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Bahar Ve Kelebekler 1st Edition ÖMer Seyfettin Full Chapter Download PDF
Bahar Ve Kelebekler 1st Edition ÖMer Seyfettin Full Chapter Download PDF
Seyfettin
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TÜRK EDEBiYATI KLASiKLERİ- 45
1ÜRK EDEBİYATI
ÖMER SEYFETIİN
TOPLU HİKAYELERİ-1
BAHAR VE KELEBEKLER
EDİTÖR
RÜKEN KIZll.ER
GÖRSEL YÖNETMEN
BİROL BAYRAM
DÜZELTİ
MUSTAFA ÇOLAK
ISBN 978-625-405-021-3
BASKI
SENA OFSE T
MALTEPE MAH. LİTROS YOLU SOK. NO: ı./4 İÇ KAPI N0:4NB9
ZEYTİNBURNU İSTANBUL
(0212) 613 38 46
Sertifika No: 45030
Hikaye
toplu hikayeleri-I
(1902-1911)
bahar ve kelebekler
ÖMER SEYFETIİN
TORKIYE $BANKASI
Kültür Yayınları
İçindekiler
Pembe Menekşe ..
. .. . ... ..... . ···················· ························-···· - - - 13
·············-···- - - --
VII
Omer Seyfettin
VIII
Onsöz
IX
Ömer Seyfettin
Engin Kılıç
X
Tenezzühı
Gezinti. Ömer Seyfettin hatıra larında bu hikaye için şunları söylüyor: "ilk
hikayem tam on altı sene evvel Sabah gazetesinde çıkmıştı. Unvanı 'İhriya
rın Tenezzühü'ydü. O vakitki sansüre uydurmak için, erkek olan kahra
manımı kadın yapmışlar, padişaha yorulmasın diye içinde bir tane olsun
'ihtiyar' kelimesi bırakmamışlardı."
Ömer Seyfettin
2
Tenezzüh
(İmzasız)
3
Kır Sineği
6
Buse-i Mader1
ı Anne öpücüğü.
7
Ömer Seyfettin
ıı
Hediye...
9
Omer Seyfettin
(Fr.) Gül!
10
Hediye...
11
Pembe Menekşe
13
İlk Namaz
1 Kdnunusani 3201
ı 14 Ocak 1905
2 İkinci fecir ya da fecr-i sadık, sabaha karşı doğu ufkunda yayılmaya başla
yan beyaz aydınlıktır. Bundan önce birinci fecir ya da fecr-i kazip gelir, yani
kısa süreli bir aydınlıktan sonra tekrar karanlık çöker. Sabah namazınııı
vakti, ikinci fecirle başlar.
15
Ömer Seyfettin
17
Omer Seyfettin
20
Sahir'e1 Karşı
Celal Sahir Erozan ( 1883-1935): Ömer Seyfettin'in dostu, şair, yazar, ya
yıncı, politikacı.
ı Bırakılmış, terk edilmiş, kullanılmayan.
.ı Bir kimsenin ölümünden sonra onun iyiliklerini, meziyetlerini ve ölünıiiıı
den duyulan acıyı dile getirmek için yazılan manzume, ağıt.
4 (Fr. velocipede) Bisiklet.
21
Ömer Seyfettin
Bahr: Aruzda asli bir vezinle ondan doğan vezinler bütünü. Bahr-i hafif:
Failatün (feilatün), mefailün, feilün (fa'lün).
ı Bahr-i hezec (neşeyle şarkı söyleme): a) Mefailün, mefailün, mefailün,
mefailün b) Mefailün, mefailün, fefılün c) Mefailün, fefılün, mefailiin,
fefılün d) Mef'fılü, mefailün, mef'fılü, mefailün e) Mef'fılü, mefailü,
mefailü, fefılün f) Mef'fılü, mefailü, fefılün.
Bahr-i muzari (benzeyen): a) Mef'fılü, faihitü, mefailü, failün h) Mcf'iıhi,
failatün, mef'fılü, failatün.
23
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nella società pagana; talchè sul papa ricadeano anche le colpe o i
difetti del principe. Gregorio XVI, ancora monaco, avea scritto il
Trionfo della santa Sede, dove, zelando la primazia pontifizia, in
nome del cristianesimo proclama il diritto delle nazionalità. Un
ingiusto conquistatore, con tutta la sua potenza, non può mai
spogliare dei suoi diritti la nazione, ingiustamente conquistata. Potrà
con la forza ridurla schiava, rovesciare i suoi tribunali, uccidere i suoi
rappresentanti; ma non potrà giammai indipendentemente dal suo
consenso o tacito o espresso, privarla de’ suoi originali diritti
relativamente a quei magistrati, a que’ tribunali, a quella forza cioè
che la costituiva imperante (pag. 37).
