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Analisi Di Alice - Svankmajer (Italiano)
Analisi Di Alice - Svankmajer (Italiano)
Corso di laurea di
Realtà Virtuale e Multimedialità
matr. 248726
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Ispirato più che tratto da Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll,
Alice è il primo lungometraggio di Jan Švankmajer. Nato a Praga nel 1934,
Švankmajer frequentò per quattro anni l'Istituto di Arti Applicate, per poi approdare
all'Accademia di Arti Visive. Entrò a far parte del celebre Laterna Magika Puppet
Theatre, un'originale commistione ceca di teatro delle marionette, cinema e balletto.
Negli anni successivi militò nell'attivo gruppo surrealista ceco, subendo
direttamente la dura censura politica del regime comunista. Sviluppando in questo
contesto la propria poetica, Švankmajer si cimentò nel cinema, realizzando dal 1964
a oggi (2006) una trentina di film, tra corti e lungometraggi.
A livello tecnico, il tratto caratterizzante di Švankmajer è il miscuglio di live
action e soprattutto di pixillation, spinta ai limiti delle sue possibilità. Nelle mani di
Švankmajer, le marionette si rivitalizzano in innaturali aggregati di plastilina, legno,
ossa e rifiuti di ogni genere: questo approccio rende possibile ogni deformazione,
fusione o scissione tra corpi, annullando programmaticamente i confini tra vivo e
non-vivo, animato e inanimato, liquido e solido.
“Non mi piacciono i cartoni animati, preferisco ambientare il mio mondo
immaginario nella realtà”, dichiarò in un’intervista rilasciata alla tv nazionale di
Toronto nel 1984: il distacco radicale di Švankmajer dalla tradizione del cartoon
statunitense avviene non solo a livello tecnico e formale, ma soprattutto a livello
contenutistico. Definito “gigante del cinema contemporaneo” dalla rivista Positif e
“incrocio tra Luis Buñuel e Walt Disney” da Milos Forman, Švankmajer riassume
con estrema semplicità la sua ricerca:
I vecchi libri di stregoneria dicevano che per scacciare un demone o un mostro, bisognava
prima trovare il suo nome. E’ questo il metodo che uso per scacciare le mie angosce e le
mie paure. Do’ loro un nome nei miei film.1
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emblematicamente nella sua Venere di Milo con cassetti (La Vénus de Milo aux
tiroirs, 1936-1964) e nel Telefono-aragosta (Téléphone-homard, 1936). D'altronde
Švankmajer afferma con chiarezza che la sua adesione all'avanguardia non si limita
all'adozione di un insieme di canoni estetici, ma di una vera e profonda psicologia,
implicitamente sovversiva e liberatoria:
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Geoff Andrew in conversation with Jan Svankmajer, Time Out, Settembre 1994
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Roland Barthes, Arcimboldo, Abscondita, Milano, 2005
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Un affascinante parallelismo tra Arcimboldo e Švankmajer apre il notevole cortometraggio dei
fratelli Quay The Cabinet of Jan Švankmajer (1984).
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Amos Vogel, "Hallo Berlin," Film Comment 24, No 3, Maggio-Giugno 1988, p. 63
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Alice
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Si pensi, ad esempio, all’inno hippie White Rabbit dei Jefferson Airplane, allo straordinario
videogioco 3d American McGee's Alice (edito da Electronic Arts) e al recente adattamento teatrale
della compagnia romagnola Fanny & Alexander.
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l’Internet Movie Database ne riporta addirittura 19, di cui molti difficilmente verificabili.
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Prologo
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In buona parte della produzione di Švankmajer si avverte questa cesura insanabile: l'artista ebbe
un'infanzia traumatica, sia per eventi esterni (l'occupazione nazista) che interni (si descrive come un
bambino di introversione patologica, pauroso e disadattato).
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Si noti che le due teste di plastilina di Dimensions of Dialogue (Moznosti dialogu, 1982) escono, per
l'appunto, da un cassetto.
