significato? Alcuni linguisti si sono gid interessati ai fatti di lingua conte- nuti in questo testo spirituale. I sistema dei fonemi e dei mor- femi, le strutture sintattica e semantica che lo sottendono, so- no legati al sistema della lingua castigliana in evoluzione; ma le numerose variazioni e oscillazioni riflettono la singolarita di un autore Ia cui lingua originaria é anche l’euskara e il cut lavo- to apostolico si svolge nella lingua italianizzante di Roma. D’al- tronde, questo stesso autore ha avuto accesso alla teologia spi- rituale tramite la lingua latina; & quanto tradiscono alcuni pre- stiti da tale lingua, per esempio «loquela» (n. 221), o un «Do- 29 minus scit» paolino (n. 65), o ancora l’uso di certe distinzioni scolastiche come «mediate vel immediate» (n. 102), tese a pre- cisare la natura di una visione della Trinit’, o l’enigmatica espres- sione «ad utramque partem» (n. 91)..., senza dimenticare un certo numero di citazioni liturgiche. Questo carattere fortemente idiolettale del Diario di Ignazio & rafforzato dall’accumulazio- ne di frasi nominali, di participi presenti e di infiniti (insieme, costituiscono pit del 7096 del materiale verbale) la cui conca- tenazione sintattica abbastanza spesso assicurata dal gergo sco- lastico. Ignazio non disconosce dunque I’«humus» della lingua. Per tradurre la sua avventura mistica, per dire l’indicibile, non de- sidera assicurarsi la padronanza della lingua mediante la sov- versione delle sue leggi. Eccettuata un’allitterazione del tipo «(la Madonna) che @ parte o porta di una cosi grande grazia» (n. 31), illettore del Diario non riuscir’ a scoprire altrove dei chia- ri ricorsi alla funzione poetica, che tuttavia é considerata da al- cuni indispensabile all’evocazione dell’esperienza mistica. Tutti i fatti di lingua nel Diario spirituale di Ignazio sono per- fettamente identificabili e catalogabili come elementi normati- vi o variabili di un dato sistema linguistico. Quindi, se tante frasi di questo Diario non ci consegnano apertamente Pinfor- mazione che veicolano, & perché ci mancano i referenti o le con- notazioni necessarie affinché possiamo co-produrne il senso. Ignazio consapevole di questa difficolta di lettura; ma ¢ bene ricordare che egli scriveva questo diario intimo su se stesso € per se stesso. Ecco perché il manosctitto del Diario porta in mar- gine al testo un certo numero di segni non-linguistici — grafe- mi in forma di doppi tratti, di croci, di sottolineature — di cui Ignazio non offre la chiave interpretativa. Quest’unica ragione, intimamente legata alla comprensione del testo stesso, & sufficiente ad impedire che vari brani del Diario spirituale ci trasmettano tutta l’informazione che ne attenderem- mo. Cosi, il 21 febbraio 1544, dopo aver ricevuto consolazione e gioia, Ignazio scrive: «Mi sembrava cosi importante risolvere quel nodo o quel qualcosa che non finivo pid di dire a me stes- so, parlando di me: chi sei?» (n. 63). In questa frase, T’assenza del referente — si tratta del problema trinitario o dell’incer- tezza circa la conferma della sua decisione in materia di pover- 2? — e la cancellazione di una connotazione precisa — quel «qualcosay — rendono, & vero, incerta la nostra lettura. Ma 30 Ignazio non ha deliberatamente voluto rendere enigmatica la sua lingua. Al contrario, le numerosissime cancellature conte- nute nel manoscritto provano il suo sforzo costante per dirsi con la maggior chiarezza possibile l’indicibile della sua esperienza mistica. Giaeché, lungi dal credere che occorra spezzare il meccani- smo linguistico e disertare il comunicabile per dire veramente Yesperienza mistica — secondo il principio che «qualsiasi lin- guaggio vero é incomprensibile » —, Ignazio sente il bisogno di esprimere con le risorse della lingua le «visite» (n. 127) della santa Trinita. Ne consegue per lui una lotta a vari livelli. E in primo luogo una difficolt’, o addirittura la percezione di una impossibilits a mettere per scritto la sua espetienza mistica. Cosi scrive il venerdi 15 febbraio 1544: «Alla consacrazione, ella (la Madonna) mi faceva comprendere che la sua carne @ in quella di suo Figlio, con intelligenze cos) grandi che sarebbe impossi- bile scriverlo» (n. 31). Una settimana prima, tuttavia, Ignazio aveva provato una tale soddisfazione per la maniera in cui aveva descritto una visione — contrassegnata con un doppio tratto — che confessava poi: «Rileggendo cid e