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Strategic Management Planning For Domestic Global Competition Pearce 13th Edition Test Bank
Strategic Management Planning For Domestic Global Competition Pearce 13th Edition Test Bank
Strategic Management Planning For Domestic Global Competition Pearce 13th Edition Test Bank
Chapter 01
Strategic Management
Difficulty: Easy
Learning Objective: 1
2. (p. 3) Which of the following is NOT a part of a firm's immediate external environment?
A. Technological development
B. Competitors
C. Suppliers
D. Government agencies
Difficulty: Easy
Learning Objective: 1
Difficulty: Easy
Learning Objective: 1
1-1
Chapter 01 - Strategic Management
4. (p. 3) The _______ comprises economic and social conditions, political priorities and
technological developments, all of which must be anticipated, monitored, assessed and
incorporated into the executive's decision making.
A. Remote external environment
B. Task environment
C. Operating environment
D. Internal environment
Difficulty: Easy
Learning Objective: 1
5. (p. 3) The set of decisions and actions resulting in the formulation and implementation of
plans designed to achieve a company's objectives is defined as:
A. Strategic policy
B. Business policy
C. Strategic management
D. Tactics
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
6. (p. 3) Strategic management compromises nine critical tasks. Which of the following is NOT
one of the tasks?
A. Development of annual objectives compatible with grand strategies
B. Assessment of the company's external environment
C. Selection of a particular set of long-term objectives and grand strategies
D. Evaluate the success of the strategic process
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
1-2
Chapter 01 - Strategic Management
7. (p. 4) Strategic management involves the _____, directing, _____ and controlling of a
company's strategy-related decisions and actions.
A. Financing; marketing
B. Planning; financing
C. Marketing; planning
D. Planning; organizing
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
8. (p.4) Large-scale, future-oriented plans, for interacting with the competitive environment to
achieve company objectives refers to its
A. Strategy
B. Goals
C. Competitive analysis
D. Dynamic policies
Difficulty: Easy
Learning Objective: 2
Difficulty: Easy
Learning Objective: 2
Difficulty: Easy
Learning Objective: 2
1-3
Chapter 01 - Strategic Management
11. (p. 4) A(n) _____ reflects a company's awareness of how, when and where is should
compete, against whom it should compete and for what purpose it should compete.
A. Vision
B. Organizational structure
C. Strategy
D. Long-term objective
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
12. (p. 4) A(n) strategy reflects a company's awareness of how, when and where is should ____,
against whom it should _____ and for what purpose it should _____.
A. cooperate
B. ally
C. compete
D. plan
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
Difficulty: Easy
Learning Objective: 2
1-4
Chapter 01 - Strategic Management
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
Difficulty: Medium
Learning Objective: 2
16. (p. 4-5) Some business decisions are strategic and therefore deserve strategic management
attention. Which of the following is one of the six strategic issue dimensions?
A. Requires front-line employee decisions
B. Is not likely to have a significant impact on long-term prosperity of the firm
C. Necessitates considering factors in the firm's external environment
D. Is spontaneous
Difficulty: Medium
Learning Objective: 3
1-5
Chapter 01 - Strategic Management
Difficulty: Easy
Learning Objective: 3
Difficulty: Hard
Learning Objective: 3
19. (p. 5) Strategic decisions are based on what managers _____, rather than on what they
_____.
A. Forecast; know
B. React to; anticipate
C. Know; forecast
D. Compromise with; analyze
Difficulty: Hard
Learning Objective: 3
1-6
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quanti beni avete confiscato in Calabria, quanti insorgenti giustiziati.
Niente perdono; fate passar per le armi almeno seicento rivoltosi,
bruciare le case de’ trenta principali d’ogni villaggio, e distribuite i
loro averi all’esercito. Mettete a sacco due o tre delle borgate che si
condussero peggio: servirà d’esempio, e restituirà ai soldati l’allegria
e la voglia di operare» [111].
E perchè un far simile doveva necessariamente procacciare nemici,
e quindi paure, gli soggiungea: — Vi fidate troppo de’ Napoletani.
Occhio alla vostra cucina; non abbiate che cuochi e scalchi francesi;
sempre in guardia a Francesi; di notte non entri a voi se non il vostro
ajutante di campo, che deve dormire nella camera precedente; e
anche a lui non dovete aprire se non dopo ben riconosciutolo; ed egli
non deve battere alla vostra porta se non dopo chiusa la sua».
Vedete, o oppressi, che i vostri oppressori non dormono tutti i sonni.