Fervoroso per la causa di Dio e la santa maestà del dogma, secondò
le reviviscenze gerarchiche, infervorò i parroci ne’ doveri religiosi, e
cercò opporsi alle ripullulanti eresie; santificò Alfonso Liguori,
Francesco di Geronimo gesuita, Giuseppe della Croce minorita,
Pacifico da San Severino minor osservante, Veronica Giuliani
cappuccina; altri italiani beatificò; accelerò la ricostruzione
dell’incendiato San Paolo [38]; conchiuse concordati col re di
Sardegna, per cui lasciavasi al fòro secolare la cognizione dei crimini
di ecclesiastici, mentre i delitti, eccetto quei di finanza, restavano di
competenza curiale, e nei casi capitali fosse comunicato il processo
al vescovo che deve degradare il condannato. Anche al duca di
Modena consentì che le cause meramente civili fra ecclesiastici e
laici si portassero al fôro secolare, e così i delitti di lesa maestà,
sedizioni o contrabbando, intervenendovi però un deputato del clero;
e per le pene capitali deve il vescovo conoscere il processo
originale: del resto integrava i pieni diritti pontifizj e vescovili, ed
aboliva le restrizioni ai possessi di manomorta. Ebbe a lottare colla
Spagna che tolse i beni al clero e la nunziatura, col Portogallo a
proposito dell’istituzione canonica dei vescovi, colla Svizzera per la
soppressione dei conventi d’Argovia, e così coll’America
meridionale: e mentre da un secolo i papi non avean mostrato vigore
che col soffrire, Gregorio uscì dalla posizione meramente passiva
per mostrare la fronte ai persecutori subdoli o prepotenti. Animato
dalla coscienza cosmopolitica del supremo sacerdozio, scomunicò i
fautori della tratta dei Negri. A proposito de’ matrimonj misti parlò
alto al re di Prussia; e avendo questo incarcerato l’arcivescovo di
Colonia, esso il denunziò a tutta la cristianità per modo che il
persecutore dovette chinarsi. Approvò la rivoluzione dei Belgi perchè
eccitata da persecuzione religiosa; ma allorchè alla Polonia sollevata
contro la Russia scismatica rammentò l’obbligo d’obbedire, parve
insultare a un cadavere. Al tempo stesso egli ricorse al czar perchè
trattasse meglio i Cattolici, e adempisse le promesse fatte loro: ma il
czar non che badarvi, adoprò seduzione e persecuzioni per unificare
l’impero anche nelle credenze. Corse anche voce, e un opuscolo
pubblicato da persona a lui vicina parve confermarlo, che l’imperator
Nicolò si credesse il vero rappresentante dell’impero romano, e in
conseguenza il capo di tutta la cristianità nel religioso come nel
politico. La sua forza già gli attribuiva predominio sui re; rimaneva di
ridurre a una sola le due Chiese, latina e greca; ossia, considerando
questa come l’unica vera, e la latina come scismatica, questa
richiamare all’unità sotto di lui, unico papa. A tal fine erano dirette le
persecuzioni ai Cattolici, mediante le quali molti preti e intere
provincie fece apostatare, di orride persecuzioni punendo chi
reluttasse. Il papa le espose in una relazione (1842), che fece
inorridire il mondo. Essendo poi il czar passato per Roma nel visitare
sua moglie che miglior salute cercava a Palermo, Gregorio, invece
delle blandizie profusegli dai principi, gli fece severi raffacci delle
sevizie usate ai Cattolici, intimandogli: — Fra breve noi compariremo
al tribunale di Dio; e non oserei sostener la vista del mio giudice se
non difendessi la religione, della quale io sono il tutore, voi
l’oppressore». Quelle minaccie non uscirono vane, e provarono
quanto un pontefice possa ancora sul mondo allorchè tuteli la verità
e l’innocenza, scevro da interessi mondani e da grette paure.
Chi conobbe Gregorio nell’intima vita, lo trovò di consuetudini
semplici, e gusti fin vulgari; facile alle udienze, studioso anche sui
libri nuovi che gli si lasciassero arrivare; ai parenti non diede nè
ricchezze nè cariche, mentre debolmente condiscendeva al
cameriere Gaetano Moroni, che blandito con titoli e decorazioni dai
re e fin con applausi letterarj, subì la responsalità di quanti errori
allora si fecero. Piovvero epigrammi su quest’amicizia, e
sull’ubriacarsi del papa e su altre baje, dove non era di vero se non
la debolezza di un vecchio e frate.
