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Full download The Roman Emperor and His Court c. 30 BC-c. AD 300: Volume 2, A Sourcebook Benjamin Kelly file pdf all chapter on 2024
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The Roman Emperor and His Court c. 30 BC–c. AD 300
Volume 2: A Sourcebook
At the centre of the Roman empire stood the emperor and the court surround-
ing him. The systematic investigation of this court in its own right, however,
has been a relatively late development in the field of Roman history, and
previous studies have focused on narrowly defined aspects or on particular
periods of Roman history. This book makes a major contribution to under-
standing the history of the Roman imperial court. The first volume presents
nineteen original essays covering all the major dimensions of the court from
the age of Augustus to the threshold of Late Antiquity. The second volume is a
collection of the ancient sources that are central to studying that court. The
collection includes: translations of literary sources, inscriptions, and papyri;
plans and computer visualizations of archaeological remains; and photographs
of archaeological sites and artworks depicting the emperor and his court.
A Sourcebook
Edited by
York University, Toronto
York University, Toronto
University Printing House, Cambridge CB2 8BS, United Kingdom
314–321, 3rd Floor, Plot 3, Splendor Forum, Jasola District Centre, New Delhi – 110025, India
www.cambridge.org
Information on this title: www.cambridge.org/9781316513231
DOI: 10.1017/9781009063814
A catalogue record for this publication is available from the British Library.
Bibliography [249]
Index of Sources [277]
Index of Personal Names [281]
General Index [289]
vii
Figures
Contributions
NB: 3 16–26
CD: 1 23; 4 Intro., 1–21; 5 16
FD: 4 32–5; 5 13
MG: 2 9b, 11, 17–23
RG: 5 14
OH: 5 Intro., 2, 3, 5a–b, 10, 11, 12, 14, 15, 17, 18, 19, 23
AH: 3 Intro., 27–55; 5 Intro., 2, 5a–c, 6, 9, 22; 6.1–2
BK: 1 Intro., 1–26; 2 Intro., 1–9a, 9c–10, 12–16, 24–5; 3 1–15, 38 (c), 50 (b);
4 3b, 6b–c, 6f; 5 11; 6 Intro., 3–4
DL: 2 Intro.
KO: 5 1, 4, 7, 8, 13, 20, 21, 24–5
MR: 4 22–31
Acknowledgements
All translations are the authors’ own and dates are AD unless otherwise
marked. We have not striven to be hypercorrect with names. Where
English place names exist, we use these. Otherwise, we tend to use
Roman place names, but we also mention the modern name the first time
a place is mentioned in a chapter, so that the location may be found easily
using mapping applications. All places are in Italy, unless otherwise indi-
cated. With personal names, we have used anglicized versions where they
are conventional (e.g. Julia Domna, Pliny the Younger); otherwise, we use
Latin spellings (e.g. Iulius Montanus, PIR2 I 434).
Figures in bold type refer to other sources within this volume (e.g. 3.21) or
pages in Vol. 1 of this work (e.g. Vol. 1, 123–4).
() enclose words added by the translator to clarify the author’s meaning;
we have avoided using round brackets to enclose parenthetical
statements by the ancient author.
<> enclose words conjectured by a modern editor when text is clearly
missing from an extant manuscript due to a scribal error.
[] enclose words that are missing due to damage to the extant manuscript
or inscription and that have been reconstructed by a modern editor.
[- - -] mark a gap in the manuscript or inscription that cannot be
reconstructed; we have not attempted to provide estimates of the
number of letters missing.
... mark points where the ancient text in a passage continues, but we do
not translate it because it is not relevant to the issue at hand.
Italics have been used for Latin and transliterated Greek words; these are either
translated or glossed where they stand, or explained in the Glossary (in
the case of words appearing repeatedly).