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L’anticamera
Alice cade su un mucchio di foglie, in una piccola stanza spoglia, arredata solo
con un tavolo, identico a quello nella pietraia. Le foglie vengono aspirate dal
cassetto. Su una parete si aprono due porte, una molto piccola, l’altra di dimensioni
normali, chiuse a chiave. Alice trova una pozione in una boccetta di inchiostro, la
beve e rimpicciolisce. La bambina, attraverso l’escamotage della pozione magica, si
trasforma in una piccola bambola lenci, consunta e impolverata, sorta di alter-ego
švankmajeriano, col quale può cercare di attraversare la porta più piccola. L’antidoto
alla pozione è un biscotto coriaceo che le permette di tornare alle dimensioni
normali. Attraverso la porta, Alice scorge una scenografia teatrale, ma non riesce
comunque a passare. Frustrata dai tentativi andati a vuoto, scoppia a piangere. In
pochi secondi il pianto inonda la stanza. Un piccolo topo, legato a uno scrigno in
miniatura, nuota affannosamente verso la testa di Alice, scambiandola per una
piccola isola. Messosi in salvo, il topo estrae dallo scrigno una pentola e un mestolo,
costruisce un piccolo falò usando i capelli di Alice come combustibile, e inizia a
cucinare. Alice osserva passivamente la scena, incuriosita dallo strano animale, e
conclude la gag surreale dicendo “Now this is going too far...” e sbarazzandosi del
topo.
Si noti come Švankmajer non approfondisca intenzionalmente il profilo
psicologico di Alice, aspetto invece di interesse centrale per Carroll: l’animatore
ceco ritrae una bambina dura, insensibile, un’osservatrice che ha un’influenza molto
ridotta sul mondo in cui agisce. Švankmajer esplicita la natura autoreferenziale del
suo interesse per l’infanzia dicendo “Non mi interessa il mondo immaginario dei
bambini in generale, quello lo lascio volentieri agli psicologi. Quello che mi
interessa è innanzitutto dialogare con la mia infanzia. L’infanzia è il mio alter-ego”.
Il castello
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chiede rinforzi con un fischietto: una carrozza con un nutrito gruppo di creature
irrompe sulla scena, in un tripudio di scricchiolii e rumori lignei. Similmente al
Bianconiglio, gli animali hanno un cranio come testa, e corpi assemblati da
scheletri, peluche e varie cianfrusaglie. Tutto il regno animale è rappresentato: negli
ibridi sono distinguibili elementi di mammiferi, uccelli, pesci e rettili. Lo
sgangherato esercito, comandato dal Bianconiglio, assedia Alice nel castello. Gli
animali decidono di inviare un rettile dal camino in avanscoperta. Alice assesta un
forte calcio al rettile in discesa, lanciandolo a grande distanza, gag “cinetica” che
strizza l’occhio al cinema delle attrazioni. Atterrando, il rettile si ferisce gravemente
e giace immobile in una pozza di segatura. Il Bianconiglio interviene
repentinamente cucendogli le ferite, mentre gli altri animali osservano l’operazione
preoccupati.
Nel suo complesso, la scena trasmette allo spettatore sensazioni contrastanti e,
anche se l’intento comico-grottesco è palesato dalla gag del calcio al rettile, tutto
rimane immerso in un’atmosfera da incubo. Il principale artificio utilizzato da
Švankmajer per ottenere questo straniamento è la manipolazione del sonoro: i suoni
emessi dalle creature sono un concerto di clangori eterogenei e difficilmente
identificabili, una colonna sonora diegetica totalmente aliena al contesto. Queste
disturbanti intuizioni sinestetiche derivano probabilmente dagli esperimenti con
l’acido lisergico, organizzati dalle autorità militari ceche nel 1972, a cui Švankmajer
partecipò come volontario10.
La battaglia viene infine vinta dagli animali, che fanno catturare Alice da una
creatura volante, un folle ibrido tra un letto e un uccello rapace, che la fa cadere in
un pentolone. Nel pentolone, Alice viene ricoperta da una sorta di involucro, che la
fa apparire come una vecchia bambola, e viene trascinata dagli animali in un
magazzino.