Di costituzione, di bilancio, degli altri arzigogoli estranei alla teologia
ed esotici nel regno di Dio, nulla intendeva, sicchè bisognava
lasciasse fare ai ministri e alle circostanze, per cui colpa le riforme
promesse nel 1831 riuscirono a nulla o a male. Quelle imperfette
concessioni guardava il Governo come estorte, e voleva eliderle;
impacciava le amministrazioni comunali coll’intervento governativo;
gl’impieghi conferiti a laici nelle Legazioni furono ritolti; il
regolamento del 1835 metteva norma ai giudizj il diritto comune,
moderato dal canonico, e senz’abolire gli statuti locali. La giustizia
era corruttibile non solo, ma esposta agli arbitrj de’ superiori, e alle
interminabili restituzioni in intero. Commissioni militari erigevansi ad
ogni attentato contro la sicurezza pubblica, sinchè non vi venne
sostituita la Consulta, che, con norme eccezionali anch’essa, dava il
difensore, ma scelto fra quattro proposti dal Governo, e vincolato al
secreto; testimonj e giudici lasciava ignoti al reo.
Le riforme amministrative si riduceano a una maggior regolarità di
protocolli, insegnata da un magistrato austriaco (Sebregondi), a tal
uopo deputatovi; e al crescere gl’impiegati, parassita aggiunta alle
altre: crebbero fuor modo le ruberie e le venalità, l’onnipotenza
degl’intriganti, l’assolutezza moltiplicata quanti erano i potenti, quanti
i domestici del papa. Il debito, lasciato o causato dalla rivoluzione del
31, era ben lungi dall’essere spento dalle tasse nuove e da altri
compensi; tanto più che tutti dilapidavano, e il lusso governativo
cresceva, e il cardinal Tosti tesoriere non sapeva asciugar pozza che
col farne un’altra, tanto da non fallire [39]. Le opere pubbliche
volgeansi al fasto, più che all’utile: e il viaggiatore, gemente su
quelle incomparabili ruine, domandava perchè piantagioni e coltura
non tornassero sane e ubertose le circostanze di Roma, perchè
vaporiere non risalissero il Tevere, perchè strade ferrate non
congiungessero coi due mari la metropoli della cristianità.
Peggio andava nel morale; ed oltre la Polizia, una ciurma
ammantavasi di devozione al Governo per trasmodare contro le
opinioni opposte. Il papa nol sapeva, chè de’ favoriti suoi era cura
non gli si ragionasse di affari, talchè rimanea persuaso che ogni
cosa andasse nel meglio possibile. Vollero ribadirgli questa
persuasione col fargli intraprendere uno di que’ viaggi (1841), in cui il
principe non riceve se non riverenze e trionfi, gli si lasciava solo il
tempo di visitar chiese, monumenti, istituti pubblici parati ad inganno,
e uomini disposti a staccare i cavalli e tirar la carrozza, e quella turba
di cittadini che s’affollano sulle strade o nelle anticamere,
applaudendo se vulgo, petizionando se civili. Ne riportò dunque
l’idea della beatitudine universale; e intanto lo scontento delle
Legazioni, già preveduto dai diplomatici nel 1831, fu portato al colmo
dal non averle egli visitate; e massimamente a Bologna preferivasi
palesemente la dominazione austriaca [40], perchè forte, di truppe
disciplinate, d’incorrotta giustizia, di tutto quel bene che l’odio del
proprio fa supporre ne’ Governi altrui. Al fine del 36 i Francesi si
erano ritirati da Ancona, i Tedeschi dalle Legazioni, lasciando
sentimenti opposti, ma accordantisi nell’avversione al dominio
papale.
Anche ai miglioramenti non faceasi buon viso; e quando fu
pubblicata la riforma giudiziaria, non solo avvocati e tribunali la
combatterono così, che fu duopo sospenderla, ma una stampa
clandestina diceva: «È dell’onor nostro il resistere. Niuna
transazione con Roma». Anche voti ragionevoli si mormoravano, e
tratto tratto si gridavano in tono di rivolta; ma le insurrezioni tentate
ripetutamente diedero ragione a repressioni vigorose, tanto più che
spesso la causa degli insorgenti confondeasi con quella de’
masnadieri, cronico morbo al paese.