When ancient texts have been excerpted, we have added a summary of the
material that was excised, if this is necessary to allow the reader to follow
the thread of the narrative. We have set those summaries in italics and
enclosed them in round brackets.
xvi
La vittoria era assai meno facile che il trionfo. Sulle orme del nemico
fuggente si cacciarono alquanti, di coraggio risoluto e intelligente; e
deh come pareano belli que’ giovani, che alfine avevano qualcosa
da fare! come ne’ loro atti sfavillava eroico, incitato, romanzesco il
sentimento! Altrettanto deforme e scomposto era l’esercito austriaco;
lacero, tutto mota e sangue, famelico, con impotente anelito di
vendetta, e temendo da ogni siepe un assalto, sotto ogni ponte una
mina, in ogni villaggio barricate e tegoli; che se davanti a quello,
scompigliato da tante diserzioni, dall’insolita guerra delle vie, dalla
privazione di riposo, dall’incertezza degli avvenimenti viennesi, si
fossero abbattute le piante, recise le vie, diffuse acque, lanciata la
morte, qual ritornava di là dai monti? Ma Radetzky ebbe ad
avvedersi ben presto che il popolo non prendeva parte a
quell’insurrezione; i campagnuoli non secondarono l’impulso delle
città, nè la bassa rispose alla risolutezza dell’alta Lombardia; sicchè
egli, neppure mai attaccato, potè giungere al Mincio, e dentro al
formidabile quadro, formato dai monti, dal mare, dall’Adige colle
fortezze di Verona e Legnago, dal Mincio con quelle di Peschiera e
Mantova, rincorare le truppe, attenderne di nuove, e coi migliori
uffiziali allestire la difesa e la riscossa.
Nè alla Potenza austriaca restava allora altro appoggio che
quell’esercito e quel capitano, il quale non lasciò di tenersi per
guardie i granatieri italiani; mancante del denaro fin per vivere due
giorni, pure affacciavasi al balcone a ricevere anch’egli applausi dal
vulgo, cui buttava il poco resto de’ suoi quattrini.
L’esercito piemontese si trovò scarso oltre ogni aspettazione e
impreparato: i generali confessavano la propria inettitudine, e
consigliavano a cercare un maresciallo ai Francesi [67]; ma questi
erano sospetti a Carlalberto. Cuore intrepido con incerto consiglio,
mancante di quell’attitudine impassibile del comando, che impone
alle fantasie popolari e affascina le volontà col supporre nel
comandante una profonda persuasione; perchè era spada d’Italia
egli credette essere la mano che bastasse a maneggiarla, e ripetè
l’ambiziosa parola Italia farà da sè, la quale [68], d’effetto drammatico
in bocca di letterati e di preti, acquistava tremenda importanza
ripetuta da un re che montava a cavallo per darvi realtà.
L’esercito arrivò tardi (29 marzo), ed anzichè precipitarsi su
Mantova, mal presidiata, e con cittadini disposti alla rivolta, entrò per
Milano e Pavia, e a marcie regolari spintosi al Mincio, valore mostrò
(8 e 9 aprile) ai ponti di Goito, Valleggio, Monzambano. Passato il
fiume, coll’inutile assedio di Peschiera s’intepidì l’entusiasmo,
aspettando il parco che arrivò solo il 15 maggio: e lungo l’Adige
distesa una linea di trentasei miglia, cominciossi una guerra di
posizioni. Ben presto sessantamila uomini si trovò Carlalberto. Vi si
aggiunsero cinquemila Toscani fra volontarj e di ordinanza;
diciassettemila Romani avvicinavansi al Po; e quattordicimila
Napoletani, oltre innumerevoli volontarj; tremila Parmigiani e
Modenesi stavano sul Mincio; cinquemila Lombardi verso il Tirolo;
bande di Veneti alle alpi Carniche.