La pace di Lunéville aveva scomposto l’impero germanico, e tolta la
supremazia dell’Austria, in cui vece si formò una confederazione del
Reno sotto la protezione di Napoleone (1805 12 luglio); sicchè
Francesco II, «non sentendosi in grado di corrispondere alla
confidenza degli elettori e dei principi, e di soddisfare ai doveri di cui
era incaricato», rinunziò alla corona germanica, che così cessò
d’esistere; e in quella vece eresse ad impero gli eterogenei Stati
ereditarj della sua Casa, e non più Francesco II di Germania, ma
s’intitolò Francesco I imperator d’Austria. La Germania, fremendo del
sentirsi serva allo straniero, e trovandosi abbandonata dall’Austria,
fece capo alla Prussia, e insorse a nome della libertà nazionale: ma
nella battaglia di Jena Napoleone sfasciò la monarchia prussiana, e
andò a troneggiare nella reggia di Berlino (1806 14 8bre), come già
in quella di Vienna; poi menò i soldati di Francia e d’Italia sotto al
rigido settentrione nel cuore dell’inverno per sconfiggere i Russi ad
Eylau e Friedland. Il colloquio di Tilsitt lo riconcilia con Alessandro
czar; e i due giovani ambiziosi s’accordano di rinnovare l’uno
l’impero d’Occidente, l’altro quello d’Oriente: intanto Napoleone si fa
assicurare le Bocche di Cataro e le isole Jonie, compendio
dell’eredità dell’uccisa Venezia.
Non contento delle opere di leone, volle ricorrere a quelle di volpe,
ciuffando il trono di Spagna per sostituirvi un re della sua razza. E fu
Giuseppe, al cui posto in Napoli destinava il generale Murat, come
appunto si cambierebbero le sentinelle d’un posto, senza sentire nè
il popolo cui toglieva, nè quello cui dava questi fantocci di re.
Giuseppe se ne andò nè rimpianto nè insultato, e da Bajona diede
una costituzione (1808 20 giugno) per le Due Sicilie, ma senza
garanzie, e vantatrice fra le miserie [112]. La Spagna, mercè delle
istituzioni comunali e di quel cattolicismo che, a sentire certi uni,
credono causa dell’indebolimento degl’Italiani, aveva conservato un
vigore primitivo; e insorse contro l’oppressore con una risolutezza,
inaspettata dall’Europa, avvezza a non considerar la libertà che sotto
le forme francesi, e che allora si avvide come dalle bande popolari
potrebbe essere fiaccato l’indomabile vincitore degli eserciti regj, il
quale in sei campagne dal 1808 al 1814 vi sacrificò centomila uomini
all’anno.
Gioachino Murat nasceva alla Bastide sul pendio dei Pirenei; dal
mestiere paterno di oste passò soldato nell’87; e la migrazione degli
ufficiali nobili gli schiuse il passo ai primi gradi. Ben presto si segnalò
in Italia, sostenne or il coraggio or le imprese di Buonaparte, di cui
sposò la sorella Carolina; salì col salire di lui; fu intitolato granduca di
Berg e di Cleves; mandato a conquistar la Spagna, avea creduto
cogliervi un trono, del quale parvegli inadeguato compenso quello di
Napoli e la dignità di grand’ammiraglio dell’impero. Eccellente in
attacco e in una pompa più che nel governare, bello, entrante,
manieroso, tutto sfarzo di pennacchi e decorazioni, piaceva più che
non fosse amato. Giurò egli lo statuto di Bajona, ma non l’effettuò
mai, almeno quanto il convocare il Parlamento: pure, entrato appena
(6 7bre), rallenta molti rigori dello stato di guerra, cresce le rendite
alla cappella di san Gennaro, visita l’ospedale e regala, scioglie i
disertori ed i carcerati per piccoli delitti, e i sequestri sui migrati in
Sicilia, sollecita la liquidazione del debito pubblico e le paghe ai
soldati vecchi; fa attuare i codici francesi e le leggi abolenti la
feudalità; sopprime i monasteri possidenti, non quei mendicanti;
vietato ai vescovi di non stampar pastorali senza regia
approvazione; società d’agricoltura in ogni provincia, con terreno per
esperimenti, e a Napoli un giardino botanico; riservata la coltivazione
del tabacco. Molte opere pubbliche si compiono, e principalmente la
bella strada da Mergellina a Posilipo, il campo di Marte, la casa de’
pazzi in Aversa, l’osservatorio astronomico. Estinse 57 milioni del
debito con possessi nazionali, ma moltissimi ricusarono riceverli
come di illecita provenienza: molti altri ne distribuì a Napoletani e
stranieri per farsene appoggio. Carezzava i militari, carezzava i
baroni e chiunque portasse un titolo: ma il popolo ne restava
sagrificato; e i soldati, sentendosi necessarj, divenivano licenziosi,
insolenti, e col pretesto di trame e d’accordo coi briganti vessavano
la quieta popolazione.