Un Renzi riminese, reduce di Francia dove avea mestato nelle
combriccole, mandato o fingendosi dai liberali di Romagna, e
affiatatosi con altri ricoverati in Toscana, indusse a fare una protesta
armata per sostenere un’altra scritta dal dottore Farini, intestata
Libertà civile, Governo secolare, Ordine pubblico. Avuto compagni
ed arme, il Renzi sbucò da San Marino, e occupò Rimini; ma poichè
nessuna città rispose, i soldati svizzeri gliel’ebbero prontamente
ritolta, ed egli con cencinquanta rifuggì in Francia traversando
Toscana. Stolto tentativo; eppure se ne fece un gran parlare, e valse
a fissare gli occhi d’Europa sopra le domande de’ Papalini, in gran
parte sensate ed effettibili. Tolse a sostenerle il piemontese Massimo
d’Azeglio, che, nei Casi di Romagna, riprovando risolutamente le
congiure, le manifestazioni di piazza, le insurrezioni, insieme
mostrava come unica via di evitarli il governar bene, svellere gli
abusi, concedere le riforme necessarie.
La Polizia rabbrividì quando non si trovava più a fronte sediziosi da
incarcerare, ma ragioni da ribattere; non minacciata la religione, non
i possidenti, nè tampoco il Governo, ma gli abusi, le turpi passioni e
l’inerzia negativa; non imposte nuove concessioni, ma rammentato
voti già espressi nel 1832 dalle Potenze che si chiamano tutrici della
servitù, poi dimentichi a segno, da parer adesso novità [41]. Il
Governo rispose al manifesto, parte negando o attenuando que’ fatti,
parte mostrando o ingiuste o improvvide le domande, parte
denigrando i sovvertitori; e sebbene dicesse molte verità, ognun sa
quanto poco vagliano le difese, tanto più quelle d’un Governo contro
un nome divenuto popolare. Cresceano dunque i fremiti; e come in
Lombardia formolavansi nella cacciata degli stranieri, così qui nella
parola di secolarizzazione.
Un principe a tempo, scelto per lo più in vecchiaja, tra una classe
aliena per istituto dagli affari temporali; scelto, aggiungiamo, a
preferenza per le virtù che continuino la serie di tanti virtuosi, e
rendano servigi alla Chiesa universale, deve riuscire men proprio a
governare il paese quanto più l’istituzione ecclesiastica si rende
piamente austera ed esemplare; insomma peggiora per quelle
condizioni di moralità, per le quali gli altri Governi unicamente
possono perpetuarsi. Di qui la necessità di stabili istituzioni, le quali
possano in qualunque caso dirizzare i consigli sovrani. E tanto più
che negli interregni l’anarchia diventa regola, sconnettendosi ogni
autorità, e riagendosi contro chi era stato potente: sicchè il Governo
che sottentra deve ripristinare l’obbedienza, effetto sempre
scabrosissimo e viepiù con gente nuova com’è quella messa in
posto dal nuovo pontefice, di cui è consuetudine, se non obbligo, il
dare lo scambio ai ministri del predecessore.
Roma da un pezzo non ha municipalità, l’amministrazione della città
confondendosi collo Stato, e rammentandosi con ribrezzo i tempi
quando ancora il Comune di Roma osteggiava i papi, e li cacciava
ad Avignone. L’avere il Consalvi concentrato moltissimi affari nella
segreteria di Stato, e tutto il potere esecutivo, aveva sminuita la
partecipazione dei cardinali alla sovranità.
Il concistoro di questi, eletto fra tutte le nazioni, e dagli uomini più
eminenti per scienza ecclesiastica, ha tutt’altra destinazione che la
accidentale di reggere lo Stato. Prima della rivoluzione, alla Corte di
Roma si formavano buoni amministratori e destri politici, atteso le
vive relazioni con tutt’Europa, e l’essere la prelatura riservata ai
cadetti delle famiglie nobili, che vi portavano meno l’austerità
ecclesiastica, che l’attitudine ereditaria agli affari, l’appoggio delle
parentele, la ricchezza, le aderenze. Tutto cambiò nell’eguaglianza
sopravvenuta; perì quella scuola di diplomatici; e poichè il riformare
richiede genio ed esperienza, qui pure si preferì il non far nulla, o
quell’acquistar tempo ch’è reputato guadagno dai poteri egoistici.
CAPITOLO CXC.
Pio IX. Le Riforme. Le Costituzioni.