Anfossi, Longhena, Griffini, Manara, Arcioni, Simonetta, Sorresi,
Bonfanti, Tololti, Sedabondi, Torres.... capitanavano bande; bande di
volontarj polacchi ci erano menate dal gran poeta e mistico
Mickiewitz; napoletani dalla principessa Belgiojoso, siciliani da La
Masa, altri dal belgio Thamberg, altri ancora dall’attore Modena, la
cui moglie ne portava la bandiera, e di più serj dal famoso Garibaldi;
nè mancavano preti, e l’eloquente Bassi barnabita, che nel 1836
avea tanto giovato a Palermo durante il cholera, e il padre Gavazzi
parevano santificare la causa e meritarle il nome di crociata; i
seminaristi medesimi si organizzarono per le armi: nobili impeti, a cui
mancavano la disciplina e l’unione, che sole possono dare la vittoria.
Ma improvvida fiducia in noi e improvvido disprezzo pel nemico
fecero che, quando ognuno avrebbe dovuto offrire sin l’ultimo soldo
e l’ultima stilla di sangue pel riscatto nazionale, si stiticasse sui
sacrifizj, e si dissentisse sui mezzi. Come i Lombardi eransi lusingati
di vincere democraticamente in tempo che ogni forza sta
concentrata ne’ Governi, così i Piemontesi opponevano battaglia di
fronte a un esercito di mirabile disciplina ed esperienza; mentre alla
vittoria, unico scopo, sarebbe dovuto dirigersi l’impeto nazionale,
non si seppe o non si volle effettuare la leva a stormo; si tennero in
lieve conto i volontarj che, con ottima sentita, si portarono a difesa
dei varchi alpini, benchè si vedesse il nemico avvantaggiarsi dei
subitarj, corsi ad ajutarlo dalle scuole austriache o dalle fucine
stiriane. Da cinquantamila uomini che si trovavano in Lombardia fra i
ventotto e i trentott’anni, che aveano militato; e non furono richiamati
istantanemente sotto le armi: seimila trecento ch’erano disertati dagli
Austriaci, furono rejetti dall’onor militare, e coperti di quel sospetto
che invita a tradire: invece di innestare subito i coscritti nell’esercito
piemontese, con camerati esperti, sotto vecchi uffiziali, si volle
formare un esercito lombardo, sciupando denaro e tempo,
crescendo gli scioperi e quindi gl’intriganti, e non recando ajuto alla
gran causa. Giovani baliosi non aveano vergogna di rimanersi a
casa a pompeggiare nella guardia nazionale e nelle parate, e
poeteggiare sui giornali e nelle canzoni quel coraggio che è si facile
allorchè l’occasione è lontana.
In quelle ore procellose dove sono gli avvenimenti che impongono i
dittatori, d’ogni città presero il governo le persone che si trovarono o
che vollero mettersi in una posizione di molti pericoli e di nessun
vantaggio, e ripagata coll’impopolarità. Per accentrare la resistenza
e i comandi, il Governo provvisorio di Milano faticò a vincere le
gelosie, che sono brina ad ogni fiorire di speranze italiche, e fare che
ciascuna provincia gli mandasse un deputato. Vennero scelti non
coloro che aveano tramato o intrigato, forse neppure sperato; alcuni
anzi già bersaglio della stampa demagogica [69]: sì poco era figlia di
congiure quella sollevazione, che traeva nobiltà e forza dall’intento
comune e semplice di rivendicare la nazionalità.
Ogni Governo rivoluzionario si trova debole a fronte dei compagni di
rivolta, ed esposto ai mille rischi della inesperienza, della
precipitazione, del disordine. Il nostro poi, vacillante per inesperienza
e incoerente per gli antecedenti, neppure cercossi la sanzione
popolare, tanto facile in paese sistemato a municipj. Nei momenti
sublimi in cui l’ispirazione viene dalle moltitudini, essa irradia taluni
che, cessato quel lampo, devono ricadere nelle tenebre: e caratteri
medj, i quali usano riguardo a tutti, carezzano il bene come il male
politico, potrebbero mai condurre una rivoluzione, che vive di moto,
d’azione, d’audacia? Alla nostra, mentre era nel primo lancio,
imposero la formola delle società in riposo, conservare l’ordine; nè
tampoco si seppe governare una gente, così facile a governare
perchè così facile a illudere; quando tutto era straordinario,
operavasi come in occorrenze consuete.