Tutto armi egli stesso, e conoscendo unico merito il guerresco, per
secondare e imitar l’imperatore voleva avere molti soldati, e
coscrivendo due uomini per mille, senza le antiche esenzioni della
città di Napoli e d’alcune famiglie, ne ebbe 60,000 di regolari, 20,000
di guardia nazionale; moltiplicati i gradi, pomposissime le divise, e
continue mostre, e scuole di genio e d’artiglieria; ma poi non sapeva
esigere l’obbedienza, perchè egli stesso nè imperava risoluto, nè
sottomettevasi alle leggi. Non si rassegnò come Giuseppe
all’indecorosa vicinanza degl’Inglesi, e assalita Capri difesa da
Hudson Lowe, futuro carceriere di Napoleone, venne a capo di
prenderla.
Più gli doleva portare il titolo di re della Sicilia, mentre questa restava
ai Borboni; e tra per dignità di re, tra per imitare lo sbarco meditato
da Napoleone a Boulogne, divisò una spedizione contro la Sicilia.
Grandi preparativi fece in Calabria; grandi gl’Inglesi sull’altra sponda;
e guerra da briganti cominciò anche sul mare, con gran sangue,
grande spesa e nessuna conclusione. Ne prendeano spirito in
Calabria i briganti, e Gioachino pronunziò ordini ferocissimi; i beni
dei loro capi fossero venduti per compenso ai danneggiati e premio
agli zelanti; i soldati borbonici sarebbero trattati come ribelli; in ogni
Comune si facesse una lista de’ briganti, e qualunque cittadino
dovesse arrestarli, le commissioni condannarli compendiosamente:
e le liste mostrarono esser tanti, che sciagura se avessero operato
d’accordo! Responsali i Comuni dei danni arrecati nel loro territorio;
si arrestavano i parenti dei briganti e i loro fautori, parola di
spaventoso arbitrio; si esercitava contro di essi una caccia da
selvaggi, spezzando ogni legame di natura. Guaj a chi li ajutasse o
nascondesse! guai a chi non li rivelasse! D’un padre fu preso l’ultimo
supplizio per aver dato pane al figlio brigante: la moglie d’un altro,
dopo aver partorito, va affidare il neonato a una donna di Nicastro, e
questa n’è denunziata e messa a morte. Il generale Manhés faceasi
fiero esecutore dei fieri ordini, con supplizj spettacolosi e feroci,
ch’essi incontravano con intrepidezza.
Infine gl’insorgenti furono parte sterminati, gli altri ridotti a tacere ed
aspettare; allora si potè sistemare la giustizia, moderare la polizia,
attuare le riforme decretate, e principalmente l’abolizione della
feudalità col dividere e assegnare i beni a privati o a Comuni, senza
troppo farsi coscienza d’ingiustizia e d’abusi.
Non per questo rimase sicuro il regno, e sempre durò lo stato di
guerra civile cogli orrori che lo accompagnano; e la maschera di
partito toglieva vergogna ad infamie inarrivabili. Gli Inglesi
mandavano in Sicilia denari e truppe, e di 400,000 lire annue
sussidiavano la Corte: eppure riprovavano il brigantaggio che in
Calabria si manteneva a nome di Ferdinando, levarono ogni
protezione a chi si rendesse colpevole di delitti, poi si dolsero
dell’aggravio dell’un per cento messo su tutti i contratti, e che
sconcertava i negozianti inglesi; anzi essendosi, per una trama a
Messina, arrestate molte persone di basso stato, e voluto estorcerne
la confessione mediante le basse prigioni che ivi chiamano
dammusi, e i ferri infocati ai piedi e le funicelle alle tempia, gl’Inglesi
non vollero tollerare tali sevizie in un forte da loro presidiato, e non
mancò chi nel Parlamento britannico chiamasse quello il peggior
Governo e il più oppressivo. Frasi che ripeteronsi quando giovò,
smentironsi quando giovò.
Rottasi la guerra del 1809, Steward e Carolina, sempre in occhio a
ricuperare la terraferma od almeno turbarla, mandarono in Calabria
sessanta legni da guerra e ducentosei da trasporto, quattordicimila
uomini di sbarco, oltre i briganti buttati in varj punti sotto lo Scarola, il
Bizzarro, il Francatrippe e altri nomi scherzosi o spaventevoli.
Gioachino avventurò la sua debolissima flottiglia contro l’inglese
(1809 25 luglio); Napoli vide fiera mischia nel suo golfo; ma memore
di Nelson, respinse con estremo sforzo gl’irreconciliabili Borboni.