trovando che era fedele, una nuova devozio- ne mi venne, non senza lacrime agli occhi» (n. 9). Ma alcuni giorni dopo !a luce é cos accecante e il beneficio ricevuto cosh grande che «non si possono esprimere» (n. 21). Talvolta Ignazio confessa a se stesso una sorta di disperazio- ne nei confronti della scrittura: «Sentendo il Figlio molto pro- pizio per intercedere, e vedendo i santi in maniera tale che non si pud scrivere, cosl come non si possono esprimere le altte co- se» (n. 27). La ragione di questa impossibilita non & certo la lingua in sé, ma Pintelligenza del mistero della santissima Tri- nita, che illumina lo spirito in tal maniera che la sua espressio- ne supera le possibilita di tutta una vita di studio (n. 52). Cosi Ignazio non pud «trovare né memoria né intelletto per spiegar- le o descriverle (le intelligenze) » (n. 185). Ma si rifiuta sino alla fine di ricorrere alla sovversione della lingua per comunicare il carattere inafferrabile delle visite della santa Trinita. Questo rispetto e questa fiducia nei confronti della lingua sono confermati da un altro fenomeno spirituale, menzionato nel Dia- rio d’Ignazio. Le visite della santa Trinita gli fanno «perdere molto spesso la patola» (n. 72), ma non la distruggono. In tutti i casi in cui Ignazio usa l’espressione «perdere la parola», evo- 31 ca la maniera in cui «s’intrattiene» con una persona divina, per esempio lo Spirito Santo, attraverso la «parola» liturgica del- Peucaristia (n. 14). Durante la celebrazione eucaristica, 2 per lui una cosa cui aderisce volentieri il «trattenersi dal parlare quan- @era possibile» (n. 7); pid spesso, tuttavia, gli capita di non poter «prendere la parola senza perderla, con molte intelligen- ze spirituali» (n. 27). IL 17 febbraio 1544 Ignazio nota che ha perduto spessissimo la parola, «soprattutto durante tutta Ja lunga epistola di san Paolo che comincia con le parole Jibenter suffertis insipientes» (n, 40). Certamente si trattava della domenica di Sessagesima. I fenomeno che evochiamo non & mai trattato da Ignazio in modo sistematico; ma cid che ce ne dice sembra con- durre a un’ alternativa: o la visita della santa Trinita si compie nella parola, o essa fa perdere tale parola. Tt 14 febbraio Ignazio menziona i due modi di visita senza alcun commento: «Spessissimo, non potendo prendere Ja paro- la senza perderla, con molte intelligenze spirituali. Trovando grande accesso presso if Padre nel nominarlo come lo si nomina nella messa...» (n. 27). L’indomani «una dolcezza interiore» & avvertita «pronunciando i! nome dell’eterno Padre» (n. 28). E appunto in ragione della visita che si compie nella parola — «ad ogni parola per nominare Dio, Dominus» (n. 164) —, sant’I- gnazio grida il 22 febbraio: «Non sono degno d’invocare il no- me della santissima Trinita» (n. 64). Da quando alla Storta il Padre ha messo Ignazio «con il Fi- glio» (n. 67), 2 noxmale che il nome di Gest prenda un posto particolare nella parola «visitata» dalla santa Trinita. Questo nome «s’imprime talmente in me» (n. 68), egli scrive, che sem- bra suscitare il 23 febbraio «una parola ¢ un movimento inten- so dall’interno» {n. 69}. Il giorno seguente, «la rappresentazio- ne del nome di Gest» perdura (n, 71), con «risposte spirituali» (n. 72). Cid che non eta detto riguardo al nome del Padre & detto allora a proposito di quello del Figlio. Questi, attraverso la pa- rola, «si comunica» a Ignazio (nn, 73, 76), E la patola che Ignazio ptonuncia nella liturgia si trasforma nella parole di Gest: il Con- fiteor Deo di Ignazio assume, nel vangelo del giorno (n. 71), 1a pienezza del Confiteor tibi di Gest. Di conseguenza, quando Ignazio dice la sua preghiera al Padre, ¢ Gesii che non soltanto la presenta ma ’accompagna (n. 77). In tal modo, ¢ ugualmen- te nelle parole che non appattengono alla liturgia, Ignazio rice- ve delle visite della santa Trinit& (n. 178). 32 Pit la santa Trinita é raggiunta da Ignazio come il Tutto, me- no, cosi sembra, la visita «discende alla formula» del testo li- turgico: «Ma avevo l’impressione di una visita interiore che si svolgeva tra il loro soggiorno lassi ¢ la formula» (n. 127). Inve- ce di discendere nella parola, la visita rende talvolta difficile addirittura di pronunciare le prime parole della messa (n. 101). Ma, durante la messa, la visita significa spesso «la perdita della parola» (n. 166). 3. La presenza della

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