Il magazzino
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scatola, pieno di grossi scarafaggi. Queste sequenze mettono al centro due aspetti
della poetica švankmajeriana: la rivitalizzazione gli oggetti e il rapporto con il cibo.
Gli oggetti, che creano una fitta trama che accomuna e unifica tutte le parti del
film, sono scarti dei processi produttivi industriali, oggetti quotidiani e cibi
particolarmente indigesti. Quando infonde la vita in materia morta o che non ha mai
vissuto, Švankmajer sa di compiere una sorta di rito tribale:
Mi servo dell’animazione solo quando voglio dare vita ad alcuni oggetti quotidiani
attraverso la metamorfosi. Il surrealismo esiste nella realtà, non al margine di essa. [...]
Tutto quello che sta intorno a noi ha vita propria, inclusi gli oggetti inanimati, perché la
vita e’ sorta in loro quando qualcuno li ha toccati. Lei sa per sua esperienza che può
toccare lo stesso oggetto ogni volta in maniera differente, in base all’umore del momento.
Le emozioni che sono presenti in noi in questo stesso istante confluiscono in parte degli
oggetti che tocchiamo. Questi momenti, queste emozioni, trapassano agli oggetti,
convertendosi in testamento di quello che accadde in quell’ambiente nel quale rimangono.
Il mio desiderio è far si’ che gli oggetti rivelino queste emozioni. Per questo considero che
l’animazione e’ magia. In questo senso si può accomunare un animatore a uno sciamano.11
Questa ossessione di Švankmajer per il cibo deriva dal fatto che durante l'infanzia fu
sempre obbligato a mangiare. Ciò nonostante, un atto tanto “intrascendente” e quotidiano
si trasforma in un elemento chiave per la storia, conferendogli poteri magici (Alice) o
metaforici. Allo stesso modo il cannibalismo, presente tanto nei corti (Food, Dimensions
of Dialogue) che nei film (Otesanek, Fausto), mostra come la golosità irrefrenabile delle
sue creature non sia tanto alimentare quanto piuttosto distruttiva.
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Dopo lo strano incontro, Alice entra in un'altra stanza. Per terra c'è una
piccolissima casa saltellante, dalla quale proviene il pianto di un bambino. Usando il
fungo, Alice ne aumenta le dimensioni. Mentre dall'abitazione vengono lanciati
piatti e stoviglie, un luccio antropomorfo con vestiti settecenteschi porta ad Alice un
invito ufficiale della Regina. Alice entra nella casa, e vi trova una grottesca parodia
famigliare: il Bianconiglio allatta un maiale avvolto in fasce, che strilla con la voce
di un neonato, mentre una rana, vestita come il messaggero della Regina, si aggira
fra le stoviglie rotte catturando insetti con lingua. Vedendo Alice, il Bianconiglio le
lancia il maiale-neonato. Il maiale si dirige verso una porta.
La sala da tè
Seguendo il maiale, Alice arriva nella stanza del Cappellaio Matto (Mad Hatter),
rappresentato come una logora marionetta di legno scuro, controllata da fili ben
visibili. Il Cappellaio è seduto a un tavolo con un sudicio coniglio di peluche a
carica (March the Rabbit). La scena è caratterizzata da una selvaggia creatività. Del
personaggio carrolliano Švankmajer evidenzia la mania patologica per gli orologi e
per la pulizia delle tazzine, tralasciando completamente la lunga sequenza di giochi
di parole, indovinelli e trabocchetti a cui il Cappellaio sottopone Alice nel VII
capitolo del romanzo. La protagonista osserva la delirante parodia del rito britannico
del tè, quasi senza parteciparvi. Il Cappellaio ripete “I want a clean cup” e cambia
sedia, mentre il coniglio spalma del burro su orologi da taschino.
La ciclicità di queste azioni illogiche richiama quella di molte gag: il
Bianconiglio quando consulta l'orologio lo deve ripulire dalla segatura e schiocca gli
incisivi ogni volta che incrocia lo sguardo della bambina, Alice rompe tutte le
maniglie con la stessa dinamica cinetica, etc. In un certo senso, sono gag “rituali”:
Švankmajer le ripete fino a svuotarle di ogni humour, calandole in una sorta di
fatalismo sardonico.