Gl’Inglesi sbarcano a Procida; ad Ischia trovano resistenza, a Scilla
sono rituffati in mare: ma essi tentano pigliar terra sulle coste
Adriatiche, spingono masnade fino a Roma, dove Miollis stava in
gran punto se Gioachino nol soccorreva. La vittoria di Wagram
disperò gli assalitori; ma rimasero a migliaja i briganti in Puglia, nella
Basilicata, nella Calabria, attizzati da Carolina, che per lusso e per
corrompere vendeva fin le gioje della Corona e intaccava l’erario.
Per opporsi ai preparativi di Gioachino si chiesero straordinarj
sussidj al Parlamento siciliano (1810 15 febb.), il quale decretò
793,000 onze l’anno, oltre le 328,000 di contribuzioni indirette, e i
beni sequestrati a stranieri che ne rendeano 200,000. Ma di
quell’occasione si valse il Parlamento per domandare al re la riforma
del codice criminale e di abolire le servitù prediali. Poi non bastando
le percezioni, il re ne mise di nuove, senza il voto di esso
Parlamento; donde gravi lamentanze, e arresto de’ più arditi
reclamanti, e odio contro il cavalier Medici, succeduto al morto Acton
nel favore della regina.
Bentinck, generale inglese e liberale, interpostosi invano, ne informò
il suo Governo; dando sospetto che Carolina, divenuta zia di
Napoleone per la moglie, pensasse avvicinarsi a questo, cacciar
gl’Inglesi dall’isola, e aprirla ai Francesi; onde il Governo inglese
ordinogli d’occupar militarmente l’isola per mettervi la tranquillità.
Bentinck, che odiava Carolina, lo eseguì con durezza (1811); e
Ferdinando non potendo resistere alle domande di lui, si ritirò,
destinando vicario il figlio Francesco. Questi revocò i baroni sbanditi,
mutò i ministri, convocò un Parlamento, da cui fu compilata una
costituzione. Era foggiata sul modello inglese: non si potessero far
leggi o mettere tasse che dal Parlamento, composto di 61 pari
spirituali e 124 laici, e di 154 deputati de’ Comuni, eletti per quattro
anni con certe condizioni di censo; indipendente il regno,
quand’anche il re ricuperasse la terraferma; non censura; abolita la
feudalità e le angherie [113]. Con ciò e coll’assumere il comando
militare, Bentinck conservava la pace in Sicilia; e quel Governo
libero, quantunque snobilitato dall’ingerenza forestiera, tolse
l’onnipotenza delle spie, la baldanza dei sicarj. Gl’Inglesi
spendevano profusamente; commercio faceasi vivissimo, come
emporio al contrabbando di tutto il Mediterraneo; molti paesi in prima
sottoposti alle bandite, fruttarono riccamente; cessavano infiniti
legami della proprietà e servigi di persona.
Intanto che la Sicilia godeva questa superficiale prosperità, la
terraferma era sommossa da sêtte, varie di ordinamento e di scopo,
quali intente a rintegrare Ferdinando, quali a fargli cedere anche la
Sicilia mediante un compenso, quali all’assoluta indipendenza
d’Italia. Fra questi ultimi furono i Carbonari.
Derivavano essi dai Franchimuratori, e di questi adottarono alcuni riti
e la gerarchia; non si limitarono però come loro alla beneficenza e a
godimenti, ma tolsero per iscopo l’indipendenza nazionale e il
Governo rappresentativo.
Il principe di Moliterno, antico repubblicano, suggeriva agl’Inglesi,
che unico modo di prevalere a Francia era il dichiarare l’unità e
l’indipendenza d’Italia. E non ascoltato appunto perchè
repubblicante, si pose in Calabria a capo d’un’antica banda,
diffondendo le stesse idee, secondato anche dalla regina e al tempo
stesso ascoltato dai Carbonari; de’ quali alcuni s’acconciarono alle
lusinghe della Corte che prometteva una costituzione; altri, fedeli a
un simbolo più puro, stabilirono una repubblichetta a Catanzaro sotto
un Capobianco. La polizia illusa favorì la setta; per quanto il conte
Dandolo dal regno d’Italia la denunziasse a Murat come minacciosa
ai troni: onde quella si propagò per la sua sistemazione mirabilmente
diffusiva, e per la più mirabile arte de’ Napoletani a conservare il
secreto; ed abbracciando anche il resto della penisola, divenne
stromento di future mutazioni.
I patrioti studiarono usufruttare la mal dissimulata ambizione di
Murat, il quale porse orecchio alle loro insinuazioni, ma le tenne in
petto finchè Napoleone potente: pure lasciava intendere che
potrebbe aver bisogno della loro cooperazione, che solo quel
despoto impedivagli di rendere nazionale e indipendente il suo
Governo.
CAPITOLO CLXXXI.
Ostilità col papa.