I prestiti volontarj sono uno spediente che piace a leggersi ne’ vecchi
repubblicani; si piange d’una fanciulla che offre l’anello di fidanzata,
d’una vecchia che dona la tabacchiera d’argento, d’un prete che
levasi le fibbie; ma che profittano ora che le forze e il denaro sono
concentrati nei Governi. Si abolivano la gabella del sale e il testatico,
mentre col sospendere i pagamenti del Monte sconcertavansi tante
famiglie; si chiedeano le argenterie domestiche e gli spogli delle
chiese, mentre tesori poteano cavarsi annunziando la suprema
necessità del vincere.
Pronte nubi offuscarono quel rosato, di cui si colora l’alba d’ogni
rivoluzione. I sistemi corruttori pregiudicano l’avvenire col far che, al
punto di cambiarli, non si trovino persone capaci a rappresentare la
nuova età; e che i vulghi, lusingati di alleviamenti e beatitudini,
ricusino gli stenti con cui bisogna conquistarli, e lo spostamento
degl’interessi e delle abitudini. In società educate così, le qualità
negative prevalgono, e guaj a chi trascende una mediocrità, palliata
col nome d’eguaglianza! nome illustre, operosità, esaltazione di
nobili sentimenti, influenza riconosciuta divengono pericolosi e
denigrati. Se non bastava dunque il trovarci inesperti degli affari,
delle armi, della vita politica; se non bastava che Tommaseo e
Cattaneo, Gioberti e Rosmini, Cibrario e Brofferio, Carlalberto e
Berchet si fossero palleggiati insulti, che poteano mettere in disparte
ma non disfare, i generosi restavano elisi dal dispetto proprio o dal
sospetto altrui, all’istante che più n’era bisogno.
Gente irritabilissima gli scrittori! E alcuni di essi, che sulle prime
esageravano l’eroismo per incitarlo, ripigliarono presto il riso
sardonico; altri, che avevano aspirato ad essere primi, non
soffersero di rimanere secondi, e sbracciavansi a rivelare gli errori di
chi non faceva come loro, e autorizzavano le ire delle fazioni, che
sempre gridansi tradite da chi non le serve come esse vogliono.
Mentre il riuscire a cose straordinarie allucina in modo da far credere
tutto possibile, i tentativi arrischiati cacciano indietro molti spiriti
sbigottiti, compromettono ciò che esagerano, ruinando ciò che
trascendono. Fra coloro dunque che, per moda o per primeggiare,
aveano invocato la tempesta, molti sgomentaronsi al vederla
scatenata; e dagli inconditi sussulti di Francia presagendo qui pure
la ghigliottina o il comunismo, corazzavansi contro coloro che pur
seguitavano a chiamare fratelli.
Mentre tutti credeansi valevoli a proporre, nessuno volea la
responsabilità del risolvere; il popolo male obbediva a governanti,
dipintigli come spregevoli; e fra le canzoni e la proclamata fraternità
nessuno avea fiducia in nessuno. Finchè trattavasi di bruciare in
effigie Guizot o Metternich, e di mettere in caricatura Radetzky, molti
faceano l’eroe; quando si trattasse di fatti, l’inerzia, che prima si
crogiolava nell’impossibilità di affrontare il nemico, dappoi coglieva
pretesto dalla facilità della vittoria, tutto asserendo finito colla
cacciata de’ Tedeschi.
Ai nuovi reggitori accalcavansi i servidori degli antichi, che cogli
antichi non volendo cadere, chiedeano compensi di persecuzioni
non sofferte; improvvisati statisti offrivano consigli; speculavasi sulle
armi, sugli impieghi, sulla pubblicità, sulla fame; dilettanti del
mestiere di delatore e di carceriero continuavano a vedere
cospirazioni e delitti, e mentre sovrastava un esercito minaccioso,
eccitavano schiamazzanti paure contro spie che non si trovavano,
contro contadini che voleano soltanto far chiasso come i cittadini.