La scena viene interrotta dall'irruzione surreale del Bianconiglio, estratto dal
cilindro del Cappellaio, come nel numero di un folle prestigiatore. Il Bianconiglio
scappa su una scala a chiocciola. Alice gli chiede di fermarsi, e lo segue.
Nella sala da tè si nota con particolare evidenza l’erosione che intacca tutti gli
oggetti-attori e gli elementi della scenografia. Tale erosione ha ovviamente una
precisa funzione estetica. Švankmajer filma quasi esclusivamente in interni con muri
crepati, con l'intonaco scrostato e ammuffito, arredati poveramente e associabili
forse, per i parametri di uno spettatore occidentale, agli stereotipi di povertà e
frugalità del periodo comunista. I fondali naturalistici del cinema d’animazione
americano classico lasciano il posto a scenari sudici, in cui la sensazione di erosione
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e sporcizia è quasi tattile. In quest'ottica, il Cappellaio Matto è quindi rappresentato
come una vecchia marionetta di legno, abbandonata per decenni in un magazzino,
divorata dalle tarme all’interno e annerita dall’umidità all’esterno.
Il teatro
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Il tribunale
Alice entra in una stanza, arredata solo con tavolo, a cui sono seduti il Re e la
Regina, che invitano “l'imputata” a entrare. A fianco del tavolo ci sono tutti gli
animali del Wonderland, che accolgono Alice con un concerto di clangori
minacciosi.
La scena è strutturata come un processo, in cui Alice è l'imputata, il Re il
giudice e gli animali la giuria. Mentre la Regina sembra desiderare solo la
decapitazione dell'imputata, il Re vuole seguire un insondabile iter burocratico. Lo
svolgimento del processo infatti è già completamente scritto sul quaderno
dell'imputata, che dovrebbe limitarsi ripetere i passaggi prestabiliti. Il Re accusa
Alice di aver mangiato dei biscotti magici. La bambina si difende dicendo “I didn't
eat anything... Or hardly anything”. Gli animali rispondono ostilmente col solito
rumore di ferraglia. Il Re, spiazzato dalla risposta inaspettata, ordina ad Alice di
leggere il quaderno, invitandola ad attenersi al testo, secondo il quale l'imputata
dovrebbe pentirsi e poi chiedere alla Corte la massima pena prevista, accontentando
finalmente la sanguinaria Regina. Alice prova a giustificarsi, dicendo che non
capisce l'accusa. Il Re si convince della colpevolezza di Alice, che mangia i biscotti
davanti a lui, e ordina la decapitazione, decisione acclamata dalla giuria.
Intenzionali o casuali che siano, gli echi kafkiani abbondano in tutta la scena: fin
dalle sue premesse, il processo appare come un rito inscenato da un potere
insondabile che non risponde a nessun criterio razionale, in cui l’accusa è tanto
assurda quanto la giuria e le modalità di svolgimento. Evitando una forzata lettura
politica, che potrebbe far accomunare il processo ad Alice ai processi farsa delle
purghe staliniane, si può comunque notare un generale intento farsesco. L’autorità,
incarnata una sagoma di cartoncino parlante, viene immersa in quella che si
potrebbe definire “straniamento švankmajeriano”, in bilico perenne tra parodia
grandguignolesca, inquietudine orrorifica e astrazione surrealista.
Il finale, in cui Alice attende di mozzare la testa al suo falso “maestro”, è sinistramente
personale: [Alice] è ora libera dalla tirannia degli adulti, ma il solo potere che questa
conquista le ha dato è quello della distruzione.
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Ovviamente non ci sono indizi sufficienti per individuare una chiave di lettura
univoca. Švankmajer minimizza, ironicamente, dicendo che si tratta di “un puro
esempio di sogno infantile”. Quello che la protagonista ha ottenuto nel suo viaggio
nel Wonderland, che si tratti della liberazione dalle costrizioni sociali o della discesa
nella follia, è implicitamente inafferrabile e rimane ineluttabilmente confinato nei
territori dell’inconscio.
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Scheda del film
Bibliografia
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